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SONDAGGIO PALESTINESE: CIVILI FAVOREVOLI AL MASSACRO DEL 7 OTTOBRE

8 arabo-palestinesi su 10 hanno espresso sostegno al massacro di Hamas contro i civili del sud d’Israele.

Lo rivela un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, secondo cui, in linee generali, nonostante il pogrom del 7 ottobre, Hamas ha aumentato i consensi anche a discapito di Fatah, il cui crollo sembra la storia di un delitto annunciato.

Sondaggio, condotto dal 26 maggio al primo giugno, che ha mostrato come 3 intervistati su 4 si sono detti contrari a una forza di interposizione araba nella Striscia di Gaza, mentre più della metà è in favore della lotta armata e contraria alla soluzione a due Stati; sostenuta da tanti leader politici internazionali che non si rendono conto della reale situazione all’interno della popolazione arabo-palestinese.

Per questo colpisce solo chi non ha voluto vedere per decenni, che soprattutto nella West Bank – ma anche a Gaza – alle domande “chi preferirebbero che mantenesse il controllo” e “quale scenario preferirebbero per il dopo guerra”, la risposta è stata sempre la stessa: Hamas.

Il gruppo terrorista arabo-palestinese assieme al suo leader nella Striscia Sinwar godono di un consenso che dà la misura dell’aria che si respira presso i gazawi, i quali considerano gli Houthi il miglior partner arabo contemporaneo.

Sempre secondo i partecipanti al sondaggio, Hamas vincerà la guerra contro Israele e continuerà a gestire Gaza.

Non arrivano notizie confortanti neanche in merito per la leadership dei macellai del 7 ottobre: per gli intervistati la guida di Ismail Haniyeh può essere messa in discussione solo dal noto sanguinario Marwas Barghouti.

Il sondaggio parla chiara: la popolazione civile esprime pieno sostegno ad Hamas, al suo terribile attacco contro i civili israeliani di otto mesi fa e la tendenza è quella di sostenere dei gestori di Gaza sempre più sanguinari.

Il sondaggio parla chiaro a tutti quei governanti del mondo, secondo cui la strada da percorrere per la pace è quella della soluzione a due stati.

I gazawi l’hanno detto: a esistere deve solo lo stato palestinese, quello d’Israele non è contemplato nel loro immaginario futuro…

[Continua a leggere l'articolo sul nostro sito >> https://www.progettodreyfus.com/sondaggio-palestinesi-7-ottobre/ ]

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GAZA: EGITTO RIFIUTA DI EVACUARE PALESTINESI MALATI DA RAFAH

L'Egitto ha respinto la proposta israeliana di consentire l'evacuazione dei palestinesi malati dalla Striscia di Gaza attraverso il valico di frontiera di Rafah. Lo scrive il quotidiano libanese Al-Akhbar citando fonti egiziane secondo le quali il Cairo ha rifiutato l'offerta perché Israele ora controlla il lato palestinese del valico.

Il valico di Rafah è stato chiuso da quando Israele ha preso il controllo del lato di Gaza il 7 maggio scorso. L'Egitto si è rifiutato di riaprirlo finché non fosse tornato sotto il controllo palestinese, per evitare di essere visto come complice dell'operazione militare israeliana nella città più meridionale di Gaza.

L'Egitto si è invece offerto di portare forniture mediche e curare gli abitanti della Striscia di Gaza feriti al valico di frontiera di Kerem Shalom in coordinamento con le organizzazioni umanitarie internazionali che lavorano nell'enclave palestinese. L'offerta israeliana consentiva il trasferimento di un numero ''illimitato'' di palestinesi feriti in Egitto per ricevere cure mediche, riferisce Al-Akhbar.

Testo | Sky tg24

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E LA STELLA GIALLA SULLA MERCE QUANDO?

"Deutsche kauft nicht bei Juden”. I tedeschi non comprano dagli ebrei. Così recitava un manifesto nella Germania di Hitler. Allora lo slogan era: “Geh nach Palästina, du Jud”. Ebrei, andate in Palestina! Oggi il motto del boicottaggio è: “Ebrei, fuori dalla Palestina!”.

“Socio Coop per la Palestina. No ai prodotti israeliani nei punti vendita di Coop”. Così recita un manifesto che gira in questi giorni:

“Come socie/soci/clienti Coop ci impegniamo a non acquistare prodotti provenienti da aziende israeliane, a informare altri e incoraggiare consumatori e consumatrici a non acquistare prodotti israeliani”.

C’è anche il Qr code. Un invito a fare pressione sulla Coop perché smetta di vendere pro- dotti dallo stato ebraico. Un mezzo di pressione per non comprarle.

