skande
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In missione per far apprendere l’efficacia del Branding. Restituisco sempre ciò che imparo. Credo nelle capacità degli introversi, nell’etica e nel potere della narrazione
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Finiamola col “Personal Branding”

Forse abbiamo preso un immenso abbaglio iniziando a pensare che un’attività di branding rivolta alle persone potesse essere sviluppata allo stesso modo di una realizzata per un prodotto commerciale, un marchio di automobili o un servizio di noleggio vetture. Questi prodotti, aziende o servizi non sono equiparabili agli esseri umani. Il marketing, ci insegna il buon Kotler, parte dai bisogni, dalle ricerche di mercato e dallo sviluppo di un modello di business.
Gli esseri umani non agiscono così, non sono così; nascono prima dei bisogni che dovranno soddisfare, studiano e si appassionano anche a scienze, mestieri e arti che hanno poca richiesta di mercato; non valutano il guadagno futuro, ma ciò che li fa stare bene e in cui si sentono più portati.

Le persone hanno un volto, un nome e un cognome, non hanno un logo (a parte me, ma è stato un “errore di gioventù”); non devono occupare una fetta di mercato come le aziende o i prodotti; a una persona possono bastare uno (se è dipendente) o cento clienti (se è un libero professionista) per vivere bene del suo lavoro.
Ho scritto un migliaio di post, cinque libri e innumerevoli newsletter a sostegno del personal branding, un’etichetta che ha iniziato a stancarmi perché la vedo usata a sproposito da chi vende follower su Instagram, corsi sulla crescita personale o, addirittura, da chi propone metodi infallibili per diventare ricchi online con ChatGPT, il funnel marketing o il social selling.

Non sto contestando ciò in cui credo, ma ora l’etichetta mi sta stretta, la trovo parziale e limitante, soprattutto per quanto riguarda il raggio d’azione della diffusione di contenuti online.
Credo che, a livello estetico e concettuale, ora si debba spostare il focus su qualcosa che sta a monte rispetto a una bella foto profilo, a un buon contenuto e all’engagement, croce e delizia di chi pensa di fare di sé stesso un brand.

Vediamo un piccolo esempio.
Ci sono grandi professionisti che stimo e che per me sono punti di riferimento. Scrivono libri, fanno consulenze e formano migliaia di persone. Le stesse attività che faccio io; quindi, che differenza c’è tra me e loro?
Guardando le vendite dei miei libri, sono felice; credo di averne scritti un paio davvero ottimi, ma perché non vendo tanto quanto Seth Godin, Paolo Borzacchiello o Philip Kotler?
La risposta è semplice: non sono Seth Godin, Paolo Borzacchiello né Philip Kotler.
Se guardi i profili social di questi grandi autori, noterai che non hanno un pubblico e un engagement da influencer. Allora, cosa li distingue da me?

Hanno una reputazione straordinaria, ottenuta con le loro idee innovative; hanno grandi clienti e sono capisaldi nel loro settore.
Non sono i post, i like e la copertina di LinkedIn ad alimentare la mia o la tua fama.
Non importa se scrivo libri o contenuti migliori di qualcuno che ha una reputazione superiore alla mia.
Non importa se i miei libri sono più economici, più curati o più belli dei suoi. La considerazione che riceve è molto più grande della mia e questo cambia tutto.
Le aspettative battono sempre la realtà.
La reputazione batterà sempre chi ha tanti like sui social.
La governance della reputazione è molto più importante del “personal branding” che ti viene propinato da chi propone una mera esposizione patinata.
È sbagliata la domanda
A Milano, qualche anno fa, ho ascoltato Jeffrey Gitomer, il guru mondiale della vendita, dire che “la gente ama acquistare, ma odia farsi vendere qualcosa”. In effetti le persone affollano i centri commerciali, i negozi di ogni settore e addirittura gli e-commerce sempre alla ricerca di un oggetto o un servizio che risponda alle loro esigenze o ai loro sogni. Non vedono l’ora di comprare.

La domanda che mi sento fare spesso durante le mie consulenze è: “Come faccio a vendere i miei servizi?”.
Credo che se le persone si ponessero la domanda corretta ogni volta che hanno un problema, il mio mestiere sarebbe inutile. Non voglio tirare ancora una volta in ballo i filosofi greci o l’esortazione che campeggiava sul tempio di Apollo a Delfi. Ma la qualità delle domande che ti rivolgi è fondamentale per darti una risposta, che forse già possiedi ed è migliore di quella fornita da qualsiasi consulente.

