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✑ Tratta da “Il Mondo Nuovo”, ribalteremo completamente il significato di questa frase, perno del nuovo globo dall’anno 1 di Ford nel celebre romanzo di Huxley. ⁽¹⁾
La capacità di auto-determinazione degli individui che compongono una civiltà funge come metro di misura culturale, politico, economico e sociale: più le persone riconosceranno che la stabilità sociale “buona” dipende dai singoli individui, senza quindi delegare il proprio destino a entità sfumate come “Stato” e “Partiti”, più questi avranno molto meno margine di abuso nei nostri confronti. Non siamo gli unici a ribadire il concetto che l’emancipazione popolare sta nel riconoscere il potere dell’individualismo e la cosa che più ci fa riflettere è che ragionamenti di matrice simile vengano definiti come atti di “gatekeeping”: forse, uno dei colpi più bassi che le forze politiche “anti-sistema” hanno inflitto alle voci libere che scelgono di non stare da nessuna delle parti in commedia.
✑ Tratta da “Il Mondo Nuovo”, ribalteremo completamente il significato di questa frase, perno del nuovo globo dall’anno 1 di Ford nel celebre romanzo di Huxley. ⁽¹⁾
La capacità di auto-determinazione degli individui che compongono una civiltà funge come metro di misura culturale, politico, economico e sociale: più le persone riconosceranno che la stabilità sociale “buona” dipende dai singoli individui, senza quindi delegare il proprio destino a entità sfumate come “Stato” e “Partiti”, più questi avranno molto meno margine di abuso nei nostri confronti. Non siamo gli unici a ribadire il concetto che l’emancipazione popolare sta nel riconoscere il potere dell’individualismo e la cosa che più ci fa riflettere è che ragionamenti di matrice simile vengano definiti come atti di “gatekeeping”: forse, uno dei colpi più bassi che le forze politiche “anti-sistema” hanno inflitto alle voci libere che scelgono di non stare da nessuna delle parti in commedia.
Nancy Pelosi a Taiwan: vediamo un po’ che succede…
✑ Senz’altro nulla di buono, a meno che non si tratti dell’ennesimo spauracchio per tenere alta l’attenzione. Sospettavamo che dopo la “rassicurante” telefonata tra Biden e Xi-Jinping ⁽¹⁾ c’era un dettaglio che stava venendo meno… ed era proprio l’iniziativa della terza carica di stato più alta negli USA, la speaker Nancy Pelosi, di andare a Taiwan, cui l’atterraggio nella piccola nazione insulare dalla lunga storia “ribelle” ⁽²⁾ è previsto tra oggi e domani mattina. Ad attenderla nelle vicinanze dovrebbe essere nientemeno che la USS Ronald Reagan (CVN-76), famosa “superportaerei” a propulsione nucleare nominata dal medesimo presidente ⁽³⁾ di cui si ha conferma che ha recentemente valicato il Mare Cinese Meridionale ⁽⁴⁾ e che adesso si aggirerebbe nel Mar delle Filippine a est del Canale di Bashi, come parte di un riposizionamento degli asset militari USA. Riguardo la visita di Pelosi a Taiwan, al momento, non si trovano né conferme né smentite ufficiali da Washington. ⁽⁵⁾ In ogni caso, la Cina non l’ha presa affatto bene, assicurando che le sue forze armate «non staranno a guardare» in caso di una visita a Taiwan da parte della Presidente della Camera degli Stati Uniti. Tuona il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian che «Vorremmo avvertire ancora gli USA che la Cina è in attesa e che l'Esercito popolare di liberazione non starà a guardare» e che «la Cina prenderà sicuramente contromisure decise e forti a difesa della sovranità e integrità territoriale; gli USA dovrebbero rispettare il principio dell'Unica Cina, i tre comunicati sino-americani, e mantenere la promessa del presidente Biden di non sostenere l'indipendenza di Taiwan». ⁽⁶⁾, ⁽⁷⁾ Quindi, al netto di schieramenti di eserciti intergalattici, ⁽⁸⁾ probabili ritorsioni di tipo economico da parte della Cina e i precedenti “avvertimenti” di Kissinger ⁽⁹⁾ la situazione è chiara: il Dragone sembra non scherzare. Nessuno vuole uno scontro diretto con la Cina (compresa l’amministrazione Biden) ma Pelosi, nonostante i ripetuti avvertimenti da parte dei ministeri della Difesa e degli Esteri cinesi che una sua visita destabilizzerebbe gli equilibri di Taiwan, sembrerebbe fregarsene altamente facendo uno strano doppio-gioco ⁽⁹⁾ con l’appoggio del Segretario di Stato Antony Blinken, che minimizza l’intero accaduto riguardo un’ipotetica visita dello speaker. ⁽¹⁰⁾ Ci auguriamo che Pelosi, nonostante il personaggio “ultra-liberal” quale è ⁽¹¹⁾ non si voglia prendere una responsabilità così grande da creare nuovi squarci diplomatici che, nella migliore delle ipotesi porterà a ritorsioni economiche da parte della Cina, come già sta accadendo: infatti, Pechino ha sospeso nella notte l'import di beni alimentari da oltre 180 imprese di Taiwan, mossa che appare come una vera e propria ritorsione che travolgono le borse asiatiche, tutte in forte calo. ⁽¹²⁾ Al momento, di certo c’è solo che da più di 25 anni nessuna alta carica statunitense ha toccato il suolo di Taiwan, che gli Stati Uniti fanno solo danni e che l’aereo di Pelosi ha lasciato Kuala Lampur. ⁽¹³⁾ Staremo a vedere.
✑ Senz’altro nulla di buono, a meno che non si tratti dell’ennesimo spauracchio per tenere alta l’attenzione. Sospettavamo che dopo la “rassicurante” telefonata tra Biden e Xi-Jinping ⁽¹⁾ c’era un dettaglio che stava venendo meno… ed era proprio l’iniziativa della terza carica di stato più alta negli USA, la speaker Nancy Pelosi, di andare a Taiwan, cui l’atterraggio nella piccola nazione insulare dalla lunga storia “ribelle” ⁽²⁾ è previsto tra oggi e domani mattina. Ad attenderla nelle vicinanze dovrebbe essere nientemeno che la USS Ronald Reagan (CVN-76), famosa “superportaerei” a propulsione nucleare nominata dal medesimo presidente ⁽³⁾ di cui si ha conferma che ha recentemente valicato il Mare Cinese Meridionale ⁽⁴⁾ e che adesso si aggirerebbe nel Mar delle Filippine a est del Canale di Bashi, come parte di un riposizionamento degli asset militari USA. Riguardo la visita di Pelosi a Taiwan, al momento, non si trovano né conferme né smentite ufficiali da Washington. ⁽⁵⁾ In ogni caso, la Cina non l’ha presa affatto bene, assicurando che le sue forze armate «non staranno a guardare» in caso di una visita a Taiwan da parte della Presidente della Camera degli Stati Uniti. Tuona il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian che «Vorremmo avvertire ancora gli USA che la Cina è in attesa e che l'Esercito popolare di liberazione non starà a guardare» e che «la Cina prenderà sicuramente contromisure decise e forti a difesa della sovranità e integrità territoriale; gli USA dovrebbero rispettare il principio dell'Unica Cina, i tre comunicati sino-americani, e mantenere la promessa del presidente Biden di non sostenere l'indipendenza di Taiwan». ⁽⁶⁾, ⁽⁷⁾ Quindi, al netto di schieramenti di eserciti intergalattici, ⁽⁸⁾ probabili ritorsioni di tipo economico da parte della Cina e i precedenti “avvertimenti” di Kissinger ⁽⁹⁾ la situazione è chiara: il Dragone sembra non scherzare. Nessuno vuole uno scontro diretto con la Cina (compresa l’amministrazione Biden) ma Pelosi, nonostante i ripetuti avvertimenti da parte dei ministeri della Difesa e degli Esteri cinesi che una sua visita destabilizzerebbe gli equilibri di Taiwan, sembrerebbe fregarsene altamente facendo uno strano doppio-gioco ⁽⁹⁾ con l’appoggio del Segretario di Stato Antony Blinken, che minimizza l’intero accaduto riguardo un’ipotetica visita dello speaker. ⁽¹⁰⁾ Ci auguriamo che Pelosi, nonostante il personaggio “ultra-liberal” quale è ⁽¹¹⁾ non si voglia prendere una responsabilità così grande da creare nuovi squarci diplomatici che, nella migliore delle ipotesi porterà a ritorsioni economiche da parte della Cina, come già sta accadendo: infatti, Pechino ha sospeso nella notte l'import di beni alimentari da oltre 180 imprese di Taiwan, mossa che appare come una vera e propria ritorsione che travolgono le borse asiatiche, tutte in forte calo. ⁽¹²⁾ Al momento, di certo c’è solo che da più di 25 anni nessuna alta carica statunitense ha toccato il suolo di Taiwan, che gli Stati Uniti fanno solo danni e che l’aereo di Pelosi ha lasciato Kuala Lampur. ⁽¹³⁾ Staremo a vedere.
Scoppia (l’altra) miccia dell’Est: la situazione tra Kosovo e Serbia
✑ 31 Luglio 2022: le autorità del Kosovo hanno chiuso due valichi al confine con la Serbia a causa dei blocchi stradali da parte dei dimostranti kossovari di etnia serba. ⁽¹⁾ Tali blocchi, orditi con dei camion posizionati a zig-zag sui valichi, sono la conseguenza delle proteste contro le nuove leggi approvate dal Governo pristino che impongono il divieto dell’uso di documenti e targhe serbe nelle regioni del nord a maggioranza serba. Le norme, dopo aver fallito l’anno scorso per lo stesso motivo ⁽²⁾ sarebbero dovute entrare in vigore da Lunedì 1 Agosto ma sono state rimandate, a quanto pare, su direttiva degli Stati Uniti: oltre alla presa di posizione dell’amministrazione Biden di «non voler aprire un altro fronte con Mosca» l’ambasciatore americano a Pristina, Jeffrey Hovenier, ha sollecitato Albin Kurti, Premier del Kosovo, a cercare una soluzione «pragmatica» sulle targhe; inoltre, ha suggerito di rinviare di un mese la scadenza per mettersi in regola: dal 30 Settembre al 31 Ottobre. Suggerimento, ovviamente, accolto. ⁽³⁾ Al netto di queste considerazioni, per noi non pare qualcosa di realmente serio, nonostante da Bruxelles, la NATO ha dichiarato di «essere pronta a intervenire, se verrà compromessa la stabilità della regione». ⁽⁴⁾ Ci voleva proprio, eh? È dunque chiaro che si sono riaccese le tensioni tra Belgrado e Pristina dove quest’ultima non riconosce l’indipendenza del Kosovo; tant’è che il presidente serbo Aleksandr Vucic, in un discorso, ha mostrato una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba e avvertito che se «i serbi saranno minacciati, la Serbia ne uscirà vittoriosa» e che infine «i serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic». ⁽⁵⁾ Dichiarazioni senz’altro poco diplomatiche. È da un po’ che Belgrado denuncia persecuzioni nei confronti della minoranza serba in Kosovo e questo non è mai importato a molti, senza tralasciare però la complessità della storia che lega il sanguinoso passato tra Kosovo e la Serbia: dalla pulizia etnica e genocidio nei Balcani fino ai giorni nostri. ⁽⁶⁾ Da come si deduce, una situazione complessa che parte col piede sbagliato sempre a causa dei pastrocchi diplomatici europei e dalla NATO: proprio come in Ucraina. La Russia, attraverso la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, chiede a «Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione Europea di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi in Kosovo». Zakharova conclude sottolineando che tale sviluppo degli eventi è l’ennesima prova delle politiche fallimentari della missione di mediazione dell’Unione Europea. Come darle torto… in conclusione, da un paio di giorni a questa parte sembrano esserci meno tensioni ma c’è chi è più realista, ribadendo che il raggiungimento del bivio tra un conflitto armato e una soluzione diplomatica tra Serbia e Kosovo sia nient’altro che rallentato di trenta giorni. ⁽⁷⁾
✑ 31 Luglio 2022: le autorità del Kosovo hanno chiuso due valichi al confine con la Serbia a causa dei blocchi stradali da parte dei dimostranti kossovari di etnia serba. ⁽¹⁾ Tali blocchi, orditi con dei camion posizionati a zig-zag sui valichi, sono la conseguenza delle proteste contro le nuove leggi approvate dal Governo pristino che impongono il divieto dell’uso di documenti e targhe serbe nelle regioni del nord a maggioranza serba. Le norme, dopo aver fallito l’anno scorso per lo stesso motivo ⁽²⁾ sarebbero dovute entrare in vigore da Lunedì 1 Agosto ma sono state rimandate, a quanto pare, su direttiva degli Stati Uniti: oltre alla presa di posizione dell’amministrazione Biden di «non voler aprire un altro fronte con Mosca» l’ambasciatore americano a Pristina, Jeffrey Hovenier, ha sollecitato Albin Kurti, Premier del Kosovo, a cercare una soluzione «pragmatica» sulle targhe; inoltre, ha suggerito di rinviare di un mese la scadenza per mettersi in regola: dal 30 Settembre al 31 Ottobre. Suggerimento, ovviamente, accolto. ⁽³⁾ Al netto di queste considerazioni, per noi non pare qualcosa di realmente serio, nonostante da Bruxelles, la NATO ha dichiarato di «essere pronta a intervenire, se verrà compromessa la stabilità della regione». ⁽⁴⁾ Ci voleva proprio, eh? È dunque chiaro che si sono riaccese le tensioni tra Belgrado e Pristina dove quest’ultima non riconosce l’indipendenza del Kosovo; tant’è che il presidente serbo Aleksandr Vucic, in un discorso, ha mostrato una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba e avvertito che se «i serbi saranno minacciati, la Serbia ne uscirà vittoriosa» e che infine «i serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic». ⁽⁵⁾ Dichiarazioni senz’altro poco diplomatiche. È da un po’ che Belgrado denuncia persecuzioni nei confronti della minoranza serba in Kosovo e questo non è mai importato a molti, senza tralasciare però la complessità della storia che lega il sanguinoso passato tra Kosovo e la Serbia: dalla pulizia etnica e genocidio nei Balcani fino ai giorni nostri. ⁽⁶⁾ Da come si deduce, una situazione complessa che parte col piede sbagliato sempre a causa dei pastrocchi diplomatici europei e dalla NATO: proprio come in Ucraina. La Russia, attraverso la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, chiede a «Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione Europea di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi in Kosovo». Zakharova conclude sottolineando che tale sviluppo degli eventi è l’ennesima prova delle politiche fallimentari della missione di mediazione dell’Unione Europea. Come darle torto… in conclusione, da un paio di giorni a questa parte sembrano esserci meno tensioni ma c’è chi è più realista, ribadendo che il raggiungimento del bivio tra un conflitto armato e una soluzione diplomatica tra Serbia e Kosovo sia nient’altro che rallentato di trenta giorni. ⁽⁷⁾
La Cina stringe la morsa attorno a Taiwan
✑ Dal nostro ultimo post riguardo la possibile visita della Speaker di Stato americana Nancy Pelosi ⁽¹⁾ la situazione in Taiwan si è evoluta in modo a dir poco vertiginoso: la permanenza di Pelosi presso l’isola Formosa è stata breve ma intensa. Nella mattina di ieri ha lasciato Taipei. ⁽²⁾ Vediamo adesso quale scia sulfurea ha lasciato la Presidente delle Camere statunitense nella piccola isola “ribelle”. La Cina ha promesso ritorsioni economiche e l’ha mantenute: a partire dalla mattina di ieri 3 Agosto, la risposta della Cina alla chiara, ipocrita e sprovveduta provocazione americana finora è stata quella di condannare la visita di Pelosi a livello diplomatico ⁽³⁾; l’avviamento di esercitazioni militari che includono lancio di razzi balistici, compresi missili in grado di trasportare testate nucleari (ma finora armati di testate esplosive convenzionali); blocco parziale dell'isola da parte delle zone di esercizio militari che circondano Taiwan de-facto ⁽⁴⁾ almeno fino all'8 agosto; requisiti per le compagnie aeree di non volare nello spazio aereo di Taiwan; la sospensione del progetto di impianto di batterie CATL da 5 miliardi di dollari che creerebbe 10.000 posti di lavoro negli Stati Uniti; l’embargo sulla fornitura di sabbia naturale a Taiwan per la produzione di cemento e vetro, la sospensione delle importazioni da Taiwan verso la Cina di due tipi di pesce e agrumi perché “contaminati da Covid-19” ⁽⁵⁾ e la proibizione alle aziende cinesi di collaborare con la Taiwan Democracy Foundation e la Taiwan International Foundation for International Cooperation and Development. ⁽⁶⁾ Possiamo dire che Taiwan ha toccato, con tutte le probabilità, un punto di non ritorno. Che la Cina abbia usato questa visita come pretesto per indebolire Taiwan o che questo evento faccia parte di un disegno molto più grande, per quanto probabile ⁽⁷⁾ non possiamo ancora saperlo con certezza; ci sono però, alcuni aspetti da prendere in considerazione. Prima tra tutte è l’importanza strategica dal punto di vista economico e militare che l’isola Formosa rappresenta tanto per gli Stati Uniti quanto per la Repubblica popolare cinese. ⁽⁸⁾ La Cina ha avuto il pretesto per non mollare più l’osso e avvicinarsi sempre di più a una possibile conquista di Taiwan. Uno si chiederà: cosa accadrebbe se nella peggiore delle ipotesi il Dragone facesse il passo decisivo? Forse, non proprio quello che ci aspettiamo. Sono in molti a dare per per certo che un’invasione di Taiwan porterebbe a un faccia-a-faccia militare tra Cina e USA sventolando il Taiwan Relations Act, ma le cose andrebbero lette tra le righe e fare due chiare constatazioni: primo, né agli Stati Uniti né alla Cina converrebbe uno scontro militare per ovvi motivi. Secondo, che proprio nel Taiwan Relation Act non c’è traccia di alcun vincolo che obblighi le armate della Difesa americana a intervenire nell’isola in caso di attacco: bensì, udite udite, ma le vincola per sui rifornimenti ⁽⁹⁾ di equipaggiamenti militari: proprio come sta succedendo sul, possiamo dirlo, versante ucraino. ⁽¹⁰⁾ Quindi: un conflitto tra Cina e Taiwan (dove quest’ultima sarebbe destinata a soccombere) non obbligherebbe gli Stati Uniti a intervenire militarmente, bensì nel rifornimento di armi che porterebbe (oltre a guadagni colossali per i produttori di armi) a nuovi squilibri planetari dal punto di vista militare ed economico per via delle ritorsioni che aggraveranno la crisi dei semiconduttori, o comunque la leadership di Taiwan in questo senso: l’India sembra sulla buona strada per sostituirla. ⁽¹¹⁾
Ah sì, ce n’è un altro di dato di fatto: a rimetterci saremo sempre noi.
