Il cappero è un arbusto con un'altezza media di 30–50 cm con dei fiori molto vistosi bianchi e rosa con punte di viola.
Tra la fine di maggio e settembre comincia la fioritura e con essa la raccolta dei bottoni floreali non ancora aperti. Devono essere raccolti in modo tempestivo, prima dell'alba e appena germogliati. Quelli di dimensioni minori divengono, dopo la maturazione, il prodotto migliore.
Una volta raccolti vengono messi a maturare in salamoia in sale marino. La maturazione è un passaggio obbligato, allo stato fresco i capperi sono amari e di gusto sgradevole. I capperi messi a maturare nel sale marino (circa il 40% del loro peso) vi restano 10 giorni durante i quali vengono periodicamente rimescolati. Una volta scolati vengono posti nuovamente sotto sale (circa il 20% del loro peso) per altri 10 giorni. Alla fine di questo secondo passaggio sono pronti per essere consumati.
I capperi di Pantelleria IGP sono rigorosamente conservati al sale marino.
Tra la fine di maggio e settembre comincia la fioritura e con essa la raccolta dei bottoni floreali non ancora aperti. Devono essere raccolti in modo tempestivo, prima dell'alba e appena germogliati. Quelli di dimensioni minori divengono, dopo la maturazione, il prodotto migliore.
Una volta raccolti vengono messi a maturare in salamoia in sale marino. La maturazione è un passaggio obbligato, allo stato fresco i capperi sono amari e di gusto sgradevole. I capperi messi a maturare nel sale marino (circa il 40% del loro peso) vi restano 10 giorni durante i quali vengono periodicamente rimescolati. Una volta scolati vengono posti nuovamente sotto sale (circa il 20% del loro peso) per altri 10 giorni. Alla fine di questo secondo passaggio sono pronti per essere consumati.
I capperi di Pantelleria IGP sono rigorosamente conservati al sale marino.
In epoca moderna, le prime notizie specifiche appaiono nel saggio del professore Pietro Calcara Breve cenno sulla Geognosia ed Agricoltura dell'isola di Pantelleria edito a Palermo nel 1855 sul “Il Giornale della Commissione d'Agricoltura e Pastorizia in Sicilia”. E nel suo Cenni storici su Pantelleria(1908), Pietro Brignone Boccanera afferma che a partire dalla seconda metà del XIX secolo "… andò coltivandosi il cappero e l'isola raggiunse la produzione di 600 quintali di capperi".
Sono anche lodati da alcuni scrittori, come ad esempio Carlo Volonté che nel suo volume Ricette pratiche ha scritto: «... ed anzi è proprio l'Italia che vanta i migliori capperi del mondo: sono quelli dell'isola di Pantelleria, dove oltre a crescere splendidi allo stato spontaneo, i capperi vengono coltivati su ampia scala...».
Sono anche lodati da alcuni scrittori, come ad esempio Carlo Volonté che nel suo volume Ricette pratiche ha scritto: «... ed anzi è proprio l'Italia che vanta i migliori capperi del mondo: sono quelli dell'isola di Pantelleria, dove oltre a crescere splendidi allo stato spontaneo, i capperi vengono coltivati su ampia scala...».
Cucina siciliana
insieme di tradizioni culinarie e piatti tipici della Sicilia
La cassata siciliana è uno dei dolci più diffusi a livello regionale.
@sicilianewseinfo
insieme di tradizioni culinarie e piatti tipici della Sicilia
La cassata siciliana è uno dei dolci più diffusi a livello regionale.
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La cucina siciliana è l'espressione dell'arte culinaria sviluppata in Sicilia fin dall'antichità ed è strettamente collegata alle vicende storiche, culturali e religiose dell'isola. Già dai tempi dell'Antica Grecia in Sicilia si andava sviluppando uno stile ben preciso di abitudini culinarie che col passare dei secoli si è arricchito di nuovi sapori e di nuove pietanze, seguendo le vicissitudini storiche dell'isola mediterranea.
Si tratta quindi di una cultura gastronomica regionale che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni, tramandata di generazione in generazione oltre che in ambito letterario, motivo che spiega perché alcune ricette, di origine antichissima, sono tutt'oggi preparate e servite a tavola con frequenza.
Nel contesto generale si può affermare che la cucina siciliana sia motivo di riconoscimento e identità comune per i siciliani e, nell'epoca moderna, un motivo di attrazione turistica. Con l'effetto dell'emigrazione all'estero, questa cucina è stata esportata in molte località, distanti dalla terra d'origine.
