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𝐼𝑙 𝑡𝑟𝑎𝑚𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑇𝑎𝑜𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎 𝑒 𝑙𝑜 𝑠𝑘𝑦𝑙𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝐸𝑡𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑛 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑓𝑢𝑚𝑜 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑜 𝑠𝑔𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑟𝑒𝑓𝑒𝑟𝑖𝑡𝑜.
𝑣𝑖𝑑𝑒𝑜 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎
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Immagini che rievocano ricordi estivi a casa dei nonni.
Il pomodoro,caposaldo della tradizione agroalimentare siciliana:
La sua preparazione è un rito, la sua memoria è ancestrale, il suo gusto è unico al mondo.
Soprattutto se si tratta di pomodoro siciliano.
Una esperienza consolidata nel tempo l’antica tradizione contadina siciliana.
💻 Ricetta
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SICILIA DA SCOPRIRE. Ecco i luoghi dove trascorrere le vacanze.
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SICILIA DA SCOPRIRE. Ecco i luoghi dove trascorrere le vacanze.
La Sicilia è una delle regioni italiane più amate dai turisti, una regione tutta da scoprire grazie alla sua storia, cultura, bellezze naturali e gastronomia. Ecco 5 località siciliane che ti consigliamo di visitare per una vacanza indimenticabile. Taormina…
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Isola delle Femmine
L’Isola delle Femmine è un fazzoletto di terra adagiato sul mare, sovrastato da una torre diroccata che lotta perennemente contro le forze della natura e che fin dall’antichità ha influenzato col suo fascino intenso e particolare, la fantasia popolare, tanto che attorno alle sue origini hanno preso vita numerose leggende.
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L’Isola delle Femmine è un fazzoletto di terra adagiato sul mare, sovrastato da una torre diroccata che lotta perennemente contro le forze della natura e che fin dall’antichità ha influenzato col suo fascino intenso e particolare, la fantasia popolare, tanto che attorno alle sue origini hanno preso vita numerose leggende.
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Isola delle femmine è un comune in provincia di Palermo, situato sulla costa settentrionale della Sicilia, nel mar Tirreno, fra Capo Gallo e Punta Rais. Antico borgo marinaroe e oggi
considerevole centro turistico e di villeggiatura nonchè meta preferita dei surfisti locali, con una singolare riserva naturale marina e terrestre, deve il suo nome alla piccola isola che le sta di fronte.
Già sulle origini del nome sono molte le controversie, c’è chi pensa che deriva da Isola di Eufemio, detta Insula Fimi, dal nome del governatore bizantino della Sicilia, mentre forse la storia vera del nome è da ricercarsi nel termine Fim (bocca o imboccatura in arabo), che venne tradotto letteralmente nel latino Fimis, parola alterata poi dal dialetto siciliano che la trasformò in fimmini, ed infine italianizzato in Femmine.
Oltre alla torre presente sull’isolotto, realizzata verso la fine del 1500 e che comunemente viene chiamata “torre di fuori”, esiste un’altra torre posta sulla terraferma detta “torre di dentro” e conosciuta anche come “torre del Senato di Palermo”, quest’ultima eretta intorno al ‘400, facevano entrambe parte del sistema di avviso delle torri costiere della Sicilia.
Il paesino nacque come porto adibito alla pesca del tonno, e proprio per la sua notevole produzione ittica, nel 1831 fu motivo di contesa fra il conte di Capaci e l’arcivescovo di Monreale, e solo nel 1859 la borgata denominata Tonnara fu staccata da Capaci e resa comune autonomo col nome di Isola delle Femmine.
Le leggende, e sono tante , ruotano tutte attorno all’ isolotto e alla sua torre. Quella più conosciuta parla di un carcere femminile che sorgeva appunto sull’isola in tempi antichissimi, ma dagli scavi archeologici fatti, non sono mai emersi resti di vita carceraria.
C’è un’altra leggenda però che parla di un gruppo di donne, tredici fanciulle turche, che essendosi macchiate di colpe gravi, furono imbarcate dai loro congiunti in una nave e mandate alla deriva. Dopo giorni di vagare in balia dei venti e delle tempeste, l’imbarcazione approdò su un isolotto nella baia di Carini.
Qui le donne vissero per sette lunghi anni fino a quando i parenti pentitisi non le cercarono, e trovatele decisero di stabilirsi sulla terraferma formando una cittadina che chiamarono Capaci, (da CCa-paci) ovvero qui la pace, e dando il nome di “isola delle femmine” all’isolotto dove avevano abitato le donne. Ma la storia più suggestiva è certamente quella di Lucia, una bellissima fanciulla del paese innamorata di un suo giovane compaesano, e che per questo rifiutò le offerte amorose di un ricco e prepotente signore il quale, vistosi respinto, per rabbia la fece rapire e rinchiudere in quella torre. La ragazza piuttosto che arrendersi preferì lasciarsi morire di fame e di dolore.
Si narra che ancora oggi nei giorni di tempesta, si ode il suo lamento disperato echeggiare fra le rovine della sua prigione con un’infinita struggente malinconia.
Di un’altra leggenda invece si trova traccia in uno scritto di Plinio il Giovane, e racconta che l’isola fosse la residenza di fanciulle bellissime che si concedevano, per la durata di una luna, cioè un mese, ai giovani guerrieri che si erano distinti in battaglia…
Leggenda e storia si fondono e si confondono, coesistono, e spesso non si sa dove finisce la favola e dove comincia la realtà di questa piccola isola abbracciata dal mare.
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considerevole centro turistico e di villeggiatura nonchè meta preferita dei surfisti locali, con una singolare riserva naturale marina e terrestre, deve il suo nome alla piccola isola che le sta di fronte.
Già sulle origini del nome sono molte le controversie, c’è chi pensa che deriva da Isola di Eufemio, detta Insula Fimi, dal nome del governatore bizantino della Sicilia, mentre forse la storia vera del nome è da ricercarsi nel termine Fim (bocca o imboccatura in arabo), che venne tradotto letteralmente nel latino Fimis, parola alterata poi dal dialetto siciliano che la trasformò in fimmini, ed infine italianizzato in Femmine.
Oltre alla torre presente sull’isolotto, realizzata verso la fine del 1500 e che comunemente viene chiamata “torre di fuori”, esiste un’altra torre posta sulla terraferma detta “torre di dentro” e conosciuta anche come “torre del Senato di Palermo”, quest’ultima eretta intorno al ‘400, facevano entrambe parte del sistema di avviso delle torri costiere della Sicilia.
Il paesino nacque come porto adibito alla pesca del tonno, e proprio per la sua notevole produzione ittica, nel 1831 fu motivo di contesa fra il conte di Capaci e l’arcivescovo di Monreale, e solo nel 1859 la borgata denominata Tonnara fu staccata da Capaci e resa comune autonomo col nome di Isola delle Femmine.
Le leggende, e sono tante , ruotano tutte attorno all’ isolotto e alla sua torre. Quella più conosciuta parla di un carcere femminile che sorgeva appunto sull’isola in tempi antichissimi, ma dagli scavi archeologici fatti, non sono mai emersi resti di vita carceraria.
C’è un’altra leggenda però che parla di un gruppo di donne, tredici fanciulle turche, che essendosi macchiate di colpe gravi, furono imbarcate dai loro congiunti in una nave e mandate alla deriva. Dopo giorni di vagare in balia dei venti e delle tempeste, l’imbarcazione approdò su un isolotto nella baia di Carini.
Qui le donne vissero per sette lunghi anni fino a quando i parenti pentitisi non le cercarono, e trovatele decisero di stabilirsi sulla terraferma formando una cittadina che chiamarono Capaci, (da CCa-paci) ovvero qui la pace, e dando il nome di “isola delle femmine” all’isolotto dove avevano abitato le donne. Ma la storia più suggestiva è certamente quella di Lucia, una bellissima fanciulla del paese innamorata di un suo giovane compaesano, e che per questo rifiutò le offerte amorose di un ricco e prepotente signore il quale, vistosi respinto, per rabbia la fece rapire e rinchiudere in quella torre. La ragazza piuttosto che arrendersi preferì lasciarsi morire di fame e di dolore.
Si narra che ancora oggi nei giorni di tempesta, si ode il suo lamento disperato echeggiare fra le rovine della sua prigione con un’infinita struggente malinconia.
