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Cosa succede con la chiusura di USAID?
Lo scorso 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il neoletto Presidente ha firmato un ordine esecutivo che ha imposto il congelamento per 90 giorni dei fondi erogati dall'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID). Questo congelamento ha rappresentato solo il primo passo verso l’obiettivo dichiarato dalla nuova amministrazione: la chiusura definitiva dell'Agenzia. Nonostante due verdetti — l’ultimo emesso dalla Corte Suprema — abbiano imposto al governo statunitense di fermare i tagli, almeno per quei progetti già avviati che necessitano di...
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Politica Attualità Mondo
L’INDIPENDENTE Turchia: duecento attivisti e giornalisti a processo per le proteste contro Erdogan A Istanbul è iniziato il primo processo contro le persone che hanno partecipato alle proteste antigovernative in seguito all’arresto del sindaco Ekrem İmamoğlu…
sunti manifestanti, e imposto ad altri gli arresti domiciliari o il divieto di lasciare la città. Le proteste sono scoppiate dopo l’arresto di İmamoğlu dello scorso 19 marzo e hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone in tutto il Paese. I manifestanti accusavano il governo di sfruttare la propria influenza sulla magistratura per mettere a tacere il dissenso nel Paese. Nel tentativo di arginare sul nascere ogni possibile mobilitazione, l’esecutivo turco ha vietato le manifestazioni, chiuso strade e metropolitane e limitato l’accesso ai social media.
İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.
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İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.
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9.50 PAPA Diffuse dal Vaticano le foto della salma,nella bara nella Cappella a Santa Marta. Indossa la casula rossa,rosario tra le mani.
9.50 PAPA Diffuse dal Vaticano le foto della salma,nella bara nella Cappella a Santa Marta. Indossa la casula rossa,rosario tra le mani.
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Gaza, a Khan Younis 12 morti tra le fiamme dopo raid israeliano
Non si ferma l’offensiva israeliana a Gaza, che nelle ultime ore ha provocato decine di morti in vari centri dell’enclave. 12 persone sono state uccise a Khan Younis, dopo che un’abitazione è stata bombardata e si è verificata la propagazione di un incendio. Le persone, riporta Al Jazeera, sono morte tra le fiamme. A Gaza City, sette persone sono state uccise in abitazioni residenziali. Nel nord, due missili hanno colpito una tenda che ospitava una famiglia sfollata, uccidendo tre figli insieme ai loro genitori. Secondo il Ministero della Salute dell’enclave, nelle ultime 24 ore almeno 26 palestinesi sono stati uccisi e 60 sono rimasti feriti
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Gaza, a Khan Younis 12 morti tra le fiamme dopo raid israeliano
Non si ferma l’offensiva israeliana a Gaza, che nelle ultime ore ha provocato decine di morti in vari centri dell’enclave. 12 persone sono state uccise a Khan Younis, dopo che un’abitazione è stata bombardata e si è verificata la propagazione di un incendio. Le persone, riporta Al Jazeera, sono morte tra le fiamme. A Gaza City, sette persone sono state uccise in abitazioni residenziali. Nel nord, due missili hanno colpito una tenda che ospitava una famiglia sfollata, uccidendo tre figli insieme ai loro genitori. Secondo il Ministero della Salute dell’enclave, nelle ultime 24 ore almeno 26 palestinesi sono stati uccisi e 60 sono rimasti feriti
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Il nuovo codice della Strada è già stato rinviato alla Corte Costituzionale
Il Tribunale di Pordenone ha rinviato alla Corte costituzionale il nuovo Codice della Strada, promosso dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, dopo il caso di una donna risultata positiva a oppiacei in seguito a un incidente. Ricoverata, la conducente – che ora rischia un decreto di condanna – aveva riferito di aver assunto codeina a scopo terapeutico nei giorni precedenti all’incidente e ansiolitici subito dopo. I giudici hanno sospeso il giudizio e rinviato la questione alla Consulta, ritenendo la norma potenzialmente incostituzionale: eliminando il requisito dell’alterazione psicofisica, la legge punirebbe infatti chiunque presenti tracce di sostanze, anche se non compromette la capacità di guida. Ora la Corte Costituzionale dovrà valutare se la disposizione rispetta i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
Il caso che ha acceso il faro sulla riforma si è verificato nella notte della vigilia di Natale del 2024, quando una donna, alla guida della propria auto, ha tamponato un’altra vettura. Condotta in ospedale per accertamenti, ha dichiarato di aver assunto, nei giorni precedenti, un farmaco contenente codeina – un oppiaceo – dietro regolare prescrizione, e «subito dopo» l’incidente alcune gocce di un ansiolitico. Gli esami del sangue hanno dato esito negativo, ma quelli delle urine sono risultati positivi agli oppiacei. Ed è qui che si inserisce il nodo giuridico: secondo la nuova normativa, introdotta nel novembre 2024, basta infatti un test positivo per configurare una responsabilità penale, anche se non vi è stato alcun segno di alterazione psicofisica al momento del fatto. Il legislatore ha infatti eliminato ogni riferimento allo “stato di alterazione”, che nel vecchio impianto normativo era condizione imprescindibile per contestare la guida sotto effetto di droghe. Ora, invece, l’eventuale presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope – anche a distanza di giorni – è sufficiente per far scattare sanzioni che possono arrivare fino a 6.000 euro di multa, un anno di arresto e due anni di sospensione della patente.
