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🤔 Ti stai chiedendo anche tu se hai diritto a ferie, malattia, maternità? Se sei tutelatə dagli infortuni? Come funziona la gestione separata Inps? Quali sono le compatibilità lavorative e di studio e come funziona il periodo fuorirete? Cos’è il decreto Calabria? Come sei inquadratə come medicə specializzandə? Se esistono organi di controllo per tutelare lə speciazzandə?
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OGGI (DOMENICA 14) ALLE 18.30!
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[TW: STUPRO DI GRUPPO/ TRANSFOBIA]
Due ragazze trans* sono in vacanza a Napoli, durante una serata in un bar conoscono un ragazzo e si danno appuntamento al loro B&B nei Quartieri Spagnoli. All’appuntamento si presentano in cinque che commettono violenza sessuale su una delle ragazze e aggrediscono l’altra, le rapinano entrambe e scappano.
Le ragazze vanno in Pronto Soccorso e denunciano l’accaduto.
Davanti a una violenza così efferata ci si aspetterebbe di trovare la notizia su tutti i giornali. Eppure, nonostante la gravità dell’episodio, non è praticamente comparso sui quotidiani nazionali: è forse di minor conto la violenza di genere se la donna è trans?
La stessa cultura transfobica e cis-patriarcale che fa da matrice alla violenza sessuale, fisica e sociale che vivono le persone trans* in Italia e di cui arrivano anche a morire, si alimenta anche dell’ invisibilizzazione mediatica applicata sistematicamente a questo tipo di episodio, derubricato in questo caso a mera cronaca locale.
L’invisibilizzazione mediatica non solo impedisce di rendere pubblica l’urgenza di agire contro la violenza transfobica, ma scoraggia le stesse persone trans dal potersi rivolgere a una qualsiasi istituzione (sanitaria e non) preposta alla loro tutela.
È ancor più grave che la stampa nazionale ignori un episodio di violenza di genere, ad appena pochi mesi dallo stupro di gruppo di Palermo e il femminicidio di Giulia Cecchettin. Diventa quasi evidente, pertanto, che si tratti di episodi a cui è stata data copertura per mero interesse di lucro in qualità di notizie diventate “trend topic” e guadagnare, così, dai “clickbait”, anzichè per reale interesse a fare luce sulla violenza patriarcale. Questo attenggiamento mediatico è ancor più grave in quanto contribuisce a una pericolosa diversificazione tra gli episodi di violenza generandone di serie A (quelli a carico delle donne cis) degni di “reale attenzione” e di serie B (quelli a carico delle donne trans).
Come personale sanitario riteniamo criminale e complice della transfobia queste forme di invisibilizzazione e continueremo a lottare affinché almeno le strutture sanitarie siano luoghi in cui chiunque subisca violenza possa ricevere cura, tutela e accoglienza, oltre ad essere luoghi di diffusione della cultura della prevenzione e di sensibilizzazione sul tema.
Due ragazze trans* sono in vacanza a Napoli, durante una serata in un bar conoscono un ragazzo e si danno appuntamento al loro B&B nei Quartieri Spagnoli. All’appuntamento si presentano in cinque che commettono violenza sessuale su una delle ragazze e aggrediscono l’altra, le rapinano entrambe e scappano.
Le ragazze vanno in Pronto Soccorso e denunciano l’accaduto.
Davanti a una violenza così efferata ci si aspetterebbe di trovare la notizia su tutti i giornali. Eppure, nonostante la gravità dell’episodio, non è praticamente comparso sui quotidiani nazionali: è forse di minor conto la violenza di genere se la donna è trans?
La stessa cultura transfobica e cis-patriarcale che fa da matrice alla violenza sessuale, fisica e sociale che vivono le persone trans* in Italia e di cui arrivano anche a morire, si alimenta anche dell’ invisibilizzazione mediatica applicata sistematicamente a questo tipo di episodio, derubricato in questo caso a mera cronaca locale.
L’invisibilizzazione mediatica non solo impedisce di rendere pubblica l’urgenza di agire contro la violenza transfobica, ma scoraggia le stesse persone trans dal potersi rivolgere a una qualsiasi istituzione (sanitaria e non) preposta alla loro tutela.
È ancor più grave che la stampa nazionale ignori un episodio di violenza di genere, ad appena pochi mesi dallo stupro di gruppo di Palermo e il femminicidio di Giulia Cecchettin. Diventa quasi evidente, pertanto, che si tratti di episodi a cui è stata data copertura per mero interesse di lucro in qualità di notizie diventate “trend topic” e guadagnare, così, dai “clickbait”, anzichè per reale interesse a fare luce sulla violenza patriarcale. Questo attenggiamento mediatico è ancor più grave in quanto contribuisce a una pericolosa diversificazione tra gli episodi di violenza generandone di serie A (quelli a carico delle donne cis) degni di “reale attenzione” e di serie B (quelli a carico delle donne trans).
Come personale sanitario riteniamo criminale e complice della transfobia queste forme di invisibilizzazione e continueremo a lottare affinché almeno le strutture sanitarie siano luoghi in cui chiunque subisca violenza possa ricevere cura, tutela e accoglienza, oltre ad essere luoghi di diffusione della cultura della prevenzione e di sensibilizzazione sul tema.
Ricordare la Nakba, per una memoria storica decoloniale
Oggi decorre l'anniversario della Nakba, “النكبة”, “la catastrofe” che nel 1948, con la proclamazione della nascita dello Stato di Israele, costrinse all'esodo più di 700.000 persone palestinesi [1]. Questo avvenne grazie a un’ ideologia razzista: l’ideologia sionista alla cui base sta l’idea, propria anche di altri movimenti colonialisti, di eliminare le persone native. Nel 1948 l’ autoproclamatosi Stato di Israele ottenne l’immediato riconoscimento da parte di alcuni stati del nord globale del mondo, primi tra tutti Stati Uniti e Russia. [2]
Fondamentale per arrivare alla Nakba fu il “Piano Dalet” un documento di 75 pagine, terminato il 10 marzo 1948 che organizzava, da un punto di vista militare, le missioni delle diverse strutture armate dell'Haganah, e preparava l'offensiva contro la popolazione palestinese. L’Haganah, organizzazione paramilitare ebraica, fu decisiva nel portare avanti il processo di pulizia etnica della Palestina durante il mandato britannico dal 1920 al 1948. L'Haganah fu poi integrata dalle forze di difesa israeliane (IDF).
Oggi più che mai appare indispensabile ricordare questo evento, non solo per comprendere cosa sta accadendo oggi in Palestina, ma anche per riflettere su come una narrazione univoca (bianca e occidentale) abbia impregnato di doppi standard la nostra memoria storica.
Alcuni mesi dopo la catastrofe, nel Dicembre del 1948 venne fondata l’ UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East),, con lo scopo di fornire assistenza alle persone palestinesi sfollate nei campi profughi di Gaza, Cisgiordania, Libano, Giordania e Siria). Ad oggi quest’ultima registra più di 5 milioni persone palestinesi profughe [3]. Ad oggi siamo alla 4a generazione di persone palestinesi profughe.
Dati che parlano chiaro delle conseguenze che 76 anni di occupazione illegittima hanno comportato per la popolazione di un intero paese e dell’intero continente ma che non sembrano attirare l’attenzione degli organismi mediatici occidentali che in questi mesi hanno strenuamente focalizzato il loro racconto esclusivamente sugli avvenimenti del 7 Ottobre, decontestualizzandoli, connotandoli come operazioni terroristiche ai danni dell’”unica democrazia del Medio Oriente” e privandoli, così facendo, del loro significato di Resistenza.
Fonti:
[1] Slater, Jerome (2020). Mythologies Without End: The US, Israel, and the Arab-Israeli Conflict, 1917-2020, pp. 81)
[2] Ilan Pappé, La Pulizia Etnica della Palestina
[3] UNRWA in Action, 2023, UNRWA Website
https://www.instagram.com/p/C6_oB43tqLI/?igsh=ZTdvNjJ4cHo2OGJ6
Oggi decorre l'anniversario della Nakba, “النكبة”, “la catastrofe” che nel 1948, con la proclamazione della nascita dello Stato di Israele, costrinse all'esodo più di 700.000 persone palestinesi [1]. Questo avvenne grazie a un’ ideologia razzista: l’ideologia sionista alla cui base sta l’idea, propria anche di altri movimenti colonialisti, di eliminare le persone native. Nel 1948 l’ autoproclamatosi Stato di Israele ottenne l’immediato riconoscimento da parte di alcuni stati del nord globale del mondo, primi tra tutti Stati Uniti e Russia. [2]
Fondamentale per arrivare alla Nakba fu il “Piano Dalet” un documento di 75 pagine, terminato il 10 marzo 1948 che organizzava, da un punto di vista militare, le missioni delle diverse strutture armate dell'Haganah, e preparava l'offensiva contro la popolazione palestinese. L’Haganah, organizzazione paramilitare ebraica, fu decisiva nel portare avanti il processo di pulizia etnica della Palestina durante il mandato britannico dal 1920 al 1948. L'Haganah fu poi integrata dalle forze di difesa israeliane (IDF).