✑ Dal nostro ultimo post riguardo la possibile visita della Speaker di Stato americana Nancy Pelosi ⁽¹⁾ la situazione in Taiwan si è evoluta in modo a dir poco vertiginoso: la permanenza di Pelosi presso l’isola Formosa è stata breve ma intensa. Nella mattina di ieri ha lasciato Taipei. ⁽²⁾ Vediamo adesso quale scia sulfurea ha lasciato la Presidente delle Camere statunitense nella piccola isola “ribelle”. La Cina ha promesso ritorsioni economiche e l’ha mantenute: a partire dalla mattina di ieri 3 Agosto, la risposta della Cina alla chiara, ipocrita e sprovveduta provocazione americana finora è stata quella di condannare la visita di Pelosi a livello diplomatico ⁽³⁾; l’avviamento di esercitazioni militari che includono lancio di razzi balistici, compresi missili in grado di trasportare testate nucleari (ma finora armati di testate esplosive convenzionali); blocco parziale dell'isola da parte delle zone di esercizio militari che circondano Taiwan de-facto ⁽⁴⁾ almeno fino all'8 agosto; requisiti per le compagnie aeree di non volare nello spazio aereo di Taiwan; la sospensione del progetto di impianto di batterie CATL da 5 miliardi di dollari che creerebbe 10.000 posti di lavoro negli Stati Uniti; l’embargo sulla fornitura di sabbia naturale a Taiwan per la produzione di cemento e vetro, la sospensione delle importazioni da Taiwan verso la Cina di due tipi di pesce e agrumi perché “contaminati da Covid-19” ⁽⁵⁾ e la proibizione alle aziende cinesi di collaborare con la Taiwan Democracy Foundation e la Taiwan International Foundation for International Cooperation and Development. ⁽⁶⁾ Possiamo dire che Taiwan ha toccato, con tutte le probabilità, un punto di non ritorno. Che la Cina abbia usato questa visita come pretesto per indebolire Taiwan o che questo evento faccia parte di un disegno molto più grande, per quanto probabile ⁽⁷⁾ non possiamo ancora saperlo con certezza; ci sono però, alcuni aspetti da prendere in considerazione. Prima tra tutte è l’importanza strategica dal punto di vista economico e militare che l’isola Formosa rappresenta tanto per gli Stati Uniti quanto per la Repubblica popolare cinese. ⁽⁸⁾ La Cina ha avuto il pretesto per non mollare più l’osso e avvicinarsi sempre di più a una possibile conquista di Taiwan. Uno si chiederà: cosa accadrebbe se nella peggiore delle ipotesi il Dragone facesse il passo decisivo? Forse, non proprio quello che ci aspettiamo. Sono in molti a dare per per certo che un’invasione di Taiwan porterebbe a un faccia-a-faccia militare tra Cina e USA sventolando il Taiwan Relations Act, ma le cose andrebbero lette tra le righe e fare due chiare constatazioni: primo, né agli Stati Uniti né alla Cina converrebbe uno scontro militare per ovvi motivi. Secondo, che proprio nel Taiwan Relation Act non c’è traccia di alcun vincolo che obblighi le armate della Difesa americana a intervenire nell’isola in caso di attacco: bensì, udite udite, ma le vincola per sui rifornimenti ⁽⁹⁾ di equipaggiamenti militari: proprio come sta succedendo sul, possiamo dirlo, versante ucraino. ⁽¹⁰⁾ Quindi: un conflitto tra Cina e Taiwan (dove quest’ultima sarebbe destinata a soccombere) non obbligherebbe gli Stati Uniti a intervenire militarmente, bensì nel rifornimento di armi che porterebbe (oltre a guadagni colossali per i produttori di armi) a nuovi squilibri planetari dal punto di vista militare ed economico per via delle ritorsioni che aggraveranno la crisi dei semiconduttori, o comunque la leadership di Taiwan in questo senso: l’India sembra sulla buona strada per sostituirla. ⁽¹¹⁾
Ah sì, ce n’è un altro di dato di fatto: a rimetterci saremo sempre noi.
Amnesty International condanna Kiev
✑ La controversa ONG internazionale ⁽¹⁾ che «lotta contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani nel mondo» e vincitrice del sanguinoso Premio Nobel per la Pace ⁽²⁾ del 1977 Amnesty International riconosce, per la prima volta in assoluto, le colpe di Kiev nel conflitto russo-ucraino. Nel lungo articolo titolato: «Russia-Ucraina: “La condotta di guerra delle forze ucraine ha messo in pericolo la popolazione civile» ⁽³⁾ Amnesty ricostruisce la serie di responsabilità delle forze ucraine nel conflitto con la Federazione Russa, per mezzo di una ricerca svolta tra Aprile e Luglio 2022. Prima del verdetto, l’ONG avrebbe visitato «luoghi colpiti dagli attacchi, intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari delle vittime, analizzato le armi usate e svolte ricerche da remoto» traendo delle conclusioni in realtà, ben note. Secondo i ricercatori scesi in campo, le forze ucraine «hanno lanciato attacchi da centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi» e a sostegno di queste prove il Crisis Evidence Lab di Amnesty ⁽⁴⁾ si è servito di immagini satellitari, appurando che la maggior parte dei centri abitati dove si trovavano i soldati ucraini era a «chilometri di distanza dal fronte» e, dunque, ci sarebbero state alternative che «avrebbero potuto evitare di mettere in pericolo la popolazione civile»; infine, non è chiaro se nei casi in cui l’esercito ucraino che si era installato in edifici civili abbia chiesto ai residenti di evacuare i palazzi circostanti o fornito assistenza nel farlo: in ogni caso, è venuto meno al dovere di «prendere tutte le possibili precauzioni per proteggere i civili». Nel rapporto sono presenti una serie di testimonianze a dir poco agghiaccianti. Sono state costruite basi militari ucraine all’interno degli ospedali in cinque località, nelle scuole in almeno tre città, rendendo obbiettivi militari zone ad alta densità abitativa. Aver usato in questo modo scuole e adibito ospedali a scopi militari è «un’evidente violazione del diritto internazionale umanitario» concludendo che «attacchi indiscriminati che uccidono o feriscono civili o danneggiano obiettivi civili sono crimini di guerra». Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, notifica al Governo ucraino di assicurare immediatamente «l’allontanamento delle sue forze dai centri abitati o di evacuare le popolazioni civili dalle zone in cui le sue forze armate operano. Gli eserciti non devono mai usare gli ospedali per attività belliche e dovrebbero usare le scuole o le abitazioni dei civili solo come ultima risorsa, quando nessun’altra alternativa sia percorribile». Secondo Amnesty, il cosiddetto “diritto internazionale” chiede alle parti in conflitto di fare il possibile per non collocare obiettivi militari all’interno o nei pressi di centri abitati. Altri obblighi circa la protezione dei civili prevedono la loro evacuazione da luoghi prossimi a obiettivi militari e un preavviso efficace su ogni attacco che possa avere conseguenze per le popolazioni civili. Il 29 Luglio Amnesty ha trasmesso al ministero della Difesa di Kiev le conclusioni delle sue ricerche: al momento, nessuna risposta. Giorni dopo, Zelensky (furioso) commenta: «Abbiamo visto un rapporto che cerca di amnistiare lo Stato terrorista e di spostare la responsabilità dall'aggressore alla vittima. Se qualcuno scrive un rapporto in cui la vittima e l'aggressore sono presumibilmente uguali in qualcosa, se vengono analizzati alcuni dati sulla vittima e viene ignorato ciò che l'aggressore stava facendo in quel momento, ciò non può essere tollerato; non c'è nessuna condizione, nemmeno ipotetica, per cui qualsiasi attacco russo all'Ucraina diventi giustificato. Se pubblicate rapporti manipolativi, dovrete condividere con loro la responsabilità della morte delle persone». ⁽⁵⁾ Pura propaganda, dato che Amnesty, apparato atlantista quale è, nel rapporto dichiara di «non giustificare l’operazione russa». Qualsiasi cosa stia succedendo, abbiamo il presentimento che il conflitto russo-ucraino prenderà dei risvolti inattesi.
✑ La controversa ONG internazionale ⁽¹⁾ che «lotta contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani nel mondo» e vincitrice del sanguinoso Premio Nobel per la Pace ⁽²⁾ del 1977 Amnesty International riconosce, per la prima volta in assoluto, le colpe di Kiev nel conflitto russo-ucraino. Nel lungo articolo titolato: «Russia-Ucraina: “La condotta di guerra delle forze ucraine ha messo in pericolo la popolazione civile» ⁽³⁾ Amnesty ricostruisce la serie di responsabilità delle forze ucraine nel conflitto con la Federazione Russa, per mezzo di una ricerca svolta tra Aprile e Luglio 2022. Prima del verdetto, l’ONG avrebbe visitato «luoghi colpiti dagli attacchi, intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari delle vittime, analizzato le armi usate e svolte ricerche da remoto» traendo delle conclusioni in realtà, ben note. Secondo i ricercatori scesi in campo, le forze ucraine «hanno lanciato attacchi da centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi» e a sostegno di queste prove il Crisis Evidence Lab di Amnesty ⁽⁴⁾ si è servito di immagini satellitari, appurando che la maggior parte dei centri abitati dove si trovavano i soldati ucraini era a «chilometri di distanza dal fronte» e, dunque, ci sarebbero state alternative che «avrebbero potuto evitare di mettere in pericolo la popolazione civile»; infine, non è chiaro se nei casi in cui l’esercito ucraino che si era installato in edifici civili abbia chiesto ai residenti di evacuare i palazzi circostanti o fornito assistenza nel farlo: in ogni caso, è venuto meno al dovere di «prendere tutte le possibili precauzioni per proteggere i civili». Nel rapporto sono presenti una serie di testimonianze a dir poco agghiaccianti. Sono state costruite basi militari ucraine all’interno degli ospedali in cinque località, nelle scuole in almeno tre città, rendendo obbiettivi militari zone ad alta densità abitativa. Aver usato in questo modo scuole e adibito ospedali a scopi militari è «un’evidente violazione del diritto internazionale umanitario» concludendo che «attacchi indiscriminati che uccidono o feriscono civili o danneggiano obiettivi civili sono crimini di guerra». Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, notifica al Governo ucraino di assicurare immediatamente «l’allontanamento delle sue forze dai centri abitati o di evacuare le popolazioni civili dalle zone in cui le sue forze armate operano. Gli eserciti non devono mai usare gli ospedali per attività belliche e dovrebbero usare le scuole o le abitazioni dei civili solo come ultima risorsa, quando nessun’altra alternativa sia percorribile». Secondo Amnesty, il cosiddetto “diritto internazionale” chiede alle parti in conflitto di fare il possibile per non collocare obiettivi militari all’interno o nei pressi di centri abitati. Altri obblighi circa la protezione dei civili prevedono la loro evacuazione da luoghi prossimi a obiettivi militari e un preavviso efficace su ogni attacco che possa avere conseguenze per le popolazioni civili. Il 29 Luglio Amnesty ha trasmesso al ministero della Difesa di Kiev le conclusioni delle sue ricerche: al momento, nessuna risposta. Giorni dopo, Zelensky (furioso) commenta: «Abbiamo visto un rapporto che cerca di amnistiare lo Stato terrorista e di spostare la responsabilità dall'aggressore alla vittima. Se qualcuno scrive un rapporto in cui la vittima e l'aggressore sono presumibilmente uguali in qualcosa, se vengono analizzati alcuni dati sulla vittima e viene ignorato ciò che l'aggressore stava facendo in quel momento, ciò non può essere tollerato; non c'è nessuna condizione, nemmeno ipotetica, per cui qualsiasi attacco russo all'Ucraina diventi giustificato. Se pubblicate rapporti manipolativi, dovrete condividere con loro la responsabilità della morte delle persone». ⁽⁵⁾ Pura propaganda, dato che Amnesty, apparato atlantista quale è, nel rapporto dichiara di «non giustificare l’operazione russa». Qualsiasi cosa stia succedendo, abbiamo il presentimento che il conflitto russo-ucraino prenderà dei risvolti inattesi.