Pensa a chi potrebbe avere bisogno di te o di quello che offri: come puoi stimolare il suo interesse, nutrirlo con un minimo di fiducia e aiutarlo a soddisfare i suoi bisogni percepiti o latenti?
La persona che hai di fronte o che ti presta attenzione online è avversa al rischio e concentrata su sé stessa. Teme che la transazione porterà più benefici a te che a lei, teme di perdere soldi, tempo o di sentirsi truffata.
Non siamo entusiasti quando qualcuno vuole venderci qualcosa.

La domanda che dobbiamo farci è: “Possiedo un valore. Come posso aiutare le persone che l’hanno compreso a raggiungere i loro obiettivi?”.
La magia avviene quando la soddisfazione a lungo termine supera l’urgenza di vendere. Questa magia si chiama marketing, non è un’attività per tutti e si distingue dalla vendita perché si incassa fiducia nel corso del tempo e non fatturato a breve. E, naturalmente, ciò che più conta è il fare, non il dire.
I social sono sempre più in declino.
Hai presente quando sei a una festa? All’inizio della serata tutti ballano, cantano e sono felici. Poi, man mano che passano le ore, alcuni iniziano ad andarsene e salutano con la scusa che l’indomani devono alzarsi presto. Alla fine, la musica suona ancora, ma pochi sono al centro della pista. Quando questo succede le persone iniziano a perdere interesse a si avviano annoiate verso l’uscita.
Qualche settimana fa ho formato manager e impiegati di alcune aziende piemontesi: su un centinaio di persone ne ho trovate soltanto una decina che usano ancora i social. Solo cinque anni fa il clima era decisamente diverso, molti li utilizzavano nella speranza di trovare opportunità, intrattenimento e aumentare il numero delle loro relazioni. Oggi sono visti come una perdita di tempo, un luogo tossico dove pochi hanno rilevanza e il resto si illude di trarne un beneficio.

Ci sono due parole che precedono sempre i grandi risultati: pazienza e coerenza.
Due concetti che tutti comprendono, ma che in pochi adottano.
Nel marketing delle aziende e delle persone ora come ora non ti rimangono tante strade da percorrere.
Anni fa, per la maggior parte delle persone internet era il luogo in cui ci si promuoveva gratis e in modo veloce. La dura verità, che poi è emersa, è che farsi conoscere online non è né veloce né tantomeno gratis.
Osservo alcuni imprenditori ancora legati all’idea stereotipata di un medium che forse non è mai esistito.

La comunicazione è un terreno su cui coltivare l’attenzione, la reputazione e intercettare il bisogno della controparte. Ogni volta che scegli la via facile invece di quella coerente, illudi te stesso e ti poni all’interno di un modello inconsistente di vaga promozione.
Quindi, da dove si inizia? Parti da chi conosci, da chi si è fidato di te in passato, ricordagli che esisti e che lui è ancora importante per te.
Internet – per me e per te che non vogliamo diventare rockstar, guru o influencer – non è un medium di massa; è il luogo in cui puoi (e devi) sedurre ogni singolo collegamento con una cura maniacale.
Con la competenza lavori oggi, con la reputazione lavori domani. Questo è un grande insegnamento che ho fatto mio negli ultimi dieci anni. Ho visto gli effetti di questa dinamica su me stesso, su chi lavora con me, su alcuni miei clienti e sui tanti colleghi che qualcuno definisce impropriamente “competitor”.

Tra le mie innumerevoli scoperte degli ultimi anni c’è anche questa: evita di perdere la testa per qualcosa su cui non hai il minimo controllo. Il risultato – quando si parla di comunicazione – non è mai certo, l’unica cosa certa è il processo che ti porterà ad avvicinarlo. Se mi focalizzassi solo sul risultato, vivrei ogni giorno di frustrazioni e negatività. Quindi punto sull’unico elemento che posso controllare al 100%: il processo.

Mi sono detto: guadagnerò la fiducia delle persone solo se sarò coerente, affidabile ed etico. Mi concentrerò sull’esserlo, sul dimostrarlo e sull’imparare a comunicarlo.
Otterrò clienti migliori solo diventando il professionista che i clienti migliori desiderano.
Lo dice anche Seth Godin nel libro La pratica: “C’è una pratica a disposizione di ognuno di noi: adottare il processo creativo al servizio del miglioramento. La pratica non è il mezzo per raggiungere il risultato, la pratica è il risultato”.

