♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Borsellino insieme a Giovanni Falconee Antonino Caponnetto.
Chi era Paolo Borsellino

Nato a Palermo nel 1940, dopo la laurea in Giurisprudenza, entrò in magistratura nel 1963 (all’epoca fu il più giovane magistrato d’Italia). Dopo vari incarichi, nel 1975 venne trasferito all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Strinse un rapporto molto stretto con il suo superiore Rocco Chinnici, che prima di essere ucciso nel 1983, istituì il cosiddetto “pool antimafia”, un gruppo di giudici istruttori che, lavorando in gruppo, si sarebbero occupati solo dei reati di stampo mafioso. Borsellino fu confermato nel pool anche dal successore di Chinnici, Antonino Caponnetto. A metà anni 80 Falcone e Borsellino istituirono il maxi-processo di Palermo basato sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Per ragioni di sicurezza trascorsero anche un periodo all’Asinara, insieme alle rispettive famiglie. Lo storico procedimento nell’aula bunker dell’Ucciardone portò nel 1987 a 342 condanne. Borsellino intanto chiese e ottenne di essere nominato procuratore a Marsala e il pool fu sciolto. Già nel 1991, si scoprì in seguito, la mafia aveva iniziato a progettare l’omicidio di Borsellino, che intanto tornò a Palermo come procuratore aggiunto.
Via D'Amelio dopo l'attentato a Borsellino del 19 luglio 1992.

La strage di via D'Amelio

Il 23 maggio 1992 a Capaci, l’amico fraterno Giovanni Falcone venne ucciso in un attentatoinsieme alla moglie e a tre agenti della scorta. Borsellino denunciò l'isolamento dei giudici nelle ultime interviste, si dichiarò “un condannato a morte”. Il 19 luglio 1992 il giudice andò a trovare la madre in via D’Amelio e al suo arrivo un’auto parcheggiata imbottita di tritolo esplose uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti della sua scorta. Migliaia di persone parteciparono ai funerali ma i familiari rifiutarono quelli di Stato in aperta polemica con il mondo politico, colpevole secondo i parenti di non averlo difeso. La famiglia ha portato avanti una battaglia costante per arrivare alla verità sulla strage, grazie all’impegno dei figli (come Fiammetta che il 18 luglio 2018 ha inviato a la Repubblica una lettera con 13 domande), la sorella Rita, il fratello Salvatore che in diverse interviste ha parlato di “strage
Il mistero dell’agenda rossa

La morte di Paolo Borsellino è rimasta circondata negli anni da episodi dubbi, sospetti e depistaggi. Una delle pagine più misteriose è legata alla sparizione dell’agenda rossa del giudice, un diario da cui Borsellino non si separava mai nelle settimane prima dell’attentato e che non è mai stato ritrovato. "Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa l'agenda rossa", ha raccontato la figlia del giudice, Lucia Borsellino, chiamata a testimoniare al quarto processo per la strage. Le sue parole sono state confermate dal fratello Manfredi che ha ricordato l’immagine del padre che scriveva "compulsivamente sul diario, e non per appuntare fatti personali. Era un modo per segnare eventi e cose di lavoro importanti". Ai giudici della corte d’Assise ha spiegato che "se non fosse andata persa, le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un’altra direzione". Manfredi è certo che il diario abbia resistito, come l'altra agenda ritrovata intatta nella borsa del magistrato, alla deflagrazione di via D’Amelio. La valigetta venne restituita dopo qualche settimana alla famiglia. Ma dentro non c’era traccia dell’agenda rossa.
I processi e i depistaggi

