♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Elogio al Ficodindia

Perché è un frutto impossibile nessuno ci crederebbe.
Ha una buccia fatta di spini e centinaia di noccioli duri. E’ selvatico, ostile, non chiede che d’essere lasciato in pace a covarsi colori inconcepibili: zafferano, violetto, bianco di pistacchio e guerra civile, verde borraccia e limatura d’isola.

Lui sta lì, aggrappato in alto, gli occhi semichiusi nella vampa d’eterno mezzogiorno, sognando latitudini arancioni perfettamente asciutte, e intanto i succhi profondi della terra – che comunicano misteriosamente con le correnti sottomarine, i sali sommersi, i bracieri del cuore del pianeta – si mescolano ribollendo e prendono la rincorsa verso l’alto, verso la morsa zuccherina che promette di sbocciare, estrema e incoronata di spine, sugli angoli imprecisati dell’isola.

Lui dirompe all’improvviso da una crepa del tetto, dal muro, dalla base arida dell’armacere. Lui segna il dolente cammino delle trazzere, le stazioni della via crucis perenne che il sole e gli uomini compiono di secolo in secolo, da un capo all’altro della giornata, dell’isola, della storia.

Lui s’accorda spontaneamente alla frenesia intermittente delle cicale e persino alla mano di calce che il profondo silenzio di mezzogiorno stampa sulle cose.
Non s’esprime in odori o allettamenti, non cerca nient’altro che non sia il proprio sforzo interno, la camera segreta nella quale nutre di zucchero i gialli zolfati, i porpora, gli smeraldini, i vinaccia.

Rifiuta il concime, perché tutto gli è concime: gli strati della terra seminati a sudore, le ossa, la polvere di città e nomi distrutti, le spighe dei remoti granai, il greco e poi il latino dei conquistatori, il bronzo vecchio delle monete col profilo dei tiranni, i carri degli dei, l’orlo di ruggine delle battaglie consumate, il grano saraceno, le bifore, il malocchio, i piedi di Cristo, le alghe e i relitti portati dalla corrente, la peste, la dottrina, i galeoni spagnoli, gli agrumi che ripetono il sole, il falcetto sofista, portella della ginestra, l’uva blu delle vigne, la fatica, due colpi di fucile nell’assordante rombo della canicola, gli scuri chiusi, i santi dagli occhi fosforescenti, i morti di pasta di mandorle, gli agnelli di pasta di mandorle, i morti agnelli che belano in tutti gli angoli dell’isola.

E’ un frutto onnivoro, persistente, insondabile.
Occorre un sapere speciale, per sbucciarlo: devi conoscere l’arte dei tagli in croce, devi avere l’occhio per vedere dove finisce la corazza e comincia il paradiso. Non devi avere paura delle spine. Ci devi credere.

La verità, se esiste, è un ficodindia..."

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IL RICAMO IN SICILIA

In Sicilia questa arte inizia intorno all'anno mille, durante il dominio dei Saraceni, che vi introducono laboratori di tessitura e di ricamo, dai quali escono manti cerimoniali di grande pregio.

La parola ricamo, infatti, deriva dal lemma arabo raqm (racam) che significa "segno, disegno".

Foto: ricamo a tombolo raffigurante la Sicilia.

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Il vulcano di STROMBOLI, più comunemente conosciuto come “IDDU”, regala SCENARI MOZZAFIATO durante le sue continue ERUZIONI

Se il trekking per la scalata al cratere vi sembra troppo impegnativo, non perdete l’occasione di contemplare dal mare (rigorosamente al tramonto) lo spettacolo della Sciara del Fuoco: un’ampia parete di sabbia vulcanica che si erge ripida nel lato nord-est della costa.

I blocchi incandescenti rotolano giù verso il mare creando un turbinio di vapore e folate di cenere, fino a spegnersi a contatto con l’acqua. Con l’oscurità le colate laviche sembrano delle cascate di fuoco molto suggestive

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Terra fertile attraversata da due fiumi l’IPPARI e l’ACATE navigabili in passato, tanto da paragonarla alla MESOPOTAMIA: VITTORIA in provincia di RAGUSA

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Si narra di due leggende che spiegano l'origine del nome Ippari: una afferma che la valle ed il fiume furono dedicati al dio dei cavalli (dal greco Hyppos) perché il kamarinense Psaumide vinse una famosa corsa di quadriglie, utilizzando proprio i cavalli che venivano allevati nella valle. L'altra narra dell'amore nato tra il pastorello Ippari e la ninfa Camarina che suscitò le ire di Giove, il quale trasformò Ippari in fiume e Camarina in palude.

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Anche l'origine della città di Vittoria, avvenuta nel 1607 all'insegna del motto "Riaedificetur Camarina" (lo stemma della città di Vittoria reca infatti la scritta "VICTORIA PULCHRA CIVITAS POSTA CAMERINAM") è indissolubilmente legata alla storia dell'antica colonia greca e alla vallata del FIUM IPPARI, che fin dalla fondazione, dovette rivestire una importanza cruciale per l'economia della città, visto che era l'unica zona irrigua del territorio di boscopiano. La valle è sempre stata coltivata: in epoca greca e romana vi si coltivavano viti, carrubi, ulivi, legumi, orzo, frumento. Con l'arrivo degli Arabi nel IX secolo d.C. l'agricoltura fu rivoluzionata grazie all'introduzione di nuove colture ( aranci, limoni, gelsomino, aloe, zafferano, carciofo, sesamo, cotone, lino, riso, palma da datteri, nuove varietà di carrubi) e soprattutto nuove tecniche e sistemi di irrigazione; lungo il corso del fiume, sorsero infatti numerosi mulini ad acqua, saie (canali), gebbie (recipienti), senie, che i nostri avi hanno sapientemente sfruttato nel corso dei secoli successivi

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Ancora oggi è possibile osservare alcuni veri e propri REPERTI di ARCHEOLOGIA CONTADINA come i resti dell'ex MULINO CASTELLUCCIO, conosciuto come "U MULINU DO RISU". L'approvvigionamento idrico nei campi si realizzava infine attraverso le "SAIE", un sistema di canali dove l'acqua scorreva seguendo la pendenza del terreno. Anticamente si diffuse anche la coltivazione della canapa e le terre coltivate a questa cannabacea vennero dette "canapate" da cui il toponimo generico "cannavate", con cui ancora oggi viene definita l'intera zona sotto l'abitato del centro storico di Vittoria. Il bosco è sempre utilizzato per ricavarne legname come combustibile e per le costruzioni edili; i greci e i romani utilizzavano il legno del PINO D’ALEPPO anche per costruire le loro navi.

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