Il The Wall Street Journal scriveva tempo fa che si è passati “dallo Judenfrei (nazista) allo Zionistfrei (antisionista)”. Quando il boicottaggio ha iniziato a prendere forza in Europa, l’azienda vinicola Bazelet sul Golan ha deciso di spedire le sue bottiglie in Europa avvolte da una bandiera israeliana, in segno di sfida.

Chissà se non si arriverà a mettere una stella gialla sui prodotti israeliani. Abbiamo visto città come Leicester mettere al bando i prodotti made in Israel. George Galloway ha promesso che anche la sua città, Bradford, sarebbe diventata “Israel free”. Nella città irlandese di Kinvara i ristoranti e persino le farmacie per un periodo non hanno venduto più prodotti israeliani. Ci sono caffè
di Londra che hanno esposto la scritta “No Israeli products here”. La città spagnola di Villanueva de Duero non distribuisce più l’acqua israeliana Eden Springs nei suoi edifici pubblici.

In tedesco era “Kauft nicht bei Juden”. Oggi suona più semplice: Boycott divest sanctions.

Testo | Il Foglio

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COOP ITALIA: "NOI ESTRANEI A BOICOTTAGGIO PRODOTTI ISRAELE"

Coop "è estranea" all'appello promosso da alcuni soci con un volantino di boicottaggio di prodotti israeliani nei punti vendita e "conferma di non aver mai praticato azioni di boicottaggio di prodotti". Lo afferma una nota della società cooperativa.

"Coop - è scritto nella nota - sostiene le istanze di pace e giustizia tra il popolo palestinese e Israele, ma ciò non comporta attivare azioni di boicottaggio che Coop non ha mai praticato. Tutte le scelte di acquisto o di 'non acquisto' sono legittime, strumentalizzazioni e interpretazioni non corrette sono ingiustificate. Così riteniamo di tutelare il punto di vista di una platea di oltre 6 milioni di soci che rappresentano valori, opinioni e sensibilità inevitabilmente diverse e tutte analogamente da rispettare".

Testo | Sky tg24

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DOPO IL SABATO C'E' LA DOMENICA | di Michelle Mazel

“Val-de-Marne: un ragazzino di 10 anni chiamato “sporco cristiano” e “sporco ebreo” da altri due bambini per strada” E’ successo lo scorso 20 giugno ad Alfortville. Considerato come semplice mancanza di educazione, di questo episodio non si è parlato molto. Innanzitutto per la sua scarsa rilevanza. La Francia purtroppo ha subito delle aggressioni antisemite ma anche degli attacchi contro delle chiese e perfino contro dei preti. Tuttavia, questa equazione tra ebreo e cristiano sulla bocca di ragazzini di quartiere avrebbe dovuto farci riflettere, visto l’attuale contesto. Tanto più che si può pensare che questi ragazzi abbiano imparato l'odio dell'ebreo e quello del cristiano proprio in casa loro.

Pochi giorni dopo, era domenica sera del 23 giugno, in Daghestan, dei terroristi hanno attaccato due sinagoghe e una chiesa nelle due città più grandi. Una sinagoga è stata data alle fiamme, ad un prete ortodosso è stata tagliata la gola. L’indomani, lo Stato islamico del Khorasan (Asia centrale) ne ha rivendicato la responsabilità. Di certo non esiste alcuna disputa territoriale tra questa repubblica russa e il Daesh e ovviamente nessun motivo per attaccare sinagoghe o chiese, se non il cieco fanatismo.

"Gli islamisti dicono sempre che dopo il sabato c’è la domenica. Attaccano prima gli ebrei, poi i cristiani. Questa è la logica della jihad…” aveva affermato Éric Zemmour in un’intervista del 2 novembre del 2023. Non sembra che i due eventi accaduti negli ultimi giorni, a poche migliaia di chilometri di distanza, abbiano fatto venire in mente agli europei questa espressione simbolica. Infatti è più comodo vederla come una manifestazione di islamofobia e nulla di più. Tuttavia, in origine si tratta di un proverbio arabo. E in Medio Oriente non ci possiamo fare illusioni sul suo significato.

Durante il suo breve regno, Daesh – il Califfato islamico – ha dato fuoco agli edifici religiosi e massacrato i cristiani, che sono tuttora perseguitati. Un tempo, loro rappresentavano un quarto della popolazione del Medio Oriente, oggi sono appena undici milioni. Ne è consapevole lei, questa bella gioventù studentesca che indossa con orgoglio la kefiah e che mostra la sua solidarietà ad Hamas? Probabilmente no. Proclama il suo sostegno a una Palestina libera “dal fiume al mare” senza sapere veramente di quale fiume, e nemmeno di quale mare, si tratti.