Il processo è il risultato su cui devo lavorare. Voglio essere utile. Non è questo un motivo valido? Non è qualcosa di cui andare orgoglioso, anche se il risultato atteso potrebbe non manifestarsi?
Non esistono garanzie sul risultato, lo ribadisco, ma esistono delle enormi garanzie che possiamo cambiare noi stessi in meglio, aiutare le persone che si fidano di noi e che apprezzano il nostro cambiamento.
Prima di “essere qualcosa”, siamo la cosa che vogliamo essere. Siamo la promessa che precede il risultato, il viaggio verso la meta incerta.
Presenterò il mio ultimo libro nella sede di LinkedIn il 27 maggio a Milano alle ore 16:45.
L'evento è su invito; chi vuole accreditarsi può mandare una mail a info@skande.it.
Essendo i posti limitati, ti chiedo di essere abbastanza certo della tua presenza.
Vivo un eterno dilemma: prendere o non prendere una determinata decisione? Capita sicuramente anche a te: ogni scelta comporta una rinuncia e un rischio. Quasi sempre il rischio aumenta se aumentano anche il compenso, la gratificazione o il vantaggio. Siamo condannati ad assumerci il rischio di fallire o, peggio, di perdere credibilità, tempo e denaro.

Ci sono rischi che si devono calcolare e rischi che è impossibile prevedere. Mandare messaggi con lo smartphone mentre stai guidando, andare in scooter senza casco o firmare un contratto prima di averlo letto ti espongono a un altissimo livello di rischio che puoi e devi calcolare.
Esiste una semplice regola di comportamento con il rischio: quanto ti costa ridurre il livello di pericolo? Se il casco riduce di cento volte le probabilità di avere un grosso infortunio, indossarlo è un modo molto economico per evitarlo e va assolutamente fatto. Ma se per paura di prendere il raffreddore non esci di casa, non ne vale la pena. Non possiamo nemmeno evitare di dire la nostra opinione perché qualcuno potrebbe non essere d’accordo o farsi idee sbagliate su di noi. Non possiamo evitare di vivere, crescere e realizzarci soltanto perché tutto ciò comporta il rischio di fallire.

Non ho paura di fallire, ma di ritrovarmi tra un anno a lavorare allo stesso progetto senza aver imparato nulla e senza aver avuto accesso a nuove opportunità.
In questi anni ho capito che quando decido di volere qualcosa di meglio per me stesso, ciò che mi circonda inizia a muoversi con me.
La paura è un’emozione comune ed è quella che più frena le persone. Tuttavia, proviamo paura solo per qualcosa che potrebbe accadere nell’immediato, non per la persona che potremmo essere tra due anni.

Preoccuparsi è utile solo quando il costo-effetto di quello che potremmo ottenere non è sostenibile. Il tempo perso a preoccuparci di qualcosa che non riusciamo a calcolare, o il cui costo per abbattere il rischio comporta la rinuncia, è una forma negativa di passatempo ideata dal nostro cervello: vuole impedirci di vivere una condizione in cui il margine di errore è inferiore alla ricompensa.
Il libro è un’esperienza 𝘀𝘁𝗿𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝘁𝗲.
Mettiti nei miei panni. Ho lavorato all’ultimo libro per quasi un anno, ho – letteralmente – discusso con l’editore per ‘imporre’ il titolo, la costosa edizione rilegata e per far approvare 𝘂𝗻𝗮 𝘀𝗰𝗶𝗺𝗺𝗶𝗮 𝗶𝗻 𝗰𝗼𝗽𝗲𝗿𝘁𝗶𝗻𝗮. Per l’editore è sempre una scommessa: investe soldi nell’editing, nell’impaginazione, nella stampa, nella distribuzione e nella promozione. Risorse che, se si rivelasse un flop, andrebbero al macero insieme al libro.

