Esercizio di irrobustimento dello spirito.
Nonna ci dice: Figli di cagna!
La gente ci dice: Figli di una Strega! Figli di puttana!
Altri dicono: Imbecilli! Mascalzoni! Mocciosi! Asini! Maiali! Porci! Canaglie! Carogne! Piccoli merdosi! Pendagli da forca! Razza di assassini!
Quando sentiamo queste parole, il nostro volto diventa rosso, le orecchie ronzano, gli occhi bruciano, le ginocchia tremano. Non vogliamo più arrossire né tremare, vogliamo abituarci alle ingiurie e alle parole che feriscono.
Ci sistemiamo al tavolo della cucina uno di fronte all’altro e, guardandoci negli occhi, ci diciamo delle parole sempre più atroci:
Uno: Stronzo! Buco di culo! L’altro: Vaffanculo! Bastardo!
Continuiamo così finché le parole non entrano più nel nostro cervello, non entrano nemmeno nelle nostre orecchie.
Ci esercitiamo in questo modo una mezz’ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade.
Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a restare indifferenti. Ma ci sono anche le parole antiche.
Nostra Madre ci diceva: Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati! Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime.
Queste parole dobbiamo dimenticarle, perché adesso nessuno ci dice parole simili e perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso da portare.
Allora ricominciamo il nostro esercizio in un altro modo: Diciamo: Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene... Non vi lascerò mai... Non vorrò bene che a voi... Sempre... Siete tutta la mia vita... A forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.
Trilogia della città di K, Agota Kristof, 1986
#romanzo #ungheria #svizzera
Nonna ci dice: Figli di cagna!
La gente ci dice: Figli di una Strega! Figli di puttana!
Altri dicono: Imbecilli! Mascalzoni! Mocciosi! Asini! Maiali! Porci! Canaglie! Carogne! Piccoli merdosi! Pendagli da forca! Razza di assassini!
Quando sentiamo queste parole, il nostro volto diventa rosso, le orecchie ronzano, gli occhi bruciano, le ginocchia tremano. Non vogliamo più arrossire né tremare, vogliamo abituarci alle ingiurie e alle parole che feriscono.
Ci sistemiamo al tavolo della cucina uno di fronte all’altro e, guardandoci negli occhi, ci diciamo delle parole sempre più atroci:
Uno: Stronzo! Buco di culo! L’altro: Vaffanculo! Bastardo!
Continuiamo così finché le parole non entrano più nel nostro cervello, non entrano nemmeno nelle nostre orecchie.
Ci esercitiamo in questo modo una mezz’ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade.
Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a restare indifferenti. Ma ci sono anche le parole antiche.
Nostra Madre ci diceva: Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati! Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime.
Queste parole dobbiamo dimenticarle, perché adesso nessuno ci dice parole simili e perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso da portare.
Allora ricominciamo il nostro esercizio in un altro modo: Diciamo: Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene... Non vi lascerò mai... Non vorrò bene che a voi... Sempre... Siete tutta la mia vita... A forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.
Trilogia della città di K, Agota Kristof, 1986
#romanzo #ungheria #svizzera
Satantango, Bèla Tarr, 1994
Si, ella si disse dolcemente. Gli angeli vedono e comprendono. Si sentiva serena dentro, gli alberi, la strada, la pioggia e la notte.. tutto irradiava pace. Tutto quello che accade è bene, pensò. Tutto stava diventando semplice alla fine. Richiamò alla memoria gli eventi del giorno precedente, sorrise non appena capì come le cose si univano tra loro. Sentì che quegli avvenimenti non erano il risultato del caso ma c’era un indicibile e magnifico significato che li legava. E sapeva che non era sola, poiché tutte le cose e le persone, suo padre lassù, sua madre, i suoi fratelli, il dottore, il gatto, le acacie, questa strada fangosa, il cielo, la notte, dipendevano da lei. Proprio come se da lei dipendesse tutto.Non aveva motivo di essere preoccupata, sapeva che i suoi angeli avevano programmato tutto.
#cinema #ungheria #svizzera #germania
Si, ella si disse dolcemente. Gli angeli vedono e comprendono. Si sentiva serena dentro, gli alberi, la strada, la pioggia e la notte.. tutto irradiava pace. Tutto quello che accade è bene, pensò. Tutto stava diventando semplice alla fine. Richiamò alla memoria gli eventi del giorno precedente, sorrise non appena capì come le cose si univano tra loro. Sentì che quegli avvenimenti non erano il risultato del caso ma c’era un indicibile e magnifico significato che li legava. E sapeva che non era sola, poiché tutte le cose e le persone, suo padre lassù, sua madre, i suoi fratelli, il dottore, il gatto, le acacie, questa strada fangosa, il cielo, la notte, dipendevano da lei. Proprio come se da lei dipendesse tutto.Non aveva motivo di essere preoccupata, sapeva che i suoi angeli avevano programmato tutto.
