Fascino, magia e mistero: a due passi da Palermo c'è un tesoro inciso nella roccia
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Fascino, magia e mistero: a due passi da Palermo c'è un tesoro inciso nella roccia
25 Feb 2021 Aree archeologiche Cosa rende uniche le Grotte dell’Addaura di Palermo. Facciamo tappa in uno dei luoghi più affascinanti del capoluogo siciliano. Sul fianco nord-orientale del Monte Pellegrino si trovano tre grotte naturali di incredibile valore.…
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In siciliano è usata per indicare una persona che non ha legami sentimentali
(un “single“, per intenderci!).
La sua origine è antica e ci porta molto lontano dalla nostra Isola.
Ancora una volta la nostra lingua Siciliana ci permette di compiere un viaggio davvero interessante.
Molte delle parole siciliane che usiamo ogni giorno e che ci appaiono quasi scontate, racchiudono in realtà una storia ricchissima e interessante. Si fa presto, ad esempio, a dire schittu, un aggettivo molto comune, ma quanti si sono mai chiesti da dove proviene? Per tutti i curiosi e anche per quelli che amano conoscere la Sicilia, ecco un bell’approfondimento. Lo spunto per approfondire la conoscenza di schettu e schittu ci è stato dato da un post di Cademia Siciliana (lo trovate qui). La parola schettu viene utilizzata per indicare i single, cioè quelle persone che non hanno un legame sentimentale o non sono né sposate né fidanzate. Stando a quanto ci spiega Cademia Siciliana, la parola proviene dal gotico 𐍃𐌻𐌰𐌹𐌷𐍄𐍃 (slaíhts, con aí che si pronuncia come una E aperta), che ha il significato di “piano”, “liscio” o “semplice”.
Questa parola si trova per la prima volta in un testo siciliano intorno al 1400, ma gli Ostrogoti sono stati in Sicilia ufficialmente dal 491 al 535.
La stessa parola gotica può aver dato origine anche all’aggettivo “schittu”, usato principalmente per indicare cibo non condito. Se questo aggettivo vi suona familiare, è perché avete sentito parlare del pani câ meusa schittu o maritatu, cioè della focaccina con la milza con o senza formaggio.
Il nostro approfondimento non finisce qui: c’è qualcosa in più che vogliamo dirvi.
Anche in napoletano esiste la parola schittu ma è attestata come avverbio, nel significato di “soltanto”, “solamente”. La stessa voce, invece, diventa un aggettivo o un sostantivo nel salentino (schiettu), nel calabrese e, come abbiamo visto, nel siciliano. Come aggettivo o sostantivo, il significato più diffuso è quello dello schettu siciliano, cioè scapolo/celibe.
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(un “single“, per intenderci!).
La sua origine è antica e ci porta molto lontano dalla nostra Isola.
Ancora una volta la nostra lingua Siciliana ci permette di compiere un viaggio davvero interessante.
Molte delle parole siciliane che usiamo ogni giorno e che ci appaiono quasi scontate, racchiudono in realtà una storia ricchissima e interessante. Si fa presto, ad esempio, a dire schittu, un aggettivo molto comune, ma quanti si sono mai chiesti da dove proviene? Per tutti i curiosi e anche per quelli che amano conoscere la Sicilia, ecco un bell’approfondimento. Lo spunto per approfondire la conoscenza di schettu e schittu ci è stato dato da un post di Cademia Siciliana (lo trovate qui). La parola schettu viene utilizzata per indicare i single, cioè quelle persone che non hanno un legame sentimentale o non sono né sposate né fidanzate. Stando a quanto ci spiega Cademia Siciliana, la parola proviene dal gotico 𐍃𐌻𐌰𐌹𐌷𐍄𐍃 (slaíhts, con aí che si pronuncia come una E aperta), che ha il significato di “piano”, “liscio” o “semplice”.
Questa parola si trova per la prima volta in un testo siciliano intorno al 1400, ma gli Ostrogoti sono stati in Sicilia ufficialmente dal 491 al 535.
La stessa parola gotica può aver dato origine anche all’aggettivo “schittu”, usato principalmente per indicare cibo non condito. Se questo aggettivo vi suona familiare, è perché avete sentito parlare del pani câ meusa schittu o maritatu, cioè della focaccina con la milza con o senza formaggio.