𝗟’𝗲𝗱𝗶𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗰𝗵𝗶𝗮 𝘀𝗼𝗹𝗱𝗶, 𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗰𝗵𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗲̀ 𝗹’𝗮𝘂𝘁𝗼𝗿𝗲.
Ho già pubblicato 7 libri con Flaccovio, Mondadori e ROI. Questi hanno venduto quanto basta per far quadrare i conti agli editori. Ma al primo libro che non riuscirò a vendere, non troverò più qualcuno disposto a scommettere su un mio titolo futuro.
Ne va della cosa più sacra che ho a questo mondo: la mia credibilità.
Quindi eccomi al motivo per cui ho scritto questo post: se hai acquistato il mio ultimo libro su Amazon, ti sarei grato se potessi farmi una breve recensione (positiva o negativa che sia). Otterrai la mia gratitudine: forse non vale tanto, ma sono uno che non dimentica gli atti di generosità 🙏
I punti deboli ti rendono inconfondibile
Noto spesso che c’è una netta differenza tra chi siamo nella realtà e come ci rappresentiamo online. Un po’ come chi al telefono urla o ha un tono di voce differente rispetto al normale, oppure chi a un evento – sul palco – usa un linguaggio più composto o forbito rispetto a quando non ha un microfono davanti.
Ritrovandosi al centro dell’attenzione, le persone pensano in modo diverso, respirano in modo diverso, hanno una diversa percezione del pericolo. Se immaginano di parlare a una sola persona, a cento persone o alle migliaia di persone sui social, si atteggiano in modo differente, spesso fingendo di essere qualcun altro.
La poca consapevolezza degli strumenti e la percezione di un pubblico più numeroso ci rendono diversi, rigidi e artefatti. Tutto il contrario di come dovremmo essere. È un errore che ho commesso anch’io in passato: ho creato comunicazioni fredde e senza anima perché avevo il terrore del giudizio degli altri, ho pensato di darmi un tono, nascondere la mia vera natura, e ho smesso di utilizzare parole che uso nella vita quotidiana. Ho creduto che imitare “quelli bravi” servisse a farmi rientrare nella loro categoria, che le emozioni fossero inutili accessori e che ricalcare i modelli vincenti fosse la strada giusta per ottenere i loro stessi risultati.
Poi ho capito che al microfono puoi sussurrare e le persone daranno maggiore valore a ciò che stai raccontando, puoi smettere di parlare per qualche istante creando attesa per quello che dirai dopo, puoi anche sbagliare e otterrai un applauso di incoraggiamento e, infine, che se traspare l’umanità, l’emozione e la sincerità, chi hai di fronte si identificherà in te e accenderai il suo cuore.
Sono due gli errori che vedo con maggiore frequenza: l’imitazione di modelli distanti e la mancanza di fiducia in sé stessi. Ma chi più di me può capire cosa passa per la testa di chi commette questi due gravi errori… Servono coraggio, comprensione di sé e tanta umiltà per mostrare la propria natura, le proprie emozioni e i propri difetti. Ma sono gli unici elementi per cui sarai amato.
Il primo degli outsider
La maggior parte delle persone vive basandosi ancora su una retorica del successo che consiste nel primeggiare sui concorrenti, nell’essere i “leader del settore” o ai vertici di una classifica, spesso immaginaria. In un’epoca in cui tutti parlano di “data driven”, la tentazione di misurare sé stessi rispetto agli altri è grande, ma qual è il senso di tutto ciò?

Se mi guardo attorno vedo persone migliori e peggiori di me, eppure anche questa è una valutazione arida e del tutto arbitraria. Una persona che guadagna uno stipendio più alto, che ha venduto più consulenze o con un seguito più vasto del mio è forse migliore di me? In che modo questa sua posizione di vantaggio ha impattato sulla sua vita rispetto alla mia? È più felice, rilassata o appagata? È circondata da più affetto, amore e fiducia? Ha realizzato i suoi sogni, superato le sue paure? È cresciuta più di quanto non avrebbe mai sperato?

In altre parole, focalizzarsi sulla competizione e sul confronto può distogliere dalla reale portata del successo e della realizzazione personale. Quando l’attenzione si sposta dalla ricerca della crescita individuale e del miglioramento continuo al confronto con gli altri, possiamo facilmente trovarci intrappolati in un ciclo di valutazione che misura le capacità personali in termini di “vincere” o “perdere”, su metriche superficiali o che non considerano quali siano i reali obiettivi del nostro presunto “competitor”.