Una trasformazione che ha suscitato forte perplessità nella gip Granata, la quale ha accolto le osservazioni del pubblico ministero Enrico Pezzi e ha rimesso la questione alla Corte costituzionale. Il cortocircuito, ha spiegato la giudice, consiste nel fatto che il reato di guida sotto l’effetto di droghe si è trasformato da reato di pericolo concreto a reato di pericolo astratto, in cui non è più necessaria la prova che l’assunzione abbia inciso sulla capacità di condurre il veicolo. Le analisi delle urine, infatti, possono rilevare tracce anche settimane dopo l’assunzione, al contrario degli esami del sangue, che si negativizzano nel giro di 48-72 ore.
Il nuovo Codice della strada ha generato forti critiche, soprattutto per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle scorse settimane, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale – il caso è in mano al giudice di Pace di Udine – anche dalla difesa della 32enne friulana Elena Tuniz, la quale, dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno a causa di una «dubbia» positività al THC, principio psicotropo della cannabis. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, L’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena, ha parlato di «una storia che grida vendetta».
Il nuovo codice della Strada è già stato rinviato alla Corte Costituzionale
Il Tribunale di Pordenone ha rinviato alla Corte costituzionale il nuovo Codice della Strada, promosso dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, dopo il caso di una donna risultata positiva a oppiacei in seguito a un incidente. Ricoverata, la conducente – che ora rischia un decreto di condanna – aveva riferito di aver assunto codeina a scopo terapeutico nei giorni precedenti all’incidente e ansiolitici subito dopo. I giudici hanno sospeso il giudizio e rinviato la questione alla Consulta, ritenendo la norma potenzialmente incostituzionale: eliminando il requisito dell’alterazione psicofisica, la legge punirebbe infatti chiunque presenti tracce di sostanze, anche se non compromette la capacità di guida. Ora la Corte Costituzionale dovrà valutare se la disposizione rispetta i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
Il caso che ha acceso il faro sulla riforma si è verificato nella notte della vigilia di Natale del 2024, quando una donna, alla guida della propria auto, ha tamponato un’altra vettura. Condotta in ospedale per accertamenti, ha dichiarato di aver assunto, nei giorni precedenti, un farmaco contenente codeina – un oppiaceo – dietro regolare prescrizione, e «subito dopo» l’incidente alcune gocce di un ansiolitico. Gli esami del sangue hanno dato esito negativo, ma quelli delle urine sono risultati positivi agli oppiacei. Ed è qui che si inserisce il nodo giuridico: secondo la nuova normativa, introdotta nel novembre 2024, basta infatti un test positivo per configurare una responsabilità penale, anche se non vi è stato alcun segno di alterazione psicofisica al momento del fatto. Il legislatore ha infatti eliminato ogni riferimento allo “stato di alterazione”, che nel vecchio impianto normativo era condizione imprescindibile per contestare la guida sotto effetto di droghe. Ora, invece, l’eventuale presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope – anche a distanza di giorni – è sufficiente per far scattare sanzioni che possono arrivare fino a 6.000 euro di multa, un anno di arresto e due anni di sospensione della patente.
Una trasformazione che ha suscitato forte perplessità nella gip Granata, la quale ha accolto le osservazioni del pubblico ministero Enrico Pezzi e ha rimesso la questione alla Corte costituzionale. Il cortocircuito, ha spiegato la giudice, consiste nel fatto che il reato di guida sotto l’effetto di droghe si è trasformato da reato di pericolo concreto a reato di pericolo astratto, in cui non è più necessaria la prova che l’assunzione abbia inciso sulla capacità di condurre il veicolo. Le analisi delle urine, infatti, possono rilevare tracce anche settimane dopo l’assunzione, al contrario degli esami del sangue, che si negativizzano nel giro di 48-72 ore.
Il nuovo Codice della strada ha generato forti critiche, soprattutto per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle scorse settimane, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale – il caso è in mano al giudice di Pace di Udine – anche dalla difesa della 32enne friulana Elena Tuniz, la quale, dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno a causa di una «dubbia» positività al THC, principio psicotropo della cannabis. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, L’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena, ha parlato di «una storia che grida vendetta».
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Papa Francesco, governo proclama 5 giorni di lutto nazionale
Il governo Meloni, riunitosi nel Consiglio dei ministri straordinario di oggi, ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale in Italia per la morte di Papa Francesco. Il lutto nazionale parte da oggi, martedì 22 aprile, e si protrarrà fino a sabato 26 aprile. Nelle ultime ore si era ipotizzato che sarebbero stati stabiliti soltanto tre giorni di lutto, ma fonti vicine all’esecutivo hanno spiegato che la prassi per la morte dei capi di Stato, anche in occasioni passate, è stata di cinque giorni di lutto. Inoltre, questa scelta fa sì che il lutto possa estendersi fino a sabato, giorno dei funerali del pontefice.