Di un’altra leggenda invece si trova traccia in uno scritto di Plinio il Giovane, e racconta che l’isola fosse la residenza di fanciulle bellissime che si concedevano, per la durata di una luna, cioè un mese, ai giovani guerrieri che si erano distinti in battaglia…
Leggenda e storia si fondono e si confondono, coesistono, e spesso non si sa dove finisce la favola e dove comincia la realtà di questa piccola isola abbracciata dal mare.
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www.palermoviva.it
L'Isola delle Femmine | www.palermoviva.it
L'Isola delle Femmine è una località marittima che si trova nei pressi di Palermo. Ecco la sua storia e le leggende legate a questo luogo.
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La Frittedda siciliana è uno dei contorni che più amo, perché si prepara in pochissimo tempo ed è fatto da tutti ingredienti che io, personalmente, amo.
Fave, piselli e carciofi, rigorosamente freschi, sono gli ingredienti principali per realizzare la Frittedda Siciliana.
Esiste sia una versione salata che una in agrodolce, io oggi ve le propongo entrambe.
La differrenza sostanziale tra Frittedda in Agrodlce e quella salata è che nella prima, gli ortaggi vegono fatti stufare con aceto e zucchero.
Nella versione salata, invece, si aggiunge del lardo per insaporire gli ortaggi, (Ahimè io non ne avevo e non l ho messo).
La frittedda siciliana molte volta viene utilizzata non solo come contorno ma anche come primo, servita con della pasta corta.
Vi consiglio di consumare la vostra frittedda da fredda, è più buona secondo me.
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Fave, piselli e carciofi, rigorosamente freschi, sono gli ingredienti principali per realizzare la Frittedda Siciliana.
Esiste sia una versione salata che una in agrodolce, io oggi ve le propongo entrambe.
La differrenza sostanziale tra Frittedda in Agrodlce e quella salata è che nella prima, gli ortaggi vegono fatti stufare con aceto e zucchero.
Nella versione salata, invece, si aggiunge del lardo per insaporire gli ortaggi, (Ahimè io non ne avevo e non l ho messo).
La frittedda siciliana molte volta viene utilizzata non solo come contorno ma anche come primo, servita con della pasta corta.
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Vive fino a 500 anni e i suoi frutti hanno proprietà benefiche: il carrubbo, tra storia e leggende
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Anche se non doveste conoscerlo, se per caso vi troverete sotto le sue fronde lo riconoscerete per l’inconfondibile sentore dato dai suoi particolari frutti.
Stiamo parlando del carrubbo, un albero sempreverde dall’aspetto maestoso (arriva anche all‘altezza di 10 metri), che vive fino a 500 anni, e trova il suo habitat naturale in terreni rocciosi e calcarei con climi caldi.
È per queste caratteristiche, nonostante non sia un arbusto originario dell’Isola, che qui in Sicilia il carrubbo ha trovato una casa accogliente e, nonostante oggi sia quasi dimenticato, rientra tra le colture più antiche e apprezzate (ora vi diremo perché).
Originario della Siria, da dove si è diffuso in Europa, Africa Settentrionale, Medio Oriente e Asia Occidentale, oggi viene coltivato soprattutto in Spagna, Portogallo, Africa e in alcuni Paesi del Medio Oriente e anche nel sud dell’Italia.
Tra miti, leggende e racconti fatti dai nonni il carrubbo è stato un albero dai frutti importantissimi e spesso indispensabili essendo chiamati “pane di San Giovanni”.
Il suo nome deriva dall’arabo “kharrūb” che significa “carato”, probabilmente perché si riteneva che il seme delle carrubbe avessero sempre lo stesso peso (1 quinto di grammo) e perciò era possibile usarle per pesare l’oro e le pietre preziose.
Secondo la leggenda, il santo si sarebbe nutrito di questa pianta durante i lunghi periodi di ascesi nel deserto. Senza scomodare, però, santi e libri sacri la testimonianza riportata dai nostri nonni che in periodi di grosse restrizioni economiche generati dalla guerra, si nutrirono (anzi sfamarono in alcuni casi) di carrubbe è sufficiente a dar credito alle leggende, oggi sostenute anche dalla scienza.
