Nasce alla fine del Settecento, nel territorio demaniale ericino,alle falde di Monte Monaco,nella bianchissima baia posta tra Capo San Vito e Punta Solanto.Tracce dell'epoca paleolitica,mesolitica e neolitica si trovano nelle numerose cavità naturali, un tempo abitazioni, che si affacciano sul mare.Resta avvolta dal mistero l'esistenza di un'antica borgata,Conturrana,una rupe immensa a 500 passi dalla riva staccatasi dalla montagna. Qui, probabilmente intorno alla fine del IV secolo a.C., esistette un piccolo centro abitato.
Nucleo generatore di San Vito Lo Capo è l'attuale Santuario,antica fortezza che nell'arco dei secoli ha subìto numerosi interventi edilizi. La prima costruzione,realizzata intorno al Trecento,fu una piccola cappella dedicata a San Vito martire,patrono del borgo marinaro.Secondo una tradizione accettata e riportata da tutti gli agiografi e cultori di storia siciliana,il giovane Vito per sfuggire ai rigori della decima persecuzione ordinata da Diocleziano (303-304),e alle ire del padre Ila e del prefetto Valeriano, assieme al suo maestro Modesto e alla nutrice Crescenzia, scappato via mare da Mazara, col favore dei venti approdò sulla costa del feudo della Punta, in territorio di Monte Erice,dagli antichi chiamato Capo Egitarso.Qui cominciò a predicare la parola di Dio tra la gente del luogo,in una borgata poco distante dalla spiaggia,chiamata Conturrana.
La Cripta del Santuario di San Vito Lo Capo (XV secolo)
In nome di Dio guariva gli infermi, quanti fossero colpiti da rabbia o morsi di animali,o compromessi nella salute per un improvviso spavento,scacciava gli spiriti immondi.Ma,a dispetto dei numerosi miracoli operati,la sua opera fu coronata da scarso successo,e si concluse col castigo inflitto da Dio a Conturrana.La credenza popolare ritiene che il giovanetto San Vito,martire al tempo di Diocleziano,sia stato in questo paese non benevolmente accolto, allorquando si era colà rifugiato,accompagnato dai precettori Modesto e Crescenzia. L'inesorabile ira divina si era abbattuta sul paese,seppellendolo completamente sotto una frana, non appena i tre profughi avevano lasciato il centro abitato, dirigendosi verso il mare.Sempre secondo tradizione Santa Crescenzia,voltandosi a guardare la città che crollava,divenne pietra nello stesso punto dove adesso sorge la cappella,alla quale ancora oggi gli abitanti del luogo attribuiscono poteri magici.Per San Vito,invece, seguì una breve dimora nell'Egitarso e,dopo un viaggio attraverso la Sicilia e la Basilicata,il martirio,il 15 giugno del 299.
Col tempo crebbe la fama della chiesa e dei "miracoli" attribuiti al martire Vito e a Santa Crescenzia e così,per accogliere i numerosi fedeli che arrivavano in pellegrinaggio e,soprattutto,per difenderli da ladri e banditi l'originaria costruzione andò trasformandosi in una fortezza alloggio.Tale realizzazione risale alla fine del Quattrocento.Fin dall'inizio,il Santuario fu fatto centro di una grande devozione,e la fama dei miracoli che il Santo qui operava varcava anche i confini della Sicilia,richiamando in ogni stagione numerosissimi pellegrini. Anche gli stessi corsari,nemici dichiarati della fede cattolica, avevano rispetto per il Santo e per il suo tempio.
Nel frattempo aumentavano i pericoli di incursioni di pirati barbareschi,così,lungo le coste dell'isola, cominciarono a essere edificate numerose torri di avvistamento. Le torri principali erano tre, due sono ancora visibili e sono torre Scieri e torre Isolidda. La terza invece,torre Roccazzo, ubicata sul piano Soprano che si estende a ovest del paese di San Vito (il luogo fu appositamente scelto perché l'unico atto a garantire la corrispondenza con le altre due torri), venne demolita per far posto al semaforo militare nel 1935.
All'inizio del Settecento iniziarono a comparire le prime case tutto intorno al Santuario.Alla fine dello stesso secolo,attorno alla chiesa esisteva già un piccolo nucleo di abitazioni.Nell'arco dei secoli,la cittadina ha accolto esploratori, viaggiatori e persino commissari governativi che,mossi da curiosità, interessi culturali.