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Il governo Meloni, riunitosi nel Consiglio dei ministri straordinario di oggi, ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale in Italia per la morte di Papa Francesco. Il lutto nazionale parte da oggi, martedì 22 aprile, e si protrarrà fino a sabato 26 aprile. Nelle ultime ore si era ipotizzato che sarebbero stati stabiliti soltanto tre giorni di lutto, ma fonti vicine all’esecutivo hanno spiegato che la prassi per la morte dei capi di Stato, anche in occasioni passate, è stata di cinque giorni di lutto. Inoltre, questa scelta fa sì che il lutto possa estendersi fino a sabato, giorno dei funerali del pontefice.
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Imprese italiane, aumentano i fallimenti: sono oltre 9 mila nel 2024
C’è un dato che racconta bene la fragilità del tessuto imprenditoriale italiano nel 2024: il numero di aziende fallite ha superato quota 9 mila, con un incremento del 17,2% rispetto all’anno precedente. Un aumento netto rispetto al già preoccupante +9,8% registrato nel 2023. A rilevarlo è l’Osservatorio Procedure e Liquidazioni di Cerved, che segnala una decisa inversione di tendenza dopo anni di calo, culminati con la moratoria sui prestiti del 2020. Il dato restituisce l’immagine di un’economia che, tra inflazione, costi energetici alle stelle e congiuntura sfavorevole, fatica a reggere l’urto del nuovo contesto post-pandemico e post-bonus.
Nel dettaglio, come attestato dal report, i casi di fallimento sono passati da 7.848 nel 2023 a 9.194 nel 2024. A pagarne le conseguenze maggiori sono le aree tradizionalmente più produttive del Paese, in particolare il Nord-Ovest, che da solo rappresenta il 30% delle procedure (2.803 casi), con la Lombardia in cima alla classifica regionale. Seguono il Centro (2.232 casi, 24,3%), il Sud (1.748, 19%), il Nord-Est (1.615, 17,6%) e le Isole (796, 8,7%). La fotografia settoriale conferma che a soffrire maggiormente sono le società di capitali, protagoniste dell’82% dei fallimenti, mentre le ditte individuali e le società di persone rappresentano rispettivamente il 10% e l’8,4%. Tra i comparti più colpiti emergono i servizi (35% dei casi), seguiti da distribuzione (21,2%), costruzioni (18,7%) e industria (12,6%). L’analisi più approfondita dei settori evidenzia situazioni critiche in comparti specifici. Le costruzioni registrano un’impennata del +25,7%, l’industria del +21,2%. Tra i settori industriali, i più colpiti sono quello dei metalli (+48,4%) e il sistema moda (+41,1%), seguiti da elettrotecnica e informatica (+33,3%) e sistema casa (+22,9%). Dall’altro lato, settori come largo consumo (-6,5%), chimica e farmaceutica (-9,1%) si confermano più resilienti, evidenziando una tendenza opposta.
Un elemento particolarmente allarmante è l’età delle imprese colpite. Le realtà più giovani, ossia quelle nate da meno di cinque anni, rappresentano oggi il 12% dei fallimenti totali, a fronte del 2% nel 2022. Anche le aziende con un’età compresa tra i cinque e i dieci anni risultano più vulnerabili (28% nel 2024 contro il 25% nel 2022), segno che le imprese meno strutturate stanno accusando pesantemente gli shock degli ultimi anni. Le cause principali che hanno determinato questo peggioramento sono molteplici, ma ruotano attorno ad alcuni fattori chiave: l’aumento vertiginoso dei costi di produzione, in primis quelli energetici, il caro debiti, con oneri finanziari sempre più difficili da sostenere, e la generale debolezza del contesto economico, che ha visto un peggioramento nel corso del 2024.
Il fenomeno non si limita ai soli fallimenti. Crescono infatti anche tutte le altre modalità di uscita dal mercato. Le liquidazioni volontarie, ad esempio, sono passate da 106.155 a 119.597 in un solo anno, con un incremento del +12,7% (dopo il +11,9% del 2023). Boom anche per le nuove procedure introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, come i procedimenti unitari e le misure cautelari e protettive, pensate per anticipare le crisi aziendali. Solo queste ultime sono passate da 1.177 nel 2022 a 4.389 nel 2024, con una crescita del +37,4% nell’ultimo anno. Secondo Serenella Monforte, responsabile delle analisi settoriali di Cerved, «le difficoltà dell’ultimo periodo hanno scoraggiato il proseguimento dell’attività per molte imprese, in particolare per le società di capitali». Il nuovo Codice ha spinto molte aziende a utilizzare i nuovi strumenti di prevenzione della crisi, ma non sempre con esiti positivi.
