♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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In Sicilia il gioco delle carte si è radicato in modo molto profondo, diventando un elemento significativo dell’identità culturale dell’Isola. Tra tutti i mazzi di carte regionali, infatti, quello siciliano è tra i più diffusi e conosciuti in tutto il Sud Italia. Gli arabi sono stati i primi a disegnare le carte da gioco con i semi che sono ancora oggi diffusi al Sud. I mamelucchi giocavano con un mazzo di carte diviso in quattro diversi semi: i “dhiram”, che in Italia diventeranno i “denari”, i “tûmân”, cioè le “coppe, le “suyûf” ovvero le scimitarre che saranno poi le nostre “spade” e i “jawkân” vale a dire i “bastoni”. Questi stessi semi li troviamo nei tarocchi siciliani. Le carte da gioco siciliane hanno una discendenza diretta dagli arcani minori del mazzo dei tarocchi siciliani. I semi delle carte restano gli stessi, ma mutano gli otto, i nove e i dieci, sostituiti dalle figure della donna (diventata poi “fante”), del cavaliere e del re, figure tipiche del medioevo dei Paladini di Francia e delle loro epiche avventure. Gli arabi però non hanno avuto influenza diretta solo sulla Sicilia, ma anche sulla Spagna. Se le carte arabe si erano già diffuse nel Medioevo, nei primi anni della modernità il loro uso si consolidò in Sicilia durante la dominazione spagnola, tanto che le carte siciliane di oggi sono considerate un sottogruppo delle cosiddette “carte spagnole”.
Nelle carte siciliane ogni seme è composto da 10 carte, ovvero da un asso, dai numeri dal due al sette, da fante, cavallo e re, rappresentati come figure intere.

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I semi hanno precisa simbologia, che verrebbe ricondotta alla struttura della società medievale. Le Coppe, in siciliano “coppi”, stanno a rappresentare la classe degli ecclesiastici. L’Asso di Coppe è però un lebete nuziale, un vaso di ceramica dei tempi pagani usato in Sicilia ai tempi della Magna Grecia. Il seme di Spade, di “spati”, rappresenta il ceto nobiliare. I Denari o “aremi” sono ad immagine del ceto mercantile. Il re di denari è noto anche come “matta”, mentre il tre di denari si distingue per avere impresso lo stemma della Trinacria, simbolo della Sicilia. I Bastoni, o “mazzi”, raffigurano invece il popolo. L’asso di bastoni ha un importante significato nella cultura popolare siciliana, tanto da essere spesso dipinto sui carretti siciliani accompagnato dalla dicitura “vacci lisciu”. Questa rappresentazione invitava i malintenzionati a tenersi alla larga, oggi è da considerarsi un portafortuna. Nei mazzi ottocenteschi e del primo Novecento il cavallo di bastoni o di spade era impersonato da Giuseppe Garibaldi, la cui effige capeggiava anche al centro del cinque di denari.
Le carte restano uno giochi più amati dai siciliani, ma sono anche molto di più. La loro iconografia ispira torna nei murales, nell’oggettistica, persino nella moda. Dolce & Gabbana hanno riproposto le carte siciliane persino per colorare lo sportello di un frigorifero disegnato dall’omonima maison. Diversi artisti contemporanei si ispirano alle figure delle carte siciliane, uno su tutti Francesco Toraldo, che ne reinterpreta in chiave pittorica simboli, numeri e figure.

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In Sicilia e a Catania, il carciofo è un alimento che non può mancare nelle già ricche tavole. Si cucina la domenica e, in generale, durante le feste, si gusta nelle sue tante varianti. Se vi trovate a percorrere viale Mario Rapisardi, noterete spesso tanti fuculari che preparano i buonissimi carciofi arrostiti. La tipologia di carciofo più conosciuta è apprezzata dai siciliani e non è quella del carciofo violetto che si coltiva abbondantemente nel paese di Ramacca. Qui il carciofo è il prodotto principale. Il violetto ramacchese si affianca agli altri famosi carciofi siciliani di Cerda in provincia di Palermo e di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Scopriamo assieme questa eccellenza agroalimentare.

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Ramacca: la città del carciofo violetto
Si tratta di una cittadina immersa nella piana di Catania, nata nel 1700 come feudo nobiliare. Il nome del paese tradisce però la chiara origine araba. Si tratta infatti di un toponimo che deriverebbe da: Ramuellah (grande bosco), Rammuallah (terra di Dio), Ramalmokac (Casale dei Mokac), Rammak (custodi di giumente), Ramaka (galoppatoio) ed infine da Ramah (altura), che fa emergere la vocazione prettamente agricola del territorio. Ramacca ha infatti un’economia prevalentemente agricola, grazie ad un territorio molto esteso ed estremamente fertile, ricco di agrumeti e uliveti, con le viti coltivate nelle colline e le pianure con cereali, legumi ed ortaggi. La zona si contraddistingue per essere la terra di produzione del “Violetto”, una delle più importanti d’Italia con oltre due mila ettari di produzione di carciofi venduti in Italia e in Europa. Il “Violetto ramacchese” è riconosciuto come il carciofo tra i migliori in commercio.
La cittadina, magnifica anche per il panorama che offre, ospita il Museo civico, il Museo delle Bande Musicali e un parco archeologico con un suggestivo villaggio preistorico, infine vi sono anche dei resti di un centro siculo-greco, testimonianza del mix di culture, abitudini, tradizioni e storie provenienti da tutta l’isola. Da anni, la città dà vita alla Sagra del Carciofo per promuovere questa straordinaria varietà di ortaggio, assieme ad altri prodotti locali.

