♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Leggende e miti si intrecciano tra i crateri dell’Etna

Un vulcano che custodisce anime in pena e gesta eroiche di dei greci…
Etna è il nome di una dea della mitologia greca. Era considerata figlia di Urano e Gaia.

Il drago Tifone, si supponeva, vivesse nelle viscere del vulcano omonimo e ne causava le distruttive eruzioni.

Il vulcano era conosciuto in età romana come Aetna, il nome deriva dalla parola greca aitho (bruciare) o ancor prima dalla parola fenicia attano.

Gli arabi chiamavano la montagna Gibel Utlamat (la montagna del fuoco); questo nome fu più tardi storpiato in Mons Gibel e successivamente, nel Medio Evo, in Mongibello, che deriva dall’italiano “monte” e dall’arabo “djebel” che ha il medesimo significato e che è attualmente il nome della montagna, non del vulcano.

Le eruzioni regolari della montagna, spesso drammatiche, hanno reso l’Etna un argomento di grande interesse per la mitologia classica, la quale ha cercato di spiegare i terremoti e gli smottamenti tramite l’invenzione di dei e giganti.

Eolo, il re dei venti, si diceva che avesse imprigionato i venti sotto le caverne dell’Etna.

Oltre alle gesta degli dei, la mitologia legata alla Sicilia è ricca di leggende di amore, come quella di Aci e Galatea. Aci era un pastorello che viveva alle pendici dell’Etna. Galatea, che aveva respinto le proposte amorose di Polifemo, lo amava. Polifemo, offeso per il rifiuto della ragazza, uccise il suo rivale nella speranza di conquistare la sua amata. Ma Galatea continuò ad amare Aci.

Così Nereide, grazie all’aiuto degli dei, trasformò il corpo morto di Aci in sorgenti d’acqua dolce che scivolano lungo i pendii dell’Etna.

Non lontano dalla costa, vicino l’attuale Capo Molini, esiste una piccola sorgente chiamata dagli abitanti del luogo “il sangue di Aci” per il suo colore rossastro.

Sempre nei pressi di Capo Molini esisteva un modesto villaggio chiamato, in memoria del pastorello, Aci.

Nell’undicesimo secolo dopo Cristo un terremoto distrusse il villaggio, provocando l’esodo dei sopravvissuti che fondarono altri centri che, vennero chiamati Aci, in ricordo della loro città d’origine.

In particolare, molte storie sono riferite alla città di Catania e dintorni, quali la leggenda de “Il cavallo senza testa” o le storie legate al terremoto del 1693.

A questo evento realmente accaduto sono legate due leggende catanesi: quella di “Don Arcaloro” e quella del vescovo Carafa.

La prima narra di una fattucchiera che aveva aveva sognato Sant’Agata mentre supplicava il Signore di salvare la sua città dal terremoto, ma il Signore a causa dei peccati dei catanesi rifiutò la grazia. Il Barone Don Arcaloro si rifugiò in aperta campagna, dove attese che la profezia della strega si verificasse.

La seconda leggenda tratta del vescovo di Catania Francesco Carafa, capo della diocesi dal 1687 al 1692.

La leggenda dice che questo vescovo, mediante le sue preghiere, era riuscito per ben due volte a tenere lontano dalla sua città il terremoto. Ma nel 1692 egli morì e l’anno dopo Catania fu distrutta.

L’iscrizione posta sul suo sepolcro ricorda proprio tale evento ed il ruolo incisivo delle sue preghiere.
Distesa di aranceti sullo sfondo dell’Etna.
Mata e Grifone, storia e leggenda dei Giganti Messinesi
Senza alcun dubbio una delle festività più sentite dalla città di Messina è il Ferragosto, che nella città dello Stretto viene festeggiato con la processione della Vara e la “Passeggiata dei Giganti” Mata e Grifone.

Oggi in attesa del prossimo ferragosto vi parleremo di Mata e Grifone, un’autentica storia d’amore tra leggenda e tradizioni popolari.

Tra le varie versioni della leggenda dei giganti Mata e Grifone, la più conosciuta è quella che li considera come fondatori della città di Messina e progenitori della sua popolazione.

