La Valle dei Templi è un parco archeologico della Sicilia caratterizzato dall'eccezionale stato di conservazione e da una serie di importanti templi dorici del periodo ellenico. Corrisponde all'antica Akragas, monumentale nucleo originario della città di Agrigento. Dal 2000 è parco archeologico regionale.
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Dal 1997 l'intera zona è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità redatta dall'UNESCO. È considerata un'ambita meta turistica, oltre ad essere il simbolo della città e uno dei principali di tutta l'isola. Il parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, con i suoi 1300 ettari, è uno dei siti archeologici più grandi del Mediterraneo.
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La maggior parte degli scavi e del restauro dei templi si deve all'operato dell'archeologo Domenico Antonio Lo Faso Pietrasanta (1783-1863), Duca di Serradifalco dal 1809 al 1812. Durante il XX secolo, gli scavi e i restauri vennero principalmente finanziati da Sir Alexander Hardcastle. Permise gli scavi archeologici all'interno del parco, tra cui il raddrizzamento delle otto colonne sul lato sud del tempio di Eracle. Per i suoi contributi all'archeologia è stato nominato cittadino onorario della città di Agrigento, con la concessione del grado di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia.
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La maggior parte degli scavi e del restauro dei templi si deve all'operato dell'archeologo Domenico Antonio Lo Faso Pietrasanta (1783-1863), Duca di Serradifalco dal 1809 al 1812. Durante il XX secolo, gli scavi e i restauri vennero principalmente finanziati da Sir Alexander Hardcastle. Permise gli scavi archeologici all'interno del parco, tra cui il raddrizzamento delle otto colonne sul lato sud del tempio di Eracle. Per i suoi contributi all'archeologia è stato nominato cittadino onorario della città di Agrigento, con la concessione del grado di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia.
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In Sicilia esiste un lavatoio di origine medievale di una bellezza unica e rara che si trova a Cefalù.
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Tra le stradine a ciottoli del meraviglioso borgo sul mare di Cefalù, è possibile visitare il lavatoio medievale rimasto intatto nel tempo, risalente al '600 circa. Visitato da numeri esorbitanti di turisti provenienti da tutte le parti del mondo e in tutte le stagioni.
L’attuale Lavatoio Medievale è stato edificato nel 1514, nello stesso punto in cui sorgeva il ben più antico lavatoio, quest’ultimo costretto alla demolizione. Oltre ai lavori cinquecenteschi, ne seguirono altri durante il Seicento, principalmente finalizzati nel creare una copertura al fiume che vi scorreva. Il Lavatoio Medievale di Cefalù venne curato nei minimi dettagli, non solo per quanto riguarda l’aspetto estetico ma anche in quello idraulico, presentando alcuni elementi di una rudimentale ingegneria medievale, grazie alla quale venne creato un sistema idrico che permetteva alle acque reflue di essere veicolate direttamente in mare.
Il Lavatoio Medievale di Cefalù mostra numerosi riferimenti all’arte araba, con uno scenografico stile architettonico che riesce a impreziosire l’area in cui si trova, donandogli una ricercata eleganza e pregio. Si accede al Lavatoio Medievale tramite una scalinata, superata la quale si mostra questa opera in tutto il suo splendore, potendone ancora oggi ammirare le sue ampie vasche in cui, un tempo, le lavandaie di Cefalù erano solite lavare i panni mentre intonavano le canzoni del folklore siciliano. Le bocche da cui sgorga l’acqua sono raffigurate da particolari teste leonine, le quali rendono ancor più particolareggiato lo stile di questo luogo.
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Il Lavatoio Medievale di Cefalù mostra numerosi riferimenti all’arte araba, con uno scenografico stile architettonico che riesce a impreziosire l’area in cui si trova, donandogli una ricercata eleganza e pregio. Si accede al Lavatoio Medievale tramite una scalinata, superata la quale si mostra questa opera in tutto il suo splendore, potendone ancora oggi ammirare le sue ampie vasche in cui, un tempo, le lavandaie di Cefalù erano solite lavare i panni mentre intonavano le canzoni del folklore siciliano. Le bocche da cui sgorga l’acqua sono raffigurate da particolari teste leonine, le quali rendono ancor più particolareggiato lo stile di questo luogo.
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🪸Il corallo di Sciacca è un octocorallo che fa parte della famiglia del Corallium rubrum mediterraneo.
Il tipico colore rosso del corallo di Sciacca sotto l’azione dei funghi vulcanici dell’Isola Ferdinandea (nel canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria) assume sfumature particolarissime.