Bottega Veneta vieta ai cittadini russi di acquistare i propri prodotti: il caso (e i suoi retroscena)
✑ Non vedevamo l’ora di pubblicare questo post. 17 Luglio 2022, Firenze: fa il giro del Web un video ⁽¹⁾ che ritrae una delle scene che speravamo di aver riposto per sempre nel cassetto delle leggi razziali naziste. Un cliente russo, uno dei tanti che nel corso degli anni hanno contribuito in maniera considerevole nel settore del lusso e del turismo italiani ⁽²⁾ entra nella boutique fiorentina di Bottega Veneta per ‘spendere i suoi rubli e si vede rifiutata la transazione perché… russo. «Abbiamo istruzioni che non ci permettono di vendere prodotti a cittadini russi». Così la commessa, mera esecutrice di ordini, si giustifica alla negazione della transazione, ripresa in viso senza consenso nel famoso video girato dal cittadino russo: una delle “colpe” a cui un sito di fact-checking si è appigliato prima di cominciare a mistificare l’intera faccenda. ⁽³⁾ Ce n’è un’altra, però, ed è quella secondo cui un altro noto sito di fact-checking ha affermato in un articolo “Perché non bisogna demonizzare Bottega Veneta e la commessa”. ⁽⁴⁾ In sintesi, le suddette non andrebbero demonizzate perché agiscono in ottemperanza dell’articolo 3 del Regolamento di Esecuzione UE del 15 Marzo che applica restrizioni alla «vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni di lusso il cui valore è superiore a 300€ per articolo, salvo diversa indicazione». ⁽⁵⁾ Ebbene, a parte che la definizione stessa di “lusso” si aggancia a leggi di mercato che possono presentare ambiguità ⁽⁶⁾ saremo tutti d’accordo sul fatto che i cittadini russi, in realtà, NON sono diretti responsabili del conflitto russo-ucraino ⁽⁷⁾ e per quanto negare un prodotto o servizio per via dell’applicazione di sanzioni non sia direttamente una forma di razzismo vera e propria nei modi, è riconosciuto che nei metodi il razzismo prende e ha sempre preso piede nella società in modi molto subdoli e sottili ⁽⁸⁾ e questo episodio ne ha tutte le caratteristiche. Per il resto, sono pochissimi i prodotti che costano al di sotto di 300€ da Bottega Veneta ⁽⁹⁾ (calzini, cover per cellulari e accessori per la spiaggia ecc), indi per cui all’interno di una qualsiasi boutique ai cittadini russi è vietato acquistare la quasi-totalità dei prodotti disponibili, secondo questa norma. Ecco, ora immaginiamo se fuori dalle boutiques mettessero un’etichetta con su scritto: “ci dispiace: sei russo e non puoi acquistare il 99,999% dei prodotti, ma per quello 0,001% puoi entrare ugualmente”. Bottega Veneta non è nuova a polemiche che fanno parlare di sé: soprattutto di tipo fiscale, ⁽¹⁰⁾ considerazioni negative da parte degli stessi consumatori ⁽¹¹⁾ o addirittura il coinvolgimento in feste “elitarie”… ⁽¹²⁾ insomma, nulla di nuovo di ciò che accade dentro e fuori i mondi che ruotano attraverso la sudicia galassia della moda. ⁽¹³⁾, ⁽¹⁴⁾, ⁽¹⁵⁾ Noi condanniamo fermamente quest’azione perché, nonostante dietro tutta questa storia ci sia un “trabocchetto” (peraltro riconosciuto anche dalla stessa commessa nel video in questione verso la fine) ⁽¹⁶⁾ le discriminazioni non colpiscono gli oligarchi, il presunto obbiettivo delle sanzioni ⁽¹⁷⁾ ma la gente comune come studenti ⁽¹⁸⁾ e cittadini russi residenti in Occidente. ⁽¹⁹⁾ Per quanto vi sia la sfilza di Trattati che tutelano i diritti dell’uomo ⁽²⁰⁾ non ce ne vogliano, ma per noi non hanno alcun valore perché oltre ad essere le stesse associazioni d’élite ad aver creato questa situazione, tutto ciò sta accadendo sotto i loro occhi, consci dei macabri risvolti che discriminazioni del genere possono generare. In questo caso, la storia ci insegna due cose: primo, che è di fondamentale importanza agire attivamente dinanzi i soprusi; secondo, che un giorno, se ci sarà, non varrà di certo un «io eseguivo gli ordini» a deresponsabilizzare gli individui dalle proprie azioni e, nella maggior parte dei casi, le non-azioni. ⁽²¹⁾
✑ Non vedevamo l’ora di pubblicare questo post. 17 Luglio 2022, Firenze: fa il giro del Web un video ⁽¹⁾ che ritrae una delle scene che speravamo di aver riposto per sempre nel cassetto delle leggi razziali naziste. Un cliente russo, uno dei tanti che nel corso degli anni hanno contribuito in maniera considerevole nel settore del lusso e del turismo italiani ⁽²⁾ entra nella boutique fiorentina di Bottega Veneta per ‘spendere i suoi rubli e si vede rifiutata la transazione perché… russo. «Abbiamo istruzioni che non ci permettono di vendere prodotti a cittadini russi». Così la commessa, mera esecutrice di ordini, si giustifica alla negazione della transazione, ripresa in viso senza consenso nel famoso video girato dal cittadino russo: una delle “colpe” a cui un sito di fact-checking si è appigliato prima di cominciare a mistificare l’intera faccenda. ⁽³⁾ Ce n’è un’altra, però, ed è quella secondo cui un altro noto sito di fact-checking ha affermato in un articolo “Perché non bisogna demonizzare Bottega Veneta e la commessa”. ⁽⁴⁾ In sintesi, le suddette non andrebbero demonizzate perché agiscono in ottemperanza dell’articolo 3 del Regolamento di Esecuzione UE del 15 Marzo che applica restrizioni alla «vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni di lusso il cui valore è superiore a 300€ per articolo, salvo diversa indicazione». ⁽⁵⁾ Ebbene, a parte che la definizione stessa di “lusso” si aggancia a leggi di mercato che possono presentare ambiguità ⁽⁶⁾ saremo tutti d’accordo sul fatto che i cittadini russi, in realtà, NON sono diretti responsabili del conflitto russo-ucraino ⁽⁷⁾ e per quanto negare un prodotto o servizio per via dell’applicazione di sanzioni non sia direttamente una forma di razzismo vera e propria nei modi, è riconosciuto che nei metodi il razzismo prende e ha sempre preso piede nella società in modi molto subdoli e sottili ⁽⁸⁾ e questo episodio ne ha tutte le caratteristiche. Per il resto, sono pochissimi i prodotti che costano al di sotto di 300€ da Bottega Veneta ⁽⁹⁾ (calzini, cover per cellulari e accessori per la spiaggia ecc), indi per cui all’interno di una qualsiasi boutique ai cittadini russi è vietato acquistare la quasi-totalità dei prodotti disponibili, secondo questa norma. Ecco, ora immaginiamo se fuori dalle boutiques mettessero un’etichetta con su scritto: “ci dispiace: sei russo e non puoi acquistare il 99,999% dei prodotti, ma per quello 0,001% puoi entrare ugualmente”. Bottega Veneta non è nuova a polemiche che fanno parlare di sé: soprattutto di tipo fiscale, ⁽¹⁰⁾ considerazioni negative da parte degli stessi consumatori ⁽¹¹⁾ o addirittura il coinvolgimento in feste “elitarie”… ⁽¹²⁾ insomma, nulla di nuovo di ciò che accade dentro e fuori i mondi che ruotano attraverso la sudicia galassia della moda. ⁽¹³⁾, ⁽¹⁴⁾, ⁽¹⁵⁾ Noi condanniamo fermamente quest’azione perché, nonostante dietro tutta questa storia ci sia un “trabocchetto” (peraltro riconosciuto anche dalla stessa commessa nel video in questione verso la fine) ⁽¹⁶⁾ le discriminazioni non colpiscono gli oligarchi, il presunto obbiettivo delle sanzioni ⁽¹⁷⁾ ma la gente comune come studenti ⁽¹⁸⁾ e cittadini russi residenti in Occidente. ⁽¹⁹⁾ Per quanto vi sia la sfilza di Trattati che tutelano i diritti dell’uomo ⁽²⁰⁾ non ce ne vogliano, ma per noi non hanno alcun valore perché oltre ad essere le stesse associazioni d’élite ad aver creato questa situazione, tutto ciò sta accadendo sotto i loro occhi, consci dei macabri risvolti che discriminazioni del genere possono generare. In questo caso, la storia ci insegna due cose: primo, che è di fondamentale importanza agire attivamente dinanzi i soprusi; secondo, che un giorno, se ci sarà, non varrà di certo un «io eseguivo gli ordini» a deresponsabilizzare gli individui dalle proprie azioni e, nella maggior parte dei casi, le non-azioni. ⁽²¹⁾
«Non indossando la cravatta si risparmia energia»: i deliri di Pedro Sanchez
✑ È dal 30 Luglio che secondo i media mainstream sta facendo «scalpore» l’iniziativa di Pedro Sanchez. Premier spagnolo, felice “Agenda Author” del World Economic Forum ⁽¹⁾ che svolazza a destra e a manca con jet ed elicotteri non ha indossato la cravatta durante una conferenza stampa. ⁽²⁾ Il problema, non è tanto che questo individuo tenga o meno la cravatta. Il problema è il motivo per cui non la porta. Ebbene, Sanchez è stato molto chiaro: quando non strettamente necessaria, «vorrei che non portaste la cravatta, perché questo significa che tutti possiamo risparmiare energia», ⁽³⁾ intimando a dirigenti dell’amministrazione pubblica, ministri e parlamentari di fare lo stesso perché questo sia uno dei contributi atti a contrastare la crisi energetica scaturita dal conflitto russo-ucraino, che si sovrappone a un’estate particolarmente calda, o in chiave terroristica: la «più calda che si ricordi a memoria d'uomo». Un noto giornale italiano conclude che «slacciare il colletto, infatti, abbassa la temperatura corporea di 2-3 gradi, anche se si indossa la giacca, perché la pelle del collo è uno dei regolatori della temperatura. Due o tre gradi di meno significa un minore impulso ad accendere l'aria condizionata o ad alzarne la potenza, con una immediata ripercussione sui consumi». ⁽⁴⁾
Se la strada è davvero questa, qui siamo fritti: e non per il caldo.
✑ È dal 30 Luglio che secondo i media mainstream sta facendo «scalpore» l’iniziativa di Pedro Sanchez. Premier spagnolo, felice “Agenda Author” del World Economic Forum ⁽¹⁾ che svolazza a destra e a manca con jet ed elicotteri non ha indossato la cravatta durante una conferenza stampa. ⁽²⁾ Il problema, non è tanto che questo individuo tenga o meno la cravatta. Il problema è il motivo per cui non la porta. Ebbene, Sanchez è stato molto chiaro: quando non strettamente necessaria, «vorrei che non portaste la cravatta, perché questo significa che tutti possiamo risparmiare energia», ⁽³⁾ intimando a dirigenti dell’amministrazione pubblica, ministri e parlamentari di fare lo stesso perché questo sia uno dei contributi atti a contrastare la crisi energetica scaturita dal conflitto russo-ucraino, che si sovrappone a un’estate particolarmente calda, o in chiave terroristica: la «più calda che si ricordi a memoria d'uomo». Un noto giornale italiano conclude che «slacciare il colletto, infatti, abbassa la temperatura corporea di 2-3 gradi, anche se si indossa la giacca, perché la pelle del collo è uno dei regolatori della temperatura. Due o tre gradi di meno significa un minore impulso ad accendere l'aria condizionata o ad alzarne la potenza, con una immediata ripercussione sui consumi». ⁽⁴⁾
Se la strada è davvero questa, qui siamo fritti: e non per il caldo.
#CITAZIONI 💬 ⇲
✑ Forse, quella di Abramo Lincoln è la figura meno controversa alla presidenza degli Stati Uniti d’America ⁽¹⁾ nonostante prove suggeriscono sia che apprezzasse le consorterie ⁽²⁾ sia che che fu tolto di mezzo da quest’ultime. ⁽³⁾ A ogni modo, così come il periodo secessionista succeduto al suo discorso, ⁽⁴⁾ così come il periodo attuale, vi è un’analogia: è ingenuo credere che si possano cambiare le cose seguendo le regole di un sistema che ci soffoca giorno dopo giorno; quelle stesse regole che nel tempo sono state limate al punto che, così come sono, potevano nient’altro che riprodurre lo stesso risultato a cui oggi assistiamo: un grande teatro a cui le persone, comodamente sedute e intrise di suggestioni emozionali, assistono inermi. Se continuassimo a rispettare le regole, l’unica cosa che potremmo fare è una sola: fare il tifo per una delle parti in commedia. Ovviamente, a patto che si rimanga “comodamente” seduti: lo spettacolo deve continuare.
