Vista satellitare dello stretto con alcuni dei comuni che vi si affacciano.
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Lo Stretto, per gli aspetti morfologici, può essere rappresentato come un imbuto con la parte meno ampia verso nord, in corrispondenza della congiungente ideale capo Peloro (Sicilia) - Torre Cavallo (Calabria); verso sud, invece, questo imbuto si apre gradualmente fino al traverso di capo dell'Armi (Calabria). Il limite settentrionale è nettamente identificabile, mentre quello meridionale può avere un significato geografico (ad esempio la carta nautica n° 138 dell'Istituto idrografico della Marina si ferma poco prima di punta Pellaro in Calabria), o idrologico; quest'ultimo può essere considerato la linea ideale che congiunge capo Taormina (Sicilia) con capo d'Armi (Calabria). Come area idrologica, anche il confine settentrionale è ben più ampio di quello geografico e comprende l'area del mar Tirreno compresa tra capo Milazzo, l'arco delle isole Eolie e le coste del golfo di Gioia in Calabria
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Lo stretto visto da Messina, presso "Dinnammare" (monti Peloritani); i colori mostrano chiaramente le differenti masse d'acqua presenti.
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Per quanto si riferisce al profilo sottomarino dello stretto, esso può essere paragonato ad un monte, il cui culmine è la "sella" (lungo la congiungente Ganzirri-punta Pezzo), i cui opposti versanti hanno pendenze decisamente differenti. Nel mar Tirreno, infatti, il fondo marino digrada lentamente fino a raggiungere i 1.000 m nell'area di Milazzo e, per trovare la batimetrica dei 2.000 m, si deve oltrepassare l'isola di Stromboli. Nella parte meridionale (mare Ionio), invece, il pendio è molto ripido ed a pochi chilometri dalla "sella" è possibile registrare la profondità di 500 m tra le città di Messina e Reggio, oltrepassare ampiamente i 1.200 m poco più a sud (punta Pellaro), per raggiungere i 2.000 m al centro della congiungente ideale capo Taormina - capo d'Armi.
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La minore ampiezza (3.150 metri nel punto più stretto) si riscontra lungo la congiungente Ganzirri-punta Pezzo cui corrisponde a livello del fondo una "sella" sottomarina ove si riscontrano le minori profondità (80–120 m). In questo tratto i fondali marini presentano un solco mediano irregolare, con profondità massima di 115 m, che divide una zona occidentale (in prossimità di Ganzirri) caratterizzata da profonde incisioni, da quella orientale di Punta Pezzo, più profonda e pianeggiante.
Caratteristica del settore settentrionale dello stretto è l'ampia valle di Scilla, con una parte più profonda e ripida (circa 200 m). La valle comincia poi ad appiattirsi e ad essere meno acclive verso il mar Tirreno dove prende il nome di bacino di Palmi. Le pareti laterali della valle, profonde e scoscese, si elevano bruscamente conferendo alla sezione trasversale una forma ad "U". Un'ampia ed irregolare depressione, meno incisa (valle di Messina), avente anch'essa sezione ad "U", si riscontra nella parte meridionale. A profondità superiori ai 500 m, la valle di Messina si stringe divenendo più profonda e dando origine ad un ripido canyon sottomarino (canyon di Messina) che si protende fino alla piana batiale dello Ionio.
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Caratteristica del settore settentrionale dello stretto è l'ampia valle di Scilla, con una parte più profonda e ripida (circa 200 m). La valle comincia poi ad appiattirsi e ad essere meno acclive verso il mar Tirreno dove prende il nome di bacino di Palmi. Le pareti laterali della valle, profonde e scoscese, si elevano bruscamente conferendo alla sezione trasversale una forma ad "U". Un'ampia ed irregolare depressione, meno incisa (valle di Messina), avente anch'essa sezione ad "U", si riscontra nella parte meridionale. A profondità superiori ai 500 m, la valle di Messina si stringe divenendo più profonda e dando origine ad un ripido canyon sottomarino (canyon di Messina) che si protende fino alla piana batiale dello Ionio.
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Lo stretto di Messina è un braccio di mare che separa l'Italia peninsulare (Calabria) ad est dall'isola di Sicilia e, più in generale, quest'ultima dall'Europa continentale ad ovest, collegando i mari Tirreno e Ionio e bagnando le città metropolitane di Reggio Calabria e Messina, con una larghezza minima di circa 3,14 km tra i comuni di Villa San Giovanni e di Messina.