Imprese italiane, aumentano i fallimenti: sono oltre 9 mila nel 2024
C’è un dato che racconta bene la fragilità del tessuto imprenditoriale italiano nel 2024: il numero di aziende fallite ha superato quota 9 mila, con un incremento del 17,2% rispetto all’anno precedente. Un aumento netto rispetto al già preoccupante +9,8% registrato nel 2023. A rilevarlo è l’Osservatorio Procedure e Liquidazioni di Cerved, che segnala una decisa inversione di tendenza dopo anni di calo, culminati con la moratoria sui prestiti del 2020. Il dato restituisce l’immagine di un’economia che, tra inflazione, costi energetici alle stelle e congiuntura sfavorevole, fatica a reggere l’urto del nuovo contesto post-pandemico e post-bonus.
Nel dettaglio, come attestato dal report, i casi di fallimento sono passati da 7.848 nel 2023 a 9.194 nel 2024. A pagarne le conseguenze maggiori sono le aree tradizionalmente più produttive del Paese, in particolare il Nord-Ovest, che da solo rappresenta il 30% delle procedure (2.803 casi), con la Lombardia in cima alla classifica regionale. Seguono il Centro (2.232 casi, 24,3%), il Sud (1.748, 19%), il Nord-Est (1.615, 17,6%) e le Isole (796, 8,7%). La fotografia settoriale conferma che a soffrire maggiormente sono le società di capitali, protagoniste dell’82% dei fallimenti, mentre le ditte individuali e le società di persone rappresentano rispettivamente il 10% e l’8,4%. Tra i comparti più colpiti emergono i servizi (35% dei casi), seguiti da distribuzione (21,2%), costruzioni (18,7%) e industria (12,6%). L’analisi più approfondita dei settori evidenzia situazioni critiche in comparti specifici. Le costruzioni registrano un’impennata del +25,7%, l’industria del +21,2%. Tra i settori industriali, i più colpiti sono quello dei metalli (+48,4%) e il sistema moda (+41,1%), seguiti da elettrotecnica e informatica (+33,3%) e sistema casa (+22,9%). Dall’altro lato, settori come largo consumo (-6,5%), chimica e farmaceutica (-9,1%) si confermano più resilienti, evidenziando una tendenza opposta.
Un elemento particolarmente allarmante è l’età delle imprese colpite. Le realtà più giovani, ossia quelle nate da meno di cinque anni, rappresentano oggi il 12% dei fallimenti totali, a fronte del 2% nel 2022. Anche le aziende con un’età compresa tra i cinque e i dieci anni risultano più vulnerabili (28% nel 2024 contro il 25% nel 2022), segno che le imprese meno strutturate stanno accusando pesantemente gli shock degli ultimi anni. Le cause principali che hanno determinato questo peggioramento sono molteplici, ma ruotano attorno ad alcuni fattori chiave: l’aumento vertiginoso dei costi di produzione, in primis quelli energetici, il caro debiti, con oneri finanziari sempre più difficili da sostenere, e la generale debolezza del contesto economico, che ha visto un peggioramento nel corso del 2024.
Il fenomeno non si limita ai soli fallimenti. Crescono infatti anche tutte le altre modalità di uscita dal mercato. Le liquidazioni volontarie, ad esempio, sono passate da 106.155 a 119.597 in un solo anno, con un incremento del +12,7% (dopo il +11,9% del 2023). Boom anche per le nuove procedure introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, come i procedimenti unitari e le misure cautelari e protettive, pensate per anticipare le crisi aziendali. Solo queste ultime sono passate da 1.177 nel 2022 a 4.389 nel 2024, con una crescita del +37,4% nell’ultimo anno. Secondo Serenella Monforte, responsabile delle analisi settoriali di Cerved, «le difficoltà dell’ultimo periodo hanno scoraggiato il proseguimento dell’attività per molte imprese, in particolare per le società di capitali». Il nuovo Codice ha spinto molte aziende a utilizzare i nuovi strumenti di prevenzione della crisi, ma non sempre con esiti positivi.
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Burkina Faso, sventato tentativo di golpe
La giunta militare del Burkina Faso ha annunciato di aver sventato un tentativo di colpo di Stato. La notizia è stata data dal ministro della Sicurezza Mahamadou Sana, che ha spiegato che il piano avrebbe portato a un tentativo di rovesciamento previsto per mercoledì 16 aprile. La giunta del Burkina Faso ha dichiarato che i cospiratori erano due ex ufficiali dell’esercito, il maggiore Joanny Compaoré e il tenente Abdramane Barry, che si trovavano in Costa d’Avorio.
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Burkina Faso, sventato tentativo di golpe
La giunta militare del Burkina Faso ha annunciato di aver sventato un tentativo di colpo di Stato. La notizia è stata data dal ministro della Sicurezza Mahamadou Sana, che ha spiegato che il piano avrebbe portato a un tentativo di rovesciamento previsto per mercoledì 16 aprile. La giunta del Burkina Faso ha dichiarato che i cospiratori erano due ex ufficiali dell’esercito, il maggiore Joanny Compaoré e il tenente Abdramane Barry, che si trovavano in Costa d’Avorio.
