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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Grani antichi siciliani caratteristiche e utilizzo.
Gli autentici grani della Sicilia sono tornati in auge ormai da un po’ di tempo, grazie alle loro caratteristiche.
Ognuno di essi è consigliato per un particolare utilizzo in cucina e un impiego in ricette siciliane deliziose.
I grani antichi siciliani quali sono? Ecco la risposta a questa e altre domande.
Sin dai tempi più antichi, la Sicilia è stata una terra particolarmente legata alla coltivazione del frumento. La qualità dei suoi prodotti le ha fatto guadagnare il titolo di “granaio di Roma“, prima, e “granaio d’Italia“, poi. Il merito è delle condizioni del terreno e del clima, un mix che offre alle spighe la possibilità di crescere ed essiccare naturalmente. In tempi relativamente recenti, si sono riaccesi i riflettori sulle varietà di grano più antiche. La domanda grani antichi siciliani quali sono? è diventata decisamente diffusa ed è cresciuta tanto la curiosità in merito all’argomento. Per questo motivo, oggi vogliamo dare una risposta e rivelare un po’ di curiosità, che scoprirete andando avanti con la lettura.

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Cosa rende speciali i grani storici siciliani
Cominciamo subito con un numero importante: i grani antichi siciliani (o varietà locali di grani siciliani) sono più di 50, tra grani duri e non, che si afferma siano autoctoni della Sicilia. Grazie alla grande varietà di condizioni climatiche e microclimatiche del territorio, nei secoli sono state selezionate diverse varietà. In gran parte si tratta di frani scomparsi, perché sono poco adatti a una coltivazione intensiva con processi meccanizzati e con largo impiego di fertilizzanti. Nonostante questo, grazie al lavoro e alla ricerca di alcuni appassionati, diverse varietà sono tornare a vivere nei campi siciliani.
Proprietà della farina di grano antico siciliano
I grani storici siciliani rappresentano senza ombra di dubbio un patrimonio non soltanto della nostra isola, ma anche dell’intero territorio italiano. Oggi sono un modo per promuovere le eccellenze e i prodotti genuini. Tante aziende li coltivano con metodi biologici e prestano attenzione all’ambiente. Si lavorano con la macinazione a pietra, ottenendo così una farina molto meno raffinata, quindi più ricca di proprietà nutrizionali. Ma le loro caratteristiche non finiscono qui. Questi grani hanno un basso indice di glutine, quindi la farina e i derivati sono più leggeri, digeribili e assimilabili rispetto al grano convenzionale. Al gusto offrono sapori che un grano industriale non potrà mai offrire e rendono il massimo quando vengono associati al lievito madre. Ora che sappiamo un po’ di più su di loro, è il momento di rispondere alla domanda I grani antichi siciliani quali sono?

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Grani antichi Siciliani più famosi e usi in cucina
Come potete facilmente intuire, non tutte le varietà sono diffuse o hanno conquistato un posto sul mercato e nei processi di coltivazione. Per questo motivo, vedremo insieme i grani antichi siciliani più famosi e i modi di utilizzarli in cucina.
Timilia o Tumminia: è noto anche come tremilia, trim minia, tummulia o grano marzuolo. È un grano di frumento duro e la farina si utilizza per lo più per produrre pane, pasta e prodotti da forno.
Russello: è noto anche come rossello, ruscio o russiedru. Si tratta di un frumento duro, tipico dell’entroterra siciliano. È ideale per la produzione di pane, pasta e altri prodotti da forno.
Perciasacchi: è un’antichissima varietà di grano, il farro siciliano. Si chiama così perché il culmine è talmente appuntito, da bucare i sacchi di grano che lo contengono. Perfetta per preparare pasta, pizza e pane.
Maiorca: è un tipico grano tenero a chicco bianco. Da sempre è identificato come grano tenero siciliano e si utilizza principalmente per la preparazione di dolci siciliani.
Senatore Cappelli: deve il nome al promotore della prima riforma agraria dell’Italia unitaria (Raffaele Cappelli). Si utilizza per realizzare pane, pizza, focacce e prodotti da forno.

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Chiacchiere siciliane: la ricetta del dolce tipico del Carnevale italiano

Le chiacchiere sono il dolce tipico di Carnevale per eccellenza, si preparano infatti in tutta Italia, anche se il loro nome varia da regione a regione. In Toscana si chiamano infatti cenci, frappe nel Lazio, galani in Veneto, bugie in Liguria e in Piemonte.

Le differenze sono nella forma o negli aromi utilizzati per la preparazione: nella versione delle chiacchiere siciliane utilizzeremo il Marsala, ma potete utilizzare anche il vino bianco o il liquore che preferite.

La ricetta è davvero semplice: basterà impastare insieme farina, zucchero e uova, aggiungere il burro e realizzare poi una sfoglia sottile. Le chiacchiere saranno poi fritte in olio ben caldo o cotte al forno.

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Come preparare le chiacchiere siciliane
Sistemate la farina sulla spianatoia e lavoratela con le uova e lo zucchero. Unite il burro ammorbidito, il sale e continuate a lavorare con le mani fino ad ottenere un composto liscio e morbido. Copritelo con un canovaccio pulito e fate riposare per almeno un'ora. Trascorso il tempo necessario sistemate il composto su una spianatoia leggermente infarinata e stendetela con l'aiuto di un mattarello, fino ad ottenere una sfoglia molto sottile e tagliate delle striscioline larghe 1 cm e lunghe circa 10 cm, aiutandovi con una rotellina dentellata. Realizzate anche due incisioni centrali.
Friggete le chiacchiere in olio ben caldo, ma non bollente, per evitare che si brucino. Giratele così da farle dorare su entrambe i lati. Sollevatele dall'olio con una schiumarola e adagiatele su un piatto rivestito con carta assorbente. Fatele raffreddare e cospargetele con zucchero a velo. Le vostre chiacchiere sono pronte per essere gustate.