Mi sono reso conto che se lascio prevalere la dinamica degli outsider, di vincitori e perdenti, l’unico a perdere sono io. È l’ambiente in cui viviamo a fare la differenza, un ambiente nel quale il valore viene creato attraverso la collaborazione e il riconoscimento del valore altrui, della diversità e dei successi collettivi. In questo modo, possiamo forse spostare il focus dalla scarsità all’abbondanza, ammettendo che – seppure in un mondo di risorse limitate – il vero potenziale umano si espande quando lavoriamo insieme, quando spostiamo l’attenzione dall’“io” al “noi”, dalla quantità all’effetto e dalla competizione alla collaborazione.

Un post come questo è solo un piccolo aiuto, un minimo gesto di cambiamento, ma se qualcuno, leggendola, inizierà a capire che si vince solo se si aiutano gli altri a realizzare i loro sogni, non sarà tempo sprecato e mi sentirò un vincitore anch’io.
Non vinci se gli altri perdono; non è una competizione, una gara o una lotteria. Vinci solo se ti fai amare.
Qualche sera fa, prima di addormentarmi, su YouTube sono rimasto colpito da una pellicola girata agli inizi del 1900 in cui si vedono New York, le auto e la frenesia delle persone lungo le strade. Il video, rielaborato con l’aiuto dell’IA, sembra girato ai nostri giorni. Alla fine mi sono chiesto: “Ma è vero ciò che ho visto?”... (continua sul Blog)

https://www.skande.com/futuro-del-marketing-2-202406.html
Per me il 𝗪𝗠𝗙 è un evento speciale, unico del suo genere, in cui incontro tanti amici che vedo solo online e con cui dialogo per messaggio privato o per email. Ogni anno porto a casa nuove conoscenze, nuovi stimoli e nuove amicizie.
Domani pomeriggio sarò presente nell'area "𝘉𝘰𝘰𝘬 𝘗𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯" con due libri: alle 15:20 con l'ultimo libro dell'ex CEO di Nike, 𝗚𝗿𝗲𝗴 𝗛𝗼𝗳𝗳𝗺𝗮𝗻, "Progettare Emozioni" (insieme a me ci saranno i mitici 𝗖𝗿𝗶𝘀𝘁𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗖𝗮𝗿𝗿𝗶𝗲𝗿𝗼 e 𝗠𝗮𝘂𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗩𝗲𝗱𝗼𝘃𝗮𝘁𝗶).
Alle 17:00 con 𝗥𝘂𝗱𝘆 𝗕𝗮𝗻𝗱𝗶𝗲𝗿𝗮 presenteremo il mio ultimo libro, "La scimmia nel cassetto".
Se sarai in zona, sarò felice di abbracciarti
Domande scomode che aumenteranno la tua efficacia

Conoscere sé stessi, prima di iniziare una qualunque azione di marketing, è fondamentale e imprescindibile.
Identificare che cosa ti rende diverso è l'obiettivo primario di qualsiasi attività di branding. Questa indagine servirà a confermare la tua competenza in un determinato settore, in modo da apparire coerente attraverso qualsiasi strumento comunicativo tu voglia adottare. Renderti autorevole e credibile su un determinato argomento è una necessità primaria che devi raggiungere. Nessun tipo di promessa, offerta o comunicazione può salvarti se non lo sei. Prima di esporti pubblicamente dovresti rispondere a queste non semplici domande; saranno utili a adottare una direzione chiara mentre crei una narrazione di te stesso.

Quali problemi risolvi? Le persone hanno dei bisogni, tu la soluzione. Nelle comunicazioni si parte da questo.

Qual è la tua nicchia di riferimento o la tua specialità principale? E cosa ti rende autorevole? Hai sicuramente un dettaglio o un quid che ti rende speciale e preferibile per un certo tipo di clienti. Se funziona offline, sarà altrettanto efficace online.

Come si sentiranno le persone leggendo ciò che scrivi o ascoltando ciò che dici? Forse per te non è semplice verificarlo, tuttavia dovresti sforzarti di metterti nei panni di coloro che osservano le tue comunicazioni e immaginare le loro reazioni.

Che cosa hai fatto? Puoi dimostrare di aver fatto la differenza mettendo in pratica ciò che proponi? Hai un prodotto straordinario che molti amano? Mostra perché dovrebbero fidarsi di te.

In cosa credi e quali sono i tuoi valori fondamentali? Sei unico anche per quello che hai vissuto, per la tua cultura e per chi frequenti. Queste sono informazioni che devono trapelare con il contagocce, senza esibirle quotidianamente.

