(Foto: Vince Paolo Gerace © Imagoeconomica)
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E a proposito di futuro, Savoriti rilancia anche sul tema TAV. È da tempo tra i fautori della stazione Tav a Ferentino, e oggi ribadisce: “È urgente e necessaria. Finalmente si muove qualcosa, e apprezzo molto l’iniziativa promossa dalla Cisl Lazio. Ma attenzione: non deve diventare la fermata della periferia di Roma. Deve essere una grande opera di sistema, capace di servire anche Latina, il Molise, l’Abruzzo. Funziona se è funzionale a un’intera area vasta, non solo al capoluogo.”
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Il messaggio è chiaro: è tempo di uscire dall’auto-narrazione vittimistica e tornare a pensare in grande. Il Sin era, in parte, un errore necessario. Ma ora che i numeri ufficiali raccontano un’altra verità, serve il coraggio di cambiare rotta.
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La Ciociaria ha tutte le carte in regola per farcela, secondo Savoriti. Ma deve liberarsi dal peso delle etichette, dalle paure del passato e dalla sfiducia che per troppo tempo ha bloccato la ripartenza. È il momento, dice, di mettere al centro il lavoro, la logistica, l’impresa. Di guardare avanti, finalmente.
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Fatti dopo le parole
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E a proposito di futuro, Savoriti rilancia anche sul tema TAV. È da tempo tra i fautori della stazione Tav a Ferentino, e oggi ribadisce: “È urgente e necessaria. Finalmente si muove qualcosa, e apprezzo molto l’iniziativa promossa dalla Cisl Lazio. Ma attenzione: non deve diventare la fermata della periferia di Roma. Deve essere una grande opera di sistema, capace di servire anche Latina, il Molise, l’Abruzzo. Funziona se è funzionale a un’intera area vasta, non solo al capoluogo.”
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Il messaggio è chiaro: è tempo di uscire dall’auto-narrazione vittimistica e tornare a pensare in grande. Il Sin era, in parte, un errore necessario. Ma ora che i numeri ufficiali raccontano un’altra verità, serve il coraggio di cambiare rotta.
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La Ciociaria ha tutte le carte in regola per farcela, secondo Savoriti. Ma deve liberarsi dal peso delle etichette, dalle paure del passato e dalla sfiducia che per troppo tempo ha bloccato la ripartenza. È il momento, dice, di mettere al centro il lavoro, la logistica, l’impresa. Di guardare avanti, finalmente.
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Fatti dopo le parole
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Corrado Savoriti
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Per Savoriti "questo territorio deve tornare a parlare di fatti concreti e di opere che ci facciano volare alto. Siamo uno dei capoluoghi mondiali dell'Intelligenza Artificiale eppure siamo ancora qui ha parlare del Sin se è inquinato o meno. Occorre un cambio di mentalità, un balzo verso l'alto. Altrimenti resteremo provinciali”.
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Vero, come dimostra il fatto che appena si accenna alla possibilità di realizzare una stazione in linea sul tracciato del Treno ad Alta velocità, scatta la guerra tra campanili per farla dieci chilometri più su o più giù. Oppure per aggiungere anche il proprio nom sulla tabella. La stazione a Frosinone o Ferentino? "Ma chiamiamola Stazione dell'Italia centrale e concepiamola davvero per un territorio vastissimo. Non sia un collegamento della Ciociaria verso Roma ma del Sud Lazio, del Molise e dell'Abruzzo verso l'Europa”.
<!-- /wp:paragraph -->
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Vista così, davvero si vede un altro orizzonte, più alto e più di sistema. A riportare tutti con i piedi per terra è il collega del Messaggero Pier Federico Pernarella. Con sguardo disincantato annota: "Ma qui non si riesce a fare una rotatoria sulla Monti Lepini: davvero pensate che riusciremo a fare la Tav?”. Benvenuto realismo.