Per la strage di via D’Amelio l’iter giudiziario è stato lunghissimo. Confessioni, falsi pentiti, condanne poi ribaltate. Le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza hanno riaperto le indagini sull’attentato scoprendo il depistaggio che era costato la condanna all'ergastolo a sette innocenti poi scagionati. Si è arrivati al cosiddetto “processo quater”, che ha messo un punto forse definitivo nello stabilire una verità sui fatti. Il 30 giugno 2018 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha depositato 1865 pagine di motivazioni per il quarto processo sull’attentato Borsellino, la cui sentenza era arrivata 14 mesi prima. Secondo i giudici si è trattato di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" con protagonisti uomini dello istituzioni. Il 20 aprile del 2017 il processo aveva portato alle condanne all'ergastolo per Salvino Madonia e Vittorio Tutino, il primo tra i mandanti, il secondo tra gli esecutori materiali. Altri imputati sono stati condannati per calunnia in quanto finti collaboratori di giustizia usati per creare una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata in precedenza l'ergastolo a sette innocenti. Per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di ritrattazioni nel corso di vent'anni di processi, i giudici hanno dichiarato la prescrizione concedendogli l'attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri.
I poliziotti rinviati a giudizio

I giudici di Caltanissetta hanno puntato il dito anche contro i servitori infedeli dello Stato autori dei depistaggi. Secondo i magistrati, l’allora capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera (ora morto) ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa”. Alcuni investigatori, mossi da "un proposito criminoso", avrebbero quindi indirizzato l'inchiesta e costretto Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell'attentato. Inoltre avrebbero compiuto “una serie di forzature, indebite suggestioni, radicalmente difformi dalla realtà”. La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio di tre poliziotti per il depistaggio delle indagini. Il funzionario Mario Bo, che è stato già indagato per gli stessi fatti e che ha poi ottenuto l'archiviazione, e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono accusati di calunnia in concorso aggravata. Nel settembre 2018, i tre sono stati rinviati a giudizio.
Era il 19 luglio del 1992 quando all’altezza del civico 21 di via D’Amelio a Palermo, esplose la Fiat imbottita di tritolo che uccise il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli ed Eddie Walter Cosina

Sono passati 28 anni da quel maledetto 19 luglio 1992, e ancora manca un pezzo importante di verità. Non si trova l’agenda rossa di Borsellino, trafugata di sicuro da un uomo infedele delle istituzioni in quell’inferno di auto in fiamme e corpi dilaniati.

Subito dopo iniziò il depistaggio, anche questo ad opera di uomini infedeli delle istituzioni, un depistaggio che ha protetto, e continua a proteggere, i veri colpevoli della strage e i mandanti.

“La verità è dentro lo Stato”, urla Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo, che in questi anni non ha mai smesso di battersi per la ricerca della verità ben custodita da chi sa e non parla.

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Come è facile osservare la Sicilia ha geograficamente forma di triangolo. Questa sua conformazione le valse l'antico nome di Trinàcria

Il nome di Trinàcria fu utilizzato da Omero nell’Odissea, ma anche dagli storici Antioco da Siracusa, Timeo da Taormina e dallo stesso Tucidide.

I Romani invece tradussero il nome Trinacria in Trìquetra, che significa appunto «triangolare».

La Sicilia fu indicata nell’antichità anche come «l’isola del Sole». Il simbolo dell’Isola rappresenta, infatti, un volto attorniato da raggi solari.

Dal VII secolo avanti Cristo il volto fu circondato da tre gambe, che pur simulando i raggi del sole, rappresentano verosimilmente i tre punti estremi dell’Isola.

In periodo romano, invece, per indicare la fertilità dell’Isola furono aggiunte delle spighe, come è possibile notare nei mosaici romani di Marsala e di Tindari. A questo proposito varrebbe ricordare il mito di Cerere, dea delle messi, e il ratto di Proserpina.

In realtà però, fin dall’inizio, il volto assunse un riferimento alla Gorgone anguicrinita (cioè dalle chiome fatte o intrecciate di serpi), questo probabilmente al fine di incutere terrore ai nemici.

La Gòrgone o Gorgóne per eccellenza è Medusa. In effetti con il nome di Gorgone la mitologia greca indicava ciascuna delle tre sorelle (Steno, Euriale e appunto Medusa) figlie di Forco e Ceto.

Si racconta che avessero ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale, serpenti al posto dei capelli. Caravaggio, infatti, rappresenta Medusa con la testa anguicrinita.

Le tre sorelle pietrificavano chiunque le fissasse negli occhi. Tuttavia Medusa, l’unica fra di loro ad essere mortale, venne uccisa con scaltrezza da Perseo.