Nucleo generatore di San Vito Lo Capo è l'attuale Santuario,antica fortezza che nell'arco dei secoli ha subìto numerosi interventi edilizi. La prima costruzione,realizzata intorno al Trecento,fu una piccola cappella dedicata a San Vito martire,patrono del borgo marinaro.Secondo una tradizione accettata e riportata da tutti gli agiografi e cultori di storia siciliana,il giovane Vito per sfuggire ai rigori della decima persecuzione ordinata da Diocleziano (303-304),e alle ire del padre Ila e del prefetto Valeriano, assieme al suo maestro Modesto e alla nutrice Crescenzia, scappato via mare da Mazara, col favore dei venti approdò sulla costa del feudo della Punta, in territorio di Monte Erice,dagli antichi chiamato Capo Egitarso.Qui cominciò a predicare la parola di Dio tra la gente del luogo,in una borgata poco distante dalla spiaggia,chiamata Conturrana.
La Cripta del Santuario di San Vito Lo Capo (XV secolo)
In nome di Dio guariva gli infermi, quanti fossero colpiti da rabbia o morsi di animali,o compromessi nella salute per un improvviso spavento,scacciava gli spiriti immondi.Ma,a dispetto dei numerosi miracoli operati,la sua opera fu coronata da scarso successo,e si concluse col castigo inflitto da Dio a Conturrana.La credenza popolare ritiene che il giovanetto San Vito,martire al tempo di Diocleziano,sia stato in questo paese non benevolmente accolto, allorquando si era colà rifugiato,accompagnato dai precettori Modesto e Crescenzia. L'inesorabile ira divina si era abbattuta sul paese,seppellendolo completamente sotto una frana, non appena i tre profughi avevano lasciato il centro abitato, dirigendosi verso il mare.Sempre secondo tradizione Santa Crescenzia,voltandosi a guardare la città che crollava,divenne pietra nello stesso punto dove adesso sorge la cappella,alla quale ancora oggi gli abitanti del luogo attribuiscono poteri magici.Per San Vito,invece, seguì una breve dimora nell'Egitarso e,dopo un viaggio attraverso la Sicilia e la Basilicata,il martirio,il 15 giugno del 299.
Col tempo crebbe la fama della chiesa e dei "miracoli" attribuiti al martire Vito e a Santa Crescenzia e così,per accogliere i numerosi fedeli che arrivavano in pellegrinaggio e,soprattutto,per difenderli da ladri e banditi l'originaria costruzione andò trasformandosi in una fortezza alloggio.Tale realizzazione risale alla fine del Quattrocento.Fin dall'inizio,il Santuario fu fatto centro di una grande devozione,e la fama dei miracoli che il Santo qui operava varcava anche i confini della Sicilia,richiamando in ogni stagione numerosissimi pellegrini. Anche gli stessi corsari,nemici dichiarati della fede cattolica, avevano rispetto per il Santo e per il suo tempio.
Nel frattempo aumentavano i pericoli di incursioni di pirati barbareschi,così,lungo le coste dell'isola, cominciarono a essere edificate numerose torri di avvistamento. Le torri principali erano tre, due sono ancora visibili e sono torre Scieri e torre Isolidda. La terza invece,torre Roccazzo, ubicata sul piano Soprano che si estende a ovest del paese di San Vito (il luogo fu appositamente scelto perché l'unico atto a garantire la corrispondenza con le altre due torri), venne demolita per far posto al semaforo militare nel 1935.
All'inizio del Settecento iniziarono a comparire le prime case tutto intorno al Santuario.Alla fine dello stesso secolo,attorno alla chiesa esisteva già un piccolo nucleo di abitazioni.Nell'arco dei secoli,la cittadina ha accolto esploratori, viaggiatori e persino commissari governativi che,mossi da curiosità, interessi culturali.
Il comune di San Vito fu costituito il 17 agosto 1952 con scorporo di territorio da Erice, del quale costituiva un'isola amministrativa dal 1948 in seguito all'autonomia di Custonaci. Con Legge regionale n. 48 del 28/7/1952 proseguì pertanto lo smembramento del vasto territorio ericino, da cui in precedenza era stato scorporato anche Buseto Palizzolonel 1950 e che si concluderà con l'autonomia di Valderice nel 1955.
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Il Pane cunzatu di Scopello è una famosissima specialità siciliana. Nel piccolo borghetto turistico di Scopello, in provincia di Trapani, c’è un antico panificio con il forno a legna che prepara il “pane cunzatu” (cioè pane condito). Si tratta di un punto di ritrovo di parecchi turisti e di molti gitanti siciliani, che prima di andare sulla famosa spiaggia di Scopello si fermano a comprarlo per poi consumarlo seduti sulla sabbia davanti al mare.
