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Oggi vi proponiamo una bellissima poesia scritta da (Salvatore Corrao) “La Ficurinnia” – Il Fico d’India, il cui frutto è buono da mangiare, ma pieno di spine che non si può toccare, così come la gente siciliana che all’apparenza è assai lontana, ma quando la si conosce si vede quanto amore sanno dare.
LA FICURINNIA
Crisci ‘nta la Sicilia, Amata e cara,
un fruttu ch’avi ‘na ducizza rara,
ma l’ha tuccari cu’ pricauzioni
picchì spini nn’havi a milioni.
Me figghiu m’addumanna: “Ma picchì
La natura è fatta d’accussi?
Un fruttu tantu bonu di mangiari
È chinu ‘i spini ca nun si po’ tuccari".
“La Ficurinnia”, ci rispunnivi iu,
“la fici d’accussì Domini Diu,
pi ‘nsignari a tutta la so genti
ca i cosi belli nun su’ fatica ‘i nenti.
‘U fattu, poi, ca scelsi la Sicilia
Lu fici di prupositu, pi mia,
picchì ‘stu fruttu è l’unicu, fra tanti,
ca po’ rapprisintari ‘st’abitanti.
E’ fattu comu ‘a genti siciliana,
ca all’apparenza pari assai luntana,
ma s’arrinesci a junciri ‘o so’ cori
lu vidi quantu amuri sapi dari.
"SALVATORE CORRAO".
Crisci ‘nta la Sicilia, Amata e cara,
un fruttu ch’avi ‘na ducizza rara,
ma l’ha tuccari cu’ pricauzioni
picchì spini nn’havi a milioni.
Me figghiu m’addumanna: “Ma picchì
La natura è fatta d’accussi?
Un fruttu tantu bonu di mangiari
È chinu ‘i spini ca nun si po’ tuccari".
“La Ficurinnia”, ci rispunnivi iu,
“la fici d’accussì Domini Diu,
pi ‘nsignari a tutta la so genti
ca i cosi belli nun su’ fatica ‘i nenti.
‘U fattu, poi, ca scelsi la Sicilia
Lu fici di prupositu, pi mia,
picchì ‘stu fruttu è l’unicu, fra tanti,
ca po’ rapprisintari ‘st’abitanti.
E’ fattu comu ‘a genti siciliana,
ca all’apparenza pari assai luntana,
ma s’arrinesci a junciri ‘o so’ cori
lu vidi quantu amuri sapi dari.
"SALVATORE CORRAO".
Traduzione in italiano
LA FICODINDIA
Cresce nella Sicilia, amata e cara,
un frutto che ha una dolcezza rara,
ma lo devi toccare con precauzione
perchè spine ne ha a milioni.
Mio figlio mi domanda: "Ma perchè
la natura è fatta così?
Un frutto tanto buono da mangiare
è pieno di spine che non si può toccare".
"la ficodindia", gli ho risposto,
"la fece così Dio,
per insegnare a tutta la sua gente
che le cose belle non sono fatica da niente.
Il fatto, poi, che ha scelto la Sicilia, l'ha fatto di proposito, secondo me,
perchè questo frutto è l'unico, fra tanti,
che può rappresentare questi abitanti.
E' fatto come la gente siciliana,
che all'apparenza sembra assai lontana,
ma se riesci a raggiungere il suo cuore
potrai vedere quanto amore sa dare.
LA FICODINDIA
Cresce nella Sicilia, amata e cara,
un frutto che ha una dolcezza rara,
ma lo devi toccare con precauzione
perchè spine ne ha a milioni.
Mio figlio mi domanda: "Ma perchè
la natura è fatta così?
Un frutto tanto buono da mangiare
è pieno di spine che non si può toccare".
"la ficodindia", gli ho risposto,
"la fece così Dio,
per insegnare a tutta la sua gente
che le cose belle non sono fatica da niente.
Il fatto, poi, che ha scelto la Sicilia, l'ha fatto di proposito, secondo me,
perchè questo frutto è l'unico, fra tanti,
che può rappresentare questi abitanti.
E' fatto come la gente siciliana,
che all'apparenza sembra assai lontana,
ma se riesci a raggiungere il suo cuore
potrai vedere quanto amore sa dare.
Sutera, borgo romantico abbracciato da un'antica rupe
Nel borgo di Sutera (Caltanissetta) si respira l’antico spirito della Sicilia. Gli Arabi fondarono il loro villaggio tra gli spuntoni di roccia, sotto la rupe del monte di San Marco, che offre una straordinaria vista sull’Etna e sul mare di Agrigento. Così, è possibile girare tra i vicoli in pietra lavica e calcarea del quartiere Rabato, tra i cortili arabi e tra le vecchie case di gesso e gli orti incolti in cui fioriscono pistacchi. La casbah si confonde con il presepe, che in occasione del Natale prende vita con i figuranti e le tradizioni locali.
Il nome Sutera conserva un’origine greca medievale. Probabilmente deriva da Sotéra, accusativo di Sotér, “salvatore”, in riferimento al baluardo difensivo rappresentato dal monte e dalle fortificazioni bizantine. Potrebbe anche derivare da Sotéira, “colei che salva”, attribuito alla dea Artemide, praticato in una zona collinare vicino il paese.