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Per Savoriti "questo territorio deve tornare a parlare di fatti concreti e di opere che ci facciano volare alto. Siamo uno dei capoluoghi mondiali dell'Intelligenza Artificiale eppure siamo ancora qui ha parlare del Sin se è inquinato o meno. Occorre un cambio di mentalità, un balzo verso l'alto. Altrimenti resteremo provinciali”.
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Vero, come dimostra il fatto che appena si accenna alla possibilità di realizzare una stazione in linea sul tracciato del Treno ad Alta velocità, scatta la guerra tra campanili per farla dieci chilometri più su o più giù. Oppure per aggiungere anche il proprio nom sulla tabella. La stazione a Frosinone o Ferentino? "Ma chiamiamola Stazione dell'Italia centrale e concepiamola davvero per un territorio vastissimo. Non sia un collegamento della Ciociaria verso Roma ma del Sud Lazio, del Molise e dell'Abruzzo verso l'Europa”.
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Vista così, davvero si vede un altro orizzonte, più alto e più di sistema. A riportare tutti con i piedi per terra è il collega del Messaggero Pier Federico Pernarella. Con sguardo disincantato annota: "Ma qui non si riesce a fare una rotatoria sulla Monti Lepini: davvero pensate che riusciremo a fare la Tav?”. Benvenuto realismo.
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La forca era pronta. Il cappio è rimasto vuoto
https://www.alessioporcu.it/rubriche/senza-ricevuta-di-ritorno/la-forca-era-pronta-il-cappio-e-rimasto-vuoto/
https://www.alessioporcu.it/rubriche/senza-ricevuta-di-ritorno/la-forca-era-pronta-il-cappio-e-rimasto-vuoto/
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Clicca per ascoltare
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C’è una giustizia che indaga, ricostruisce, distingue. E poi c’è un’altra giustizia – la più spiccia, la più crudele – che si consuma nelle piazze social, nei bar, nei gruppi WhatsApp. È la giustizia del “già colpevole”, quella che non ha bisogno di prove, né di udienze, né di avvocati. Basta l’arresto, o anche solo l’odore di un’indagine, per accendere le torce, brandire i forconi e immaginare il linciaggio in pubblica piazza.
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Nel caso dell’inchiesta “The Good Lobby”, a Ceccano, questa giustizia parallela ha avuto il suo momento di gloria. Bastava sussurrare il nome di un amministratore, ed ecco che si scatenava la fantasia popolare: assessori in manette, deputati coinvolti, un sistema corrotto fino al midollo. Nessuno escluso.
<!-- /wp:paragraph -->
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E invece la verità – quella che cammina con passo lento ma fermo – dice oggi qualcosa di diverso.
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La conclusione delle indagini
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Clicca per ascoltare
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C’è una giustizia che indaga, ricostruisce, distingue. E poi c’è un’altra giustizia – la più spiccia, la più crudele – che si consuma nelle piazze social, nei bar, nei gruppi WhatsApp. È la giustizia del “già colpevole”, quella che non ha bisogno di prove, né di udienze, né di avvocati. Basta l’arresto, o anche solo l’odore di un’indagine, per accendere le torce, brandire i forconi e immaginare il linciaggio in pubblica piazza.
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Nel caso dell’inchiesta “The Good Lobby”, a Ceccano, questa giustizia parallela ha avuto il suo momento di gloria. Bastava sussurrare il nome di un amministratore, ed ecco che si scatenava la fantasia popolare: assessori in manette, deputati coinvolti, un sistema corrotto fino al midollo. Nessuno escluso.
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La conclusione delle indagini
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Roberto Caligiore
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La Procura Europea ha concluso le indagini. E quel che ne esce non è un sistema marcio, ma un caso circoscritto, che – secondo l’accusa – ruota attorno a una persona: il sindaco Caligiore. Al quale va riconosciuto anche ora il diritto alla presunzione di innocenza. Le ipotesi di reato restano gravi, ed è giusto che si arrivi a processo. Ma tanti nomi che erano stati impiccati al palo della pubblica gogna oggi ne escono del tutto. Per alcuni di loro si va verso l’archiviazione, in silenzio. Lo stesso silenzio che, al contrario, aveva lasciato spazio all’urlo della condanna anticipata.