Complessa ed articolata, la cucina siciliana è sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d'Italia.[2] Alcuni dei cibi più noti, diffusi non solo a livello regionale ma addirittura mondiale, sono la cassata siciliana, gli iris, il cannolo siciliano, la granita e gli arancini. Grazie al suo clima mite, l'isola è ricca di spezie e piante aromatiche; origano, menta, rosmarino, fanno quotidianamente parte dei condimenti siculi. Il terreno fertile produce arance e limoni in grande quantità. Mandorle, ficodindia, pistacchio e olive sono altri simboli culinari nei quali l'isola eccelle.
Nonostante nell'insieme il carattere alimentare di tale cucina risulti unificato, una sua caratteristica è quella di avere per ciascun territorio, se pur di ridotto perimetro o di vicinanza ad un altro territorio, delle pietanze culinarie circoscritte a quella determinata area, per cui la stessa ricetta diventa quasi introvabile spostandosi in un'altra zona dell'isola. Nella maggior parte dei casi si tratta di varianti della stessa ricetta regionale, ma in alcuni casi questi cibi, come ad esempio le panelle palermitane o i muccunetti di Mazara del Vallo, hanno una preparazione e una commercializzazione rilevata solo nella loro zona di origine. Tale caratteristica alimentare ha portato spesso ad una divisione culinaria tra Sicilia occidentale, Sicilia centrale e Sicilia orientale.
@sicilianewseinfo
Si tratta quindi di una cultura gastronomica regionale che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni, tramandata di generazione in generazione oltre che in ambito letterario, motivo che spiega perché alcune ricette, di origine antichissima, sono tutt'oggi preparate e servite a tavola con frequenza.
Nel contesto generale si può affermare che la cucina siciliana sia motivo di riconoscimento e identità comune per i siciliani e, nell'epoca moderna, un motivo di attrazione turistica. Con l'effetto dell'emigrazione all'estero, questa cucina è stata esportata in molte località, distanti dalla terra d'origine.
Complessa ed articolata, la cucina siciliana è sovente ritenuta la più ricca di specialità e la più scenografica d'Italia.[2] Alcuni dei cibi più noti, diffusi non solo a livello regionale ma addirittura mondiale, sono la cassata siciliana, gli iris, il cannolo siciliano, la granita e gli arancini. Grazie al suo clima mite, l'isola è ricca di spezie e piante aromatiche; origano, menta, rosmarino, fanno quotidianamente parte dei condimenti siculi. Il terreno fertile produce arance e limoni in grande quantità. Mandorle, ficodindia, pistacchio e olive sono altri simboli culinari nei quali l'isola eccelle.
Nonostante nell'insieme il carattere alimentare di tale cucina risulti unificato, una sua caratteristica è quella di avere per ciascun territorio, se pur di ridotto perimetro o di vicinanza ad un altro territorio, delle pietanze culinarie circoscritte a quella determinata area, per cui la stessa ricetta diventa quasi introvabile spostandosi in un'altra zona dell'isola. Nella maggior parte dei casi si tratta di varianti della stessa ricetta regionale, ma in alcuni casi questi cibi, come ad esempio le panelle palermitane o i muccunetti di Mazara del Vallo, hanno una preparazione e una commercializzazione rilevata solo nella loro zona di origine. Tale caratteristica alimentare ha portato spesso ad una divisione culinaria tra Sicilia occidentale, Sicilia centrale e Sicilia orientale.
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La ricchezza della Sicilia in materia di bagaglio culturale e storico è indubbia, viste le sue città piene di musei, chiese e opere architettoniche e gli splendidi siti archeologici sparsi un po’ ovunque. La regione è anche un ottimo punto di riferimento per gli amanti della buona cucina e dell’artigianato ma, soprattutto, è una meta imperdibile per gli appassionati del mare. Gli oltre 1.100 chilometri di costa dell’isola maggiore, uniti ai 500 e più degli arcipelaghi che la circondano, sono un susseguirsi di località rinomate (per esempio Mondello, Taormina, Cefalù, il lido di Noto o Punta Secca – dove si trova la casa del Commissario Montalbano) e di baie e calette meno conosciute ma non meno affascinanti. Tra lidi sabbiosi, spiagge di ghiaia e scogliere, la costa siciliana può accontentare veramente tutti, ancor più se raggiunta via mare a bordo di un’imbarcazione privata anziché utilizzando i traghetti di linea o spostandosi per le vie interne. La barca, infatti, permette di organizzare la propria vacanza senza vincoli di orari, senza problemi di traffico e parcheggio e in tutta libertà. Si può decidere di momento in momento il proprio itinerario, scoprire angoli nascosti o mete affollate, fare un bagno al largo o sdraiarsi al sole senza litigare con il vicino di ombrellone. Inoltre, è sempre possibile ormeggiare in uno dei sessantotto porti turistici, scendere a terra per visitare una località interessante o gustarsi una cena tipica e poi risalire a bordo senza il pensiero di trovare posto per dormire se non si è prenotato.