Oggi più che mai appare indispensabile ricordare questo evento, non solo per comprendere cosa sta accadendo oggi in Palestina, ma anche per riflettere su come una narrazione univoca (bianca e occidentale) abbia impregnato di doppi standard la nostra memoria storica.
Alcuni mesi dopo la catastrofe, nel Dicembre del 1948 venne fondata l’ UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East),, con lo scopo di fornire assistenza alle persone palestinesi sfollate nei campi profughi di Gaza, Cisgiordania, Libano, Giordania e Siria). Ad oggi quest’ultima registra più di 5 milioni persone palestinesi profughe [3]. Ad oggi siamo alla 4a generazione di persone palestinesi profughe.
Dati che parlano chiaro delle conseguenze che 76 anni di occupazione illegittima hanno comportato per la popolazione di un intero paese e dell’intero continente ma che non sembrano attirare l’attenzione degli organismi mediatici occidentali che in questi mesi hanno strenuamente focalizzato il loro racconto esclusivamente sugli avvenimenti del 7 Ottobre, decontestualizzandoli, connotandoli come operazioni terroristiche ai danni dell’”unica democrazia del Medio Oriente” e privandoli, così facendo, del loro significato di Resistenza.
Fonti:
[1] Slater, Jerome (2020). Mythologies Without End: The US, Israel, and the Arab-Israeli Conflict, 1917-2020, pp. 81)
[2] Ilan Pappé, La Pulizia Etnica della Palestina
[3] UNRWA in Action, 2023, UNRWA Website
https://www.instagram.com/p/C6_oB43tqLI/?igsh=ZTdvNjJ4cHo2OGJ6
Nel 2022, il numero verde 800713713, gestito da Gay Help Line - che dal 2020 risulta tra le fonti ufficiali dell'OSCE per il monitoraggio dei crimini d'odio verso le persone LGBT,- ha ricevuto 21.000 contatti.
Le più colpite sono le persone trans, le cui segnalazioni arrivano al 14,7% dei contatti, in particolare giovani e adolescenti.
Come riportato invece da ACET l’Italia è il paese europeo con il più alto numero di vittime di odio transfobico: 310 sono le vittime solo nell’ultimo anno (solo la scorsa settimana erano 38), Il 95% sono donne trans, per l’81% si tratta di omicidi.
Tra i contatti, il 41,6% subisce violenza omotransfobica in famiglia in seguito al coming out: chi subisce violenza nel 31,6% ha tra gli 11 e i 26 anni.
Per il 15% sono minori a subire maltrattamenti familiari protratti nel tempo e caratterizzati da un'escalation di violenza: la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di conversione, il controllo che sfocia nella violenza verbale e fisica.
Nel 5,7% dei casi il bullismo omotransfobico ha favorito l'abbandono scolastico e solo unə studente transgender su 5 ha ottenuto l'applicazione a scuola della "carriera alias", che prevede l'autorizzazione a utilizzare nei documenti scolastici pronomi e nome di scelta elezione .
Il 17% dellɜ giovani che hanno contattato Gay Help Line raccontano di aver perso il sostegno economico da parte dei familiari, compromettendo i loro percorsi di studio e formazione.
Su circa 400 casi di giovani cacciatɜ di casa solo il 10% riesce e trovare ospitalità nelle case famiglia protette. Nel 12,6% dei casi violenza e discriminazione omotransfobiche sono state causa di marginalità sociale e disagio abitativo anche nelle fasce di età adulte, fino a 70 anni: le risposte del sistema dell'accoglienza alle conseguenze sociali dell'omotransfobia risultano a oggi insufficienti, in particolare per le persone trans.
Dell'11,4% di segnalazioni di discriminazione lavorativa, 3 casi su 4 riguardano persone trans per cui la barriera nell'accesso al mondo del lavoro è elevatissima. Il 12% delle segnalazioni riguarda aggressioni, molestie e atti di odio omotransfobico in luoghi pubblici o sul posto di lavoro. Solo il 38% delle vittime di aggressione si è recato in pronto soccorso dopo aver riportato lesioni e nella maggior parte dei casi non ha dichiarato di aver subito violenza perché facente parte della comunità Lgbt+. Questo rappresenta un grave fallimento dell’applicazione del principio di universalismo sulla sanità, perché questo dato denota sfiducia anche verso lɜ operatorɜ sanitariɜ.