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<!-- wp:paragraph -->
Non è solo una questione di diritto. È una questione di dignità e onestà intellettuale. Nessuno, tra chi gridava allo scandalo universale, oggi medita. Nessuno riconosce che la sete di scandalo ha divorato anche degli innocenti. Che il danno d’immagine, a tutta una città è stato fatto.
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La Procura Europea ha concluso le indagini. E quel che ne esce non è un sistema marcio, ma un caso circoscritto, che – secondo l’accusa – ruota attorno a una persona: il sindaco Caligiore. Al quale va riconosciuto anche ora il diritto alla presunzione di innocenza. Le ipotesi di reato restano gravi, ed è giusto che si arrivi a processo. Ma tanti nomi che erano stati impiccati al palo della pubblica gogna oggi ne escono del tutto. Per alcuni di loro si va verso l’archiviazione, in silenzio. Lo stesso silenzio che, al contrario, aveva lasciato spazio all’urlo della condanna anticipata.
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Non è solo una questione di diritto. È una questione di dignità e onestà intellettuale. Nessuno, tra chi gridava allo scandalo universale, oggi medita. Nessuno riconosce che la sete di scandalo ha divorato anche degli innocenti. Che il danno d’immagine, a tutta una città è stato fatto.
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Sia chiaro: non si tratta di assolvere in anticipo chi deve rispondere di accuse serie. Ma tra indagine e condanna non c’è spazio per il fango indiscriminato. In questo e qualsiasi altro caso.
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Oggi si chiude un capitolo, ma restano le macerie morali lasciate da chi eventualmente ha lucrato sui denari pubblici frutto delle tasse di lavoratori e pensionati. A cui si aggiungono però quelle di chi ha preferito la gogna al processo.
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Senza Ricevuta di Ritorno.
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Sia chiaro: non si tratta di assolvere in anticipo chi deve rispondere di accuse serie. Ma tra indagine e condanna non c’è spazio per il fango indiscriminato. In questo e qualsiasi altro caso.
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Senza Ricevuta di Ritorno.
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La terza vita di Zaia (e De Luca): FdI riscrive le regole del gioco
https://www.alessioporcu.it/politica/la-terza-vita-di-zaia-e-de-luca-fdi-riscrive-le-regole-del-gioco/
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Altro che vento del cambiamento. A soffiare nei corridoi della politica in queste ore è una bella folata di restaurazione strategica: messa in moto non dalla sinistra ma dal Partito che per anni ha fatto della “discontinuità” un brand. Cioè Fratelli d’Italia. Nessuna conferenza stampa, nessuna fanfara. Solo una riunione dell’esecutivo di Partito e una frase detta con finta leggerezza: “Possiamo discutere del terzo mandato per i governatori. Senza preclusioni. E subito.” Boom.
<!-- /wp:paragraph -->
<!-- wp:paragraph -->
A lanciare il colpo è il responsabile organizzazione di Fdi. "Non c'è una preclusione ideologica ad affrontare il tema del terzo mandato se viene posto dalle Regioni" perché "sbagliato" era che "ciascuna Regione scelga il numero dei mandati", non che si faccia "una riflessione nazionale" ha detto Giovanni Donzelli.
<!-- /wp:paragraph -->
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La mossa meloniana che spiazza gli alleati
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Altro che vento del cambiamento. A soffiare nei corridoi della politica in queste ore è una bella folata di restaurazione strategica: messa in moto non dalla sinistra ma dal Partito che per anni ha fatto della “discontinuità” un brand. Cioè Fratelli d’Italia. Nessuna conferenza stampa, nessuna fanfara. Solo una riunione dell’esecutivo di Partito e una frase detta con finta leggerezza: “Possiamo discutere del terzo mandato per i governatori. Senza preclusioni. E subito.” Boom.
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A lanciare il colpo è il responsabile organizzazione di Fdi. "Non c'è una preclusione ideologica ad affrontare il tema del terzo mandato se viene posto dalle Regioni" perché "sbagliato" era che "ciascuna Regione scelga il numero dei mandati", non che si faccia "una riflessione nazionale" ha detto Giovanni Donzelli.
