L’acronimo #MAPA, “most affected people and areas”, è stato coniato per identificare e raggruppare tutte quelle popolazioni e aree geografiche maggiormente colpite dalle conseguenze della crisi climatica. Contrariamente a una visione globalizzante e livellante, essa non agisce su tutti allo stesso modo: i suoi effetti sono vissuti in maniera ineguale e amplificata in contesti dove mancano le possibilità e le risorse materiali per contrastarla. Coloro che hanno contribuito in misura minore all’attuale catastrofe ambientale, saranno i primi a pagare il #prezzo più alto.
Il termine MAPA si riferisce principalmente ai Paesi del cosiddetto Sud del mondo insieme alle comunità marginalizzate, ovunque esse vivano, in un’ottica intersezionale che evidenzia come le varie identità politiche, culturali, sociali di una persona possano creare un sistema di privilegi e discriminazioni che aggravano le condizioni delle comunità marginalizzate.
Secondo il rapporto dell’IPCC dell’ONU, che ha definito l’attuale situazione un “codice rosso per l’umanità“, eventi climatici estremi come la siccità che sta colpendo l’Angola, le forti inondazioni che interessano le aree del Pakistan, India e Bangladesh e le tempeste tropicali come quella che ha investito Haiti saranno sempre più frequenti. Se a ciò si aggiungono poi le azioni di distruzione ed espropriazione sistemica di territori abitati dalle popolazioni indigene, come sta avvenendo in Amazzonia, il quadro è allarmante.
Tutto ciò avviene senza che le #voci delle persone maggiormente coinvolte in questi eventi siano ascoltate o assumano un peso nelle decisioni e negli accordi presi a livello internazionale. In uno scenario così preoccupante, dove molt* attivist* MAPA rischiano spesso la vita per difendere i propri diritti e territori - come accaduto al luglio all’attivista sessantasettenne Joanna Stutchburynon che da anni si batteva contro la distruzione delle foreste del Kenya – la lotta alla crisi climatica deve iniziare a incorporare un profondo senso di giustizia sociale.
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#COP26
Il termine MAPA si riferisce principalmente ai Paesi del cosiddetto Sud del mondo insieme alle comunità marginalizzate, ovunque esse vivano, in un’ottica intersezionale che evidenzia come le varie identità politiche, culturali, sociali di una persona possano creare un sistema di privilegi e discriminazioni che aggravano le condizioni delle comunità marginalizzate.
Secondo il rapporto dell’IPCC dell’ONU, che ha definito l’attuale situazione un “codice rosso per l’umanità“, eventi climatici estremi come la siccità che sta colpendo l’Angola, le forti inondazioni che interessano le aree del Pakistan, India e Bangladesh e le tempeste tropicali come quella che ha investito Haiti saranno sempre più frequenti. Se a ciò si aggiungono poi le azioni di distruzione ed espropriazione sistemica di territori abitati dalle popolazioni indigene, come sta avvenendo in Amazzonia, il quadro è allarmante.
Tutto ciò avviene senza che le #voci delle persone maggiormente coinvolte in questi eventi siano ascoltate o assumano un peso nelle decisioni e negli accordi presi a livello internazionale. In uno scenario così preoccupante, dove molt* attivist* MAPA rischiano spesso la vita per difendere i propri diritti e territori - come accaduto al luglio all’attivista sessantasettenne Joanna Stutchburynon che da anni si batteva contro la distruzione delle foreste del Kenya – la lotta alla crisi climatica deve iniziare a incorporare un profondo senso di giustizia sociale.
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