✑ Forse, quella di Abramo Lincoln è la figura meno controversa alla presidenza degli Stati Uniti d’America ⁽¹⁾ nonostante prove suggeriscono sia che apprezzasse le consorterie ⁽²⁾ sia che che fu tolto di mezzo da quest’ultime. ⁽³⁾ A ogni modo, così come il periodo secessionista succeduto al suo discorso, ⁽⁴⁾ così come il periodo attuale, vi è un’analogia: è ingenuo credere che si possano cambiare le cose seguendo le regole di un sistema che ci soffoca giorno dopo giorno; quelle stesse regole che nel tempo sono state limate al punto che, così come sono, potevano nient’altro che riprodurre lo stesso risultato a cui oggi assistiamo: un grande teatro a cui le persone, comodamente sedute e intrise di suggestioni emozionali, assistono inermi. Se continuassimo a rispettare le regole, l’unica cosa che potremmo fare è una sola: fare il tifo per una delle parti in commedia. Ovviamente, a patto che si rimanga “comodamente” seduti: lo spettacolo deve continuare.
«Serve commissione medica di inchiesta per accertare i morti per Covid-19»
✑ Appena ho letto questo virgolettato sul titolo di un articolo raffigurando il personaggio di cui andremo a parlare, a momenti non saltavo dalla sedia. Una frase del genere, potremmo aspettarcela da chiunque rifiuti od opini la narrazione ufficiale dei fatti che imperversano il mondo da più di due anni e mezzo a questa parte: dal più scettico riguardo la stessa esistenza di una pandemia da Coronavirus a chi, ormai sostenuto da studi sempre più autorevoli, svezza l’intera narrazione pandemica a una versione senz’altro più sobria. ⁽¹⁾ Insomma, una frase del genere ce la saremmo aspettata da chiunque abbia un po’ di sale in zucca, ma non da Matteo Bassetti. Ebbene, il primario del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova scrive su Twitter il 7 Agosto 2022 un messaggio molto chiaro. Secondo Bassetti infatti, occorre una «commissione medica di inchiesta che accerti tutti i decessi Covid del 2022 e stabilisca quanti sono realmente legati al covid». ⁽²⁾ A prima vista ovviamente, ci si strofina gli occhi e si controlla di essere nello stesso universo dove abbiamo vissuto fino ad adesso. Poi, sorge la domanda: e perché solo per il 2022 se i criteri per decesso da Covid-19 sono rimasti invariati ⁽³⁾ da inizio pandemia? Fin lì saremo tutti d’accordo ma, la commissione d’inchiesta non andrebbe fatta solo sui cosiddetti morti per Covid e farne un’adeguata distinzione: quindi, non solo “medica”, come dice il “primario”. Andrebbe fatta, sostanzialmente, su tutti gli effetti economici e sociali che la gestione pandemica ha impattato sulla salute fisica, mentale ed economica delle persone: in altre parole, una nuova Norimberga. Per i più sarà inutile da ribadire, ma Bassetti ha sempre e comunque sostenuto una narrazione pandemica, che di base è sempre, sempre stata non così dissimile dal terrorismo. Bassetti inoltre ha, sostenuto una campagna vaccinale: i risultati prodotti da questa non hanno più bisogno di essere sottolineati. L’epilogo della vicenda è molto chiaro: il “primario” è complice tanto quanto chiunque abbia sostenuto anche una singola misura legata all’emergenza.
✑ Appena ho letto questo virgolettato sul titolo di un articolo raffigurando il personaggio di cui andremo a parlare, a momenti non saltavo dalla sedia. Una frase del genere, potremmo aspettarcela da chiunque rifiuti od opini la narrazione ufficiale dei fatti che imperversano il mondo da più di due anni e mezzo a questa parte: dal più scettico riguardo la stessa esistenza di una pandemia da Coronavirus a chi, ormai sostenuto da studi sempre più autorevoli, svezza l’intera narrazione pandemica a una versione senz’altro più sobria. ⁽¹⁾ Insomma, una frase del genere ce la saremmo aspettata da chiunque abbia un po’ di sale in zucca, ma non da Matteo Bassetti. Ebbene, il primario del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova scrive su Twitter il 7 Agosto 2022 un messaggio molto chiaro. Secondo Bassetti infatti, occorre una «commissione medica di inchiesta che accerti tutti i decessi Covid del 2022 e stabilisca quanti sono realmente legati al covid». ⁽²⁾ A prima vista ovviamente, ci si strofina gli occhi e si controlla di essere nello stesso universo dove abbiamo vissuto fino ad adesso. Poi, sorge la domanda: e perché solo per il 2022 se i criteri per decesso da Covid-19 sono rimasti invariati ⁽³⁾ da inizio pandemia? Fin lì saremo tutti d’accordo ma, la commissione d’inchiesta non andrebbe fatta solo sui cosiddetti morti per Covid e farne un’adeguata distinzione: quindi, non solo “medica”, come dice il “primario”. Andrebbe fatta, sostanzialmente, su tutti gli effetti economici e sociali che la gestione pandemica ha impattato sulla salute fisica, mentale ed economica delle persone: in altre parole, una nuova Norimberga. Per i più sarà inutile da ribadire, ma Bassetti ha sempre e comunque sostenuto una narrazione pandemica, che di base è sempre, sempre stata non così dissimile dal terrorismo. Bassetti inoltre ha, sostenuto una campagna vaccinale: i risultati prodotti da questa non hanno più bisogno di essere sottolineati. L’epilogo della vicenda è molto chiaro: il “primario” è complice tanto quanto chiunque abbia sostenuto anche una singola misura legata all’emergenza.
Morire di “gioia”
✑ Oggi, possiamo dire di averne viste di tutti i colori. Al giorno d’oggi è particolarmente rimarcato che si possa morire all’improvviso per tantissimi motivi: dormire con la luce accesa, ⁽¹⁾ a causa dell’inquinamento acustico, ⁽²⁾ fare sesso in giovane età, ⁽³⁾ di caldo, ⁽⁴⁾ fare sport ⁽⁵⁾ e addirittura mangiare la pizza ⁽⁶⁾ eccetera. Mai però, avremmo potuto pensare che si potesse realmente morire di “felicità”, o così viene ribadito in alcuni articoli in giro per il Web. ⁽⁷⁾ è il caso di Mubarak Hussein Sayed Abdel-Jalil, 22enne e studente di Geologia che in data 30 Luglio 2022 ha superato gli esami alla Facoltà di Scienze della South Valley University di Qena, in Egitto: così felice di aver passato l’esame completando il suo quarto e ultimo anno che, all’improvviso accusa un forte dolore al petto. Inutili i soccorsi: per il giovanissimo non c’è stato più niente da fare. Adesso, tralasciando la becera strumentalizzazione ⁽⁸⁾ da parte dei giornali che sentenziano una causa di morte sul nulla, non diciamo che non esistano condizioni che possono riprodurre risultati analoghi come il cosiddetto “Morbo di Takotsubo” ⁽⁹⁾ ma che il solo fatto che vengano sbattuti fatti del genere con questi titoli sui quotidiani, ci fa venire il voltastomaco. Secondo un noto medico interpellato a riguardo, sottolinea che scrivere che si possa morire di “gioia” a 22 anni è «un’invenzione di un pazzo o di un delinquente». ⁽¹⁰⁾
✑ Oggi, possiamo dire di averne viste di tutti i colori. Al giorno d’oggi è particolarmente rimarcato che si possa morire all’improvviso per tantissimi motivi: dormire con la luce accesa, ⁽¹⁾ a causa dell’inquinamento acustico, ⁽²⁾ fare sesso in giovane età, ⁽³⁾ di caldo, ⁽⁴⁾ fare sport ⁽⁵⁾ e addirittura mangiare la pizza ⁽⁶⁾ eccetera. Mai però, avremmo potuto pensare che si potesse realmente morire di “felicità”, o così viene ribadito in alcuni articoli in giro per il Web. ⁽⁷⁾ è il caso di Mubarak Hussein Sayed Abdel-Jalil, 22enne e studente di Geologia che in data 30 Luglio 2022 ha superato gli esami alla Facoltà di Scienze della South Valley University di Qena, in Egitto: così felice di aver passato l’esame completando il suo quarto e ultimo anno che, all’improvviso accusa un forte dolore al petto. Inutili i soccorsi: per il giovanissimo non c’è stato più niente da fare. Adesso, tralasciando la becera strumentalizzazione ⁽⁸⁾ da parte dei giornali che sentenziano una causa di morte sul nulla, non diciamo che non esistano condizioni che possono riprodurre risultati analoghi come il cosiddetto “Morbo di Takotsubo” ⁽⁹⁾ ma che il solo fatto che vengano sbattuti fatti del genere con questi titoli sui quotidiani, ci fa venire il voltastomaco. Secondo un noto medico interpellato a riguardo, sottolinea che scrivere che si possa morire di “gioia” a 22 anni è «un’invenzione di un pazzo o di un delinquente». ⁽¹⁰⁾
Causa di morte: “cambiamento climatico”
✑ Siamo sempre più convinti del fatto che ci siano troppe analogie tra Covid-19 e l’agenda climatica. Un movimento di sanitari canadesi, nominato "Doctors + Nurses for Planetary Health" ⁽¹⁾ ha iniziato a riportare sulle cartelle cliniche dei pazienti affetti da patologie cardiache e respiratorie la dicitura: «cambiamento climatico». ⁽²⁾ Questo, perché un rapporto delle Nazioni Unite “rivela” che il numero dei disastri globali è «quintuplicato» dal 1970 ⁽³⁾ e «aumenterà di un ulteriore 40%» nei prossimi decenni. ⁽⁴⁾ Ovviamente, questo rapporto presenta innumerevoli errori di carattere scientifico, facendo un uso improprio dei dati e non basati su evidenze rapportate allo sviluppo. ⁽⁵⁾
Insomma: una vera e propria TRUFFA. Ma allora, se è una questione così semplice da smontare, stiamo andando verso questa direzione? Esatto: così come la dicitura “Covid-19” viene attualmente indicata come “causa” del decesso sui certificati di morte di quei pazienti che soffrivano di patologie pre-esistenti e aggravate dal coronavirus (e tanto altro ⁶ ), così il “cambiamento climatico” potrebbe essere indicato come causa del decesso o condizione preesistente e quindi causa diretta o indiretta delle patologie che fattori climatici potrebbero aver scaturito. Ricordiamoci il caso dei “falsi positivi”. ⁽⁷⁾ Ecco. Ora immaginiamo se da domani uscissero dei bollettini giornalieri, analoghi a quelli dei “morti da Covid”, ma nominati “morti da cambiamento climatico”: ogni giorno a martellare il cervello delle persone. Sarebbe assurdo, ma c’è già qualcuno che ci sta pensando. ⁽⁸⁾ I loro, sembrerebbero dei veri e propri flussi di coscienza sotto effetto di stupefacenti ma le basi ci sono già: quanti morti per il «caldo killer» ⁽⁹⁾ stiamo vedendo nell’ultimo periodo? Basterà solo che iniziative del genere prendano piede: la prosecuzione dell’agenda climatica, anche attraverso il terrore, è negli interessi di tutti i “padroni del vapore”. ⁽¹⁰⁾, ⁽¹¹⁾, ⁽¹²⁾ È chiaro dunque, che mentre eravamo distratti da pandemie, guerre ed elezioni politiche nel corso di questi due anni, qualcuno (e da decenni ¹³ ) ha tastato il terreno e piantato i suoi semi malefici: purtroppo, siamo sicuri che presto darà i suoi frutti o come diceva Banfi, volatili per diabetici.
✑ Siamo sempre più convinti del fatto che ci siano troppe analogie tra Covid-19 e l’agenda climatica. Un movimento di sanitari canadesi, nominato "Doctors + Nurses for Planetary Health" ⁽¹⁾ ha iniziato a riportare sulle cartelle cliniche dei pazienti affetti da patologie cardiache e respiratorie la dicitura: «cambiamento climatico». ⁽²⁾ Questo, perché un rapporto delle Nazioni Unite “rivela” che il numero dei disastri globali è «quintuplicato» dal 1970 ⁽³⁾ e «aumenterà di un ulteriore 40%» nei prossimi decenni. ⁽⁴⁾ Ovviamente, questo rapporto presenta innumerevoli errori di carattere scientifico, facendo un uso improprio dei dati e non basati su evidenze rapportate allo sviluppo. ⁽⁵⁾
Insomma: una vera e propria TRUFFA. Ma allora, se è una questione così semplice da smontare, stiamo andando verso questa direzione? Esatto: così come la dicitura “Covid-19” viene attualmente indicata come “causa” del decesso sui certificati di morte di quei pazienti che soffrivano di patologie pre-esistenti e aggravate dal coronavirus (e tanto altro ⁶ ), così il “cambiamento climatico” potrebbe essere indicato come causa del decesso o condizione preesistente e quindi causa diretta o indiretta delle patologie che fattori climatici potrebbero aver scaturito. Ricordiamoci il caso dei “falsi positivi”. ⁽⁷⁾ Ecco. Ora immaginiamo se da domani uscissero dei bollettini giornalieri, analoghi a quelli dei “morti da Covid”, ma nominati “morti da cambiamento climatico”: ogni giorno a martellare il cervello delle persone. Sarebbe assurdo, ma c’è già qualcuno che ci sta pensando. ⁽⁸⁾ I loro, sembrerebbero dei veri e propri flussi di coscienza sotto effetto di stupefacenti ma le basi ci sono già: quanti morti per il «caldo killer» ⁽⁹⁾ stiamo vedendo nell’ultimo periodo? Basterà solo che iniziative del genere prendano piede: la prosecuzione dell’agenda climatica, anche attraverso il terrore, è negli interessi di tutti i “padroni del vapore”. ⁽¹⁰⁾, ⁽¹¹⁾, ⁽¹²⁾ È chiaro dunque, che mentre eravamo distratti da pandemie, guerre ed elezioni politiche nel corso di questi due anni, qualcuno (e da decenni ¹³ ) ha tastato il terreno e piantato i suoi semi malefici: purtroppo, siamo sicuri che presto darà i suoi frutti o come diceva Banfi, volatili per diabetici.