Proviamo a spiegare il termine « Sicilia », che, fin all'antichità classica, prese il posto di Trinàcria e anche di Sicània (cioè terra dei Sicani, fra i primi abitatori dell’Isola). In realtà il termine « Sicilia », in età medievale, non designò soltanto l’Isola, ma fu esteso anche alla penisola per indicare i domini normanno-svevi, dell'Italia meridionale. Secondo il grammatico latino Marco Terenzio Varrone, il termine « Sicilia » deriverebbe dalla voce italica sica che sta ad indicare la falce. Pertanto «Sicilia » significherebbe «terra di falciatori», questo perché i Romani consideravano la Sicilia come la regione più ricca di grano per approvvigionare Roma. Occorre tuttavia far notare che il termine «Sicilia» è anteriore alla dominazione romana, che cominciò nell’isola solo dal 264 a.C. Di qui si possono avanzare differenti interpretazioni del toponimo (in linguistica e geografia, il toponimo è il nome proprio di un luogo, dal greco tópos 'luogo').

Il nome «Sicilia» deriva in realtà da sik, termine di radice indo-germanica che sta a denotare l’ingrossamento e la crescita. Nella lingua greca questa radice è usata per individuare certi frutti che si sviluppano rapidamente come il fico (siké) o la zucca (sikùs). Quindi Sicilia significherebbe «terra della fecondità, isola della fertilità».

In periodo bizantino (secc. VI – IX) si credette che il nome «Sicilia» derivasse dall’unione di due termini greci ( siké ed elaia), che denotavano due piante tipiche dell’isola: il fico e l’olivo.

Abbiamo detto che la Sicilia fu, sin dall’antichità, legata al mito del dio Sole. Più precisamente lo storico catanese Santi Correnti (al cui testo faremo principalmente riferimento nel corso di queste lezioni) ricorda che una parte della Sicilia, esattamente il litorale jonico che va da Taormina verso Messina, si chiamò «Vitulia», perché vi erano allevati i vitelli dedicati al dio Sole, di cui era sacrilegio cibarsi.

Dobbiamo, a questo proposito, ricordare il Primo libro dell’Odissea, quando Omero narra che tutti i compagni di Ulisse morirono per essersi cibati delle carni sacre dei vitelli.

A riprova dell’antica designazione geografica del litorale ionico, Correnti precisa che l’unico degli 8100 Comuni italiani, denominato «Itala», è ubicato proprio in provincia di Messina, laddove gli antichi indicavano la «Vitulia».
Vale ancora far notare che il termine

«Vitulia», una volta oltrepassato lo Stretto di Messina si mutò in «Italia» (dando il nome alla nostra Nazione), sostituendo progressivamente lungo la Penisola, a partire dalla Calabria, i termini di Esperia, Ausonia, Vulcania, Nettunia, Saturnia ed Enotria.
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PROVERBIO SICILIANO

“L’invidia nun taci unni la gloria grida"

“L’invidia non tace dove la gloria grida”

Questo proverbio ci ricorda che le persone che ricevono tanti apprezzamenti,hanno particolari meriti o raggiungono traguardi positivi,sono spesso fonte di invidia
Le sarde a beccafico, in siciliano sardi a beccaficu, sono una preparazione di sarde tipica della gastronomia siciliana, in particolare Palermitana, Messinese e Catanese. È un piatto tipico siciliano e come tale è stato ufficialmente riconosciuto e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e Forestali.
Il nome del piatto deriva dai beccafichi volatili della famiglia dei Silvidi. In passato i nobili siciliani li consumavano, dopo averli cacciati, farciti delle loro stesse viscere e interiora. Il piatto era gustoso ma inavvicinabile al popolo in quanto bene di lusso. I popolani siciliani ripiegarono quindi sulle materie prime che potevano permettersi ovvero le sarde. Per imitare il ripieno d'interiora si pensò di utilizzare la mollica di pane, i pinoli e poco altro.

Buon pranzo 💋
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«La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo... Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che da un'estremità all'altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura».