"Eccezionale appare il sarcofago di Adelfia, conservato nel Museo di Siracusa. La cassa, datata tra 340 e 350, è decorata a fregio continuo con le storie di Cristo.
Sotto una fragile capanna con il tetto di tegole e coppi, avvolto nelle fasce, dorme il Bambino sdraiato in una greppia fatta di vimini. Il bue e l’asino stanno di lato.
Dopo un pastore (Luca, 2, 4-19), riconoscibile dal caratteristico bastone, Maria è seduta ai margini della scena avvolta nel pallio, il mantello; sull’altro lato i Magi con i loro doni seguono la stella che sembra quasi muoversi per posarsi sul tetto…” (da un articolo di Maria Milvia Morciano in Vatican News).
Meraviglia dell’età costantiniana, ritrovato il 12 giugno 1872 all’interno della Catacomba di San Giovanni, nelle viscere di Siracusa, durante la campagna di scavi diretta da Francesco Saverio Cavallari, con lo scopo di accertare l'epoca delle catacombe presenti.
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Sotto una fragile capanna con il tetto di tegole e coppi, avvolto nelle fasce, dorme il Bambino sdraiato in una greppia fatta di vimini. Il bue e l’asino stanno di lato.
Dopo un pastore (Luca, 2, 4-19), riconoscibile dal caratteristico bastone, Maria è seduta ai margini della scena avvolta nel pallio, il mantello; sull’altro lato i Magi con i loro doni seguono la stella che sembra quasi muoversi per posarsi sul tetto…” (da un articolo di Maria Milvia Morciano in Vatican News).
Meraviglia dell’età costantiniana, ritrovato il 12 giugno 1872 all’interno della Catacomba di San Giovanni, nelle viscere di Siracusa, durante la campagna di scavi diretta da Francesco Saverio Cavallari, con lo scopo di accertare l'epoca delle catacombe presenti.
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I “Ciaramiddari”, gli zampognari siciliani.
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Fra le tradizioni musicali, connesse alla celebrazione del Natale in Sicilia, si sono mantenute quelle dei ciaramiddari: gli zampognari.Con canti, musiche strumentali e azioni drammatiche si torna ogni anno a celebrare la Natività: dal 29 novembre, quando inizia la novena dell’Immacolata, fino al 6 gennaio, ricorrenza dell’Epifania.
La zampogna o ciaramedda è uno strumento musicale della famiglia degli aerofoni a sacco, dotato di quattro o cinque canne, che vengono inserite in un ceppo, dove viene legato l’otre.
L’otre in questione è creato con un’intera pelle di capra o di pecora. Delle cinque canne, solo due sono strumento di canto, mentre le altre servono ad emettere una nota fissa.
La diffusione di questo strumento è da far risalire a epoche molto antiche. Il repertorio degli zampognari consisteva in semplici melodie popolari, legate alle festività natalizie. Dal 1754, anno in cui Sant’Alfonso Maria de Liguori inventò “Tu Scendi dalle Stelle”, questa fu una delle canzoni che gli zampognari si tramandarono più spesso.
La Cartolina postale è dei primi anni del '900, raffigura un suonatore di zampogna a chiave di Monreale davanti alla cona (coll. G. Fugazzotto)
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La diffusione di questo strumento è da far risalire a epoche molto antiche. Il repertorio degli zampognari consisteva in semplici melodie popolari, legate alle festività natalizie. Dal 1754, anno in cui Sant’Alfonso Maria de Liguori inventò “Tu Scendi dalle Stelle”, questa fu una delle canzoni che gli zampognari si tramandarono più spesso.
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Antichi mulini ad acqua - Castrofilippo (AG)
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Ubicati tra le campagne del Castellaccio, Azzalora e Pìcciola di Castrofilippo, si trovano i resti di quattro antichi mulini ad acqua risalenti al 1600, che rispecchiano la tipica forma del mulino ad acqua siciliano.
La struttura muraria di questo tipo di mulino era formata dalla successione architettonica di un acquedotto, un bastione e la casa del mulino.
I mulini ad acqua di Castrofilippo erano: il Mulino delle Rocche, detto anche Mulinu di Susu; il Mulino d’Immiezzu; il Mulino dell’Azzalora, detto Mulinu di Jusu; il Mulino di S.Antonino. Quest’ultimo era il meno adoperato perché si trovava in una posizione disagiata e spesso veniva travolto dalla potenza dell’acqua (è stato infatti ricostruito più volte).
Dunque i mulini più importanti della zona, per la quantità di grano molita, erano solo i primi tre, che si trovavano in un territorio la cui conformazione naturale permetteva un’ingente raccolta di acqua che alimentava il fiume Bigini in un tratto breve di poco più di un km.
I mulini erano di proprietà dei Duchi di Castrofilippo, che ottenevano il guadagno tenendo per loro un ottavo del macinato; la quinta parte di esso andava al Comune, che aveva il compito di curare la manutenzione tramite operai specializzati, noti come maestri dei corsi d’acqua.
Il più importante tra i tre mulini, che erano attivi tutto l’anno, era il Mulino d’Immiezzu in quanto era dotato di una macina più grande, che di conseguenza macinava una quantità di grano maggiore; tale mulino era inoltre gravato dal censo, pertanto annualmente destinava 500 onze per la manutenzione della Chiesa Madre.