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Recent columns written by our members Dr. Lauren Galbraith: Judith Fearing, RN, IBCLC: Dr. Marian Berry: Dr. Kyle Merritt: Education, etc. Dr Kyle Merritt on Heat Dome Effects: Linking Planetary He…
Le accise sul carburante
✑ È da quando il prezzo dei carburanti ha sfiorato i prezzi folli che ben conosciamo in base a una (ennesima) crisi economica creata artificialmente ⁽¹⁾ che molti si sono chiesti perché paghiamo così tanto per il carburante. Ebbene… l’accisa, ovvero l’imposta indiretta applicata sulla fabbricazione e/o vendita di specifiche categorie di beni in base alla loro quantità, è un termine che abbiamo conosciuto molto bene nella pratica, ma guardiamo le dinamiche nella teoria. Tre fattori determinano il prezzo dei carburanti e quindi gran parte del costo della vita: il prezzo al netto delle imposte (deciso da chi vende il carburante e che tiene conto del valore sia della materia prima che dei guadagni di chi gestisce la pompa e il costo del trasporto logistico) e l’IVA (in Italia al 22%); come terzo e ultimo elemento troviamo le accise, calcolate per ogni litro. Non è un caso che tutti si lamentino perché, infatti, l’Italia è in prima posizione in Europa per le accise sul diesel e seconda solo ai Paesi Bassi sulla benzina. ⁽²⁾ L’ormai famoso elenco usato come cavallo di battaglia (o di Troia) del Carroccio ⁽³⁾ è puramente indicativo se non inesatto, dato che dal 1995 le imposte sui carburanti sono state (furbamente) ridefinite in modo unitario con una sola aliquota che non distingue le diverse componenti:
• 0,114€ per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
• 0,082€ per il decreto “Salva Italia” del 2011;
• 0,0511€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976;
• 0,04€ per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
• 0,0387€ per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980;
• 0,02€ per la ricostruzione dopo il terremoto in Emilia del 2012;
• 0,02€ per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
• 0,0089€ per far fronte all’alluvione che ha colpito Liguria e Toscana nel 2011;
• 0,00723€ per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;
• 0,0071€ per il finanziamento alla cultura nel 2011;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968;
• 0,0051€ per far fronte al terremoto dell’Aquila del 2009;
• 0,005€ per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005;
• 0,000981€ per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936.
Dove finiscono tutti questi soldi? Ma soprattutto, si possono tagliare come promise qualcuno? Non proprio. Prima di tutto, sappiamo che Bruxelles impone una quota minima di accise ⁽⁴⁾ e che STRANAMENTE Wikipedia, nella definizione di “accisa sui carburanti” troviamo un paragrafo piuttosto controverso: «Dopo gli anni 2000, in Europa, ci si è resi conto che i carburanti, e in particolare quelli di origine fossile, contribuiscono all’inquinamento; l'introduzione di accise viene perciò giustificata dalle spese sostenute dagli enti pubblici per ridurre l'impatto ambientale degli stessi». ⁽⁵⁾ Vabbè… quindi abbiamo capito che è la solita presa per il culo. Ma se per l’UE l'accisa minima (che già obblighi di questo tipo sono un concetto sbagliato secondo noi) è di 0,359€ per la benzina, 0,33 per diesel e 0,125 per il GPL, perché paghiamo tutti questi soldi in più? Beh… non troveremo molte risposte. Quanto alla natura delle imposizioni, ci risponde il Ministero delle Finanze, dicendo che «In virtù della tipologia di imposizione tributaria che rappresenta, l’accisa costituisce per lo Stato un importante strumento finanziario che può essere efficacemente utilizzato anche per finalità extra-fiscali o nell’ambito più ampio delle manovre finanziarie, poiché piccole variazioni delle aliquote di accisa garantiscono allo Stato un nuovo e maggiore gettito in tempi alquanto ridotti». ⁽⁶⁾
In sostanza, una vera e propria truffa. ⁽⁷⁾
✑ È da quando il prezzo dei carburanti ha sfiorato i prezzi folli che ben conosciamo in base a una (ennesima) crisi economica creata artificialmente ⁽¹⁾ che molti si sono chiesti perché paghiamo così tanto per il carburante. Ebbene… l’accisa, ovvero l’imposta indiretta applicata sulla fabbricazione e/o vendita di specifiche categorie di beni in base alla loro quantità, è un termine che abbiamo conosciuto molto bene nella pratica, ma guardiamo le dinamiche nella teoria. Tre fattori determinano il prezzo dei carburanti e quindi gran parte del costo della vita: il prezzo al netto delle imposte (deciso da chi vende il carburante e che tiene conto del valore sia della materia prima che dei guadagni di chi gestisce la pompa e il costo del trasporto logistico) e l’IVA (in Italia al 22%); come terzo e ultimo elemento troviamo le accise, calcolate per ogni litro. Non è un caso che tutti si lamentino perché, infatti, l’Italia è in prima posizione in Europa per le accise sul diesel e seconda solo ai Paesi Bassi sulla benzina. ⁽²⁾ L’ormai famoso elenco usato come cavallo di battaglia (o di Troia) del Carroccio ⁽³⁾ è puramente indicativo se non inesatto, dato che dal 1995 le imposte sui carburanti sono state (furbamente) ridefinite in modo unitario con una sola aliquota che non distingue le diverse componenti:
• 0,114€ per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
• 0,082€ per il decreto “Salva Italia” del 2011;
• 0,0511€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976;
• 0,04€ per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
• 0,0387€ per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980;
• 0,02€ per la ricostruzione dopo il terremoto in Emilia del 2012;
• 0,02€ per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
• 0,0089€ per far fronte all’alluvione che ha colpito Liguria e Toscana nel 2011;
• 0,00723€ per il finanziamento della crisi di Suez del 1956;
• 0,0071€ per il finanziamento alla cultura nel 2011;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966;
• 0,00516€ per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968;
• 0,0051€ per far fronte al terremoto dell’Aquila del 2009;
• 0,005€ per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005;
• 0,000981€ per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936.
Dove finiscono tutti questi soldi? Ma soprattutto, si possono tagliare come promise qualcuno? Non proprio. Prima di tutto, sappiamo che Bruxelles impone una quota minima di accise ⁽⁴⁾ e che STRANAMENTE Wikipedia, nella definizione di “accisa sui carburanti” troviamo un paragrafo piuttosto controverso: «Dopo gli anni 2000, in Europa, ci si è resi conto che i carburanti, e in particolare quelli di origine fossile, contribuiscono all’inquinamento; l'introduzione di accise viene perciò giustificata dalle spese sostenute dagli enti pubblici per ridurre l'impatto ambientale degli stessi». ⁽⁵⁾ Vabbè… quindi abbiamo capito che è la solita presa per il culo. Ma se per l’UE l'accisa minima (che già obblighi di questo tipo sono un concetto sbagliato secondo noi) è di 0,359€ per la benzina, 0,33 per diesel e 0,125 per il GPL, perché paghiamo tutti questi soldi in più? Beh… non troveremo molte risposte. Quanto alla natura delle imposizioni, ci risponde il Ministero delle Finanze, dicendo che «In virtù della tipologia di imposizione tributaria che rappresenta, l’accisa costituisce per lo Stato un importante strumento finanziario che può essere efficacemente utilizzato anche per finalità extra-fiscali o nell’ambito più ampio delle manovre finanziarie, poiché piccole variazioni delle aliquote di accisa garantiscono allo Stato un nuovo e maggiore gettito in tempi alquanto ridotti». ⁽⁶⁾
In sostanza, una vera e propria truffa. ⁽⁷⁾
In vista sanzioni per la Turchia: il perno tra Oriente e Occidente
✑ Anni fa in pochi avrebbero immaginato un ruolo così importante come quello della Turchia in questo periodo storico. Dal ruolo centrale nell’ammissione di Svezia e Finlandia nella demoniaca Alleanza atlantica ⁽¹⁾ agli importantissimi accordi per il grano ⁽²⁾ la Turchia si è, in ogni caso, ritagliata un gran bel posto nello scacchiere internazionale, come dicemmo in un post addietro. ⁽³⁾ C’è però, un fatto che non piace all’anglosfera ed è che in effetti, Ankara fa buon viso a tutte le parti in commedia. Infatti, secondo il Washington Post sarebbe stata intercettata, prima dell'incontro nel resort di Sochi ⁽⁴⁾ nel Mar Nero, una «proposta russa», questa condivisa con il giornale liberal dall'intelligence ucraina; Putin avrebbe chiesto al governo di Erdogan di consentire alla Russia di «acquistare partecipazioni in raffinerie di petrolio, terminali e serbatoi» turchi. Inoltre, la Russia avrebbe anche chiesto che diverse banche turche consentano «conti corrispondenti per le più grandi banche russe» e che ai produttori industriali russi sia permesso di «operare fuori dalle zone economiche libere» in Turchia. ⁽⁵⁾ Se così fosse, aggirare le sanzioni europee da parte della Russia attraverso queste triangolazioni sarebbe letteralmente un gioco da ragazzi e, per certi versi, farebbe comodo a tutti: Europa compresa. A Washington scommettiamo saranno furiosi, ma è una situazione troppo difficile da punire ‘all’americana: la Turchia di Erdogan è ormai diventata quasi intoccabile. Sanzionarla significherebbe: o fallire miseramente nell’intento, a meno che l’intento sia proprio quello di arrecare sanzioni “cosmetiche” alla Turchia come anni fa ⁽⁶⁾ o pestare i piedi a quel perno dell’Eurasia che, secondo qualcuno «toccare la Turchia potrebbe portare a uno sconvolgimento degli assetti geopolitici nel Mediterraneo. Speriamo che almeno questo, a Washington e a Bruxelles, lo capiscano. In politica estera, a volte, le cose più giuste da fare non è detto che siano anche le più utili». ⁽⁷⁾
✑ Anni fa in pochi avrebbero immaginato un ruolo così importante come quello della Turchia in questo periodo storico. Dal ruolo centrale nell’ammissione di Svezia e Finlandia nella demoniaca Alleanza atlantica ⁽¹⁾ agli importantissimi accordi per il grano ⁽²⁾ la Turchia si è, in ogni caso, ritagliata un gran bel posto nello scacchiere internazionale, come dicemmo in un post addietro. ⁽³⁾ C’è però, un fatto che non piace all’anglosfera ed è che in effetti, Ankara fa buon viso a tutte le parti in commedia. Infatti, secondo il Washington Post sarebbe stata intercettata, prima dell'incontro nel resort di Sochi ⁽⁴⁾ nel Mar Nero, una «proposta russa», questa condivisa con il giornale liberal dall'intelligence ucraina; Putin avrebbe chiesto al governo di Erdogan di consentire alla Russia di «acquistare partecipazioni in raffinerie di petrolio, terminali e serbatoi» turchi. Inoltre, la Russia avrebbe anche chiesto che diverse banche turche consentano «conti corrispondenti per le più grandi banche russe» e che ai produttori industriali russi sia permesso di «operare fuori dalle zone economiche libere» in Turchia. ⁽⁵⁾ Se così fosse, aggirare le sanzioni europee da parte della Russia attraverso queste triangolazioni sarebbe letteralmente un gioco da ragazzi e, per certi versi, farebbe comodo a tutti: Europa compresa. A Washington scommettiamo saranno furiosi, ma è una situazione troppo difficile da punire ‘all’americana: la Turchia di Erdogan è ormai diventata quasi intoccabile. Sanzionarla significherebbe: o fallire miseramente nell’intento, a meno che l’intento sia proprio quello di arrecare sanzioni “cosmetiche” alla Turchia come anni fa ⁽⁶⁾ o pestare i piedi a quel perno dell’Eurasia che, secondo qualcuno «toccare la Turchia potrebbe portare a uno sconvolgimento degli assetti geopolitici nel Mediterraneo. Speriamo che almeno questo, a Washington e a Bruxelles, lo capiscano. In politica estera, a volte, le cose più giuste da fare non è detto che siano anche le più utili». ⁽⁷⁾
Gli utili di ENI da capogiro
✑ In poche parole: tutto merito del conflitto russo-ucraino. L’Ente Nazionale degli Idrocarburi italiano, meglio conosciuto come l’ENI fondata da Enrico Mattei, chiude il primo semestre dell’anno con risultati a dir poco… ‘fulminanti. L’utile operativo del secondo trimestre, questo fortemente trainato dai prezzi e dai margini frutto di mera speculazione, è stato di 5,84 miliardi, in crescita del 13% rispetto al trimestre precedente; rispetto al secondo trimestre 2021 invece è più che duplicato, registrando un +186%. L’utile NETTO semestrale ha dell’incredibile, balzando da 1,1 a 7,3 miliardi dal primo semestre 2021, tradotto con un rialzo del 700%, ovviamente favorito dall’andamento dello scenario dei prezzi delle commodity e dai margini ottenuti dalla raffinazione dei prodotti di ENI. A spingere sono stati i prezzi stratosferici del petrolio e del gas imposti dall’Unione Europea nel secondo trimestre che per Eni significa aver chiuso con un utile netto di 3,8 miliardi contro i 247 milioni del 2021, anche se per avere una prospettiva corretta degli incassi reali di ENI, andrebbe messo in conto anche il ribasso dovuto alla “pandemia”, ma una cosa è certa: alla fine, da queste crisi artificiali ci hanno guadagnato e di brutto. Il CEO dell’ENI, Claudio Descalzi, fa sapere che le risorse sembreranno non mancare: quindi che «In un contesto di incertezza e volatilità dei mercati ci siamo attivati rapidamente per garantire nuovi flussi di approvvigionamento. Dopo gli accordi sulle forniture di gas con i nostri partner in Algeria, Congo ed Egitto nella prima parte dell’anno, a giugno Eni è entrata nel progetto North Field East in Qatar, il più grande sviluppo di Gnl al mondo. In Africa orientale, abbiamo avviato la produzione di gas del progetto Coral South Flng operato da Eni, il primo a valorizzare il grande potenziale del Mozambico. In Italia, ci siamo proattivamente impegnati nella ricostituzione degli stoccaggi di gas in previsione della prossima stagione invernale e le nostre raffinerie hanno aumentato significativamente i tassi di lavorazione per garantire un adeguato flusso di prodotti petroliferi per soddisfare la richiesta di mercato». ⁽¹⁾ A quanto pare, nessun problema: al giusto prezzo… ovviamente.