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Scoperto per caso da un gruppetto pescatori nel 1875 sui fondali al largo della città in provincia di Agrigento, dal 2012 il corallo di Sciacca è finalmente tutelato da un consorzio formato da alcune aziende specializzate nella lavorazione, consorzio che preserva e promuove metodi di lavorazione artigianali e identità della pregiata gemma marina in tutt’Italia e all’estero, con esposizioni e distribuzione da New York a Doha, il tutto per un giro d’affari di circa 2 milioni di euro all’anno.
Il corallo di Sciacca è più piccolo del corallo asiatico, in genere 10-12 millimetri, per un diametro di una lavorazione a sfera che solitamente oscilla tra i 3 e gli 8 millimetri. L’oro rosso di Sciacca ha caratteristiche che lo rendono unico rispetto alle specie di corallo lavorabili conosciute: a fare la differenza per quanto riguarda le tonalità di colore sono le caratteristiche del suo habitat.
Il corallo di Sciaccia cresce alle pendici del vulcano sottomarino, dai 50 ai 200 metri di profondità, e i suoi rami formano lo scheletro calcareo di colonie di polipetti bianchi molto piccoli della famiglia dei Celenterati che qui si riproducono in modo asessuato avendo trovato le condizioni ideali.
La colorazione del corallo di Sciacca è la cifra della sua unicità con sfumature che vanno dal salmone al giallo, dall’arancione intenso fino al nero-brunastro, a riprova dell’origine vulcanica. Il corallo grezzo, formato da materiale organico che cresce sui fianchi del vulcano sottomarino, appare opaco.
Dopo la pesca il corallo viene accuratamente pulito e lavorato da mani esperte che ne fanno risaltare il colore e la lucentezza vitreo-porcellanosa trasformandolo in ricercati gioielli – ciondoli, orecchini, bracciali e collane – non di rado in combinazione con altri materiali preziosi come ad esempio oro e argento
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Il corallo di Sciaccia cresce alle pendici del vulcano sottomarino, dai 50 ai 200 metri di profondità, e i suoi rami formano lo scheletro calcareo di colonie di polipetti bianchi molto piccoli della famiglia dei Celenterati che qui si riproducono in modo asessuato avendo trovato le condizioni ideali.
La colorazione del corallo di Sciacca è la cifra della sua unicità con sfumature che vanno dal salmone al giallo, dall’arancione intenso fino al nero-brunastro, a riprova dell’origine vulcanica. Il corallo grezzo, formato da materiale organico che cresce sui fianchi del vulcano sottomarino, appare opaco.
Dopo la pesca il corallo viene accuratamente pulito e lavorato da mani esperte che ne fanno risaltare il colore e la lucentezza vitreo-porcellanosa trasformandolo in ricercati gioielli – ciondoli, orecchini, bracciali e collane – non di rado in combinazione con altri materiali preziosi come ad esempio oro e argento
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Viene dalla Sicilia sud Orientale la novità più importante dell’anno nel mondo dei distillati italiani.
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Protagonista è Avola, nella valle del Barocco di Noto, dove è stato appena lanciato Avola Rum il primo rum 100% siciliano da puro succo di canna da zucchero.
L’idea è nata dall’imprenditore Corrado Bellia, direttore anche del Consorzio della Mandorla di Avola che ha recuperato così una antica produzione. Perché, sì, ad Avola fino a 2 secoli fa si coltivava canna da zucchero e si produceva dell’ottimo rum, piuttosto noto tra le famiglie nobili siciliane.
La canna da zucchero è stata coltivata per secoli in Sicilia, dagli arabi in poi, per produrre zucchero. Dismessa nel XVII, a causa dei cambiamenti climatici fu mantenuta solo ad Avola, dove il succo della canna veniva impiegato anche per produrre rum
Le piantagioni di canna da zucchero, lavorate in questi mesi, hanno dato vita alla prima produzione in commercio da giugno 2021, presentata proprio in questi giorni in Sicilia
✍🏻Fonte
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La canna da zucchero è stata coltivata per secoli in Sicilia, dagli arabi in poi, per produrre zucchero. Dismessa nel XVII, a causa dei cambiamenti climatici fu mantenuta solo ad Avola, dove il succo della canna veniva impiegato anche per produrre rum
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Agrodolce
Nasce Avola Rum, il primo rum siciliano e italiano al 100% - Agrodolce
Nasce in Sicilia Avola rum; determinazione e voglia di far parlare il proprio territorio racchiusi in una bottiglia.
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