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Caratteristiche del Carciofo Violetto Ramacchese
Si tratta del carciofo siciliano più famoso al mondo. Ha la forma cilindrica , con forti sfumature violacee, ed è senza spine. E’ divenuto emblema di eccellenza. La forma arrotondata lo rende del tutto simile a un fiore carnoso. Il suo sapore è dolce, delicato, anche se leggermente amarognolo. Si consuma da novembre fino a maggio. Ha foglie molto scure all’esterno e chiare all’interno.
Tante sono le sue proprietà: è digestivo, diuretico, consigliato nelle diete perché povero di grassi e ricco di carboidrati e potassio. Ha azione depurativa e aiuta il buon funzionamento dell’intestino e del fegato, favorendo la rigenerazione delle cellule. Abbassa il colesterolo, migliora l’attività cardiovascolare e ha proprietà antiossidanti. Inoltre è ricco in vitamine, sali minerali, di calcio e ferro. Si consiglia il consumo anche ai diabetici. E’ usato anche in erboristeria. Tutto ciò concorre a renderlo uno degli ortaggi più prestigiosi, prelibati e ricercati della Sicilia, grazie al particolare clima e alle condizioni del terreno. Questo magnifico prodotto attende ancora la certificazione IGP.

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Ricette e usi
Questo ortaggio è molto diffuso nella cucina catanese e non solo. Si trova largamente usato dai primi, a secondi, ai contorni, fino al dolce. Si gusta nelle tradizionali caponate, risotti, pasta al forno, si preparano polpettine di carciofi, scacciate, focacce e addirittura pizze con carciofi. Sono usati come contorno anche carciofini sott’olio, sott’aceto, crema di carciofi, fino ad arrivare ai liquori. Il carciofo si cucina bollito, condito con formaggio, aglio e prezzemolo o arrostito direttamente sulla brace, condito col tradizionale pinzimonio che ne fa sprigionare l’avvolgente e irresistibile odore. Si mangia preferibilmente la domenica o in occasione delle feste. Non mancano in città angoli dove si trovano venditori di carciofi arrustuti.

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Curiosità

Il carciofo non solo si presta a molte ricette ma ha anche una larga e variegata tradizione metaforica, grazie ai suoi tanti e ricchi significati. Chi di voi non ha mai sentito o addirittura adoperato l’espressione: “si senti cacociula” per definire un individuo presuntuoso che, come il carciofo sempre presente nel banco tra gli altri ortaggi, vuole primeggiare sugli altri. O espressioni come: “haiu sta cacocilla na panza“, per esemplificare il fatto di smaltire difficilmente un’offesa subita. O ancora frasi come: “avi na cacociula na testa“, per indicare un individuo molto riccioluto e capellone. Queste sono alcune delle espressioni tipiche più largamente usate a Catania. Il carciofo, come i suoi tanti petali, ha anche tanti modi diversi di chiamarsi, da una parte all’altra dell’Isola, cambiando addirittura genere. ecco alcune delle sue denominazioni più conosciute: carciofu, cacuorciulu, carcioffulla, carciofaia, caquorcila, cacuccila, capozzula.

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Gesso (Ibbisu in dialetto messinese) è una frazione di Messina, di circa 600 abitanti, facente parte della Circoscrizione VI, situata 16 km a nord-ovest dal centro città.

Situata nella parte tirrenica della città di Messina, disposta lungo un crinale dei Peloritani, Gesso si trova al centro di zona agricola a un'altezza di 265 m s.l.m., in posizione panoramica su Etna, Vulcano e Stromboli oltre a Capo Milazzo.

Si trova a una distanza di 16 km dal centro cittadino messinese e a soli 3 km dalla vicina cittadina di Villafranca Tirrena. Della frazione di Gesso fa parte anche contrada Locanda, che si trova a circa tre chilometri da Portella San Rizzo, le cosiddette Quattro Strade di Messina, e a circa due chilometri e mezzo dal centro di Gesso.

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Origini del nome

Il nome deriva dal minerale (in latino Gypsum e in greco Gypsos, Γύψος) che veniva estratto da numerose cave esistenti nella zona, attività cessata negli anni sessanta del secolo scorso. Ibbisu è il corrispondente termine dialettale con cui viene identificato tale minerale.

Nonostante le origini di Gesso siano sicuramente anteriori alla venuta dei Normanni, i suoi edifici più antichi sono chiese e conventi successivi al Concilio di Trento: la chiesa parrocchiale di Sant'Antonio abate del XVII secolo, il convento di S. Francesco da Paola, il convento dei Cappuccini con l'annessa chiesa dell'Immacolata. La chiesa di Sant'Antonio è stata inaugurata il 17 gennaio 1612, come peraltro si può evincere da un'iscrizione posta nell'angolo ove ha sede la sacrestia della chiesa. Di epoca precedente ai menzionati conventi erano sicuramente due e forse più monasteri dei Basiliani: San Gregorio, San Biagio, forse San Nicola ed addirittura anche un monastero femminile detto della Badia.

Il paese è balzato agli onori della cronaca a seguito dell'elezione a Presidente degli Stati Uniti d'America di Joe Biden. Il nonno paterno della moglie, Jill Jacobs, nacque a Gesso nel 1898, a contrada Locanda, a due chilometri dal paese. Il suo nome era Domenico Giacoppo, ma venne trasformato in Dominic Jacobs, per evitare storpiature, quando all'età di due anni emigrò negli USA con la sua famiglia.

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