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La mossa meloniana che spiazza gli alleati
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Giorgia Meloni
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Una mossa che sa tanto di terremoto, ma che – sorpresa – non scuote Palazzo Chigi. Perché Giorgia Meloni sapeva. Anzi, ha benedetto. Lo dicono i tempi, lo confermano le facce. E se l’aria è cambiata, non è stato per caso: il Doge Luca Zaia ha ancora troppo consenso per essere mandato in pensione in silenzio. E pure il guascone don Vincenzo De Luca, col suo sarcasmo campano e i suoi comizi da teatro di varietà, potrebbe essere utile. E allora, rieccoli: fuori dalla porta per scadenza naturale, ma rientrati dalla finestra del “cantiere aperto” sul terzo mandato.
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<!-- wp:paragraph -->
Il colpo è arrivato tra capo e collo a Forza Italia, che è contraria al terzo mandato. E ancora di più ha gelato la Lega, che ci aveva provato un anno fa a infilare la deroga nel decreto Trentino ed era stata stoppata proprio da Fdi. Ora che le parti si invertono, la rabbia è doppia. Perché Salvini si ritrova a dover inseguire una proposta che fino a ieri era sua, con l’amaro in bocca per aver dovuto lasciare ai meloniani il merito (e l’onere) della svolta.
<!-- /wp:paragraph -->
<!-- wp:paragraph -->
Il Doge? Spiazzato pure lui. Ma solo a metà. “È innegabile, ora vediamo il prosieguo”, ha detto. Tradotto: se davvero me lo chiedete, io ci sto. Dopotutto, il Veneto consegna a Fdi numeri bulgari, e senza Zaia, nel 2025, potrebbe non essere più così.
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<!-- wp:heading -->
Il “caos calmo” di Meloni
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Una mossa che sa tanto di terremoto, ma che – sorpresa – non scuote Palazzo Chigi. Perché Giorgia Meloni sapeva. Anzi, ha benedetto. Lo dicono i tempi, lo confermano le facce. E se l’aria è cambiata, non è stato per caso: il Doge Luca Zaia ha ancora troppo consenso per essere mandato in pensione in silenzio. E pure il guascone don Vincenzo De Luca, col suo sarcasmo campano e i suoi comizi da teatro di varietà, potrebbe essere utile. E allora, rieccoli: fuori dalla porta per scadenza naturale, ma rientrati dalla finestra del “cantiere aperto” sul terzo mandato.
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Il colpo è arrivato tra capo e collo a Forza Italia, che è contraria al terzo mandato. E ancora di più ha gelato la Lega, che ci aveva provato un anno fa a infilare la deroga nel decreto Trentino ed era stata stoppata proprio da Fdi. Ora che le parti si invertono, la rabbia è doppia. Perché Salvini si ritrova a dover inseguire una proposta che fino a ieri era sua, con l’amaro in bocca per aver dovuto lasciare ai meloniani il merito (e l’onere) della svolta.
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Il Doge? Spiazzato pure lui. Ma solo a metà. “È innegabile, ora vediamo il prosieguo”, ha detto. Tradotto: se davvero me lo chiedete, io ci sto. Dopotutto, il Veneto consegna a Fdi numeri bulgari, e senza Zaia, nel 2025, potrebbe non essere più così.
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Il “caos calmo” di Meloni
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Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica
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Non è un fulmine a ciel sereno: dopotutto i Fratelli d'Italia avevano già dato una più generica disponibilità a riparlarne, con due interviste parallele di Francesco Lollobrigida (capodelegazione Fdi nell'esecutivo) e proprio di Giovanni Donzelli (che tiene le redini della macchina del Partito).