Mata, versione dialettale del nome Marta, era una procace ragazza messinese. Grifone, il cui nome originario era Hassan Ibn-Hammar, era un gigante saraceno di fede musulmana a capo di un esercito dedito alla pirateria e alle scorribande violente. Intorno al 964 d.c. , l’esercito guidato da Grifone conquistò la città dello Stretto attraverso la cittadina tirrenica oggi conosciuta come Rometta. Durante una delle sue incursioni, vide Mata e se ne innamorò follemente tanto da andarla a chiedere in sposa al padre, Cosimo II di Castellaccio, ma sia il padre che la stesa Mata rifiutarono la proposta del gigante saraceno.

Nonostante fosse sottoposta a varie torture Mata si ostinò a rifiutare la proposta di Grifone e così si rese conto che l’unico modo per conquistare il suo cuore era pentirsi e cambiare vita. Abbandonò quindi i panni da criminale e dopo essersi convertito al Cristianesimo e fattosi battezzare col nome di Grifo (poi Grifone a causa della sua mole), si dedicò alla coltivazione della terra e alle opere di beneficenza.

Mata, colpita da questo eclatante gesto d’amore, iniziò a guardarlo con occhi diversi fino ad innamorarsene.  La loro unione fu benedetta da numerosi figli, tanto che la tradizione popolare messinese identifica, appunto, il Gigante e la Gigantessa come i progenitori e fondatori della città dello Stretto.

Intorno al 1550, il Senato messinese incaricò il fiorentino Martino Montanini, allievo del Montorsoli, di costruire due statue dedicate a Mata e Grifone, che vennero poi rifatte e restaurate più volte nel corso dei secoli.

Qualche giorno prima di ferragosto, ogni anno, i due giganti a cavallo alti circa otto metri, seguiti da un corteo in costume e dallo squillo di trombe e al suono di tamburi, vengono portati in processione per le vie della città fino a raggiungere la piazza adiacente il Municipio, dove sostano tutto il restante periodo estivo.
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"Unn’è santu chi sura". Traduzione:“Non è Santo che suda”. Questo modo di dire siciliano fa riferimento al fatto che le statue dei santi, che sono di marmo, notoriamente non sudano.
L’espressione si utilizza per indicare che non si riuscirà a ottenere qualcosa ed è strettamente connessa a un celebre proverbio: “È inutili ca ntrizzi e ffai cannola, u santu è di marmuru e nun sura”. Il proverbio ha come protagoniste una mamma e una figlia. La mamma spiega alla figlia che è inutile che fa trecce (intrizzi) e boccoli (cannola): l’uomo del quale è innamorata è un santo che non suda. Insomma, nessuna speranza di un lieto fine!
La nascita della Sicilia tra storie, miti e leggende.

Diamante del Mediterraneo,giubilo dei popoli,poche terre come la Sicilia sono il frutto di una fusione secolare di culture, tradizioni e anime.Ma quali sono le origini della bella terra di Sicilia?

Le leggende che ruotano attorno alla nascita della Sicilia sono davvero tante e tutte intrise di un’aura mitologica accresciuta,nei secoli,dai racconti tramandati oralmente di generazione in generazione.Uno di questi narra che la Sicilia nacque dell’estro di tre ninfe,che vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra mescolata con sassolini.

Le tre ninfe si fermarono sotto il cielo più limpido e azzurro del mondo e,dai tre punti ove si erano fermate,gettarono il loro pugno di terra nel mare e vi lasciarono cadere i fiori e la frutta che esse recavano nei veli che le ricoprivano.
Il mare,al loro apparire,si vestì di tutte le luci dell’arcobaleno e,poco a poco,dalle onde emerse una terra variopinta e profumata.

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Ricca di tutte le seduzioni che la natura poteva offrire.

I tre vertici del triangolo, dove le tre bellissime ninfe avevano iniziato la loro magica danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola e si chiamarono capo Peloro dal lato di Messina, capo Passero (Pachino) dal lato di Siracusa, e capo Lilibeo dal lato di Palermo.

“Da questa configurazione a tre vertici” – scrive Enrico Mauceri – “venne alla Sicilia antica il nome di Triquetra o Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella rappresentazione strana e caratteristica al tempo stesso, di una figura gorgonica a tre gambe, adottata perfino in alcune monete dell’antichità classica, e divenuta poi il simbolo, diremo così, ufficiale dell’isola“.