In questo contesto, come per gli episodi di violenza di genere, è importante non cadere nell’errore di individuare questi episodi come casi isolati, come invece spesso vengono narrati dalla stampa. L’omolesbobitransfobia è una naturale conseguenza dell’eterocispatriarcato proprio perché ci viene insegnato sin da giovani che esiste una norma, eterosessuale e cisgenere, e dunque tutto ciò che vi cade al di fuori è. Inoltre, proprio per il suo carattere sistemico, gli episodi di omolesbobitransfobia più violenti sono possibili proprio per la continua normalizzazione delle forme di micro violenza derubricate a battute o gogliardia.
Come medicɜ vogliamo dirlo chiaramente: l’omolesbobitransfobia è una minaccia al benessere fisico e psicosociale delle persone e dunque una minaccia al loro benessere. E per quanto sia un fenomeno grande e apparentemente difficile da sradicare noi abbiamo ben chiaro quale sia lo strumento più potente per prevenirlo: l’educazione sessuale.
Un’educazione sessuale al piacere e al consenso, non binaria e non eterocisnormata. Un’educazione sessuale da svolgere non solo nelle scuole, ma anche nelle università, nei luoghi di lavoro e negli spazi di aggregazione. Perché nessunə di noi vive al di fuori dal eterocispatriarcato e dunque l’unico modo per uscirne è farlo.
Le più colpite sono le persone trans, le cui segnalazioni arrivano al 14,7% dei contatti, in particolare giovani e adolescenti.
Come riportato invece da ACET l’Italia è il paese europeo con il più alto numero di vittime di odio transfobico: 310 sono le vittime solo nell’ultimo anno (solo la scorsa settimana erano 38), Il 95% sono donne trans, per l’81% si tratta di omicidi.
Tra i contatti, il 41,6% subisce violenza omotransfobica in famiglia in seguito al coming out: chi subisce violenza nel 31,6% ha tra gli 11 e i 26 anni.
Per il 15% sono minori a subire maltrattamenti familiari protratti nel tempo e caratterizzati da un'escalation di violenza: la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di conversione, il controllo che sfocia nella violenza verbale e fisica.
Nel 5,7% dei casi il bullismo omotransfobico ha favorito l'abbandono scolastico e solo unə studente transgender su 5 ha ottenuto l'applicazione a scuola della "carriera alias", che prevede l'autorizzazione a utilizzare nei documenti scolastici pronomi e nome di scelta elezione .
Il 17% dellɜ giovani che hanno contattato Gay Help Line raccontano di aver perso il sostegno economico da parte dei familiari, compromettendo i loro percorsi di studio e formazione.
Su circa 400 casi di giovani cacciatɜ di casa solo il 10% riesce e trovare ospitalità nelle case famiglia protette. Nel 12,6% dei casi violenza e discriminazione omotransfobiche sono state causa di marginalità sociale e disagio abitativo anche nelle fasce di età adulte, fino a 70 anni: le risposte del sistema dell'accoglienza alle conseguenze sociali dell'omotransfobia risultano a oggi insufficienti, in particolare per le persone trans.
Dell'11,4% di segnalazioni di discriminazione lavorativa, 3 casi su 4 riguardano persone trans per cui la barriera nell'accesso al mondo del lavoro è elevatissima. Il 12% delle segnalazioni riguarda aggressioni, molestie e atti di odio omotransfobico in luoghi pubblici o sul posto di lavoro. Solo il 38% delle vittime di aggressione si è recato in pronto soccorso dopo aver riportato lesioni e nella maggior parte dei casi non ha dichiarato di aver subito violenza perché facente parte della comunità Lgbt+. Questo rappresenta un grave fallimento dell’applicazione del principio di universalismo sulla sanità, perché questo dato denota sfiducia anche verso lɜ operatorɜ sanitariɜ.
In questo contesto, come per gli episodi di violenza di genere, è importante non cadere nell’errore di individuare questi episodi come casi isolati, come invece spesso vengono narrati dalla stampa. L’omolesbobitransfobia è una naturale conseguenza dell’eterocispatriarcato proprio perché ci viene insegnato sin da giovani che esiste una norma, eterosessuale e cisgenere, e dunque tutto ciò che vi cade al di fuori è. Inoltre, proprio per il suo carattere sistemico, gli episodi di omolesbobitransfobia più violenti sono possibili proprio per la continua normalizzazione delle forme di micro violenza derubricate a battute o gogliardia.
Come medicɜ vogliamo dirlo chiaramente: l’omolesbobitransfobia è una minaccia al benessere fisico e psicosociale delle persone e dunque una minaccia al loro benessere. E per quanto sia un fenomeno grande e apparentemente difficile da sradicare noi abbiamo ben chiaro quale sia lo strumento più potente per prevenirlo: l’educazione sessuale.