✑ In poche parole: tutto merito del conflitto russo-ucraino. L’Ente Nazionale degli Idrocarburi italiano, meglio conosciuto come l’ENI fondata da Enrico Mattei, chiude il primo semestre dell’anno con risultati a dir poco… ‘fulminanti. L’utile operativo del secondo trimestre, questo fortemente trainato dai prezzi e dai margini frutto di mera speculazione, è stato di 5,84 miliardi, in crescita del 13% rispetto al trimestre precedente; rispetto al secondo trimestre 2021 invece è più che duplicato, registrando un +186%. L’utile NETTO semestrale ha dell’incredibile, balzando da 1,1 a 7,3 miliardi dal primo semestre 2021, tradotto con un rialzo del 700%, ovviamente favorito dall’andamento dello scenario dei prezzi delle commodity e dai margini ottenuti dalla raffinazione dei prodotti di ENI. A spingere sono stati i prezzi stratosferici del petrolio e del gas imposti dall’Unione Europea nel secondo trimestre che per Eni significa aver chiuso con un utile netto di 3,8 miliardi contro i 247 milioni del 2021, anche se per avere una prospettiva corretta degli incassi reali di ENI, andrebbe messo in conto anche il ribasso dovuto alla “pandemia”, ma una cosa è certa: alla fine, da queste crisi artificiali ci hanno guadagnato e di brutto. Il CEO dell’ENI, Claudio Descalzi, fa sapere che le risorse sembreranno non mancare: quindi che «In un contesto di incertezza e volatilità dei mercati ci siamo attivati rapidamente per garantire nuovi flussi di approvvigionamento. Dopo gli accordi sulle forniture di gas con i nostri partner in Algeria, Congo ed Egitto nella prima parte dell’anno, a giugno Eni è entrata nel progetto North Field East in Qatar, il più grande sviluppo di Gnl al mondo. In Africa orientale, abbiamo avviato la produzione di gas del progetto Coral South Flng operato da Eni, il primo a valorizzare il grande potenziale del Mozambico. In Italia, ci siamo proattivamente impegnati nella ricostituzione degli stoccaggi di gas in previsione della prossima stagione invernale e le nostre raffinerie hanno aumentato significativamente i tassi di lavorazione per garantire un adeguato flusso di prodotti petroliferi per soddisfare la richiesta di mercato». ⁽¹⁾ A quanto pare, nessun problema: al giusto prezzo… ovviamente.
FIRSTonline
Eni, boom di utili (+700%) nel primo semestre 2022 grazie a prezzi e margini. Decolla anche il titolo in Borsa
Eni chiude il primo semestre dell'anno con risultati in forte crescita trainati dai prezzi e dai margini, il titolo in borsa decolla
#CITAZIONI 💬 ⇲
✑ Letteralmente: «La commedia è finita. Applaudite!», queste sembrerebbero essere le ultime parole di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, o meglio conosciuto come l’Augusto: il primo imperatore romano al quale ancora oggi, dopo oltre 2.000 anni, gli si viene riconosciuta la matrice culturale del Ferragosto. ⁽¹⁾ Ebbene, anche per noi la commedia è finita: crediamo ormai di aver capito chi è davvero intenzionato a cambiare le cose e chi no; chi supporta un cambiamento basato sulla totale responsabilizzazione di sé e chi ha ancora intenzione di delegare il proprio destino a un sistema che così com’è produrrà sempre lo stesso risultato. Passi falsi e false promesse: il quadro è ben nitido e siamo certi che lo sarà sempre di più. Buon Ferragosto.
✑ Letteralmente: «La commedia è finita. Applaudite!», queste sembrerebbero essere le ultime parole di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, o meglio conosciuto come l’Augusto: il primo imperatore romano al quale ancora oggi, dopo oltre 2.000 anni, gli si viene riconosciuta la matrice culturale del Ferragosto. ⁽¹⁾ Ebbene, anche per noi la commedia è finita: crediamo ormai di aver capito chi è davvero intenzionato a cambiare le cose e chi no; chi supporta un cambiamento basato sulla totale responsabilizzazione di sé e chi ha ancora intenzione di delegare il proprio destino a un sistema che così com’è produrrà sempre lo stesso risultato. Passi falsi e false promesse: il quadro è ben nitido e siamo certi che lo sarà sempre di più. Buon Ferragosto.
«Troppe cause legali» per tumore: stop alla vendita di Borotalco dal 2023
✑ Il famosissimo borotalco targato Johnson&Johnson ⁽¹⁾ come il “vaccino” con «due “mono-dosi”» ⁽²⁾ smetterà di penetrare nel corpo delle persone, o perlomeno nella composizione che conosciamo, date le già riconosciute alternative ⁽³⁾ di cui parleremo verso la fine di questo post. Ebbene… il colosso J&J ha deciso in modo definitivo che interromperà dal prossimo anno, il 2023, la vendita in tutto il mondo del borotalco; la decisione sarebbe legata nientemeno che alle «troppe cause legali» che l'azienda deve affrontare (tra le 38 e le 40mila) per il sospetto legame tra borotalco e tumori ovarici e mesotelioma, motivo per cui a Johnson&Johnson era stata già vietata la vendita della polverina magica in Canada e negli Stati Uniti d’America nel 2020. ⁽⁴⁾ In quella circostanza (come tutte le altre) la multinazionale a stelle e strisce motivò la decisione per una «diminuzione della domanda» questa causata da ciò che definì espressamente «disinformazione» ⁽⁵⁾ sulla sicurezza del prodotto e legata alle migliaia di azioni legali ricevute sin dal 2014. ⁽⁶⁾ Tra le decine inchieste svoltesi nel corso degli anni, ne spicca in particolare una (pesantissima) di Routers nei confronti del colosso farmaceutico statunitense. ⁽⁷⁾ In effetti, la correlazione tra talco e tumori sembra una tematica ampiamente documentata con centinaia di risultati da parte della cosiddetta comunità scientifica. ⁽⁸⁾, ⁽⁹⁾ Oggettivamente, non possiamo che definire controversi i tentativi di divincolarsi da questa situazione da parte della multinazionale, dato che tentò addirittura di inscenare il fallimento dell’intera azienda per non risarcire i danneggiati dal talco e ottenere dei vantaggi in tal senso. ⁽¹⁰⁾ Quanto al talco inteso come sostanza nociva, si tratta di un minerale che molto spesso coabita assieme all’amianto, che di certo non ha bisogno di presentazioni. ⁽¹¹⁾ Ciononostante, il talco viene ancora oggi coadiuvato in moltissimi utilizzi come:
• Carica minerale;
• Assorbente delle peci e come patina nell'industria della carta;
• Lubrificante secco e come carica nell'industria della gomma;
• Agente fluidificante nell'industria ceramica;
• Additivo nella produzione di mangimi.
Viene inoltre adoperato nella preparazione di pitture, vernici e stucchi nonché nella cosmesi e nella farmacopea quando è di elevata purezza. Fu anche utilizzato nel processo di raffinamento del riso per renderlo “brillante”. ⁽¹²⁾ Insomma, cari lettori: una bella ‘schifezza. In conclusione, pensavate davvero che una multinazionale come Johnson&Johnson risponderà mai dei crimini commessi? Certo che no: da adesso in poi il famoso borotalco sarà commercializzato con nuovi additivi: infatti, stando alle dichiarazioni della stessa J&J afferma che «come parte di una valutazione del portafoglio mondiale, abbiamo preso la decisione commerciale di passare a un portafoglio di borotalco interamente a base di amido di mais». ⁽¹³⁾ Il borotalco a base di amido di mais, oltre a essere più sicuro, è più costoso, ovviamente. Quindi, in sostanza, ci hanno pure guadagnato.
✑ Il famosissimo borotalco targato Johnson&Johnson ⁽¹⁾ come il “vaccino” con «due “mono-dosi”» ⁽²⁾ smetterà di penetrare nel corpo delle persone, o perlomeno nella composizione che conosciamo, date le già riconosciute alternative ⁽³⁾ di cui parleremo verso la fine di questo post. Ebbene… il colosso J&J ha deciso in modo definitivo che interromperà dal prossimo anno, il 2023, la vendita in tutto il mondo del borotalco; la decisione sarebbe legata nientemeno che alle «troppe cause legali» che l'azienda deve affrontare (tra le 38 e le 40mila) per il sospetto legame tra borotalco e tumori ovarici e mesotelioma, motivo per cui a Johnson&Johnson era stata già vietata la vendita della polverina magica in Canada e negli Stati Uniti d’America nel 2020. ⁽⁴⁾ In quella circostanza (come tutte le altre) la multinazionale a stelle e strisce motivò la decisione per una «diminuzione della domanda» questa causata da ciò che definì espressamente «disinformazione» ⁽⁵⁾ sulla sicurezza del prodotto e legata alle migliaia di azioni legali ricevute sin dal 2014. ⁽⁶⁾ Tra le decine inchieste svoltesi nel corso degli anni, ne spicca in particolare una (pesantissima) di Routers nei confronti del colosso farmaceutico statunitense. ⁽⁷⁾ In effetti, la correlazione tra talco e tumori sembra una tematica ampiamente documentata con centinaia di risultati da parte della cosiddetta comunità scientifica. ⁽⁸⁾, ⁽⁹⁾ Oggettivamente, non possiamo che definire controversi i tentativi di divincolarsi da questa situazione da parte della multinazionale, dato che tentò addirittura di inscenare il fallimento dell’intera azienda per non risarcire i danneggiati dal talco e ottenere dei vantaggi in tal senso. ⁽¹⁰⁾ Quanto al talco inteso come sostanza nociva, si tratta di un minerale che molto spesso coabita assieme all’amianto, che di certo non ha bisogno di presentazioni. ⁽¹¹⁾ Ciononostante, il talco viene ancora oggi coadiuvato in moltissimi utilizzi come:
• Carica minerale;
• Assorbente delle peci e come patina nell'industria della carta;
• Lubrificante secco e come carica nell'industria della gomma;
• Agente fluidificante nell'industria ceramica;
• Additivo nella produzione di mangimi.
Viene inoltre adoperato nella preparazione di pitture, vernici e stucchi nonché nella cosmesi e nella farmacopea quando è di elevata purezza. Fu anche utilizzato nel processo di raffinamento del riso per renderlo “brillante”. ⁽¹²⁾ Insomma, cari lettori: una bella ‘schifezza. In conclusione, pensavate davvero che una multinazionale come Johnson&Johnson risponderà mai dei crimini commessi? Certo che no: da adesso in poi il famoso borotalco sarà commercializzato con nuovi additivi: infatti, stando alle dichiarazioni della stessa J&J afferma che «come parte di una valutazione del portafoglio mondiale, abbiamo preso la decisione commerciale di passare a un portafoglio di borotalco interamente a base di amido di mais». ⁽¹³⁾ Il borotalco a base di amido di mais, oltre a essere più sicuro, è più costoso, ovviamente. Quindi, in sostanza, ci hanno pure guadagnato.
The Articolist
Amnesty International condanna Kiev ✑ La controversa ONG internazionale ⁽¹⁾ che «lotta contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani nel mondo» e vincitrice del sanguinoso Premio Nobel per la Pace ⁽²⁾ del 1977 Amnesty International riconosce, per la…
Si dimette la direttrice della sezione ucraina di Amnesty International ⇱
✑ Mi sa che l’abbiamo cantata troppo presto. Dopo la condanna di Amnesty International nei confronti di Kiev ampiamente spiegata in un nostro post precedente ⁽¹⁾ eravamo tutti concordi sul fatto che per una volta gli apparati atlantisti fossero stati, per forza di cose, costretti a vuotare dal sacco quel minimo di verità su ciò che sta accadendo in Ucraina… ebbene, in questo caso abbiamo sottovalutato le “qualità” dei suddetti: oltre che scatenare guerre, sono maestri nella mistificazione dei fatti ed è stato proprio questa qualità il loro asso nella manica. Infatti… la condanna a Kiev che abbiamo visto NON È la presa di posizione di Amnesty International intesa come organizzazione nella sua totalità, bensì una sua specifica sezione: precisamente quella ucraina; motivo per cui Oksana Pokalchuk, nientemeno che la direttrice della sezione ucraina di Amnesty International, si è dimessa dal suo mega-incarico diplomatico per un solo motivo. Ovvero che la “sezione” ucraina di Amnesty ha accusato le forze armate ucraine di mettere a rischio i civili collocando le proprie truppe in zone residenziali, rendendole inevitabilmente obbiettivi militari e violando quindi il cosiddetto “diritto umanitario”. ⁽²⁾ Kiev dal canto suo ha definito queste chiarissime constatazioni dei fatti come «disinformazione» e «propaganda russa» ⁽³⁾ mettendo dunque Amnesty dalla parte dei carnefici, secondo la narrazione Occidentale. Nonostante la posizione anti-russa fosse chiara e messo ben per iscritta verso la fine del report del 4 Agosto, Amnesty (o la sua sezione, non si capisce) ha respinto categoricamente le accuse di Kiev dichiarando che «non hanno alcuna base e sono del tutto false». ⁽⁴⁾ Seppur chiaro, ciò non è bastato. Pokalchuk, la direttrice della sezione ucraina di Amnesty, in seguito a evidenti pressioni dall’alto, ha scritto un lungo post su Facebook, annunciando le sue dimissioni. Prima di tutto ha confermato la sua posizione atlantista, affermando che «il risultato è che, involontariamente, l’organizzazione ha creato del materiale che sembra a sostegno della narrativa russa. Nello sforzo di proteggere i civili, questo studio è diventato uno strumento della propaganda russa» concludendo che «ammetterlo è doloroso, ma ci troviamo in dissenso con la leadership internazionale di Amnesty. Per questo ho deciso di lasciare l’organizzazione». ⁽⁵⁾
✑ Mi sa che l’abbiamo cantata troppo presto. Dopo la condanna di Amnesty International nei confronti di Kiev ampiamente spiegata in un nostro post precedente ⁽¹⁾ eravamo tutti concordi sul fatto che per una volta gli apparati atlantisti fossero stati, per forza di cose, costretti a vuotare dal sacco quel minimo di verità su ciò che sta accadendo in Ucraina… ebbene, in questo caso abbiamo sottovalutato le “qualità” dei suddetti: oltre che scatenare guerre, sono maestri nella mistificazione dei fatti ed è stato proprio questa qualità il loro asso nella manica. Infatti… la condanna a Kiev che abbiamo visto NON È la presa di posizione di Amnesty International intesa come organizzazione nella sua totalità, bensì una sua specifica sezione: precisamente quella ucraina; motivo per cui Oksana Pokalchuk, nientemeno che la direttrice della sezione ucraina di Amnesty International, si è dimessa dal suo mega-incarico diplomatico per un solo motivo. Ovvero che la “sezione” ucraina di Amnesty ha accusato le forze armate ucraine di mettere a rischio i civili collocando le proprie truppe in zone residenziali, rendendole inevitabilmente obbiettivi militari e violando quindi il cosiddetto “diritto umanitario”. ⁽²⁾ Kiev dal canto suo ha definito queste chiarissime constatazioni dei fatti come «disinformazione» e «propaganda russa» ⁽³⁾ mettendo dunque Amnesty dalla parte dei carnefici, secondo la narrazione Occidentale. Nonostante la posizione anti-russa fosse chiara e messo ben per iscritta verso la fine del report del 4 Agosto, Amnesty (o la sua sezione, non si capisce) ha respinto categoricamente le accuse di Kiev dichiarando che «non hanno alcuna base e sono del tutto false». ⁽⁴⁾ Seppur chiaro, ciò non è bastato. Pokalchuk, la direttrice della sezione ucraina di Amnesty, in seguito a evidenti pressioni dall’alto, ha scritto un lungo post su Facebook, annunciando le sue dimissioni. Prima di tutto ha confermato la sua posizione atlantista, affermando che «il risultato è che, involontariamente, l’organizzazione ha creato del materiale che sembra a sostegno della narrativa russa. Nello sforzo di proteggere i civili, questo studio è diventato uno strumento della propaganda russa» concludendo che «ammetterlo è doloroso, ma ci troviamo in dissenso con la leadership internazionale di Amnesty. Per questo ho deciso di lasciare l’organizzazione». ⁽⁵⁾
MSN
Il direttore di AI Ucraina si dimette per protesta contro il rapporto che esclude le forze del Paese
La direttrice della sezione ucraina di Amnesty International, Oksana Pokalchuk, ha annunciato le sue dimissioni in segno di protesta per un controverso rapporto in cui l’organizzazione accusa le forze ucraine
«Sbloccate il mio conto»: cittadino libanese entra armato dentro la banca (solo) per farsi ridare indietro i suoi soldi ⇱
✑ Questa vicenda ha dell’incredibile. Nemmeno una settimana fa un uomo, correntista della banca di cui andremo a parlare, è entrato armato di tanica di benzina nella sede della Federal Bank di Beirut, capitale libanese, prendendo in ostaggio alcuni dipendenti e clienti della filiale. ⁽¹⁾ Il correntista, nei panni da “rapinatore”, ha chiesto nient’altro che il suo conto corrente venisse sbloccato: dal 2019, in seguito alla crisi del sistema bancario libanese la valuta nazionale, la lira libanese, ha perso oltre il 90% del suo valore e quasi l'80% della popolazione è finita in povertà. In seguito ad alcune decisioni prese dall’establishment libanese, gran parte dei conti in valuta pesante sono stati congelati o imposte limitazioni che definire “proibizionistiche” è poco. ⁽²⁾ L’uomo in questione, chiamato «Bassam» durante le trattative con le forze di sicurezza, ha compiuto un atto disperato. Il fratello del “sequestratore” ha affermato ai media locali che suo fratello chiede soltanto che gli si vengano sbloccati i risparmi bloccati da tre anni del valore di 210mila dollari statunitensi e il motivo di un gesto così estremo è drammatico: infatti, il fratello dichiara ai media locali che «nostro padre è in fin di vita in ospedale e non sappiamo come pagare le sue cure; mio fratello è pronto a darsi fuoco se non riceverà quello che gli spetta». Si è aperta una controversia sul fatto che l'uomo fosse armato e il fratello ha risposto che «mio fratello non è entrato armato in banca. Deve aver trovato un’arma all'interno. È entrato solo con la tanica di benzina». ⁽³⁾ Non poter prelevare il proprio denaro è una situazione straziante che purtroppo nel libanese è tutt’altro che rara, tant’è che l’uomo ha ricevuto solidarietà da parte dei cittadini che hanno assistito all’intera scena; delle associazioni presenti hanno gridato ai microfoni che «sono due anni che chiediamo i nostri risparmi; abbiamo bisogno dei nostri risparmi, del denaro per cui abbiamo lavorato per tutta la vita, abbiamo bisogno di ciò per cui abbiamo lavorato! Abbiamo bisogno che la magistratura agisca, ma la magistratura non c'è». ⁽⁴⁾ La situazione si è conclusa per il meglio, o quasi. Con nessuna vittima o feriti, decine di agenti hanno circondato l'edificio prima che il sequestratore si arrendesse; secondo fonti NON confermate, Bassam Hussein si sarebbe arreso perché la banca avrebbe accettato di consegnare una parte della cifra richiesta. L’uomo è stato infine arrestato. ⁽⁵⁾ Morale della favola: tenere i soldi fuori dalle banche.