Il mito di Encelado detto anche Tifeo

Un’altra leggenda, invece, ascrive la nascita della Sicilia ai tempi della lotta tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti per la supremazia del mondo. Adirati contro Zeus, che, dopo la sconfitta del padre Crono, aveva confinati nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti, su richiesta della madre Gea, si ribellarono agli dei e tentarono la scalata all’Olimpo.

Si scatenò una guerra, che prese il nome di Gigantomachia. Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta, scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne colpito da Atena che, con un colpo del suo scudo, lo fece precipitare dall’alto dei cielo nel centro del Mediterraneo scagliandogli addosso un enorme masso: la Sicilia.

L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato dal peso dell’isola con l’alluce del piede destro sotto il Monte Erice, la gamba destra verso Palermo, la sinistra verso Mazara, il busto al centro dell’isola sotto Enna, le braccia verso Messina e verso Siracusa, la testa e la bocca sotto l’Etna.

Il mito narra, ancora, che l’attività del vulcano abbia proprio origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano provocati dai suoi tentativi di scrollarsi la terra che lo sotterra. Ma Atena, dea di sapienza e giustizia, che veglia sull’isola, non permetterà il risveglio del male.

Il mito della bellissima principessa Sicilia

Si narra anche che il nome dell’isola sia frutto di una leggenda, che parla di una bellissima ma sfortunata principessa del Libano, che si chiamava appunto Sicilia. Alla sua nascita le era stato predetto da un oracolo che al compimento dei quindici anni d’età avrebbe dovuto lasciare la propria terra natia, sola e su una barchetta, altrimenti sarebbe stata pasto dell’ingordo Greco-Levante, che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto mammone, divorandola.

Per scongiurare questo pericolo, non appena compì quindici anni (che così voleva l’oracolo) il padre e la madre, piangenti, la posero in una barchetta, e la affidarono alle onde.
E le onde, dopo tre mesi (ritorna puntualmente il numero 3), quando ormai la povera Sicilia credeva di dover morire di fame e di sete.
Poiché tutte le sue provviste si erano esaurite,deposero la giovinetta su una spiaggia meravigliosa,in una terra luminosa, calda e piena di fiori e di frutti, colma di profumi,ma assolutamente deserta e solitaria.

Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lacrime,ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un bellissimo giovane,che la confortò,e le offerse ospitalità e amore,spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste,e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile,per cui l’isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l’avrebbe ripopolata; e,infatti,si chiamò Sicilia,e la nuova gente crebbe forte e gentile,e si sparse per le coste e per i monti.

Qual è il fondamento storico di questa fascinosa leggenda?

Lasciando da parte le questioni etimologiche (con le quali si è arrivati a congetturare che il termine Sicilia deriverebbe dall’unione delle due voci antiche SIK ed ELIA,indicanti rispettivamente il fico e l’ulivo,e starebbe a significare la fertilità della terra siciliana) c’è da osservare che i due grandi folcloristi che hanno riportato questa leggenda,il Salomone Marino e il Pitrè,hanno concordemente indicato il riferimento culturale,cogliendolo nell’antica favola di Egesta, abbandonata dal padre Ippota su una barchetta affidata alle onde, perché non diventasse preda dell’orribile mostro marino inviato dal dio del mare Nettuno;e che poi, approdata in Sicilia,e sposa di Crìmiso,generò l’eroe Aceste di cui parla Virgilio nel quinto libro dell’Eneide;ma ambedue hanno trascurato il fondamento storico, che è dato dall’accenno all’ingordo Greco-Levante, che avrebbe divorato la povera Sicilia.

Il temibile mostro greco-levantino altro non è che l’impero bizantino, la cui dominazione in Sicilia, protrattasi dal 535 all’827,lasciò un cattivo ricordo nell’isola per il suo avido fiscalismo,tanto che fino a qualche tempo fa si diceva ai bambini cattivi,per farli impaurire: “Viri ca vénunu i greci!” (Bada che stanno per venire i bizantini).
Il che spiega sufficientemente la genesi storica della leggenda.
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