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Gli schieramenti dentro la Chiesa in vista del prossimo Conclave
Con la morte di Papa Francesco si apre un nuovo scenario per la vita della Chiesa, stretta tra l’eredità di un Pontefice popolare, mediatico e decisionista e un futuro tutto da scrivere. Come da protocollo, in seguito alle esequie, il Conclave si riunirà per consegnare un nuovo vescovo a Roma. Se nel corso degli anni Papa Francesco ha fatto sentire la sua autorevole voce contro le guerre e il riarmo e in favore di una certa apertura dell’universo ecclesiastico alla modernità, non è detto che il nuovo Papa – che si troverà a incarnare il volto della Chiesa in un mondo lacerato da guerre e forti incertezze sul versante economico e geopolitico – mantenga la stessa impronta. Numeri alla mano, l’ala “bergogliana” del Conclave è numericamente maggioritaria, ma nessuna previsione può dirsi certa. I prossimi passi
Il testo principale che disciplina la fase della transizione verso l’elezione del nuovo Pontefice è la costituzione apostolica Universi dominici gregis di Giovanni Paolo II, in cui si legge che, dopo la morte del Papa, devono trascorrere almeno 15 giorni prima dell’inizio del Conclave. Lì siederanno i cardinali elettori, ovvero quelli che hanno meno di 80 anni, gli unici ad avere diritto di voto. Le votazioni devono cominciare obbligatoriamente entro 20 giorni, ergo si prevede che il Conclave possa iniziare nei giorni tra il 6 e l’11 maggio. Secondo una modifica introdotta da Papa Ratzinger, ove tutti i cardinali riuscissero ad arrivare a Roma prima del 6 maggio, i lavori potrebbero anche essere anticipati. Sono in tutto 135 i cardinali elettori. 108 di questi sono stati nominati da Papa Francesco, 22 da Papa Benedetto XVI e cinque da Papa Giovanni Paolo II. L’Europa conta 53 cardinali, l’Asia 23 e l’Africa 18. Ben 71 i Paesi rappresentati, per quello che è stato definito un Conclave “planetario”, la cui frammentazione geografica potrebbe però costituire un ostacolo a un’elezione rapida. I “bergogliani”
Il fronte rappresentato dai cardinali più vicini a Francesco, molti dei quali da lui stesso nominati, è quello favorevole a una Chiesa sinodale, aperta a un atteggiamento più pastorale che dottrinale, con un’attenzione ai temi ambientali, sociali e migratori. Per quanto concerne il fronte progressista, l’esponente considerato più “a sinistra” del collegio cardinalizio è il 69enne Matteo Maria Zuppi, creato da papa Francesco nel 2019 e presidente della CEI. Conosciuto negli ultimi anni per essere stato inviato in missione in Russia da Papa Francesco al fine di trovare possibili soluzioni per la fine del conflitto russo-ucraino, Zuppi è sostenitore della chiesa sinodale ed è favorevole alla benedizione per le coppie omosessuali e della facoltatività del celibato. Almeno secondo i bookmakers, però, i favoriti dell’ala più vicina a Bergoglio sono Luis Antonio Tagle, cardinale filippino di 67 anni conosciuto come il “Francesco asiatico” per il suo impegno in favore della giustizia sociale e nell’accoglienza verso divorziati, omosessuali e madri single, e Pietro Parolin, segretario di Stato di Stato di Francesco dal 2013. Quest’ultimo, con la sua grande esperienza dal punto di vista diplomatico e l’oliata conoscenza della macchina ecclesiastica, potrebbe essere uno dei candidati di compromesso tra la fazione progressista e quella conservatrice. Conservatori e outsiders
Tra i candidati “ponte” tra le due ali c’è Peter Turkson, funzionario vaticano ghanese di 76 anni candidato a diventare il primo papa proveniente dall’Africa subsahariana. Turkson ha posto grande enfasi sulle questioni del cambiamento climatico e della giustizia economica, restando al contempo fedele alla dottrina su matrimonio e sacerdozio. Guardando alla fazione più c[...]