Questi studenti coraggiosi, così pieni di fervore, provengono tuttavia principalmente da ambienti cristiani – cattolici o protestanti. Sono lontani dall'immaginare che per i sostenitori dell'Islam essi sono considerati “infedeli” allo stesso modo degli ebrei. Degli individui in definitiva inferiori che, nel mondo governato dalla Sharia a cui aspirano gli islamisti di ogni genere, dovranno sottomettersi e accettare la loro condizione di dhimmi. Per quanto riguarda i membri della comunità omosessuale che marciano con orgoglio in favore della Palestina, dobbiamo aver dimenticato di dire loro che nel mondo islamico, l’omosessualità è un crimine punibile con la morte.

Testo | Informazione Corretta

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MEDICI SENZA FRONTIERE E IL COLLEGA TERRORISTA UCCISO DA ISRAELE: NESSUNA INDIGNAZIONE PER IL DOTTORE CON IL KALASHNIKOV | di Iuri Maria Prado

I responsabili di Medici Senza Frontiere (Médecins Sans Frontières / MSF) disponevano di parecchie alternative per commentare la notizia secondo cui un loro “collega”, eliminato l’altro giorno dall’esercito israeliano, sarebbe stato coinvolto in attività terroristiche. Apprendendo dell’uccisione, i plenipotenziari di quella sconfinata propensione umanitaria avrebbero potuto – per esempio – contestare la verità della notizia, argomentando e documentando che il loro “collega” non era in realtà un terrorista. Non l’hanno fatto.

Avrebbero potuto rammaricarsi della fine violenta del loro “collega” nella desolazione per la scoperta che era un terrorista. Non l’hanno fatto. Avrebbero potuto piangere il proprio “collega” scusandosi per non essersi accorti che era un terrorista. Non l’hanno fatto. Avrebbero potuto – come hanno fatto – inviare messaggi di condoglianze ai familiari del loro “collega” e avrebbero potuto – come non hanno fatto – chiedere perdono alle vittime dell’attività terroristica di quel medico-miliziano.

Che han fatto, invece, a parte esercitarsi in quelle giuste condoglianze? Hanno messo mano ai propri profili social per dar fuori questo comunicato: “Siamo indignati e condanniamo con forza l’uccisione del nostro collega, Fadi Al-Wadiya, in un attacco avvenuto questa mattina a Gaza City”. Non sono indignati, con se stessi, per aver assunto e tenuto nei propri ranghi un terrorista. Perché? Due ipotesi, diremmo. La prima: che non era un terrorista, e i signori di Medici Senza Frontiere sanno che non lo era. Ma allora (torniamo a ciò che avrebbero potuto fare e non hanno fatto) perché non hanno condannato, oltre che l’uccisione del “collega”, anche la motivazione menzognera che l’avrebbe giustificata? Vai a sapere.

Oppure c’è l’ipotesi seconda, che in greco antico si dice ‘sticazzi: sapevano che era un terrorista, o sono venuti a saperlo, ma non importa. E sul non importa, ovviamente, ci si può sbizzarrire. Non importa perché è una questione di privacy: se un medico, nelle ore libere, allestisce le rampe per il lancio dei razzi sui civili tu che fai, interferisci? Oppure non importa perché l’attività di Medici Senza Frontiere, come ostentano i loro cartigli, è ispirata a “imparzialità, indipendenza e neutralità”: ti arriva l’affiliato degli sgozzatori e tu che fai, lo discrimini? O forse non importa perché c’è il genocidio, c’è la pulizia etnica, c’è la carestia. E, siccome c’è tutto questo, ci sta pure che Medici Senza Frontiere vi si opponga assoldando chi vi si oppone a modo suo, col kalashnikov. Diversi, ma uniti nella lotta.

Se poi fosse tutto falso, e cioè se quel loro “collega” fosse stato solo un medico e non anche un terrorista, sarebbe una tragedia in più di questa orrenda guerra e una tragedia in meno per la credibilità frantumata di certe organizzazioni “imparziali”.

Testo |Il Riformista

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AMBASCIATORE ISRAELIANO: "IN ITALIA ABBIAMO PAURA DI DICHIARARCI ISRAELIANI"

"Non so se si possa parlare di 'minaccia', ma penso che le persone siano meno serene nel mostrare apertamente la propria identità ebraica o israeliana in Italia". A dirlo in una intervista a @Il Messaggero è l'ambasciatore di Gerusalemme in Italia, Alon Bar, che alla fine del prossimo mese lascerà l'incarico.