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“Si peggiu i Giufà“. Sarà capitato più o meno a tutti di aver sentito pronunciare almeno una volta questa espressione, utilizzata in riferimento a vicende buffe o imbarazzanti e prive di logica, in cui qualcuno si è messo in ridicolo. Questa tipica espressione, d’uso in Sicilia ma anche al di là dello Stretto, rimanda alle strampalate vicende di Giufà, un personaggio che nelle sue avventure incarna l’esempio tipico dello stolto, del credulone, che finisce sempre nei guai, guai da cui però magicamente ne riesce sempre illeso. Le prime tracce di Giufà in letteratura risalgono agli arabi del IX secolo, ma è grazie l’etnologo Giuseppe Pitré che gli aneddoti su questo simpatico personaggio ebbero una più ampia diffusione in Sicilia. Il personaggio di Giufà è ben noto anche nella tradizione popolare di Reggio Calabria. “Sciacquatrippa“, l’appellativo con cui i messinesi indicano i cittadini reggini, in risposta all’epiteto “buddaci” , deriva infatti dal racconto di “Giufà e la trippa”. Si racconta che in occasione del Natale la mamma di Giufà decise di cucinare un buon piatto di trippa, dunque chiese al figlio di recarsi dal macellaio per acquistare “un bel pezzo di carne”. Per non sprecare l’acqua a disposizione in casa, la mamma chiese al ragazzo di sciacquare la trippa nell’acqua di mare durante il tragitto. Così il giovanotto eseguì gli ordini della madre. Ma giunto in spiaggia e avendo sciacquato più volte il pezzo di “ventri“, Giufà non era del tutto convinto di aver perfettamente pulito ogni pare delle interiora.

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Guardandosi intorno notò all’orizzonte un peschereccio che giungeva verso la riva. I marinai sicuramente lo avrebbero aiutato a capire se la trippa fosse pulita o meno- pensò il ragazzo. Perciò Giufà si mise a chiamarli dalla riva, alzando più volte le braccia per attirare l’attenzione. Quest’ultimi, vedendo il ragazzo gesticolare e chiedere aiuto, mandarono una scialuppa in soccorso. Quando uno dei marinai lo raggiunse sulla spiaggia, Giufà tirò fuori il suo sacchetto con la trippa e gli chiese: “Vi pari lavata sta ventri?” Al che tutto l’equipaggio infuriato abbandonò in fretta e furia il ragazzo riprendendo la navigazione. Così Giufà, un po’ perplesso, decise di fare rientro a casa. Ma nella strada del ritorno si ricordò che di lì a poco il prete avrebbe celebrato la messa di Natale e sicuramente anche sua madre vi avrebbe partecipato. Giufà penso allora di chiedere un parere alla mamma: certamente sua madre avrebbe potuto dargli le risposte che cercava! Così Giufà fece irruzione nella chiesetta, proprio nell’esatto momento in cui il prete era impegnato a tenere un’ omelia sui peccati di gola:
– “La gola è uno dei peggiori vizi, per “la ventri” si robba e si mmazza“- diceva il sacerdote. Sentendo queste parole, impaurito Giufà lanciò in area il suo sacchetto con la trippa e disse al prete: “Non la voglio più, tienitela“- e si allontanò a gambe levate dalla chiesa, tra le risate dei compaesani che assistevano all’ennesima scena comica di Giufà.
I messinesi, riprendendo l’episodio di “Giufà e la trippa” si fanno beffa dei reggini, golosi di questo piatto che è tipico della tradizione locale. I reggini, dal canto loro, si rivolgono ai messinesi chiamandoli “buddaci”. L’appellativo è utilizzato con riferimento al pesce Sciarrano, esemplare che si aggira per i fondali con la bocca aperta e capace di mangiare di tutto. Il buddace non è certamente un pesce pregiato, al più è utilizzabile per la preparazione di sughi. Il messinese, come appunto il “buddace”, sarebbe un “uomo di bocca”, un credulone pronto a parlare a sproposito con la speranza fare bella mostra di sé, ma che in realtà è “tutto fumo e niente arrosto”.

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Anche la SICILIA ha il suo CAMMINO: la MAGNA VIA FRANCIGENA.

Un’avventura da percorrere a piedi.

Il percorso connette due antiche città di porto: PALERMO e AGRIGENTO, attraverso un sistema di TRAZZERE (antichi sentieri sterrati) che unisce i villaggi dell'entroterra.
La MAGNA VIA FRANCIGENA, si trova lungo l’asse Agrigento-Palermo, solcata per millenni da pellegrini e viaggiatori in età bizantina, islamica e alto medievale. Lungo ben 160 chilometri che collega la Balarm araba alla rocca di Agrigentum, attraverso antiche vie storiche e paesaggi cangianti, incrociando la via di transumanza nel territorio di Castronovo di Sicilia.
Il percorso permette di avventurarsi alla scoperta della Sicilia interna e delle sue perle rurali.

Allacciate gli scarponcini da trekking...

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