Sicilia, la Regione compra le tue foto per promuovere l'Isola. Pubblicato il bando @newsenfo
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Sicilia, la Regione compra le tue foto per promuovere l'Isola. Pubblicato il bando
La Regione Siciliana, attraverso l’Assessorato del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo, ha rilasciato un avviso pubblico con la finalità di acquisire immagini elettroniche ad alta risoluzione, volto alla promozione della destinazione Sicilia. “L’acquisizione…
fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. La Sicilia, dopo il Messico, è il secodo produttore mondiale. La pianta cresce spontaneamente, lungo la strada, le pale caratterizzano il paesaggio siciliano fornendo una miriade di frutti colorati,ottimi da gustare in molti modi: freschi o conservati in salamoia, sott’aceto, canditi o sotto forma di confettura.
Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
in coltura irrigua si possono ottenere produzioni di 250-300q quintali ad ettaro. Dopo la raccolta, i frutti possono essere conservati in frigo a 6 gradi per 2 o 3 mesi. Un impianto specializzato ha una durata di circa 30-35 anni.
Questo frutto in Sicilia si è guadagnato anche l’indicazione geografica della Dop: ilfico d’India dell’Etna Dop viene coltivato in numerosi comuni della provincia di Catania, appartenenti alla zona interessata dalle eruzioni dell’Etna.
Fico d’India: proprietà
Sono molteplici gli usi e le proprietà del fico d’India: molte usanze affondano le radici dell’antico popolo azteco. Già all’epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d’India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia.
Dal corpo dell’insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiesta in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile e alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra. Inoltre, associato a miele e rosso d’uovo, sembrava essere utile contro le scottature provocate dal forte sole messicano,
Tra le proprietà dei fico d’India ci sono quelle terapeutiche: il frutto sembra essere un’ottima cura naturale. Ha proprietà depurative, ed è coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo. E’ indicato anche nelle diete dimagranti,visto che contiene ha poche calorie, molte fibre e aiutando ad avere un senso di sazietà. Reidratante e rivitalizzante, è ideale anche per chi pratica sport.
Nella medicina siciliana popolare, si consigliava per contrastare le coliche renali, il decotto di fiori essiccati del fico d’India. Lìutilizzo del ficodindia è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni astringenti e sembra stimolare la crescita dei capelli.
Questo frutto in Sicilia si è guadagnato anche l’indicazione geografica della Dop: ilfico d’India dell’Etna Dop viene coltivato in numerosi comuni della provincia di Catania, appartenenti alla zona interessata dalle eruzioni dell’Etna.
Fico d’India: proprietà
Sono molteplici gli usi e le proprietà del fico d’India: molte usanze affondano le radici dell’antico popolo azteco. Già all’epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d’India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia.
Dal corpo dell’insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiesta in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile e alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra. Inoltre, associato a miele e rosso d’uovo, sembrava essere utile contro le scottature provocate dal forte sole messicano,
Tra le proprietà dei fico d’India ci sono quelle terapeutiche: il frutto sembra essere un’ottima cura naturale. Ha proprietà depurative, ed è coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo. E’ indicato anche nelle diete dimagranti,visto che contiene ha poche calorie, molte fibre e aiutando ad avere un senso di sazietà. Reidratante e rivitalizzante, è ideale anche per chi pratica sport.
Nella medicina siciliana popolare, si consigliava per contrastare le coliche renali, il decotto di fiori essiccati del fico d’India. Lìutilizzo del ficodindia è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni astringenti e sembra stimolare la crescita dei capelli.
Fico d’India, dalla Sicilia un frutto ricco di proprietà
Il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. La Sicilia, dopo il Messico, è il secodo produttore mondiale. La pianta cresce spontaneamente, lungo la strada, le pale caratterizzano il paesaggio siciliano fornendo una miriade di frutti colorati,ottimi da gustare in molti modi: freschi o conservati in salamoia, sott’aceto, canditi o sotto forma di confettura
Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Il territorio
In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo frutti di alta qualità, gusto intenso. L’isola, dopo il Messico, è tra i maggiori produttori mondiali del frutto. Qui è coltivato in aree ben distine: nella zona centro orientale che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale), nei comuni di Menfi, Montevago, e soprattutto Santa Margherita Belice.