✑ Questa vicenda ha dell’incredibile. Nemmeno una settimana fa un uomo, correntista della banca di cui andremo a parlare, è entrato armato di tanica di benzina nella sede della Federal Bank di Beirut, capitale libanese, prendendo in ostaggio alcuni dipendenti e clienti della filiale. ⁽¹⁾ Il correntista, nei panni da “rapinatore”, ha chiesto nient’altro che il suo conto corrente venisse sbloccato: dal 2019, in seguito alla crisi del sistema bancario libanese la valuta nazionale, la lira libanese, ha perso oltre il 90% del suo valore e quasi l'80% della popolazione è finita in povertà. In seguito ad alcune decisioni prese dall’establishment libanese, gran parte dei conti in valuta pesante sono stati congelati o imposte limitazioni che definire “proibizionistiche” è poco. ⁽²⁾ L’uomo in questione, chiamato «Bassam» durante le trattative con le forze di sicurezza, ha compiuto un atto disperato. Il fratello del “sequestratore” ha affermato ai media locali che suo fratello chiede soltanto che gli si vengano sbloccati i risparmi bloccati da tre anni del valore di 210mila dollari statunitensi e il motivo di un gesto così estremo è drammatico: infatti, il fratello dichiara ai media locali che «nostro padre è in fin di vita in ospedale e non sappiamo come pagare le sue cure; mio fratello è pronto a darsi fuoco se non riceverà quello che gli spetta». Si è aperta una controversia sul fatto che l'uomo fosse armato e il fratello ha risposto che «mio fratello non è entrato armato in banca. Deve aver trovato un’arma all'interno. È entrato solo con la tanica di benzina». ⁽³⁾ Non poter prelevare il proprio denaro è una situazione straziante che purtroppo nel libanese è tutt’altro che rara, tant’è che l’uomo ha ricevuto solidarietà da parte dei cittadini che hanno assistito all’intera scena; delle associazioni presenti hanno gridato ai microfoni che «sono due anni che chiediamo i nostri risparmi; abbiamo bisogno dei nostri risparmi, del denaro per cui abbiamo lavorato per tutta la vita, abbiamo bisogno di ciò per cui abbiamo lavorato! Abbiamo bisogno che la magistratura agisca, ma la magistratura non c'è». ⁽⁴⁾ La situazione si è conclusa per il meglio, o quasi. Con nessuna vittima o feriti, decine di agenti hanno circondato l'edificio prima che il sequestratore si arrendesse; secondo fonti NON confermate, Bassam Hussein si sarebbe arreso perché la banca avrebbe accettato di consegnare una parte della cifra richiesta. L’uomo è stato infine arrestato. ⁽⁵⁾ Morale della favola: tenere i soldi fuori dalle banche.
la Repubblica
Il rapinatore solitario nella banca che è diventato un eroe popolare
Morale della favola di venerdì 12 agosto 2022
«Bollette meno care o smetteremo di pagarle»: l’iniziativa inglese “Don’t Pay” ⇱
✑ Proprio dal momento in cui l’inflazione nel Regno Unito ha superato la soglia del 10% ⁽¹⁾ nel corso degli ultimi giorni abbiamo notato, in giro per il Web, un’iniziativa chiamata Don’t Pay: in sostanza, un movimento in UK che prevede la riunione di quante più persone possibili per smettere di pagare le bollette energetiche o, più precisamente, togliere l’addebito diretto sul conto corrente, questo in segno di protesta contro i prezzi sempre più insostenibili ⁽²⁾ imposti da multinazionali e operatori del settore, nonché speculatori. ⁽³⁾ A dimostrazione del fatto che l’energy price cap imposto nel 2019 da parte dell’OFGEM sia stato in totale fallimento ⁽⁴⁾ queste misure sembrano aver fatto tutto il possibile per portare il paese dalla monarchia parlamentare in recessione. ⁽⁵⁾, ⁽⁶⁾ «È semplice: chiediamo una riduzione delle bollette a un livello accessibile. La nostra leva è che raccoglieremo un milione di persone per impegnarci a non pagare se il Governo andrà avanti con un altro massiccio aumento il 1° Ottobre»; un vero e proprio ultimatum al governo inglese e agli speculatori del settore: trovare un compromesso e ridurre i prezzi, o niente più pagamenti a partire dal 1 Ottobre, o cosi si legge sulla homepage del sito ufficiale dell’iniziativa “Don’t Pay”. Un counter segna le persone che hanno “aderito” all’iniziativa, per un totale di 100.000 aderenti tra consumatori e imprese. ⁽⁷⁾ Che dire: a parole, sembra essere un progetto intenzionato a fare le cose sul serio, con tanto di poster scaricabili gratuitamente (con un grande però) per fare propaganda. ⁽⁸⁾ Bene, ora vediamo cosa non ci ha convinto di “Don’t Pay”. Per prima cosa, ci sembra doveroso fornire informazioni utili riguardo il dominio Web, che risulta essere stato creato il 31/5/2022. ⁽⁹⁾ Inoltre, notiamo che questa iniziativa sia, per certi versi, piuttosto sponsorizzata e prontamente strumentalizzata ⁽¹⁰⁾ dai grandi giornali inglesi. ⁽¹¹⁾ La seconda cosa è che il sito Web vende dei prodotti: precisamente degli stickers già “pronti” a un prezzo considerevole, assicurando senza dubbio un certo margine di profitto. ⁽¹²⁾ Adesso, non è che ciò significhi che quest’iniziativa sia aprioristicamente una truffa perché mantenere in vita un sito Web con molta utenza può arrivare a costare molto ⁽¹³⁾ e un aiutino in questo senso potrebbe fare la differenza… ma intendiamoci: se iniziassimo a vedere che la sezione “shop” di questo sito Web si arricchisse stoccando magliette, felpe, pantaloni e cover per il telefonino come se fosse un brand, beh, due domandine ce le faremmo. Non è chiaro né chi ha fondato il movimento, né il suo team: appena avremo nuovi dettagli seguiranno aggiornamenti. In conclusione, se queste iniziative fossero in buonafede e super-partecipate lo riteniamo il miglior metodo per farsi sentire. Lo sciopero è, oltre che l’arma più comoda, uno tra i metodi più potenti che abbiamo per decapitare gli speculatori e i soprusi sul nascere. Proprio per questo motivo supportiamo progetti del genere e ci auguriamo che iniziative simili si replichino anche qui: a patto che non esca fuori qualcosa ‘all’italiana, ovviamente.
✑ Proprio dal momento in cui l’inflazione nel Regno Unito ha superato la soglia del 10% ⁽¹⁾ nel corso degli ultimi giorni abbiamo notato, in giro per il Web, un’iniziativa chiamata Don’t Pay: in sostanza, un movimento in UK che prevede la riunione di quante più persone possibili per smettere di pagare le bollette energetiche o, più precisamente, togliere l’addebito diretto sul conto corrente, questo in segno di protesta contro i prezzi sempre più insostenibili ⁽²⁾ imposti da multinazionali e operatori del settore, nonché speculatori. ⁽³⁾ A dimostrazione del fatto che l’energy price cap imposto nel 2019 da parte dell’OFGEM sia stato in totale fallimento ⁽⁴⁾ queste misure sembrano aver fatto tutto il possibile per portare il paese dalla monarchia parlamentare in recessione. ⁽⁵⁾, ⁽⁶⁾ «È semplice: chiediamo una riduzione delle bollette a un livello accessibile. La nostra leva è che raccoglieremo un milione di persone per impegnarci a non pagare se il Governo andrà avanti con un altro massiccio aumento il 1° Ottobre»; un vero e proprio ultimatum al governo inglese e agli speculatori del settore: trovare un compromesso e ridurre i prezzi, o niente più pagamenti a partire dal 1 Ottobre, o cosi si legge sulla homepage del sito ufficiale dell’iniziativa “Don’t Pay”. Un counter segna le persone che hanno “aderito” all’iniziativa, per un totale di 100.000 aderenti tra consumatori e imprese. ⁽⁷⁾ Che dire: a parole, sembra essere un progetto intenzionato a fare le cose sul serio, con tanto di poster scaricabili gratuitamente (con un grande però) per fare propaganda. ⁽⁸⁾ Bene, ora vediamo cosa non ci ha convinto di “Don’t Pay”. Per prima cosa, ci sembra doveroso fornire informazioni utili riguardo il dominio Web, che risulta essere stato creato il 31/5/2022. ⁽⁹⁾ Inoltre, notiamo che questa iniziativa sia, per certi versi, piuttosto sponsorizzata e prontamente strumentalizzata ⁽¹⁰⁾ dai grandi giornali inglesi. ⁽¹¹⁾ La seconda cosa è che il sito Web vende dei prodotti: precisamente degli stickers già “pronti” a un prezzo considerevole, assicurando senza dubbio un certo margine di profitto. ⁽¹²⁾ Adesso, non è che ciò significhi che quest’iniziativa sia aprioristicamente una truffa perché mantenere in vita un sito Web con molta utenza può arrivare a costare molto ⁽¹³⁾ e un aiutino in questo senso potrebbe fare la differenza… ma intendiamoci: se iniziassimo a vedere che la sezione “shop” di questo sito Web si arricchisse stoccando magliette, felpe, pantaloni e cover per il telefonino come se fosse un brand, beh, due domandine ce le faremmo. Non è chiaro né chi ha fondato il movimento, né il suo team: appena avremo nuovi dettagli seguiranno aggiornamenti. In conclusione, se queste iniziative fossero in buonafede e super-partecipate lo riteniamo il miglior metodo per farsi sentire. Lo sciopero è, oltre che l’arma più comoda, uno tra i metodi più potenti che abbiamo per decapitare gli speculatori e i soprusi sul nascere. Proprio per questo motivo supportiamo progetti del genere e ci auguriamo che iniziative simili si replichino anche qui: a patto che non esca fuori qualcosa ‘all’italiana, ovviamente.