@newseinfo
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La città (in greco antico: Τύνδαρις, Týndaris) venne fondata da Dionisio I di Siracusa nel 396 a.C. come colonia di mercenari siracusaniche avevano partecipato alla guerra contro Cartagine, nel territorio della città sicula di Abacaenum (Tripi), e prese il nome di Tyndaris, in onore di Tindaro, re di Sparta e sposo di Leda, padre putativo di Elena e dei Dioscuri, Castore e Polluce.
Durante la prima guerra punica, sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, e nelle sue acque si combatté nel 257 a.C. la battaglia di Tindari, nella quale la flotta romana, guidata dal console Aulo Atilio Calatino, mise in fuga quella cartaginese.
Con Siracusa passò in seguito nell'orbita romana e fu base navale di Sesto Pompeo. Presa da Augusto nel 36 a.C., che vi dedusse la colonia romana di Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, Cicerone la citò come nobilissima civitas.
Nel I secolo d.C. subì le conseguenze di una grande frana, mentre nel IV secolo fu soggetta a due distruttivi terremoti
Sede vescovile, venne conquistata dai Bizantini nel 535 e cadde nell'836, nelle mani degli Arabi dai quali venne distrutta.
Vi rimase il santuario dedicato alla Madonna Nera di Tindari, progressivamente ingrandito, che ospita una Maria con il Bambino scolpita in legno, considerata apportatrice di grazie e miracolosa.
Durante la prima guerra punica, sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, e nelle sue acque si combatté nel 257 a.C. la battaglia di Tindari, nella quale la flotta romana, guidata dal console Aulo Atilio Calatino, mise in fuga quella cartaginese.
Con Siracusa passò in seguito nell'orbita romana e fu base navale di Sesto Pompeo. Presa da Augusto nel 36 a.C., che vi dedusse la colonia romana di Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, Cicerone la citò come nobilissima civitas.
Nel I secolo d.C. subì le conseguenze di una grande frana, mentre nel IV secolo fu soggetta a due distruttivi terremoti
Sede vescovile, venne conquistata dai Bizantini nel 535 e cadde nell'836, nelle mani degli Arabi dai quali venne distrutta.
Vi rimase il santuario dedicato alla Madonna Nera di Tindari, progressivamente ingrandito, che ospita una Maria con il Bambino scolpita in legno, considerata apportatrice di grazie e miracolosa.
Le origini della statua bizantina della Madonna Nera del Tindari sono legate ad una leggenda, secondo la quale la scultura, trasportata per mare, impedì alla nave di ripartire dopo che si era rifugiata nella baia di Tindari, presso i laghetti di Marinello, per sfuggire alla tempesta.
I marinai, depositarono a terra via via il carico, pensando che fosse questo ad impedire il trasporto, e solo quando vi portarono anche la statua, la nave poté riprendere il mare.
La statua è quindi portata sul colle soprastante, dentro una piccola chiesa che dovette in seguito essere più volte ampliata per accogliere i pellegrini, attratti dalla fama miracolosa del simulacro. La festa della Madonna nera del Tindari si svolge il 7 e 8 settembre.
I marinai, depositarono a terra via via il carico, pensando che fosse questo ad impedire il trasporto, e solo quando vi portarono anche la statua, la nave poté riprendere il mare.
La statua è quindi portata sul colle soprastante, dentro una piccola chiesa che dovette in seguito essere più volte ampliata per accogliere i pellegrini, attratti dalla fama miracolosa del simulacro. La festa della Madonna nera del Tindari si svolge il 7 e 8 settembre.
Il santuario di Tindari
Il Santuario di Tindari, divenuto Basilica papale minore l'8 settembre 2018, si trova all'estremità orientale del promontorio, a strapiombo sul mare, in corrispondenza dell'antica acropoli, dove una piccola chiesa era stata costruita sui resti della città abbandonata.
La devozione alla "Matri 'u Tinnaru" è indubbiamente tra le più antiche devozioni mariane in Sicilia, diffusa e festeggiata praticamente in tutta l'isola.
La statua della Madonna Nera, scolpita in legno di cedro, è di epoca imprecisata, forse giunta qui dall'Egitto in seguito al fenomeno dell'iconoclastia, nell'VIII-IX secolo. La Madonna, una Theotókos Odigitria seduta nella posizione della Basilissa ("Regina in trono"), regge in braccio il Bambino Gesù, ha una corona in testa, e presenta la caratteristica inconfondibile del volto lungo - lo si nota soprattutto nelle grandi proporzioni del naso, ma anche dalla conformazione della parte inferiore del volto stranamente allungato verso il basso mantenendo comunque proporzioni aggraziate e davvero molto armoniose anche dal punto di vista artistico. Il volto lungo è presente anche in altre raffigurazioni orientali e africane, ma raro tra le statue religiose in occidente. Alla base della statua, la scritta che riprende il Cantico dei cantici 1,5 e 1,6 Nigra sum sed formosa, traducibile come "sono bruna ma bella".