Cosa ti rende diverso dai concorrenti? Dopo aver osservato le comunicazioni dei tuoi concorrenti, verifica dove puoi distinguerti, apparire diverso o alternativo.

Chi sono i tuoi clienti ideali? I clienti che si sono fidati di te in passato hanno qualcosa in comune: ti preferiscono per qualche ragione specifica. Se scopri qual è, capisci su cosa devi puntare.

Che cosa dovrebbero sapere le persone sui tuoi principi e sull'etica che anima le azioni della tua azienda? Come puoi garantire, rassicurare o far partecipi i tuoi clienti dei tuoi valori fondanti e di quelli della tua azienda? L'etica è una parte sostanziale della comunicazione.

In che modo i servizi o i prodotti che vendi trasformeranno la vita delle persone? Come renderai più facile, appagante o serena la vita delle persone che acquistano da te? Questa è la caratteristica principale di quello che vendi. Il cliente se lo aspetta.

Come racchiudi tutti questi concetti nel tuo messaggio? Che tu comunichi attraverso siti, newsletter, video o “messaggi di stato”, queste domande sono il punto di partenza per generare una solida comprensione di te e di ciò che proponi. Se non rispondi con franchezza o non inserisci questi punti nella tua comunicazione, decreteranno una mancanza di direzione e di coerenza che, chi ti osserva, non potrà fare a meno di notare.
Non hai bisogno di avere un grande seguito, di essere una rockstar o un influencer per lavorare e fare affari. Da anni sono un convinto sostenitore della teoria di Kevin Kelly, che nel suo profetico post “1,000 True Fans” (anno 2008, la sua è stata vera lungimiranza) racconta ciò che è più un’evidenza matematica che una tecnica di marketing. Bastano 1.000 entusiasti di te, dei tuoi prodotti o dei tuoi servizi, per fornirti una rendita annuale con cui vivere e prosperare. Ci sono migliaia di esempi che si possono fare: un ristorante che ha 1.000 affezionati clienti che lo visitano almeno una volta ogni tre mesi, un medico dentista con 1.000 clienti oppure un creator che abbia 1.000 veri fan che, oltre a sostenerlo e condividerlo, acquistino almeno una volta all’anno un webinar, un libro o lo invitino a un evento.

“Le grandi aziende, gli intermediari, i produttori commerciali, sono tutti sotto-attrezzati e non adatti a connettersi con questi mille veri fan. Sono istituzionalmente incapaci di trovare e soddisfare questo difficile pubblico e i consumatori di nicchia. Ciò significa che la ‘coda lunga’ delle opportunità è aperta a te. Non è mai stato così facile raccogliere 1.000 veri fan attorno a un interlocutore, e non è mai stato così facile tenerli vicini”, sostiene Kevin Kelly.
Sono poche persone che potrai curare nei minimi particolari, dagli auguri di compleanno al messaggio privato, dal piccolo regalo al contenuto esclusivo. Se ne curi tre al giorno, puoi curarli tutti nel giro di un anno. Fai sentire la tua vicinanza e fai percepire che il tuo obiettivo è aiutarli ed essere sempre presente per loro. Sono attenzioni che non passano inosservate e di fronte alle quali non avrai concorrenza.