"Penso che in tutto il mondo occidentale le forti critiche e proteste abbiano creato un ambiente meno sicuro per gli studenti israeliani e per gli israeliani portando, in alcuni casi, anche ad attacchi di stampo antisemita", sottolinea, spiegando di non essere "più certo di sapere quale sia il modo migliore per affrontare questa situazione, perché di solidarietà ne abbiamo vista tanta in Italia dopo i fatti del 7 ottobre. Ritengo che si tratti non di gente che ignori le atrocità di quel giorno, ma che preferisce non sapere oltre, confrontarsi con l'evidenza. Non importa cosa mostri loro (video o immagini), non vogliono ascoltare. Non esiste spazio per il dissenso: per le personalità italiane esprimere un'opinione diversa è impossibile. Vengono bloccate e criticate. Come ambasciata abbiamo fatto molti sforzi per dare informazioni sull'assistenza umanitaria israeliana, sullo sforzo per evitare vittime civili, sul fatto che il numero dei decessi civili fornito da Hamas è inattendibile e sovrastimato perché include per oltre la metà combattenti e membri attivi. Spero che a un certo punto le persone si sveglino e capiscano che non è tutto in bianco e nero. Ma siamo in un mondo di polarizzazione: o sei pro Israele o pro Palestina, mentre si potrebbe essere per entrambi".

Testo | @Sky tg24

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ENTEBBE: ALL'INDOMANI DELL'OPERAZIONE DI SALVATAGGIO, "L'UNITA'" CONDANNAVA ISRAELE SU SPINTA DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

All'indomani dell'Operazione Entebbe, il PCI chiese al governo italiano di condannare ufficialmente l'azione israeliana che portò al salvataggio di oltre cento ostaggi. Nei giorni successivi poi, sul quotidiano del partito, l'Unità, uscirono una serie di articoli in cui l'eroica azione dei commando di Israele veniva paragonata a quella dei terroristi.

Per l'Unità, Israele agì "secondo il principio, assurdo e irrazionale, che in casi del genere non si debba venire a patti" e che l'azione ha rappresentato un "cinico atto di aggressione".

Dopo aver parlato di "crudele vicenda sullo sfondo del dramma palestinese" e di "spietata condotta israeliana", l'anonimo articolista si spinge ancora più in basso quando definisce l'Operazione Entebbe come una "ferita inferta alla coscienza dell'umanità da Israele, non certo minore di quella di cui si erano resi responsabili i terroristi".

Noi restiamo dell'avviso che nel conflitto fra civiltà e barbarie, perché il terrorismo altro non è che questo, sia sempre necessario schierarsi dalla parte della civiltà.

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AMSTERDAM: IMBRATTATA STATUA ANNA FRANK CON SCRITTA "GAZA"

La statua di Anne Frank ad Amsterdam è stata imbrattata con una scritta rossa 'Gaza'. Lo rende noto il The Jerusalem Post citando politici olandesi che hanno fotografato lo sfregio e lo hanno postato su X. "Vergognoso" ha scritto Stijn Nijssen del Consiglio della citta', "attirare l'attenzione sulla causa palestinese deturpando il memoriale dell'Olocausto nel parco del quartiere di Rivierenbuurt".

"Questa giovane ragazza, brutalmente assassinata dai nazisti all'età di 15 anni, ricorda ogni giorno a noi e alla nostra città l'umanità e la gentilezza nelle circostanze più difficili" ha scritto il sindaco di Amsterdam Femke Halsema, aggiungendo che non ci sono scuse per un simile atto.

Il Centro per l'informazione e la documentazione israeliana ha rimarcato sui social media che il vandalismo della statua è un altro esempio del cosiddetto "antisionismo".

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HEZBOLLAH, NASRALLAH: "SE CI SARA' UN CESSATE IL FUOCO A GAZA, SI CHIUDERA' ANCHE IL FRONTE LIBANESE"

"Hamas negozia per se stesso e a nome delle fazioni palestinesi, nonché a nome dell'intero asse della resistenza. Qualsiasi cosa Hamas accetti, tutti la accettano e ne sono soddisfatti". Lo ha detto il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah.

L'obiettivo di Hezbollah negli ultimi nove mesi di attacchi quasi quotidiani al nord di Israele è quello di "esaurire il nemico materialmente, finanziariamente e mentalmente", ha detto intervenendo ad un evento commemorativo per l'alto esponente di Hezbollah Mohammed Nasser, ucciso in un attacco israeliano la scorsa settimana, aggiungendo che gli scontri al confine con il Libano sono riusciti a distrarre Israele dalla guerra in corso contro Hamas a Gaza. La situazione nel nord di Israele "ha fatto loro capire che se vogliono che tutto finisca, devono fermare l'aggressione a Gaza", ha aggiunto ancora.

"Se ci sarà una svolta nei negoziati in corso tra Israele e Hamas che si tradurrà in un cessate-il-fuoco a Gaza, "anche Hezbollah cesserà" i suoi attacchi contro Israele "senza alcuna discussione o negoziazione".

Testo | askanews

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