La carruba - il frutto dell’omonimo albero che presenta foglie grandi e spesse di colore verde scuro, lucido, e in estate produce numerosi fiori rossastri (ma solo le piante femminili fruttificano) - appartiene alla stessa famiglia dei legumi, quella delle Fabaceae e al genere Ceratonia.
Ha a suo vantaggio l’alta presenza di fibre e polifenoli che abbassano i livelli di colesterolo nel sangue; è anche un coadiuvante nelle diete dimagranti grazie al fatto che crea un senso di sazietà. Sono inoltre un alimento astringente, antiemorragico, antiacido, antisecretivo gastrico.
La polpa delle carrube ha un sapore dolciastro, simile a quello del cacao, in più è priva di glutine e quindi versatile per le preparazioni dei celiaci.
Se nell’antichità, soprattutto tra le stradine delle campagne, si vedevano grandi e piccini con in bocca uno di questi bastoncini marroni (erano un po’ le caramelle non raffinate per i bambini) oggi le carrubbe si trovano solo in supermercati selezionati, anche sotto forma di prodotti trattati (come farine o zuccheri).
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Stiamo parlando del carrubbo, un albero sempreverde dall’aspetto maestoso (arriva anche all‘altezza di 10 metri), che vive fino a 500 anni, e trova il suo habitat naturale in terreni rocciosi e calcarei con climi caldi.
È per queste caratteristiche, nonostante non sia un arbusto originario dell’Isola, che qui in Sicilia il carrubbo ha trovato una casa accogliente e, nonostante oggi sia quasi dimenticato, rientra tra le colture più antiche e apprezzate (ora vi diremo perché).
Originario della Siria, da dove si è diffuso in Europa, Africa Settentrionale, Medio Oriente e Asia Occidentale, oggi viene coltivato soprattutto in Spagna, Portogallo, Africa e in alcuni Paesi del Medio Oriente e anche nel sud dell’Italia.
Tra miti, leggende e racconti fatti dai nonni il carrubbo è stato un albero dai frutti importantissimi e spesso indispensabili essendo chiamati “pane di San Giovanni”.
Il suo nome deriva dall’arabo “kharrūb” che significa “carato”, probabilmente perché si riteneva che il seme delle carrubbe avessero sempre lo stesso peso (1 quinto di grammo) e perciò era possibile usarle per pesare l’oro e le pietre preziose.
Secondo la leggenda, il santo si sarebbe nutrito di questa pianta durante i lunghi periodi di ascesi nel deserto. Senza scomodare, però, santi e libri sacri la testimonianza riportata dai nostri nonni che in periodi di grosse restrizioni economiche generati dalla guerra, si nutrirono (anzi sfamarono in alcuni casi) di carrubbe è sufficiente a dar credito alle leggende, oggi sostenute anche dalla scienza.
La carruba - il frutto dell’omonimo albero che presenta foglie grandi e spesse di colore verde scuro, lucido, e in estate produce numerosi fiori rossastri (ma solo le piante femminili fruttificano) - appartiene alla stessa famiglia dei legumi, quella delle Fabaceae e al genere Ceratonia.
Ha a suo vantaggio l’alta presenza di fibre e polifenoli che abbassano i livelli di colesterolo nel sangue; è anche un coadiuvante nelle diete dimagranti grazie al fatto che crea un senso di sazietà. Sono inoltre un alimento astringente, antiemorragico, antiacido, antisecretivo gastrico.
La polpa delle carrube ha un sapore dolciastro, simile a quello del cacao, in più è priva di glutine e quindi versatile per le preparazioni dei celiaci.
Se nell’antichità, soprattutto tra le stradine delle campagne, si vedevano grandi e piccini con in bocca uno di questi bastoncini marroni (erano un po’ le caramelle non raffinate per i bambini) oggi le carrubbe si trovano solo in supermercati selezionati, anche sotto forma di prodotti trattati (come farine o zuccheri).
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Vive fino a 500 anni e i suoi frutti hanno proprietà benefiche: il carrubbo, tra storia e leggende
Tra miti, leggende e racconti fatti dai nonni il carrubbo è stato un albero dai frutti importantissimi e spesso indispensabili essendo chiamati “pane di San Giovanni”
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