Gli schieramenti dentro la Chiesa in vista del prossimo Conclave
Con la morte di Papa Francesco si apre un nuovo scenario per la vita della Chiesa, stretta tra l’eredità di un Pontefice popolare, mediatico e decisionista e un futuro tutto da scrivere. Come da protocollo, in seguito alle esequie, il Conclave si riunirà per consegnare un nuovo vescovo a Roma. Se nel corso degli anni Papa Francesco ha fatto sentire la sua autorevole voce contro le guerre e il riarmo e in favore di una certa apertura dell’universo ecclesiastico alla modernità, non è detto che il nuovo Papa – che si troverà a incarnare il volto della Chiesa in un mondo lacerato da guerre e forti incertezze sul versante economico e geopolitico – mantenga la stessa impronta. Numeri alla mano, l’ala “bergogliana” del Conclave è numericamente maggioritaria, ma nessuna previsione può dirsi certa. I prossimi passi
Il testo principale che disciplina la fase della transizione verso l’elezione del nuovo Pontefice è la costituzione apostolica Universi dominici gregis di Giovanni Paolo II, in cui si legge che, dopo la morte del Papa, devono trascorrere almeno 15 giorni prima dell’inizio del Conclave. Lì siederanno i cardinali elettori, ovvero quelli che hanno meno di 80 anni, gli unici ad avere diritto di voto. Le votazioni devono cominciare obbligatoriamente entro 20 giorni, ergo si prevede che il Conclave possa iniziare nei giorni tra il 6 e l’11 maggio. Secondo una modifica introdotta da Papa Ratzinger, ove tutti i cardinali riuscissero ad arrivare a Roma prima del 6 maggio, i lavori potrebbero anche essere anticipati. Sono in tutto 135 i cardinali elettori. 108 di questi sono stati nominati da Papa Francesco, 22 da Papa Benedetto XVI e cinque da Papa Giovanni Paolo II. L’Europa conta 53 cardinali, l’Asia 23 e l’Africa 18. Ben 71 i Paesi rappresentati, per quello che è stato definito un Conclave “planetario”, la cui frammentazione geografica potrebbe però costituire un ostacolo a un’elezione rapida. I “bergogliani”
Il fronte rappresentato dai cardinali più vicini a Francesco, molti dei quali da lui stesso nominati, è quello favorevole a una Chiesa sinodale, aperta a un atteggiamento più pastorale che dottrinale, con un’attenzione ai temi ambientali, sociali e migratori. Per quanto concerne il fronte progressista, l’esponente considerato più “a sinistra” del collegio cardinalizio è il 69enne Matteo Maria Zuppi, creato da papa Francesco nel 2019 e presidente della CEI. Conosciuto negli ultimi anni per essere stato inviato in missione in Russia da Papa Francesco al fine di trovare possibili soluzioni per la fine del conflitto russo-ucraino, Zuppi è sostenitore della chiesa sinodale ed è favorevole alla benedizione per le coppie omosessuali e della facoltatività del celibato. Almeno secondo i bookmakers, però, i favoriti dell’ala più vicina a Bergoglio sono Luis Antonio Tagle, cardinale filippino di 67 anni conosciuto come il “Francesco asiatico” per il suo impegno in favore della giustizia sociale e nell’accoglienza verso divorziati, omosessuali e madri single, e Pietro Parolin, segretario di Stato di Stato di Francesco dal 2013. Quest’ultimo, con la sua grande esperienza dal punto di vista diplomatico e l’oliata conoscenza della macchina ecclesiastica, potrebbe essere uno dei candidati di compromesso tra la fazione progressista e quella conservatrice. Conservatori e outsiders
Tra i candidati “ponte” tra le due ali c’è Peter Turkson, funzionario vaticano ghanese di 76 anni candidato a diventare il primo papa proveniente dall’Africa subsahariana. Turkson ha posto grande enfasi sulle questioni del cambiamento climatico e della giustizia economica, restando al contempo fedele alla dottrina su matrimonio e sacerdozio. Guardando alla fazione più c[...]
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L’INDIPENDENTE In tutta la Francia si stanno verificando attacchi armati contro le carceri
Da circa una settimana gli agenti penitenziari e numerosi centri di detenzione in Francia sono stati presi di mira da un’ondata di attacchi anonimi. I più recenti sono avvenuti nella notte tra ieri e oggi, martedì 22 aprile, nei pressi di un carcere situato in Normandia, dove è stata incendiata una vettura. Quello di questa notte segue una serie di episodi violenti, alcuni dei quali con armi da fuoco, registrati nell’arco di tutta la scorsa settimana in varie strutture carcerarie del Paese. Le indagini sugli attacchi sono state affidate alla procura nazionale per l’antiterrorismo, che tuttavia non ha ancora reso note ipotesi circa i possibili autori. Secondo le autorità, dietro questa ondata senza precedenti potrebbero esserci gruppi criminali legati al narcotraffico, che avrebbero agito in risposta alla riforma del sistema penitenziario annunciata dal governo; non si esclude, tuttavia, il coinvolgimento di attori stranieri o di gruppi riconducibili all’estrema sinistra.
L’ultimo attacco alle carceri francesi è avvenuto verso le 3 del mattino di oggi, presso la struttura di Caen, dove è stato incendiato un veicolo parcheggiato. L’incendio si è propagato rapidamente, distruggendo in totale cinque veicoli amministrativi. Precedentemente, nella notte tra domenica e lunedì, sono stati registrati altri tre episodi, tutti nell’area attorno a Lione. Nei pressi della prigione di Villefranche-sur-Saône, a nord di Lione, un’auto di un agente è stata bruciata. Anche nel parcheggio del carcere di Corbas, a sud di Lione, due macchine sono state incendiate, mentre altre due vetture sono state danneggiate. Sempre a sud, nel comune di Villefontaine, invece, è stato dato fuoco alla porta di una casa, che è stata poi segnata con la scritta DDPF, sigla che sta per Droits des prisonniers français (Diritti dei carcerati francesi). L’abitazione oggetto dell’attacco si trovava vicino alla casa di un agente penitenziario, tanto che secondo il sindacato FO Justice gli attentatori si sarebbero sbagliati e avrebbero preso erroneamente di mira la casa del vicino.