@sicilianewseinfo
Nel borgo di Sutera (Caltanissetta) si respira l’antico spirito della Sicilia. Gli Arabi fondarono il loro villaggio tra gli spuntoni di roccia, sotto la rupe del monte di San Marco, che offre una straordinaria vista sull’Etna e sul mare di Agrigento. Così, è possibile girare tra i vicoli in pietra lavica e calcarea del quartiere Rabato, tra i cortili arabi e tra le vecchie case di gesso e gli orti incolti in cui fioriscono pistacchi. La casbah si confonde con il presepe, che in occasione del Natale prende vita con i figuranti e le tradizioni locali.
Il nome Sutera conserva un’origine greca medievale. Probabilmente deriva da Sotéra, accusativo di Sotér, “salvatore”, in riferimento al baluardo difensivo rappresentato dal monte e dalle fortificazioni bizantine. Potrebbe anche derivare da Sotéira, “colei che salva”, attribuito alla dea Artemide, praticato in una zona collinare vicino il paese.
@sicilianewseinfo
La Storia
A pochi chilometri dal centro urbano sono state rinvenute sepolture pre-elleniche risalenti al VII secolo a.C., legate a un villaggio dei Sicani. Si ipotizza che nel VI secolo a.C. l’area del monte di San Marco fosse consacrata al culto di Artemide da coloni greci provenienti da Gela. In località San Marco sono stati rinvenute tracce di affreschi che potrebbero essere attribuiti a monaci basiliani di rito greco-ortodosso.
Nell’860 gli Arabi fondarono il quartiere del Rabato e nel IX secolo, sotto i Normanni, l’abitato si espanse. Anche gli Svevi e gli Aragonesi lasciarono importanti tracce a Sutera. Nel corso del 1300 passò ai baroni Chiaramonte, poi ai Moncada, per poi tornare, nel 1398, al pubblico demanio della Corona di Sicilia. Nel 1535 l’imperatore Carlo V vendette al Barone di Capaci Sutera, che tornò alla Corona nel 1560.
A pochi chilometri dal centro urbano sono state rinvenute sepolture pre-elleniche risalenti al VII secolo a.C., legate a un villaggio dei Sicani. Si ipotizza che nel VI secolo a.C. l’area del monte di San Marco fosse consacrata al culto di Artemide da coloni greci provenienti da Gela. In località San Marco sono stati rinvenute tracce di affreschi che potrebbero essere attribuiti a monaci basiliani di rito greco-ortodosso.
Nell’860 gli Arabi fondarono il quartiere del Rabato e nel IX secolo, sotto i Normanni, l’abitato si espanse. Anche gli Svevi e gli Aragonesi lasciarono importanti tracce a Sutera. Nel corso del 1300 passò ai baroni Chiaramonte, poi ai Moncada, per poi tornare, nel 1398, al pubblico demanio della Corona di Sicilia. Nel 1535 l’imperatore Carlo V vendette al Barone di Capaci Sutera, che tornò alla Corona nel 1560.
Cosa vedere a Sutera
Si comincia dal pittoresco belvedere di piazza Sant’Agata, con l’imponente chiesa di Sant’Agata, in contrasto con il Municipio ottocentesco. Percorrendo la via Roma, si incontrano i ruderi di palazzo Salamone, mentre a piazza Carmine si trova la chiesa di Maria Santissima del Carmelo, ricostruira nel 1934-36 (la struttura originaria è del 1185).
Alla sua destra vi è il piccolo convento del 1664, ristrutturato di recente. Proseguendo lungo via del Carmine di arriva al Rabato, fondato dagli Arabi intorno all’860 d.C. (il termine “Rabad” sta per “sobborgo”). L’insediamento arabo è sepolto sotto diversi strati edilizi: sulla moschea fu edificata la chiesa di Santa Maria Assunta.
Proseguendo per la scalinata da piazza del Carmine si sale al Monte San Paolino: qui Giovanni Chiaramonte fece erigere il santuario di San Paolino, affiancato dal settecentesco convento dei Padri Filippini. Per quanto riguarda i dintorni di Sutera, nella collina di San Marco si possono ammirare i figureddi, affreschi in stile bizantino che rappresentano i quattro Evangelisti, la Madonna e San Paolino, probabile opera di monaci basiliani tra il IV e il VI secolo.
Si comincia dal pittoresco belvedere di piazza Sant’Agata, con l’imponente chiesa di Sant’Agata, in contrasto con il Municipio ottocentesco. Percorrendo la via Roma, si incontrano i ruderi di palazzo Salamone, mentre a piazza Carmine si trova la chiesa di Maria Santissima del Carmelo, ricostruira nel 1934-36 (la struttura originaria è del 1185).
Alla sua destra vi è il piccolo convento del 1664, ristrutturato di recente. Proseguendo lungo via del Carmine di arriva al Rabato, fondato dagli Arabi intorno all’860 d.C. (il termine “Rabad” sta per “sobborgo”). L’insediamento arabo è sepolto sotto diversi strati edilizi: sulla moschea fu edificata la chiesa di Santa Maria Assunta.
Proseguendo per la scalinata da piazza del Carmine si sale al Monte San Paolino: qui Giovanni Chiaramonte fece erigere il santuario di San Paolino, affiancato dal settecentesco convento dei Padri Filippini. Per quanto riguarda i dintorni di Sutera, nella collina di San Marco si possono ammirare i figureddi, affreschi in stile bizantino che rappresentano i quattro Evangelisti, la Madonna e San Paolino, probabile opera di monaci basiliani tra il IV e il VI secolo.
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