Un’educazione sessuale al piacere e al consenso, non binaria e non eterocisnormata. Un’educazione sessuale da svolgere non solo nelle scuole, ma anche nelle università, nei luoghi di lavoro e negli spazi di aggregazione. Perché nessunə di noi vive al di fuori dal eterocispatriarcato e dunque l’unico modo per uscirne è farlo.
Inoltre, se consideriamo l’omolesbobitransfobia una minaccia per la salute, è necessario integrare nella formazione medica strumenti per riconoscerla e liberare le sua manifestazioni nella pratica medica. Se anche solo unə paziente rinuncia alle cure per paura di sentirsi giudicatə per il suo orientamento sessuale o identità di genere all’interno di una struttura sanitaria, come istituzione preposta alla tutela della salute stiamo fallendo.
E se la prevenzione è l’educazione sessuale, la cura deve stare nella tutela di chi subisce queste forme di violenza attraverso strutture di accoglienza in ogni città, attraverso percorsi gratuiti e dedicati di fuoriuscita dalla violenza, attraverso strumenti welfaristici che permettano alle persone di autodeterminarsi. Mai più unə ragazzə deve vedere compromessa la propria possibilità di formarsi o di vedersi negato il dirittto all’abitare - che sia per il suo orientamento sessuale o per le proprie condizioni di economiche.
Infine vogliamo essere chiari anche nell’attribuire la responsabilità principale per il persistere di un fenomeno così odioso: chi si oppone all’educazione sessuale nelle scuole, chi definanzia i centri di accoglienza, chi rende ostili e giudicanti i centri MST è corresponsabile di ogni singola forma di marginalizzazione e violenza. E ci troverà sempre dal lato opposto della barricata.
E se la prevenzione è l’educazione sessuale, la cura deve stare nella tutela di chi subisce queste forme di violenza attraverso strutture di accoglienza in ogni città, attraverso percorsi gratuiti e dedicati di fuoriuscita dalla violenza, attraverso strumenti welfaristici che permettano alle persone di autodeterminarsi. Mai più unə ragazzə deve vedere compromessa la propria possibilità di formarsi o di vedersi negato il dirittto all’abitare - che sia per il suo orientamento sessuale o per le proprie condizioni di economiche.
Infine vogliamo essere chiari anche nell’attribuire la responsabilità principale per il persistere di un fenomeno così odioso: chi si oppone all’educazione sessuale nelle scuole, chi definanzia i centri di accoglienza, chi rende ostili e giudicanti i centri MST è corresponsabile di ogni singola forma di marginalizzazione e violenza. E ci troverà sempre dal lato opposto della barricata.
👩🏻⚕️Doctors4Future -> 🌏 OneHealth4Future !
Nel 2021 abbiamo lanciato la campagna Doctors4Future, con l’intenzione di sensibilizzare ed attivare lɜ professionistɜ della salute nella lotta per la giustizia climatica. Lo abbiamo fatto con l’idea che ciascuno nel proprio ambito debba contribuire a questa lotta, ma anche con la convinzione che la crisi ecoclimatica è una crisi di salute globale.
Nel corso degli anni abbiamo approfondito il tema della crisi ecoclimatica, mettendoci a fianco dei movimenti per la giustizia climatica e sviluppando la consapevolezza che il nostro contributo poteva collocarsi solamente in una dimensione interdisciplinare e integrata. Abbiamo sviluppato un’esigenza sempre maggiore di collocare la nostra dimensione di professionistɜ sanitariɜ a fronte di una crisi che sarà multisistemica e che toccherà ogni dimensione della nostra vita, e di integrare maggiormente il nostro ruolo nel contesto della lotta per la giustizia climatica, abbracciando una dimensione più ampia del nostro ruolo e una prospettiva più complessiva della salute che vogliamo per il futuro.
Oltre a ciò, la campagna è cresciuta anche in termini numerici, coinvolgendo figure non mediche, contribuendo all’esigenza di avviare una riflessione sulla nostra identità come campagna, sulla nostra azione e sui nostri obiettivi.
Per rispondere a queste esigenze, abbiamo voluto superare l’identità “professionale” di “Doctors” mettendo al centro della nostra azione non il ruolo che svolgiamo, ma l’obiettivo ultimo che ci accomuna, sia nel nostro lavoro che della nostra azione come attivistɜ: la Salute, Health.
Abbiamo, però, voluto fare un ulteriore passo. Abbiamo voluto che, all’allargamento della nostra composizione, corrispondesse anche un ampliamento della nostra azione. Doctors4Future è parte di un movimento più ampio, promosso dall’associazione Chi si cura di te?, per una Medicina Intersezionale. Intersezionalità significa saper riconoscere, dietro ogni ingiusta, un sistema di discriminazioni su più livelli (di genere, di razza, di classe, di orientamento sessuale ecc) che si intrecciano e si rafforzano fra di loro.