La stagione dei fichi d’India
Da agosto a Natale l’isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro varietà diverse: la gialla, detta sulfarina, la rossa, nota come sanguigna, la bianca, denominata muscarella e quella tipicamente arancione, chiamata moscateddo.
La fioritura della pianta inizia in primavera, mentre i frutti crescono dal periodo estivo. Quelli più pregiati però sono i fichi d’india tardivi, che arrivano sulle nostre tavole a dicembre.
Le varietà:
Questi frutti vengono chiamati “bastarduna” o “scuzzulati”: non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando dalle piante i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la piantina a rifiorire.
I “bastarduna” sono meno numerosi ma hanno un valore di mercato più alto, perchè sono tardivi, e anche perchè sono più grandi e senza semi.
I fichidindia non perfettamente maturi sono invece chiamati “burduni” cioè bastardi, termine che deriva dal latino burdo, che significa mulo, per indicare un animale non puro.
I frutti vengono raccolti a più riprese.
Il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. La Sicilia, dopo il Messico, è il secodo produttore mondiale. La pianta cresce spontaneamente, lungo la strada, le pale caratterizzano il paesaggio siciliano fornendo una miriade di frutti colorati,ottimi da gustare in molti modi: freschi o conservati in salamoia, sott’aceto, canditi o sotto forma di confettura
Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Il territorio
In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo frutti di alta qualità, gusto intenso. L’isola, dopo il Messico, è tra i maggiori produttori mondiali del frutto. Qui è coltivato in aree ben distine: nella zona centro orientale che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale), nei comuni di Menfi, Montevago, e soprattutto Santa Margherita Belice.
La stagione dei fichi d’India
Da agosto a Natale l’isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro varietà diverse: la gialla, detta sulfarina, la rossa, nota come sanguigna, la bianca, denominata muscarella e quella tipicamente arancione, chiamata moscateddo.
La fioritura della pianta inizia in primavera, mentre i frutti crescono dal periodo estivo. Quelli più pregiati però sono i fichi d’india tardivi, che arrivano sulle nostre tavole a dicembre.
Le varietà:
Questi frutti vengono chiamati “bastarduna” o “scuzzulati”: non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando dalle piante i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la piantina a rifiorire.
I “bastarduna” sono meno numerosi ma hanno un valore di mercato più alto, perchè sono tardivi, e anche perchè sono più grandi e senza semi.
I fichidindia non perfettamente maturi sono invece chiamati “burduni” cioè bastardi, termine che deriva dal latino burdo, che significa mulo, per indicare un animale non puro.
I frutti vengono raccolti a più riprese.
Il Pilone Torre Faro "Messina"
Dalla cima dei suoi 233m di altezza (4 in più del grattacielo più alto d’Italia), svetta su Capo Peloro da quasi 65 anni, rappresentando uno dei simboli più rappresentativi di Messina e del suo Stretto.
Il Pilone di Torre Faro, fu inaugurato il 15 maggio 1956 a più di 3000 metri di distanza dal suo gemello calabro, situato sulla sommità della collina di Santa Trada. Oggi pur non avendo più alcuna funzione pratica si fanno notare nello stretto e hanno lo status di monumenti storici tutelati.
Nel 2005 il pilone sulla costa siciliana venne aperto al pubblico per un breve periodo. I visitatori potevano così salire da una scala di ben 2 240 gradini per raggiungere la piattaforma più alta del pilone messinese.
Oggi il Pilone di Messina resta una fonte di attrazione turistica ed è particolarmente suggestivo di notte quando la struttura d'acciaio riflette le luci collocate alla base.
Dalla cima dei suoi 233m di altezza (4 in più del grattacielo più alto d’Italia), svetta su Capo Peloro da quasi 65 anni, rappresentando uno dei simboli più rappresentativi di Messina e del suo Stretto.
Il Pilone di Torre Faro, fu inaugurato il 15 maggio 1956 a più di 3000 metri di distanza dal suo gemello calabro, situato sulla sommità della collina di Santa Trada. Oggi pur non avendo più alcuna funzione pratica si fanno notare nello stretto e hanno lo status di monumenti storici tutelati.
Nel 2005 il pilone sulla costa siciliana venne aperto al pubblico per un breve periodo. I visitatori potevano così salire da una scala di ben 2 240 gradini per raggiungere la piattaforma più alta del pilone messinese.
Oggi il Pilone di Messina resta una fonte di attrazione turistica ed è particolarmente suggestivo di notte quando la struttura d'acciaio riflette le luci collocate alla base.
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