Il nostro approfondimento non finisce qui: c’è qualcosa in più che vogliamo dirvi.
Anche in napoletano esiste la parola schittu ma è attestata come avverbio, nel significato di “soltanto”, “solamente”. La stessa voce, invece, diventa un aggettivo o un sostantivo nel salentino (schiettu), nel calabrese e, come abbiamo visto, nel siciliano. Come aggettivo o sostantivo, il significato più diffuso è quello dello schettu siciliano, cioè scapolo/celibe.
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Avete mai sentito dire a qualcuno “Finiu a cichiri e piattini!”?
Si tratta di un modo di dire siciliano non troppo conosciuto, che oggi vi spiegheremo.
Questa espressione si può tradurre come “È finita a tazzine e piattini” e, allargando il significato, vuol dire che per concludere una qualche discussione, è finita che ci è toccato lavare i piatti. Da qui, naturalmente, nasce una spiegazione sicuramente più poetica e saggia.
La frase si utilizza quando si è passati attraverso un problema, risolvendolo, o quando si è superata una esperienza negativa. Alla fine di tutto, dunque, ci si siede davanti a “cichiri e piattini”, cioè tazze e piattini da caffè.
Il fatto di sedersi davanti a piattini e tazzine è una consolazione perché, di fatto, il caffè piace a tutti e riconcilia con la vita.
Il modo di dire Finiu a cichiri e piattini è decisamente interessante. È un’ennesima dimostrazione della saggezza popolare che trae da avvenimenti semplici e quotidiani, importanti insegnamenti.
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Si tratta di un modo di dire siciliano non troppo conosciuto, che oggi vi spiegheremo.
Questa espressione si può tradurre come “È finita a tazzine e piattini” e, allargando il significato, vuol dire che per concludere una qualche discussione, è finita che ci è toccato lavare i piatti. Da qui, naturalmente, nasce una spiegazione sicuramente più poetica e saggia.
La frase si utilizza quando si è passati attraverso un problema, risolvendolo, o quando si è superata una esperienza negativa. Alla fine di tutto, dunque, ci si siede davanti a “cichiri e piattini”, cioè tazze e piattini da caffè.
Il fatto di sedersi davanti a piattini e tazzine è una consolazione perché, di fatto, il caffè piace a tutti e riconcilia con la vita.
Il modo di dire Finiu a cichiri e piattini è decisamente interessante. È un’ennesima dimostrazione della saggezza popolare che trae da avvenimenti semplici e quotidiani, importanti insegnamenti.
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U pisci feti da testa è un modo di dire utilizzato a Messina dai Messinesi.
Traduzione dal Messinese all’Italiano
Il pesce puzza dalla testa.
"Morale"
Si usa questa espressione per dire che le origini di comportamenti errati, vanno rinvenute nelle radici di questi.
Le ragioni di atteggiamenti sbagliati da parte una persona o la cattiva qualità di una istituzione, di un’azienda, di uno stato e così via, vanno ricercate a monte.
Per cui, rimanendo sui nostri esempi, nel caso di un comportamento sbagliato ad esempio di un figlio o di una persona in generale, la causa va ricercata nella famiglia e nell’ambiente in cui si cresce e/o vive, nel caso degli altri esempi fatti, le cause vanno rinvenute al vertice di una istituzione o azienda, da chi, insomma comanda in quell’ambito.
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Il pesce puzza dalla testa.
"Morale"
Si usa questa espressione per dire che le origini di comportamenti errati, vanno rinvenute nelle radici di questi.
Le ragioni di atteggiamenti sbagliati da parte una persona o la cattiva qualità di una istituzione, di un’azienda, di uno stato e così via, vanno ricercate a monte.
Per cui, rimanendo sui nostri esempi, nel caso di un comportamento sbagliato ad esempio di un figlio o di una persona in generale, la causa va ricercata nella famiglia e nell’ambiente in cui si cresce e/o vive, nel caso degli altri esempi fatti, le cause vanno rinvenute al vertice di una istituzione o azienda, da chi, insomma comanda in quell’ambito.