Così come con la campagna Medicina Decoloniale vogliamo smantellare la visione occidentalocentrica, e con la campagna Medicina Transfemminista decostruire il modello patriarcale della medicina, con la campagna per la giustizia climatica vogliamo mettere in discussione la visione antropocentrica dell’ecosistema, a favore della salute globale di tutte le specie viventi e dell’ambiente che le circonda.
Non si può immaginare un mondo fondato sulla giustizia, se questa non è rivolta a tutte le forme di vita del pianeta. Per questo motivo, abbiamo deciso di assumere l’approccio olistico e intrinsecamente intersezionale della One Health, che vediamo oggi come unica e irrinunciabile risposta non solo per opporsi alla crisi ecoclimatica, ma per immaginare e costruire un mondo di giustizia per tutte le specie viventi.
Nei prossimi giorni e settimane approfondiremo il tema della OneHealth, della salute animali, dell'alimentazione, ecc.
Seguici per rimanere aggiornatə!
👉https://t.me/+joIZvg-Xo8ZlYmFk
Nel 2021 abbiamo lanciato la campagna Doctors4Future, con l’intenzione di sensibilizzare ed attivare lɜ professionistɜ della salute nella lotta per la giustizia climatica. Lo abbiamo fatto con l’idea che ciascuno nel proprio ambito debba contribuire a questa lotta, ma anche con la convinzione che la crisi ecoclimatica è una crisi di salute globale.
Nel corso degli anni abbiamo approfondito il tema della crisi ecoclimatica, mettendoci a fianco dei movimenti per la giustizia climatica e sviluppando la consapevolezza che il nostro contributo poteva collocarsi solamente in una dimensione interdisciplinare e integrata. Abbiamo sviluppato un’esigenza sempre maggiore di collocare la nostra dimensione di professionistɜ sanitariɜ a fronte di una crisi che sarà multisistemica e che toccherà ogni dimensione della nostra vita, e di integrare maggiormente il nostro ruolo nel contesto della lotta per la giustizia climatica, abbracciando una dimensione più ampia del nostro ruolo e una prospettiva più complessiva della salute che vogliamo per il futuro.
Oltre a ciò, la campagna è cresciuta anche in termini numerici, coinvolgendo figure non mediche, contribuendo all’esigenza di avviare una riflessione sulla nostra identità come campagna, sulla nostra azione e sui nostri obiettivi.
Per rispondere a queste esigenze, abbiamo voluto superare l’identità “professionale” di “Doctors” mettendo al centro della nostra azione non il ruolo che svolgiamo, ma l’obiettivo ultimo che ci accomuna, sia nel nostro lavoro che della nostra azione come attivistɜ: la Salute, Health.
Abbiamo, però, voluto fare un ulteriore passo. Abbiamo voluto che, all’allargamento della nostra composizione, corrispondesse anche un ampliamento della nostra azione. Doctors4Future è parte di un movimento più ampio, promosso dall’associazione Chi si cura di te?, per una Medicina Intersezionale. Intersezionalità significa saper riconoscere, dietro ogni ingiusta, un sistema di discriminazioni su più livelli (di genere, di razza, di classe, di orientamento sessuale ecc) che si intrecciano e si rafforzano fra di loro.
Così come con la campagna Medicina Decoloniale vogliamo smantellare la visione occidentalocentrica, e con la campagna Medicina Transfemminista decostruire il modello patriarcale della medicina, con la campagna per la giustizia climatica vogliamo mettere in discussione la visione antropocentrica dell’ecosistema, a favore della salute globale di tutte le specie viventi e dell’ambiente che le circonda.
Non si può immaginare un mondo fondato sulla giustizia, se questa non è rivolta a tutte le forme di vita del pianeta. Per questo motivo, abbiamo deciso di assumere l’approccio olistico e intrinsecamente intersezionale della One Health, che vediamo oggi come unica e irrinunciabile risposta non solo per opporsi alla crisi ecoclimatica, ma per immaginare e costruire un mondo di giustizia per tutte le specie viventi.
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Giornata interregionale dedicata alla Medicina Intersezionale
Vogliamo costruire una medicina libera dal patriarcato, con postura ecologica a garantire un’unica salute globale, accessibile, continua e di qualità in qualsiasi contesto geografico e sociale del paese, una medicina decoloniale e che tuteli il lavoro delle professioniste della sanità a partire dalla loro salute mentale.
