♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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“Si peggiu i Giufà“. Sarà capitato più o meno a tutti di aver sentito pronunciare almeno una volta questa espressione, utilizzata in riferimento a vicende buffe o imbarazzanti e prive di logica, in cui qualcuno si è messo in ridicolo. Questa tipica espressione, d’uso in Sicilia ma anche al di là dello Stretto, rimanda alle strampalate vicende di Giufà, un personaggio che nelle sue avventure incarna l’esempio tipico dello stolto, del credulone, che finisce sempre nei guai, guai da cui però magicamente ne riesce sempre illeso. Le prime tracce di Giufà in letteratura risalgono agli arabi del IX secolo, ma è grazie l’etnologo Giuseppe Pitré che gli aneddoti su questo simpatico personaggio ebbero una più ampia diffusione in Sicilia. Il personaggio di Giufà è ben noto anche nella tradizione popolare di Reggio Calabria. “Sciacquatrippa“, l’appellativo con cui i messinesi indicano i cittadini reggini, in risposta all’epiteto “buddaci” , deriva infatti dal racconto di “Giufà e la trippa”. Si racconta che in occasione del Natale la mamma di Giufà decise di cucinare un buon piatto di trippa, dunque chiese al figlio di recarsi dal macellaio per acquistare “un bel pezzo di carne”. Per non sprecare l’acqua a disposizione in casa, la mamma chiese al ragazzo di sciacquare la trippa nell’acqua di mare durante il tragitto. Così il giovanotto eseguì gli ordini della madre. Ma giunto in spiaggia e avendo sciacquato più volte il pezzo di “ventri“, Giufà non era del tutto convinto di aver perfettamente pulito ogni pare delle interiora.

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Guardandosi intorno notò all’orizzonte un peschereccio che giungeva verso la riva. I marinai sicuramente lo avrebbero aiutato a capire se la trippa fosse pulita o meno- pensò il ragazzo. Perciò Giufà si mise a chiamarli dalla riva, alzando più volte le braccia per attirare l’attenzione. Quest’ultimi, vedendo il ragazzo gesticolare e chiedere aiuto, mandarono una scialuppa in soccorso. Quando uno dei marinai lo raggiunse sulla spiaggia, Giufà tirò fuori il suo sacchetto con la trippa e gli chiese: “Vi pari lavata sta ventri?” Al che tutto l’equipaggio infuriato abbandonò in fretta e furia il ragazzo riprendendo la navigazione. Così Giufà, un po’ perplesso, decise di fare rientro a casa. Ma nella strada del ritorno si ricordò che di lì a poco il prete avrebbe celebrato la messa di Natale e sicuramente anche sua madre vi avrebbe partecipato. Giufà penso allora di chiedere un parere alla mamma: certamente sua madre avrebbe potuto dargli le risposte che cercava! Così Giufà fece irruzione nella chiesetta, proprio nell’esatto momento in cui il prete era impegnato a tenere un’ omelia sui peccati di gola:
– “La gola è uno dei peggiori vizi, per “la ventri” si robba e si mmazza“- diceva il sacerdote. Sentendo queste parole, impaurito Giufà lanciò in area il suo sacchetto con la trippa e disse al prete: “Non la voglio più, tienitela“- e si allontanò a gambe levate dalla chiesa, tra le risate dei compaesani che assistevano all’ennesima scena comica di Giufà.
I messinesi, riprendendo l’episodio di “Giufà e la trippa” si fanno beffa dei reggini, golosi di questo piatto che è tipico della tradizione locale. I reggini, dal canto loro, si rivolgono ai messinesi chiamandoli “buddaci”. L’appellativo è utilizzato con riferimento al pesce Sciarrano, esemplare che si aggira per i fondali con la bocca aperta e capace di mangiare di tutto. Il buddace non è certamente un pesce pregiato, al più è utilizzabile per la preparazione di sughi. Il messinese, come appunto il “buddace”, sarebbe un “uomo di bocca”, un credulone pronto a parlare a sproposito con la speranza fare bella mostra di sé, ma che in realtà è “tutto fumo e niente arrosto”.

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Anche la SICILIA ha il suo CAMMINO: la MAGNA VIA FRANCIGENA.

Un’avventura da percorrere a piedi.

Il percorso connette due antiche città di porto: PALERMO e AGRIGENTO, attraverso un sistema di TRAZZERE (antichi sentieri sterrati) che unisce i villaggi dell'entroterra.
La MAGNA VIA FRANCIGENA, si trova lungo l’asse Agrigento-Palermo, solcata per millenni da pellegrini e viaggiatori in età bizantina, islamica e alto medievale. Lungo ben 160 chilometri che collega la Balarm araba alla rocca di Agrigentum, attraverso antiche vie storiche e paesaggi cangianti, incrociando la via di transumanza nel territorio di Castronovo di Sicilia.
Il percorso permette di avventurarsi alla scoperta della Sicilia interna e delle sue perle rurali.

Allacciate gli scarponcini da trekking...

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L'ETNA vista dal versante occidentale e il paese del pistacchio piu buono al Mondo alle sue pendici: Bronte ❤️

📷 Fabrizio Zuccarello
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NOTO, LA CAPITALE MONDIALE DEL BAROCCO ❤️

Noto è un comune siciliano di 24 162 abitanti del libero consorzio comunale di Siracusa. È il primo comune della regione per estensione territoriale.

Definita la "capitale del Barocco", nel 2002 il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con le altre città tardo barocche del Val di Noto.

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📷 Salvo Olimpo
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📸 Sebastien.nagy
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Gangi (Ganci in dialetto) è un comune italiano di 6 529 abitanti della città metropolitana di Palermo.
La cittadina fa parte del circuito dei borghi più belli d'Italia ed è stata proclamata "Borgo dei borghi 2014".

Nel territorio di Gangi i ritrovamenti più antichi risalgono alla età del bronzo antica, nell'epoca caratterizzata dalla cultura di Castelluccio, come testimoniato da necropoli costituite da tombe a grotticella rinvenute nel sito di Serra del Vento e nelle contrade Regiovanni e Zappaiello, a circa dieci chilometri dall'attuale centro abitato. A lungo fu identificata con la leggendaria città cretese di Engyon. Accreditati eruditi, studiosi di ieri e di oggi collocano Engio proprio dalle parti di Gangi (località di Gangivecchio o di Monte Alburchia). Alcune evidenze archeologiche appaiono confermare ciò. Un'accreditata storiografia, di lunga data, scrive della distruzione del paese avvenuta nel 1299 per opera di Federico III durante la guerra dei Vespri. Fu ricostruita su un monte vicino: il Marone. I primi documenti storiografici attestano l'esistenza di Gangi (allora ubicata nel sito originario di contrada Gangivecchio) nel XII secolo. Fu poi compresa nei possedimenti della contea di Geraci: nel 1195 Enrico VI di Svevia, che nell'anno precedente aveva sottomesso la Sicilia e ne era stato incoronato re, assegnò alla famiglia de Craon, nella persona della contessa Guerrera, le divise pertinenti alla contea, i cui confini furono definiti includendo il territorio di Gangi. Dal XIII secolo la contea di Geraci passò sotto la dominazione dei nobili Ventimiglia.
Dalla fine del XV secolo, Gangi, come il resto della Sicilia ormai parte dell'Impero spagnolo, fu soggetta all'Inquisizione. Qui fu torturato e giustiziato il priore dei benedettini di Gangivecchio.
A metà del XVI secolo i censimenti e i riveli indicano un numero di circa 4 000 abitanti, un migliaio di abitazioni e altrettanti nuclei familiari.

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