“1.000 veri fan sono una via alternativa. Invece di cercare di raggiungere i picchi improbabili di successo e mirare allo status di celebrità, puoi mirare alla connessione diretta con migliaia di veri fan. Sulla tua strada, non importa la quantità di follower che riuscirai a ottenere; non sarai circondato da un seguito inconsistente, ma da un vero e sincero apprezzamento. È un destino molto più sano in cui sperare. E tu hai molte più probabilità di ottenerlo davvero”.
Quando, nel 2012, insieme a Rudy ho fondato NetPropaganda, non volevo essere al centro dell’attenzione. Desideravo dare rilievo ai servizi, alla cura per gli obiettivi dei clienti e alle nostre intuizioni, non cercavo affatto notorietà né il ruolo scomodo di chi ci mette la faccia. Esporsi in prima persona non è facile, parlo per esperienza; l’avrei evitato molto volentieri. Avevo lavorato per oltre dieci anni a progetti di comunicazione web senza mai sentire l’esigenza di mostrare il mio nome, ma nel 2012 è successo qualcosa. Si è cominciato a percepire quel cambiamento che avrebbe rivoluzionato l’intera rete. Le persone sono uno straordinario “strumento” di promozione, perché le applicazioni che teniamo in tasca servono principalmente a questo: connettono persone con altre persone come mai è accaduto prima nella storia dell’umanità.
Sono un inguaribile introverso, fortunatamente non sono timido, ma non ho mai amato promuovermi, vendere o convincere coloro che ho di fronte. Ammiro chi ha il coraggio di “mettere il piede in mezzo alla porta”. Io non ne sono capace; odio quando cercano di farlo con me e più insistono, più mi ritraggo. La parola “persuasione” nel mio vocabolario ha un significato diverso da quello enunciato nel vocabolario del venditore. Per me, persuadere significa mostrare il mio entusiasmo, ciò che ho appreso, e tentare di aiutare chi sta compiendo il mio stesso percorso.
Il marketing moderno, quello dell’ultimo decennio, si basa sempre più sulle persone (in affiancamento ai brand aziendali). In questi anni sono nate aziende che si sono arricchite grazie all’esposizione di chi ne parla, e questo nell’ambito della moda, della cucina, della cosmetica, delle nuove tecnologie e dei settori finanziari. Un’azienda avveduta e lungimirante, oggi, dovrebbe investire sulle persone come elementi di comunicazione parallela e alternativa a quella fredda e istituzionale fatta di slogan, schede prodotto, comunicati stampa e campagne pubblicitarie. La narrazione è una prerogativa delle persone che ottengono la fiducia di altre persone.
Imparare a comunicare è utile anche se non vuoi esporti, nella vita di tutti i giorni così come in azienda o con i clienti.
In una lettera agli azionisti scritta da Jeff Bezos, emerge un aneddoto: «In Amazon non facciamo presentazioni in PowerPoint (né con qualsivoglia tipo di slide)», dice il CEO del colosso. «Il motivo per cui scrivere un ‘buon’ promemoria di quattro pagine è più difficile che ‘scrivere’ un PowerPoint di venti pagine è che la struttura narrativa di una buon promemoria impone una migliore riflessione e una più profonda comprensione di ciò che è davvero importante».
Comunicare è da sempre un’abilità fondamentale e lo sarà ancora di più in futuro. Comunicare è una facoltà soprattutto umana che passa attraverso di te.
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Questo è il mio ultimo libro: La scimmia nel cassetto. Liberati dal giudizio degli altri, apriti alla narrazione e scopri chi ti apprezza. A questo link trovi le prime 29 pagine, così puoi verificare se fa per te: https://www.skande.com/scimmia-nel-cassetto-l.pdf
Scrivere è una modalità di apprendimento, la più potente.
Ogni giorno imparo o faccio riflessioni su qualcosa che mi gira per la testa e infine lo scrivo. Questo mi dà la possibilità di memorizzarlo e fissarlo bene nella mia mente. Ho scoperto, negli anni, che in questo modo entra a far parte di me stesso, del mio essere più profondo. Come mangiare sano o andare in palestra: entra nel tuo modo di vivere e, dopo mesi, ti accorgi che qualcosa è cambiato.

Queste mie riflessioni poi le pubblico nelle newsletter, nei libri, sul blog e nei post come questo. Ho visto che, oltre a migliorarmi, si uniscono a me persone che condividono i miei valori.

C’è gente che inizia a pubblicare, poi abbandona dopo due mesi perché non ha ottenuto i risultati sperati: “nessuno mi mette like”, “mi criticheranno” o “mi porta via troppo tempo”, sono le scuse preferite. In realtà, dovrebbero dirsi: “questa è una grande opportunità per ordinare i miei pensieri e trovare stimoli nuovi tutti i giorni”.
Fai come faccio io: sposta le aspettative su di te, non sugli altri.
"Credi in te stesso", mi dicevano
L’esortazione “credi in te stesso” non è una novità degli ultimi anni. Me la sono sentita dire molte volte quando ero agli inizi, da persone più anziane o più esperte di me, e ricordo ancora l’effetto che mi faceva: aumentava la mia frustrazione e aggiungeva un carico emotivo poiché, oltre a non riuscire bene in un determinato ambito, iniziavo a pensare di essere io il problema, di non avere la spinta o la carica giusta... (continua sul Blog)

https://www.skande.com/non-credere-in-te-stesso-202407.html
Ci sono scuse, perplessità e blocchi che si ripetono tra chi risponde alle newsletter o nei messaggi privati. Persone con un talento comunicativo straordinario si fermano davanti a ostacoli che reputano enormi, più grandi di loro. All’inizio pensavo fossero scuse, poi ho realizzato che sono blocchi psicologici molto ingombranti e difficili da superare senza un’opportuna presa di coscienza.