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La Identità Golose 2021 premia la nostra provincia: 6 riconoscimenti tra Siracusa, Noto e Rosolini - Siracusa News @sicilianewseinfo
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La Identità Golose 2021 premia la nostra provincia: 6 riconoscimenti tra Siracusa, Noto e Rosolini - Siracusa News
Una pasticceria (nemmeno a dirlo il Caffè Sicilia di Noto), tre ristoranti e due pizzerie, entrambe new entry. Sono 6 i ristoranti e le pasticcerie della nostra provincia inserite nella guida Identità Golose 2021, guida che premia il lavoro di qualità e d’autore…
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“U sceccu nto linzolu” è un modo di dire utilizzato a Messina dai messinesi.
Traduzione dal Messinese all’italiano:
L’asino nel lenzuolo.
"Morale"
Questa frase viene detta a qualcuno che fa il finto ingenuo.
Viene, cioè, rivolta a chi, facendo finta di essere ingenuo, vuole far credere di non sapere di cosa si sta parlando, di non aver visto nulla, di non conoscere nulla, in base alla situazione di riferimento.
Si dice di persona furba, quindi, che per evitare certe situazioni, si finge ingenuo, mentre non lo è affatto.
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L’asino nel lenzuolo.
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Questa frase viene detta a qualcuno che fa il finto ingenuo.
Viene, cioè, rivolta a chi, facendo finta di essere ingenuo, vuole far credere di non sapere di cosa si sta parlando, di non aver visto nulla, di non conoscere nulla, in base alla situazione di riferimento.
Si dice di persona furba, quindi, che per evitare certe situazioni, si finge ingenuo, mentre non lo è affatto.
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Il Salame di Sant’Angelo di Brolo è un delizioso salume siciliano, tipico della cittadina del Messinese. La tradizione norcina, in Sicilia, nacque presumibilmente nell’undicesimo secolo, in seguito alla colonizzazione da parte dei Normanni, che introdussero nuove abitudini a tavola.
Prima, infatti, il consumo della carne suina era stato escluso dagli Arabi, poiché era ritenuto sacrilego. La produzione del Salame Sant’Angelo di Brolo si sviluppò nel XVI secolo e ancora oggi rappresenta un’importante realtà. A rendere ancora più pregevole la produzione sono le ideali condizioni climatiche di temperatura, umidità e ventosità, perfette per la stagionatura.
Per ricavarlo, si utilizzano solo le parti più nobili del maiale, come lombata, spalla, coscia, collo, lonza, filetto e coppa. Allevato con prodotti genuini e alimentato con ghiande, fave e crusca. Per la parte grassa, che costituisce almeno il 20% dell’impasto, si utilizza solo il pancettone.
Le carni del Salame di Sant’Angelo di Brolo sono tagliate a punta di coltello, lavorate e conciate con sale marino e pepe nero a mezza grana. I salami vengono dunque insaccati in budelli di suino e messi a stagionare in sale arieggiate per un periodo che va dai trenta ai cento giorni. Il tempo varia a seconda della pezzatura. Il prodotto finito ha un peso che va dai 300 grammi al chilo e mezzo.
Al taglio ha un colore rosso vivo. La consistenza è tenera e il sapore delicato, con un aroma fragrante e caratteristico.
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Prima, infatti, il consumo della carne suina era stato escluso dagli Arabi, poiché era ritenuto sacrilego. La produzione del Salame Sant’Angelo di Brolo si sviluppò nel XVI secolo e ancora oggi rappresenta un’importante realtà. A rendere ancora più pregevole la produzione sono le ideali condizioni climatiche di temperatura, umidità e ventosità, perfette per la stagionatura.
Per ricavarlo, si utilizzano solo le parti più nobili del maiale, come lombata, spalla, coscia, collo, lonza, filetto e coppa. Allevato con prodotti genuini e alimentato con ghiande, fave e crusca. Per la parte grassa, che costituisce almeno il 20% dell’impasto, si utilizza solo il pancettone.
Le carni del Salame di Sant’Angelo di Brolo sono tagliate a punta di coltello, lavorate e conciate con sale marino e pepe nero a mezza grana. I salami vengono dunque insaccati in budelli di suino e messi a stagionare in sale arieggiate per un periodo che va dai trenta ai cento giorni. Il tempo varia a seconda della pezzatura. Il prodotto finito ha un peso che va dai 300 grammi al chilo e mezzo.
Al taglio ha un colore rosso vivo. La consistenza è tenera e il sapore delicato, con un aroma fragrante e caratteristico.
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