Il santuario ha una storia travagliata. Nel luglio 1544 l'assalto dell'armata corsara turco - ottomana capitanata dall'ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa insidia la costa tirrenica siciliana: incendia la cattedrale di San Bartolomeo di Lipari, assedia l'abitato protetto dal castello di Santa Lucia del Mela, minaccia la cittadella fortificata di Milazzo, devasta la chiesa che è ricostruita tra il 1552 e il 1598. Il vescovo Giovanni Previtera fonda il santuario di Tindari. Costruisce e finanzia la cattedrale con gli edifici annessi, i cui lavori furono completati dopo la sua morte grazie alle donazioni della famiglia Previtera alla diocesi di Patti. Il santuario è ampliato dal vescovo Giuseppe Pullano con la costruzione di una nuova chiesa più grande consacrata nel 1979. Come la Porziuncola di San Francesco a Santa Maria degli Angeli ad Assisi, o il santuario della Casa Santa della Madonna inglobata nella basilica-fortezza di Loreto, allo stesso modo dentro le mura degli edifici che attorniano il santuario di Tindari, nella parte esterna a ridosso del presbiterio, vi si trova l'originaria chiesa della Madonna nera, venendo a costituire dunque una sorta di chiesa nella chiesa, accessibile solo in determinati periodi dell'anno e in determinati orari giornalieri. Sulla cantoria in controfacciata, si trova il grande organo a canne, costruito da Giuseppe Ruffatti nel 1978, con 78 registri su cinque manuali e pedale.
La festa del santuario e della Madonna del Tindari si svolge ogni anno tra il 7 e l'8 settembre, in occasione della festa liturgica della Natività della Vergine.
Il Santuario di Tindari, divenuto Basilica papale minore l'8 settembre 2018, si trova all'estremità orientale del promontorio, a strapiombo sul mare, in corrispondenza dell'antica acropoli, dove una piccola chiesa era stata costruita sui resti della città abbandonata.
La devozione alla "Matri 'u Tinnaru" è indubbiamente tra le più antiche devozioni mariane in Sicilia, diffusa e festeggiata praticamente in tutta l'isola.
La statua della Madonna Nera, scolpita in legno di cedro, è di epoca imprecisata, forse giunta qui dall'Egitto in seguito al fenomeno dell'iconoclastia, nell'VIII-IX secolo. La Madonna, una Theotókos Odigitria seduta nella posizione della Basilissa ("Regina in trono"), regge in braccio il Bambino Gesù, ha una corona in testa, e presenta la caratteristica inconfondibile del volto lungo - lo si nota soprattutto nelle grandi proporzioni del naso, ma anche dalla conformazione della parte inferiore del volto stranamente allungato verso il basso mantenendo comunque proporzioni aggraziate e davvero molto armoniose anche dal punto di vista artistico. Il volto lungo è presente anche in altre raffigurazioni orientali e africane, ma raro tra le statue religiose in occidente. Alla base della statua, la scritta che riprende il Cantico dei cantici 1,5 e 1,6 Nigra sum sed formosa, traducibile come "sono bruna ma bella".
Il santuario ha una storia travagliata. Nel luglio 1544 l'assalto dell'armata corsara turco - ottomana capitanata dall'ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa insidia la costa tirrenica siciliana: incendia la cattedrale di San Bartolomeo di Lipari, assedia l'abitato protetto dal castello di Santa Lucia del Mela, minaccia la cittadella fortificata di Milazzo, devasta la chiesa che è ricostruita tra il 1552 e il 1598. Il vescovo Giovanni Previtera fonda il santuario di Tindari. Costruisce e finanzia la cattedrale con gli edifici annessi, i cui lavori furono completati dopo la sua morte grazie alle donazioni della famiglia Previtera alla diocesi di Patti. Il santuario è ampliato dal vescovo Giuseppe Pullano con la costruzione di una nuova chiesa più grande consacrata nel 1979. Come la Porziuncola di San Francesco a Santa Maria degli Angeli ad Assisi, o il santuario della Casa Santa della Madonna inglobata nella basilica-fortezza di Loreto, allo stesso modo dentro le mura degli edifici che attorniano il santuario di Tindari, nella parte esterna a ridosso del presbiterio, vi si trova l'originaria chiesa della Madonna nera, venendo a costituire dunque una sorta di chiesa nella chiesa, accessibile solo in determinati periodi dell'anno e in determinati orari giornalieri. Sulla cantoria in controfacciata, si trova il grande organo a canne, costruito da Giuseppe Ruffatti nel 1978, con 78 registri su cinque manuali e pedale.
La festa del santuario e della Madonna del Tindari si svolge ogni anno tra il 7 e l'8 settembre, in occasione della festa liturgica della Natività della Vergine.