#cinema #ungheria #svizzera #germania
The Turin Horse, Béla Tarr, 2011
#cinema #ungheria
Il 3 Gennaio del 1889, a Torino, Nietzsche esce dal n° 6 di Via Carlo Alberto. Vuole fare una passeggiata forse o vuole andare a prendere la posta. Non distante da lui o forse molto lontano da lui, un cocchiere ha dei problemi con il suo cavallo ostinato. Nonostante lo sproni, il cavallo si rifiuta di muoversi. Al che il cocchiere - poteva chiamarsi Giuseppe, Carlo o forse Ettore - prende la pazienza e inizia a frustarlo. Nietzsche esce dalla folla e pone un freno alla violenza del cocchiere, che a questo punto è schiumante di rabbia. Il ben piantato e baffuto Nietzsche salta inaspettatamente sulla carrozza e, singhiozzando, cinge con le braccia il collo del cavallo. Il suo vicino lo conduce a casa, dove resterà su un divano per due giorni immobile e in silenzio. Dopo questo periodo pronuncerà la celebre frase: "Mamma, sono pazzo". Vivrà in una mite follia per altri dieci anni accudito dalla madre e dalla sorella. Del cavallo, non abbiamo più notizie.
youtube.com/watch?v=-a8WkCdLhT0&t=5s
#cinema #ungheria
Il 3 Gennaio del 1889, a Torino, Nietzsche esce dal n° 6 di Via Carlo Alberto. Vuole fare una passeggiata forse o vuole andare a prendere la posta. Non distante da lui o forse molto lontano da lui, un cocchiere ha dei problemi con il suo cavallo ostinato. Nonostante lo sproni, il cavallo si rifiuta di muoversi. Al che il cocchiere - poteva chiamarsi Giuseppe, Carlo o forse Ettore - prende la pazienza e inizia a frustarlo. Nietzsche esce dalla folla e pone un freno alla violenza del cocchiere, che a questo punto è schiumante di rabbia. Il ben piantato e baffuto Nietzsche salta inaspettatamente sulla carrozza e, singhiozzando, cinge con le braccia il collo del cavallo. Il suo vicino lo conduce a casa, dove resterà su un divano per due giorni immobile e in silenzio. Dopo questo periodo pronuncerà la celebre frase: "Mamma, sono pazzo". Vivrà in una mite follia per altri dieci anni accudito dalla madre e dalla sorella. Del cavallo, non abbiamo più notizie.
youtube.com/watch?v=-a8WkCdLhT0&t=5s
YouTube
The Turin Horse, Bela Tarr, 2011 - Il piano sequenza iniziale
Il cavallo di Torino, Bela Tarr, 2011
Il piano sequenza iniziale.
Il 3 Gennaio del 1889, a Torino, Friedrich Nietzsche esce dal numero 6 di Via Carlo Alberto. Vuole fare una passeggiata forse o vuole andare a prendere la posta. Non distante da lui o forse…
Il piano sequenza iniziale.
Il 3 Gennaio del 1889, a Torino, Friedrich Nietzsche esce dal numero 6 di Via Carlo Alberto. Vuole fare una passeggiata forse o vuole andare a prendere la posta. Non distante da lui o forse…
Szomorú vasárnap, Rezső Seress, 1933
In una domenica triste con cento fiori bianchi
Ti ho aspettato, mia cara, con una preghiera di chiesa
Quel sogno insegue la domenica mattina
L'altalena del mio dolore è tornata senza di te
Da allora la mia domenica è sempre triste
La mia unica bevanda sono le lacrime
Il dolore è il mio pane
Domenica triste
#musica #ungheria
youtube.com/watch?v=9dZj7YW5oFQ
In una domenica triste con cento fiori bianchi
Ti ho aspettato, mia cara, con una preghiera di chiesa
Quel sogno insegue la domenica mattina
L'altalena del mio dolore è tornata senza di te
Da allora la mia domenica è sempre triste
La mia unica bevanda sono le lacrime
Il dolore è il mio pane
Domenica triste
#musica #ungheria
youtube.com/watch?v=9dZj7YW5oFQ
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Gloomy Sunday Original Version
On a sad Sunday with a hundred white flowers, I awaited for you my dear with a church prayer, That dream chasing Sunday morning, The chariot of my sadness returned without you,
Ever since then, Sundays are always sad, tears are my drink bread is my sorrow...…
Ever since then, Sundays are always sad, tears are my drink bread is my sorrow...…
Secretariat Building, Lucien Hervé, 1961
#Architettura di Le Corbusier nella città di Chandigarh in India.
#fotografia #ungheria
#Architettura di Le Corbusier nella città di Chandigarh in India.
#fotografia #ungheria
Senza titolo, Robert Capa, 1943
Una delle fotografie più famose, almeno in Italia, di Capa. Un contadino Siciliano indica ad un ufficiale americano da che parte sono andati i tedeschi.
«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino.»
#fotografia #ungheria
Una delle fotografie più famose, almeno in Italia, di Capa. Un contadino Siciliano indica ad un ufficiale americano da che parte sono andati i tedeschi.
«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino.»
#fotografia #ungheria
Le Palais Bulles, Antti Lovag, 1975 - 1984
Appartiene allo stilista Pierre Cardin, è la dimora più costosa d'Europa e si trova in Francia.
#architettura #ungheria #francia
Appartiene allo stilista Pierre Cardin, è la dimora più costosa d'Europa e si trova in Francia.
#architettura #ungheria #francia