the Guardian
More than 100,000 people join Don’t Pay UK in protest against energy price rises
Campaign group plans mass non-payment if 1 million sign up and government fails to address crisis
Ambientalisti: giù le mani dai roghi in Sicilia! ⇱
✑ Siamo basiti, letteralmente. Siamo ormai nell’ottica che «ogni incendio è buono» per propagandare l’ideologia controversa quale è quella dei “cambiamenti climatici” ⁽¹⁾ o, più precisamente, quella della “crisi climatica” o “emergenza climatica”; ⁽²⁾ così, tanto perché questo cambio di termini possa suggestionare il popolo bue. ⁽³⁾ Passiamo dunque al fenomeno che riguarda i roghi avvenuti nella regione sicula da Mercoledì 17 Agosto: più noti sono quelli nella contrada di Favarotta, Khamma e Perimetrale a Pantelleria ⁽⁴⁾ e la discarica di Bellolampo. ⁽⁵⁾ Ci sono tanti altri luoghi poco messi in risalto e ulteriori che vedremo nel corso di questi giorni. ⁽⁶⁾ A ogni modo, stiamo assistendo a un disastro che si quantificherebbe con circa 290 ettari di aree non-boscate in fumo e 56 ettari di aree boscate. Finora in Sicilia ci sarebbero stati 130 incendi e 15 focolai solo a Palermo. ⁽⁷⁾ Senza dubbio, le fiamme si saranno propagate con l’ausilio dei venti caldi ⁽⁸⁾ ma ciò non significa che i focolai li abbia accesi a priori il cambiamento climatico: è chiaro, è OVVIO. In situazioni analoghe si aprono molte zone grigie che spetterebbe alle procure indagare, ma sappiamo benissimo dove vanno a finire quei fascicoli. Ciononostante, gli apparati legati all’ambiente rispondono subito con la preoccupazione per gli “eventi catastrofici” verificatisi, dando la parvenza che sia tutta colpa della crisi climatica. ⁽⁹⁾ Stavolta sarà semplice demistificare l’intera faccenda. Oltre a non essere un fenomeno nuovo ⁽¹⁰⁾ i primi a pensare che gli incendi siano di origine dolosa sono nientemeno che i cittadini siculi che ben conoscono gli interessi dietro gli incendi. ⁽¹¹⁾ Poi, vi sono molte testimonianze. Il Sindaco della famosa Capaci Pietro Puccio, due settimane fa ha rilasciato un’intervista a Repubblica, giornale totalmente asservito all’agenda climatica, in un articolo fa letteralmente l’impossibile per mistificare i fatti, ma il sindaco è stato piuttosto chiaro: «Il polmone verde di Capaci, la nostra montagna più bella, una ricchezza di biodiversità sta andando in cenere. Siano maledetti gli autori. Un atto criminale contro tutta la nostra comunità. Auguro loro tutto il male possibile» ⁽¹²⁾ La sindaca di Termini Imerese, Maria Terranova, fa un resoconto della situazione: «Incendi ovunque. Contrada Cortevecchia, contrada Pistavecchia, contrada Bragone, Rocca Rossa – Ozanam. Siamo tutti fuori per dare sostegno ai cittadini, con il fuoco a pochi passi da noi. Un incubo, con chiamate che si rincorrevano e che ci segnalavano sempre nuovi principi di incendi in zone sempre diverse. Abbiamo attivato il Centro Operativo Avanzato: un centro operativo che ho voluto costituire direttamente sui luoghi interessati dagli incendi. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma la Sicilia brucia e per mano di ignobili criminali in un sistema che fa sempre più fatica a reagire. Siamo molto stanchi». ⁽¹³⁾ Addirittura Myrta Merlino scrive su Twitter: «[…] Basta incendi dolosi, chi deturpa il nostro patrimonio deve pagarla carissima», ⁽¹⁴⁾ susseguito da altri tweet con tal matrice. La più importante delle testimonianze che abbiamo rinvenuto è quella di Vincenzo Campo, Sindaco di Pantelleria che sugli incendi nel suddetto luogo «resta il forte dubbio che il rogo abbia origine dolosa», perché è partito da due punti distanti tra loro centinaia di metri». ⁽¹⁵⁾ Inoltre, non è chiaro se i roghi sono iniziati nella notte. Insomma: come gli incendi a Roma ⁽¹⁶⁾ il problema tutto è tranne che climatico.
✑ Siamo basiti, letteralmente. Siamo ormai nell’ottica che «ogni incendio è buono» per propagandare l’ideologia controversa quale è quella dei “cambiamenti climatici” ⁽¹⁾ o, più precisamente, quella della “crisi climatica” o “emergenza climatica”; ⁽²⁾ così, tanto perché questo cambio di termini possa suggestionare il popolo bue. ⁽³⁾ Passiamo dunque al fenomeno che riguarda i roghi avvenuti nella regione sicula da Mercoledì 17 Agosto: più noti sono quelli nella contrada di Favarotta, Khamma e Perimetrale a Pantelleria ⁽⁴⁾ e la discarica di Bellolampo. ⁽⁵⁾ Ci sono tanti altri luoghi poco messi in risalto e ulteriori che vedremo nel corso di questi giorni. ⁽⁶⁾ A ogni modo, stiamo assistendo a un disastro che si quantificherebbe con circa 290 ettari di aree non-boscate in fumo e 56 ettari di aree boscate. Finora in Sicilia ci sarebbero stati 130 incendi e 15 focolai solo a Palermo. ⁽⁷⁾ Senza dubbio, le fiamme si saranno propagate con l’ausilio dei venti caldi ⁽⁸⁾ ma ciò non significa che i focolai li abbia accesi a priori il cambiamento climatico: è chiaro, è OVVIO. In situazioni analoghe si aprono molte zone grigie che spetterebbe alle procure indagare, ma sappiamo benissimo dove vanno a finire quei fascicoli. Ciononostante, gli apparati legati all’ambiente rispondono subito con la preoccupazione per gli “eventi catastrofici” verificatisi, dando la parvenza che sia tutta colpa della crisi climatica. ⁽⁹⁾ Stavolta sarà semplice demistificare l’intera faccenda. Oltre a non essere un fenomeno nuovo ⁽¹⁰⁾ i primi a pensare che gli incendi siano di origine dolosa sono nientemeno che i cittadini siculi che ben conoscono gli interessi dietro gli incendi. ⁽¹¹⁾ Poi, vi sono molte testimonianze. Il Sindaco della famosa Capaci Pietro Puccio, due settimane fa ha rilasciato un’intervista a Repubblica, giornale totalmente asservito all’agenda climatica, in un articolo fa letteralmente l’impossibile per mistificare i fatti, ma il sindaco è stato piuttosto chiaro: «Il polmone verde di Capaci, la nostra montagna più bella, una ricchezza di biodiversità sta andando in cenere. Siano maledetti gli autori. Un atto criminale contro tutta la nostra comunità. Auguro loro tutto il male possibile» ⁽¹²⁾ La sindaca di Termini Imerese, Maria Terranova, fa un resoconto della situazione: «Incendi ovunque. Contrada Cortevecchia, contrada Pistavecchia, contrada Bragone, Rocca Rossa – Ozanam. Siamo tutti fuori per dare sostegno ai cittadini, con il fuoco a pochi passi da noi. Un incubo, con chiamate che si rincorrevano e che ci segnalavano sempre nuovi principi di incendi in zone sempre diverse. Abbiamo attivato il Centro Operativo Avanzato: un centro operativo che ho voluto costituire direttamente sui luoghi interessati dagli incendi. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma la Sicilia brucia e per mano di ignobili criminali in un sistema che fa sempre più fatica a reagire. Siamo molto stanchi». ⁽¹³⁾ Addirittura Myrta Merlino scrive su Twitter: «[…] Basta incendi dolosi, chi deturpa il nostro patrimonio deve pagarla carissima», ⁽¹⁴⁾ susseguito da altri tweet con tal matrice. La più importante delle testimonianze che abbiamo rinvenuto è quella di Vincenzo Campo, Sindaco di Pantelleria che sugli incendi nel suddetto luogo «resta il forte dubbio che il rogo abbia origine dolosa», perché è partito da due punti distanti tra loro centinaia di metri». ⁽¹⁵⁾ Inoltre, non è chiaro se i roghi sono iniziati nella notte. Insomma: come gli incendi a Roma ⁽¹⁶⁾ il problema tutto è tranne che climatico.
La Sicilia
Incendi, brucia ancora la Sicilia: fiamme domate alla discarica di Palermo, «ma tenete chiuse porte e finestre»
Restano ancora alcuni focolai, ma la situazione ora è sotto controllo. Sarebbero in buona parte di origine dolosa gli incendi che hanno devastato l’Isola
Il proto-razzismo estone ⇱
✑ Ebbene, il momento è arrivato. Dopo la ligia applicazione ⁽¹⁾ degli editti del Regolamento di Esecuzione UE del 15 Marzo che applica ai cittadini russi restrizioni alla «vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni» di ogni settore ritenuto “strategico” ⁽²⁾ per l’Unione Europea che fa rabbrividire alla sola lettura, l’Estonia, o insomma la sua amministrazione, fa un altro passo verso la discriminazione che potremmo definire “razziale” della popolazione russa. Da Giovedì 18 Agosto infatti, i turisti russi non possono più entrare in Estonia perché non rilascerà più visti turistici, culturali, d'affari e/o sportivi. Una proposta non poteva che provenire dall’impazzita Ucraina di Zelensky e ripresa poi dalla Finlandia della festaiola scatenata ⁽³⁾, ⁽⁴⁾ Sanna Marin e dalla stessa Estonia: una proposta, guarda caso, che ha fatto storcere il naso alla Germania di Olaf Scholz. «Questa è la guerra di Putin e per questo non concordo con l'idea; […] le misure punitive dell'UE devono essere dirette contro le persone che in Russia prendono le decisioni, e non contro tutti i russi», lascia intendere il cancelliere tedesco. ⁽⁵⁾ Sì, sì, certo. Come no. Non sarà mica per il gas. A ogni modo, c’è un dato da tenere in considerazione: da quando è entrato in vigore lo stop ai voli da e per la Russia, la Finlandia e la Turchia sono rimaste di fatto le uniche porte d'ingresso nell'Unione Europea per i turisti russi che, superato il confine dei suddetti paesi a bordo di pullman, possono raggiungere altre destinazioni, anche via aereo all'interno dell'Unione, secondo quanto previsto dall'Accordo e la Convenzione di Schengen e il rilascio dei visti. ⁽⁶⁾ Se la Finlandia adottasse tale misura, l’unica porta di ingresso ai turisti russi rimarrebbe soltanto la Turchia. ⁽⁷⁾ Altrettanti paesi di confine, come Lettonia, Lituania e Polonia hanno adottato da tempo delle strette sui visti. ⁽⁸⁾ Ma stavolta è diverso. L'Estonia ha infatti annunciato la chiusura dei confini ai russi anche se in possesso di visti Schengen per un motivo di natura molto più esplicita, ovvero che «visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano - è il momento di mettere fine al turismo dalla Russia» secondo la ministra estone Kallas. Sanna Marin replica alla radio-tv YLE che «non è giusto che mentre la Russia sta portando avanti una guerra aggressiva e brutale in Europa, i russi possano condurre una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti». L’affermazione più controversa è quella di Zelensky, secondo il quale «La popolazione ha scelto questo governo e non lo sta combattendo, non sta discutendo e non sta urlando contro di esso. Dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia». ⁽⁹⁾ Come vedete… più hai rapporti con Washington, più la pensi in un certo modo. Alcuni obietteranno che i visti saranno ancora concessi dall'Estonia in casi individuali (come per diplomatici russi e le loro famiglie) e russi che visiteranno un parente stretto che è cittadino estone o residente di lungo periodo nel Paese, definendole dunque una scelta che rifletta il rispetto della decenza umana. Tuttavia, secondo noi si andrebbe in errore e il motivo è molto semplice: per la stessa motivazione per cui oggi è vietato il rilascio di visti turistici, domani potrebbe benissimo essere vietata la possibilità di visitare i propri parenti per, appunto, la sola responsabilità morale di vivere in Russia e quindi di essere russi: motivo per cui questo post è titolato “Il proto-razzismo estone”.
✑ Ebbene, il momento è arrivato. Dopo la ligia applicazione ⁽¹⁾ degli editti del Regolamento di Esecuzione UE del 15 Marzo che applica ai cittadini russi restrizioni alla «vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni» di ogni settore ritenuto “strategico” ⁽²⁾ per l’Unione Europea che fa rabbrividire alla sola lettura, l’Estonia, o insomma la sua amministrazione, fa un altro passo verso la discriminazione che potremmo definire “razziale” della popolazione russa. Da Giovedì 18 Agosto infatti, i turisti russi non possono più entrare in Estonia perché non rilascerà più visti turistici, culturali, d'affari e/o sportivi. Una proposta non poteva che provenire dall’impazzita Ucraina di Zelensky e ripresa poi dalla Finlandia della festaiola scatenata ⁽³⁾, ⁽⁴⁾ Sanna Marin e dalla stessa Estonia: una proposta, guarda caso, che ha fatto storcere il naso alla Germania di Olaf Scholz. «Questa è la guerra di Putin e per questo non concordo con l'idea; […] le misure punitive dell'UE devono essere dirette contro le persone che in Russia prendono le decisioni, e non contro tutti i russi», lascia intendere il cancelliere tedesco. ⁽⁵⁾ Sì, sì, certo. Come no. Non sarà mica per il gas. A ogni modo, c’è un dato da tenere in considerazione: da quando è entrato in vigore lo stop ai voli da e per la Russia, la Finlandia e la Turchia sono rimaste di fatto le uniche porte d'ingresso nell'Unione Europea per i turisti russi che, superato il confine dei suddetti paesi a bordo di pullman, possono raggiungere altre destinazioni, anche via aereo all'interno dell'Unione, secondo quanto previsto dall'Accordo e la Convenzione di Schengen e il rilascio dei visti. ⁽⁶⁾ Se la Finlandia adottasse tale misura, l’unica porta di ingresso ai turisti russi rimarrebbe soltanto la Turchia. ⁽⁷⁾ Altrettanti paesi di confine, come Lettonia, Lituania e Polonia hanno adottato da tempo delle strette sui visti. ⁽⁸⁾ Ma stavolta è diverso. L'Estonia ha infatti annunciato la chiusura dei confini ai russi anche se in possesso di visti Schengen per un motivo di natura molto più esplicita, ovvero che «visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano - è il momento di mettere fine al turismo dalla Russia» secondo la ministra estone Kallas. Sanna Marin replica alla radio-tv YLE che «non è giusto che mentre la Russia sta portando avanti una guerra aggressiva e brutale in Europa, i russi possano condurre una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti». L’affermazione più controversa è quella di Zelensky, secondo il quale «La popolazione ha scelto questo governo e non lo sta combattendo, non sta discutendo e non sta urlando contro di esso. Dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia». ⁽⁹⁾ Come vedete… più hai rapporti con Washington, più la pensi in un certo modo. Alcuni obietteranno che i visti saranno ancora concessi dall'Estonia in casi individuali (come per diplomatici russi e le loro famiglie) e russi che visiteranno un parente stretto che è cittadino estone o residente di lungo periodo nel Paese, definendole dunque una scelta che rifletta il rispetto della decenza umana. Tuttavia, secondo noi si andrebbe in errore e il motivo è molto semplice: per la stessa motivazione per cui oggi è vietato il rilascio di visti turistici, domani potrebbe benissimo essere vietata la possibilità di visitare i propri parenti per, appunto, la sola responsabilità morale di vivere in Russia e quindi di essere russi: motivo per cui questo post è titolato “Il proto-razzismo estone”.
ANSA.it
Estonia: entra in vigore divieto ingresso per turisti russi
(ANSA) - VILNIUS, 18 AGO - I cittadini russi non potranno più entrare nel territorio estone attraverso i varchi di frontiera con la Federazione russa nemmeno se in possesso di regolare visto turistico. Lo comunica il ministero degli esteri di Tallinn. Il…