<!-- /wp:paragraph -->
<!-- wp:paragraph -->
Giorgia Meloni intanto fa finta di niente, minimizza il prossimo voto regionale, dice che la legislatura non traballa. E rilancia sul record di governo: vuole arrivare al 2027 senza cambiare un ministro. Compatti, dice lei. Ma nel frattempo qualcuno le cambia i piani sotto il naso, o meglio: col suo assenso implicito. Perché il caos generato da questa mossa – un Renzi indemoniato ("cambia idea per convenienza, per galleggiare", creando "il caos" a sinistra e risolvendo i problemi con la Lega"), le Regioni nel panico, il centrodestra che si guarda in cagnesco – è tutto calcolato.
<!-- /wp:paragraph -->
<!-- wp:paragraph -->
Meloni lo sa: il terzo mandato azzera il tavolo e rimette in gioco gli equilibri. Altro che semplice norma tecnica. È politica viva, pulsante. È la mossa per congelare le ambizioni degli alleati, dividere la sinistra, spiazzare chi pensava che il tempo fosse finito. Zaia incluso.
<!-- /wp:paragraph -->
<!-- wp:heading -->
La strada? Stretta. Ma non impraticabile.
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Non è un fulmine a ciel sereno: dopotutto i Fratelli d'Italia avevano già dato una più generica disponibilità a riparlarne, con due interviste parallele di Francesco Lollobrigida (capodelegazione Fdi nell'esecutivo) e proprio di Giovanni Donzelli (che tiene le redini della macchina del Partito).
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Giorgia Meloni intanto fa finta di niente, minimizza il prossimo voto regionale, dice che la legislatura non traballa. E rilancia sul record di governo: vuole arrivare al 2027 senza cambiare un ministro. Compatti, dice lei. Ma nel frattempo qualcuno le cambia i piani sotto il naso, o meglio: col suo assenso implicito. Perché il caos generato da questa mossa – un Renzi indemoniato ("cambia idea per convenienza, per galleggiare", creando "il caos" a sinistra e risolvendo i problemi con la Lega"), le Regioni nel panico, il centrodestra che si guarda in cagnesco – è tutto calcolato.
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La strada? Stretta. Ma non impraticabile.
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Maurizio Gasparri (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)
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Il disegno di legge è l’opzione più elegante. Ma occhio all'emendamento infilato dove meno te l’aspetti, magari in un testo che riguarda tutt’altro. Sotto la superficie, i giuristi di Partito sono già al lavoro, soppesano le parole, calcolano i numeri, misurano i nervi.
<!-- /wp:paragraph -->
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Gasparri dice: “Ne parleremo con i leader”. Traduzione: c’è da trattare, ma l’aria è cambiata. E se l’idea prende forma, i candidati per le sei Regioni in autunno potrebbero cambiare volto. Altro che accelerare, come chiedeva Salvini. Qui si rimescolano le carte e si ridisegnano le mappe.
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A chi conviene, davvero? A Zaia, sì. Ma anche a Meloni, che in questo modo toglie alla Lega il suo asso migliore e lo riporta sotto l’ombrello tricolore di Fdi. A De Luca, che può fare ancora la sua “sceneggiata napoletana” con lo scudo della legittimità. E pure a chi, nel centrosinistra, non ha ancora trovato una vera alternativa locale e si accontenta del “meglio il diavolo che conosci”.
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A perderci? I principi. Ma quelli, ormai, sono sempre gli ultimi a votare.
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Gasparri dice: “Ne parleremo con i leader”. Traduzione: c’è da trattare, ma l’aria è cambiata. E se l’idea prende forma, i candidati per le sei Regioni in autunno potrebbero cambiare volto. Altro che accelerare, come chiedeva Salvini. Qui si rimescolano le carte e si ridisegnano le mappe.
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A chi conviene, davvero? A Zaia, sì. Ma anche a Meloni, che in questo modo toglie alla Lega il suo asso migliore e lo riporta sotto l’ombrello tricolore di Fdi. A De Luca, che può fare ancora la sua “sceneggiata napoletana” con lo scudo della legittimità. E pure a chi, nel centrosinistra, non ha ancora trovato una vera alternativa locale e si accontenta del “meglio il diavolo che conosci”.
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A perderci? I principi. Ma quelli, ormai, sono sempre gli ultimi a votare.
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