Gli episodi di ieri e oggi hanno seguito i diversi attacchi verificatisi nel corso della settimana passata. Nella notte tra domenica 13 e lunedì 14 aprile, nel carcere di Réau (nella regione dell’Île-de-France) e alla Scuola nazionale di amministrazione penitenziaria di Agen (in Nuova Aquitania), sono state incendiate 7 macchine. Tra lunedì e martedì, sono stati appiccati analoghi incendi nelle carceri di Aix-en-Provence, Marsiglia, Valence, Nîmes, Villepinte e Nanterre, mentre a Tolone sono stati sparati 15 colpi di arma da fuoco verso il portone d’ingresso del carcere. Le indagini sugli attacchi sono state affidate all’antiterrorismo, ma per ora, a parte qualche segnalazione, non sembrano aver portato davvero a qualcosa. Il ministro della Giustizia Gérald Darmanin ha parlato di «attacchi terroristici» e ipotizza che dietro gli attentati ci siano grosse firme del narcotraffico, che intendono fermare la riforma del sistema penitenziario che, tra le altre cose, prevederebbe il trasferimento di alcuni dei maggiori leader della criminalità organizzata in due strutture di alta sicurezza. I quotidiani francesi, invece, non escludono l’opzione degli “anarchici”, attribuendo ai gruppi di estrema sinistra lo slogan DDPF che è comparso su muri e macchine oggetto di alcuni degli attacchi.
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Da circa una settimana gli agenti penitenziari e numerosi centri di detenzione in Francia sono stati presi di mira da un’ondata di attacchi anonimi. I più recenti sono avvenuti nella notte tra ieri e oggi, martedì 22 aprile, nei pressi di un carcere situato in Normandia, dove è stata incendiata una vettura. Quello di questa notte segue una serie di episodi violenti, alcuni dei quali con armi da fuoco, registrati nell’arco di tutta la scorsa settimana in varie strutture carcerarie del Paese. Le indagini sugli attacchi sono state affidate alla procura nazionale per l’antiterrorismo, che tuttavia non ha ancora reso note ipotesi circa i possibili autori. Secondo le autorità, dietro questa ondata senza precedenti potrebbero esserci gruppi criminali legati al narcotraffico, che avrebbero agito in risposta alla riforma del sistema penitenziario annunciata dal governo; non si esclude, tuttavia, il coinvolgimento di attori stranieri o di gruppi riconducibili all’estrema sinistra.
L’ultimo attacco alle carceri francesi è avvenuto verso le 3 del mattino di oggi, presso la struttura di Caen, dove è stato incendiato un veicolo parcheggiato. L’incendio si è propagato rapidamente, distruggendo in totale cinque veicoli amministrativi. Precedentemente, nella notte tra domenica e lunedì, sono stati registrati altri tre episodi, tutti nell’area attorno a Lione. Nei pressi della prigione di Villefranche-sur-Saône, a nord di Lione, un’auto di un agente è stata bruciata. Anche nel parcheggio del carcere di Corbas, a sud di Lione, due macchine sono state incendiate, mentre altre due vetture sono state danneggiate. Sempre a sud, nel comune di Villefontaine, invece, è stato dato fuoco alla porta di una casa, che è stata poi segnata con la scritta DDPF, sigla che sta per Droits des prisonniers français (Diritti dei carcerati francesi). L’abitazione oggetto dell’attacco si trovava vicino alla casa di un agente penitenziario, tanto che secondo il sindacato FO Justice gli attentatori si sarebbero sbagliati e avrebbero preso erroneamente di mira la casa del vicino.
Gli episodi di ieri e oggi hanno seguito i diversi attacchi verificatisi nel corso della settimana passata. Nella notte tra domenica 13 e lunedì 14 aprile, nel carcere di Réau (nella regione dell’Île-de-France) e alla Scuola nazionale di amministrazione penitenziaria di Agen (in Nuova Aquitania), sono state incendiate 7 macchine. Tra lunedì e martedì, sono stati appiccati analoghi incendi nelle carceri di Aix-en-Provence, Marsiglia, Valence, Nîmes, Villepinte e Nanterre, mentre a Tolone sono stati sparati 15 colpi di arma da fuoco verso il portone d’ingresso del carcere. Le indagini sugli attacchi sono state affidate all’antiterrorismo, ma per ora, a parte qualche segnalazione, non sembrano aver portato davvero a qualcosa. Il ministro della Giustizia Gérald Darmanin ha parlato di «attacchi terroristici» e ipotizza che dietro gli attentati ci siano grosse firme del narcotraffico, che intendono fermare la riforma del sistema penitenziario che, tra le altre cose, prevederebbe il trasferimento di alcuni dei maggiori leader della criminalità organizzata in due strutture di alta sicurezza. I quotidiani francesi, invece, non escludono l’opzione degli “anarchici”, attribuendo ai gruppi di estrema sinistra lo slogan DDPF che è comparso su muri e macchine oggetto di alcuni degli attacchi.