Abbiamo immaginato un’intera giornata, con momenti plenari, momenti di elaborazione in gruppi e momenti dedicati alla socialità, per consentire interazioni e costruzioni di relazioni fra individui e associazioni.
Ci vediamo sabato 6 luglio dalle 10.00 alle 19.00. L'assemblea sarà ospitata dall'Intifada studentesca di via Festa del Perdono, aula 211.
Vi chiediamo di compilare il modulo per avere una stima di quantɜ saremo e poter organizzare al meglio la giornata.
Vi aspettiamo!
https://forms.gle/FEPeWYJ9UaEYKnfm6
Vogliamo costruire una medicina libera dal patriarcato, con postura ecologica a garantire un’unica salute globale, accessibile, continua e di qualità in qualsiasi contesto geografico e sociale del paese, una medicina decoloniale e che tuteli il lavoro delle professioniste della sanità a partire dalla loro salute mentale.
Abbiamo immaginato un’intera giornata, con momenti plenari, momenti di elaborazione in gruppi e momenti dedicati alla socialità, per consentire interazioni e costruzioni di relazioni fra individui e associazioni.
Ci vediamo sabato 6 luglio dalle 10.00 alle 19.00. L'assemblea sarà ospitata dall'Intifada studentesca di via Festa del Perdono, aula 211.
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Giornata interregionale della Medicina Intersezionale - @ Milano, Festa del Perdono, aula 211
Da alcuni anni, la nostra associazione ha iniziato ad affrontare tematiche che vanno oltre la sola attività sindacale per cui era stata fondata, rispondendo a una prescrizione del nostro statuto secondo il quale la medicina deve essere un’attività sociale…
MEDICINA INTERNAZIONALE? DEFINIAMOLA INSIEME
Milano, 06/07. Link in bio per partecipare.
Vogliamo costruire una medicina libera dal patriarcato, con postura ecologica a garantire un’unica salute globale, accessibile, continua e di qualità in qualsiasi contesto geografico e sociale del paese, una medicina decoloniale e che tuteli lɜ lavoratorɜ a partire dalla loro salute mentale.
Abbiamo immaginato un’intera giornata, con momenti plenari, momenti di elaborazione in gruppi e momenti dedicati alla socialità, per consentire interazioni e costruzioni di relazioni fra individui e associazioni.
Un primo obiettivo trasversale all’incontro sarà, quindi, la possibilità di intessere nuove relazioni o rafforzare quelle già esistenti.
Vogliamo poi ripartire dal concetto di intersezionalità, cercando di capire quanto siamo capaci di rispondere alla domanda “Che cos’è l’intersezionalità?”.
Ci chiederemo quindi: come dovrebbe manifestarsi la medicina intersezionale nella vita quotidiana locale?
E infine, come potrebbe influire la medicina intersezionale a livello globale?
Invitiamo tuttɜ a partecipare, come singolɜ o come associazioni, portando ciascunə le proprie esperienze, conoscenze, proposte e idee.
L'assemblea sarà ospitata dall'Intifada studentesca di via Festa del Perdono, aula 211.
Vi chiediamo di compilare il form (https://forms.gle/FEPeWYJ9UaEYKnfm6) per avere una stima di quantɜ saremo e poter organizzare al meglio la giornata.
Vi aspettiamo!
Milano, 06/07. Link in bio per partecipare.
Vogliamo costruire una medicina libera dal patriarcato, con postura ecologica a garantire un’unica salute globale, accessibile, continua e di qualità in qualsiasi contesto geografico e sociale del paese, una medicina decoloniale e che tuteli lɜ lavoratorɜ a partire dalla loro salute mentale.
Abbiamo immaginato un’intera giornata, con momenti plenari, momenti di elaborazione in gruppi e momenti dedicati alla socialità, per consentire interazioni e costruzioni di relazioni fra individui e associazioni.
Un primo obiettivo trasversale all’incontro sarà, quindi, la possibilità di intessere nuove relazioni o rafforzare quelle già esistenti.
Vogliamo poi ripartire dal concetto di intersezionalità, cercando di capire quanto siamo capaci di rispondere alla domanda “Che cos’è l’intersezionalità?”.
Ci chiederemo quindi: come dovrebbe manifestarsi la medicina intersezionale nella vita quotidiana locale?
E infine, come potrebbe influire la medicina intersezionale a livello globale?
Invitiamo tuttɜ a partecipare, come singolɜ o come associazioni, portando ciascunə le proprie esperienze, conoscenze, proposte e idee.
L'assemblea sarà ospitata dall'Intifada studentesca di via Festa del Perdono, aula 211.
Vi chiediamo di compilare il form (https://forms.gle/FEPeWYJ9UaEYKnfm6) per avere una stima di quantɜ saremo e poter organizzare al meglio la giornata.