Desidero quindi dare riscontro alle tre perplessità che frenano il 90% delle persone che non passano dalla teoria alla pratica nella loro comunicazione a fini professionali.

Ecco le risposte: (sul Blog)

https://www.skande.com/tre-risposte-202407.html
Di solito diciamo che qualcuno è pigro quando è poco propenso ad attivarsi per svolgere lavori fisici più o meno gravosi, come tagliare l’erba in giardino, andare a fare delle commissioni o attaccare le mensole acquistate qualche mese prima all’Ikea.
Ma esiste un’altra forma di pigrizia, quella nei confronti del lavoro emotivo, che è molto più opprimente e logora chi ne è affetto.

Questa è una forma di pigrizia che conosco bene... (continua sul Blog)
https://www.skande.com/pigro-emotivo-202407.html
Non ti daranno una seconda possibilità.
Sento dire che il sito non serve più, ma in verità, la maggioranza dei miei contatti viene ancora da quella vecchia tecnologia che tanti ora sottovalutano. Certo, se hai solo quello non serve a niente, visto che non è più il luogo della scoperta (la SEO, per me, non ha più la spinta che aveva prima), ora è diventato lo spazio della conferma. Il luogo in cui chi ti ha visto in un post sui social approda per capire chi sei, cosa hai fatto e se hai la soluzione giusta per lui. Un posto in cui le persone si iscrivono ai miei contenuti migliori (le newsletter) e in cui innescare la prima, importantissima, conversazione.

Per questo motivo, ogni mese lo miglioro e ho una cura maniacale per ogni singolo pixel e per ogni singola parola inserita nella mia landing page: skande.it . Un luogo in cui mi gioco tutto; basta un dettaglio per farli allontanare e una parola per farmi contattare. Non ti daranno una seconda possibilità.

E tu, ce l'hai? Quanta cura metti nel tuo sito?
𝐌𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐜𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐚?
Ogni azione che compiamo nella nostra vita ha un costo. Per una ragione a me sconosciuta, spesso ricalca l’equazione: più costa e maggiore sarà la ricompensa che riceverai. Ma non sempre è così.
Ad esempio, il costo di un’automobile non si limita al prezzo d’acquisto: include anche le tasse di possesso, l’assicurazione, il carburante e l’inevitabile usura delle sue parti nel tempo. Siamo disposti a pagare tutto ciò in cambio del beneficio di essere indipendenti e di poter raggiungere fisicamente i luoghi in cui lavoriamo e viviamo.
Prima di valutare il costo di qualsiasi iniziativa, dobbiamo comprendere dove ci porterà questo impegno. E la risposta non è sempre ovvia.
In una relazione di coppia, dedichiamo tempo, risorse ed energie per costruire un rapporto e vedere l’altra persona felice. Non possiamo infatti essere felici se non contribuiamo a rendere felice anche la persona fondamentale per la nostra vita. Alla base di tutto, c’è la condivisione di sogni, bisogni, desideri e il rispetto per sé stessi.
Dal punto di vista professionale è meno complesso, ma non privo di rischi e altrettanti costi. Scrivere un libro, ad esempio, richiede energie e tempo. Può comportare un anno di lavoro, in cui gestire anche il rapporto con l’editore, la promozione e l’eventuale danno di immagine per aver disatteso le aspettative di chi lo acquista. Il libro non ti ripaga con il denaro ma con le opportunità e l’autorevolezza che ne derivano. Grazie ai libri, ho avuto occasioni lavorative a cui non avrei mai potuto ambire. Ma la stessa dinamica si applica, a livello professionale, anche ai soci che scegli, alla sede e agli investimenti che ti permettono di avvicinarti al tuo obiettivo.
In un ipotetico business plan della vita, nel lungo periodo, tutto ciò che dobbiamo fare è dividere i nostri costi totali per il numero complessivo di opportunità prodotte.
Molti sono avversi al rischio d’impresa, quindi non vogliono essere imprenditori o liberi professionisti, sottovalutando che è meno costoso perdere soldi in un’avventura professionale che scegliere l’azienda (o la persona) sbagliata a cui affidare la propria vita.