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India, attacco di uomini armati: morti 24 turisti
Uomini armati hanno aperto il fuoco oggi su un gruppo di turisti nel Kashmir indiano. Lo ha dichiarato ai media un alto responsabile della polizia locale, che ha parlato di un primo bilancio di almeno 24 morti. Le autorità hanno parlato del peggiore attacco contro i civili che si sia mai verificato negli ultimi anni. Per adesso non sono arrivate rivendicazioni e la polizia è alla ricerca dei responsabili. L’attacco è avvenuto a Pahalgam, centro sito a circa 90 chilometri a est di Srinagar, la città principale della zona.
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India, attacco di uomini armati: morti 24 turisti
Uomini armati hanno aperto il fuoco oggi su un gruppo di turisti nel Kashmir indiano. Lo ha dichiarato ai media un alto responsabile della polizia locale, che ha parlato di un primo bilancio di almeno 24 morti. Le autorità hanno parlato del peggiore attacco contro i civili che si sia mai verificato negli ultimi anni. Per adesso non sono arrivate rivendicazioni e la polizia è alla ricerca dei responsabili. L’attacco è avvenuto a Pahalgam, centro sito a circa 90 chilometri a est di Srinagar, la città principale della zona.
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L’INDIPENDENTE Gli schieramenti dentro la Chiesa in vista del prossimo Conclave Con la morte di Papa Francesco si apre un nuovo scenario per la vita della Chiesa, stretta tra l’eredità di un Pontefice popolare, mediatico e decisionista e un futuro tutto da…
onservatrice spicca il nome del 72enne ungherese Péter Erdő, l’arcivescovo di Esztergom-Budapest, con posizioni rigide su divorzio e immigrazione, ma che può contare su significativi legami con i vescovi dell’Europa orientale e dell’Africa. Il candidato in assoluto più conservatore tra i papabili è Robert Sarah, cardinale 79enne guineano conosciuto per le sue critiche all’immigrazione incontrollata e alla “ideologia gender”, molto vicino a Benedetto XXVI. Attenzione, però, a un profilo che sfugge alle tradizionali classificazioni: quello del francescano bergamasco Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. Giovane (proprio ieri ha compiuto 60 anni, forse troppo pochi per ambire a diventare il nuovo Pontefice), italiano ma impegnato a lungo nel difficile contesto del Medio Oriente. Pizzaballa è il testimone più qualificato dell’attenzione di Francesco per le condizioni dei palestinesi a Gaza. In un video pubblicato dopo la morte di Bergoglio, Pizzaballa ha ricordato che «Gaza è stata un po’ il simbolo di tutto ciò che Francesco faceva, uno dei simboli del suo pontificato». Un fattore che potrebbe forse pesare nelle dinamiche del nuovo Conclave. Il bivio
Certo è che, piuttosto che una lista di nomi, a scontrarsi sono due diverse prospettive che, dall’epoca della “coabitazione” Bergoglio-Ratzinger, covano in seno alla Chiesa. Da un lato c’è chi vuole procedere sul cammino di Francesco, promuovendo un percorso di apertura verso un mondo che cambia e il “diverso”; dall’altra parte, c’è chi invece – dopo avere imputato a Bergoglio e alla schiera dei suoi sostenitori di avere contribuito a “sciogliere” la Chiesa negli schemi del mondo secolare – mira a una restaurazione dal punto di vista dottrinale, tornando a valorizzare in maniera più dogmatica l’elemento della trascendenza. A ogni modo, nonostante a caratterizzare la fase verso la fumata bianca sarà l’altalena delle quote, è sempre bene ricordare l’eloquente detto: «Chi entra papa al Conclave, ne esce cardinale». Questo appuntamento ha effettivamente tutte le carte in regola per sfociare in un esito inaspettato, per non dire sorprendente.
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Certo è che, piuttosto che una lista di nomi, a scontrarsi sono due diverse prospettive che, dall’epoca della “coabitazione” Bergoglio-Ratzinger, covano in seno alla Chiesa. Da un lato c’è chi vuole procedere sul cammino di Francesco, promuovendo un percorso di apertura verso un mondo che cambia e il “diverso”; dall’altra parte, c’è chi invece – dopo avere imputato a Bergoglio e alla schiera dei suoi sostenitori di avere contribuito a “sciogliere” la Chiesa negli schemi del mondo secolare – mira a una restaurazione dal punto di vista dottrinale, tornando a valorizzare in maniera più dogmatica l’elemento della trascendenza. A ogni modo, nonostante a caratterizzare la fase verso la fumata bianca sarà l’altalena delle quote, è sempre bene ricordare l’eloquente detto: «Chi entra papa al Conclave, ne esce cardinale». Questo appuntamento ha effettivamente tutte le carte in regola per sfociare in un esito inaspettato, per non dire sorprendente.
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10.13 PAPA "La Cina esprime il suo cordoglio per la morte di Papa Francesco". Così il ministero degli Esteri cinese.
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10.46 PAPA I funerali si terranno sabato 26 aprile alle 10, sul sagrato della basilica di S.Pietro.La tumulazione a Santa Maria Maggiore.
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11.49 PARROCCHIA GAZA "Un momento molto doloroso", dice padre Romanelli raccontando l'ultima telefonata ricevuta sabato dal Papa.
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