Vi aspettiamo!
ATTENZIONE ATTENZIONE: INCONTRO DI DOMANI SU MEDICINA INTERSEZIONALE SPOSTATO DI SEDE.
Ci scusiamo per l'inconveniente e lo scarso preavviso, ma purtroppo abbiamo saputo poco fa che l'aula dell'Intifada Studentesca in Festa del Perdono è stata sgomberata dall'Università. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà allɜ studentɜ, ma siamo costrettɜ a spostare l'incontro al circolo Arci Traverso Via Ambrogio Figino, 13. A domani!
Ci scusiamo per l'inconveniente e lo scarso preavviso, ma purtroppo abbiamo saputo poco fa che l'aula dell'Intifada Studentesca in Festa del Perdono è stata sgomberata dall'Università. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà allɜ studentɜ, ma siamo costrettɜ a spostare l'incontro al circolo Arci Traverso Via Ambrogio Figino, 13. A domani!
Forwarded from Alessandra
Ciao!
Giro l'invito a partecipare ad uno studio che abbiamo attivato al momento solo in Piemonte, orientato ad indagare la frequenza di molestie sul lavoro in sanità che ricevono giovani soggettività riconosciute nel genere femminile neoabilitate alla professione.
Vi prego di diffondere il più possibile, grazie!
Giro l'invito a partecipare ad uno studio che abbiamo attivato al momento solo in Piemonte, orientato ad indagare la frequenza di molestie sul lavoro in sanità che ricevono giovani soggettività riconosciute nel genere femminile neoabilitate alla professione.
Vi prego di diffondere il più possibile, grazie!
Forwarded from Alessandra
Gentile Collega,
con questo messaggio ti invitiamo a partecipare al Progetto MoLLa – Molestie sul luogo di lavoro.
Si tratta di una ricerca promossa dalla Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell’Università di Torino, autorizzata dal Comitato Etico con prot. N. 0437755 del 19/07/2024.
Il progetto mira a indagare la frequenza e la natura delle molestie subite durante l’attività lavorativa dalle professioniste neolaureate in Medicina e Chirurgia o Professioni Sanitarie.
La tua collaborazione richiederebbe la segnalazione di eventuali molestie durante il periodo dello studio (6 mesi) attraverso un breve form online.
Se sei abilitata da meno di 5 anni, sei interessata al progetto e vuoi collaborare con noi, ti invitiamo ad un incontro introduttivo venerdì 18/10/2024 alle ore 16:00 presso l’Aula Magna del Presidio CTO in via Zuretti 29, Torino. Confermaci la tua presenza a questo link: https://forms.gle/PgwfmY85fpGT9vDH6
In questo incontro saremo felici di condividere le informazioni necessarie per la partecipazione e offrirti un piccolo rinfresco.
Vorresti partecipare ma hai già preso impegni per quel giorno? Mandaci una mail all'indirizzo progettomolla@gmail.com e possiamo concordare una modalità alternativa di ingresso nello studio.
Giacomo, Alessandra, Carola e Samuele
Gruppo di Lavoro MoLLa
con questo messaggio ti invitiamo a partecipare al Progetto MoLLa – Molestie sul luogo di lavoro.
Si tratta di una ricerca promossa dalla Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell’Università di Torino, autorizzata dal Comitato Etico con prot. N. 0437755 del 19/07/2024.
Il progetto mira a indagare la frequenza e la natura delle molestie subite durante l’attività lavorativa dalle professioniste neolaureate in Medicina e Chirurgia o Professioni Sanitarie.
La tua collaborazione richiederebbe la segnalazione di eventuali molestie durante il periodo dello studio (6 mesi) attraverso un breve form online.
Se sei abilitata da meno di 5 anni, sei interessata al progetto e vuoi collaborare con noi, ti invitiamo ad un incontro introduttivo venerdì 18/10/2024 alle ore 16:00 presso l’Aula Magna del Presidio CTO in via Zuretti 29, Torino. Confermaci la tua presenza a questo link: https://forms.gle/PgwfmY85fpGT9vDH6
In questo incontro saremo felici di condividere le informazioni necessarie per la partecipazione e offrirti un piccolo rinfresco.
Vorresti partecipare ma hai già preso impegni per quel giorno? Mandaci una mail all'indirizzo progettomolla@gmail.com e possiamo concordare una modalità alternativa di ingresso nello studio.
Giacomo, Alessandra, Carola e Samuele
Gruppo di Lavoro MoLLa
Google Docs
Partecipazione progetto MoLLa
Per qualsiasi informazione scrivici a progettomolla@gmail.com