I mulini ad acqua furono utilizzati fino agli anni Trenta del ‘900, quando fu costruito il più moderno mulino cittadino del Sacro Cuore di Gesù da parte di Don Vincenzo Savatteri.
(Informazioni storiche tratte da C. Serravillo)
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La struttura muraria di questo tipo di mulino era formata dalla successione architettonica di un acquedotto, un bastione e la casa del mulino.
I mulini ad acqua di Castrofilippo erano: il Mulino delle Rocche, detto anche Mulinu di Susu; il Mulino d’Immiezzu; il Mulino dell’Azzalora, detto Mulinu di Jusu; il Mulino di S.Antonino. Quest’ultimo era il meno adoperato perché si trovava in una posizione disagiata e spesso veniva travolto dalla potenza dell’acqua (è stato infatti ricostruito più volte).
Dunque i mulini più importanti della zona, per la quantità di grano molita, erano solo i primi tre, che si trovavano in un territorio la cui conformazione naturale permetteva un’ingente raccolta di acqua che alimentava il fiume Bigini in un tratto breve di poco più di un km.
I mulini erano di proprietà dei Duchi di Castrofilippo, che ottenevano il guadagno tenendo per loro un ottavo del macinato; la quinta parte di esso andava al Comune, che aveva il compito di curare la manutenzione tramite operai specializzati, noti come maestri dei corsi d’acqua.
Il più importante tra i tre mulini, che erano attivi tutto l’anno, era il Mulino d’Immiezzu in quanto era dotato di una macina più grande, che di conseguenza macinava una quantità di grano maggiore; tale mulino era inoltre gravato dal censo, pertanto annualmente destinava 500 onze per la manutenzione della Chiesa Madre.
I mulini ad acqua furono utilizzati fino agli anni Trenta del ‘900, quando fu costruito il più moderno mulino cittadino del Sacro Cuore di Gesù da parte di Don Vincenzo Savatteri.
(Informazioni storiche tratte da C. Serravillo)
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È una delle colonie fondate da Selinunte sulla costa meridionale dell'estremo angolo occidentale della Sicilia.
Il suo primo nome era stato Minoa, che ripete quello dell'isoletta sita davanti a Megara di Grecia e trapiantato in questa parte di Sicilia dai Megaresi che avevano fondato Selinunte. Quando, verso la fine del sec. VI a. C., lo spartano Dorieo venne nell'isola, i suoi compagni, guidati da Eurileonte, andarono nella colonia megarese, cui diedero il nome del mitico progenitore di Dorieo, Eracle, chiamandola Eraclea-Minoa.
Eraclea solo per breve tempo, nel sec. V a. C., rimase indipendente, poiché per la sua posizione, quasi al confine tra la Sicilia greca e quella cartaginese, passò continuamente nelle mani ora dell'uno ora dell'altro dei due popoli nemici. Venuta in potere dei Cartaginesi poco prima del 406, nel 386 fu ripresa da Dionisio, ma nel 357 è di nuovo in potere dei Punici; riacquistata dai Greci ai tempi di Agatocle, nel 278 è di nuovo occupata dai Cartaginesi, ai quali solo per breve tempo fu ritolta da Pirro.
Ignoriamo quando precisamente se ne siano impadroniti i Romani. Nella seconda guerra punica, nel 214, vi sbarca il cartaginese Imilcone. Dopo la caduta di Agrigento torna in potere dei Romani.
Sotto questi ultimi essa fu tra le civitates decumanae. Ebbe probabilmente a soffrire durante le guerre servili, e, infatti, venne poi ripopolata da coloni condottivi da Rupilio.
Fu tra le città che subirono le malversazioni di Verre e nelle guerre di costui contro i pirati contribuì con una nave. Il sito di Eraclea, alle foci del Platani, è oggi identificato. Fra gli avanzi antichi, notevoli quelli di un teatro.
(Guido Libertini, Enciclopedia Treccani)
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Eraclea solo per breve tempo, nel sec. V a. C., rimase indipendente, poiché per la sua posizione, quasi al confine tra la Sicilia greca e quella cartaginese, passò continuamente nelle mani ora dell'uno ora dell'altro dei due popoli nemici. Venuta in potere dei Cartaginesi poco prima del 406, nel 386 fu ripresa da Dionisio, ma nel 357 è di nuovo in potere dei Punici; riacquistata dai Greci ai tempi di Agatocle, nel 278 è di nuovo occupata dai Cartaginesi, ai quali solo per breve tempo fu ritolta da Pirro.
Ignoriamo quando precisamente se ne siano impadroniti i Romani. Nella seconda guerra punica, nel 214, vi sbarca il cartaginese Imilcone. Dopo la caduta di Agrigento torna in potere dei Romani.
Sotto questi ultimi essa fu tra le civitates decumanae. Ebbe probabilmente a soffrire durante le guerre servili, e, infatti, venne poi ripopolata da coloni condottivi da Rupilio.
Fu tra le città che subirono le malversazioni di Verre e nelle guerre di costui contro i pirati contribuì con una nave. Il sito di Eraclea, alle foci del Platani, è oggi identificato. Fra gli avanzi antichi, notevoli quelli di un teatro.
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