Localmente chiamato u Strittu, noto nell’antichità come stretto di Scilla e Cariddi dal nome dei due mostri omonimi di Scilla e Cariddi che secondo le leggende funestavano la navigazione tra Calabria e Sicilia, in seguito fu noto come fretuum siculum e, in tempi più recenti, come faro di Messina, denominazione puramente geopolitica risalente al regno medievale di Sicilia.
Nel 1957 la rete elettrica di trasmissione siciliana fu collegata a quella continentale da un elettrodotto aereo che sovrappassava lo Stretto; benché ormai non più utilizzato per via del passaggio, nel 1992, a una più pratica soluzione con cavi elettrici sottomarini, le strutture di sostegno dell’opera sulle due sponde sono rimaste come esempio di archeologia industriale e note come piloni dello Stretto.
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Localmente chiamato u Strittu, noto nell’antichità come stretto di Scilla e Cariddi dal nome dei due mostri omonimi di Scilla e Cariddi che secondo le leggende funestavano la navigazione tra Calabria e Sicilia, in seguito fu noto come fretuum siculum e, in tempi più recenti, come faro di Messina, denominazione puramente geopolitica risalente al regno medievale di Sicilia.
Nel 1957 la rete elettrica di trasmissione siciliana fu collegata a quella continentale da un elettrodotto aereo che sovrappassava lo Stretto; benché ormai non più utilizzato per via del passaggio, nel 1992, a una più pratica soluzione con cavi elettrici sottomarini, le strutture di sostegno dell’opera sulle due sponde sono rimaste come esempio di archeologia industriale e note come piloni dello Stretto.
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Per quanto si riferisce al profilo sottomarino dello stretto, esso può essere paragonato ad un monte, il cui culmine è la "sella" (lungo la congiungente Ganzirri-punta Pezzo), i cui opposti versanti hanno pendenze decisamente differenti. Nel mar Tirreno, infatti, il fondo marino digrada lentamente fino a raggiungere i 1.000 m nell'area di Milazzo e, per trovare la batimetrica dei 2.000 m, si deve oltrepassare l'isola di Stromboli. Nella parte meridionale (mare Ionio), invece, il pendio è molto ripido ed a pochi chilometri dalla "sella" è possibile registrare la profondità di 500 m tra le città di Messina e Reggio, oltrepassare ampiamente i 1.200 m poco più a sud (punta Pellaro), per raggiungere i 2.000 m al centro della congiungente ideale capo Taormina - capo d'Armi.
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Caratteristica del settore settentrionale dello stretto è l'ampia valle di Scilla, con una parte più profonda e ripida (circa 200 m). La valle comincia poi ad appiattirsi e ad essere meno acclive verso il mar Tirreno dove prende il nome di bacino di Palmi. Le pareti laterali della valle, profonde e scoscese, si elevano bruscamente conferendo alla sezione trasversale una forma ad "U". Un'ampia ed irregolare depressione, meno incisa (valle di Messina), avente anch'essa sezione ad "U", si riscontra nella parte meridionale. A profondità superiori ai 500 m, la valle di Messina si stringe divenendo più profonda e dando origine ad un ripido canyon sottomarino (canyon di Messina) che si protende fino alla piana batiale dello Ionio.
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Cannoli siciliani con granella di pistacchi e ciliegia candita
dolce tipico della cucina siciliana
Il cannolo siciliano è una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana. Come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo.
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Il cannolo siciliano è una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana. Come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo.
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Storia del cannolo siciliano
Il riferimento del nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione; secondo una ipotesi il dolce fu inventato in tempi remoti per festeggiare il carnevale.Secondo altre ha origini romane o saracene. La prima descrizione risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro Siciliani a tavola scrive: "Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus".Secondo Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone(questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.). Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.
Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d'oro della cucina e dei vini della Sicilia riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un'antica ricetta romana poi elaborata dagli arabi.Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome ad uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell'acqua, cannolo è un termine dialettale che indica una sorta di rubinetto. Il dolce sebbene sia nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri di Palermo, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, così come la conosciamo oggi, unitamente ai pasticceri di Messina, che ne hanno anche inventato la variante con crema scura di ricotta e cioccolato
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Il riferimento del nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione; secondo una ipotesi il dolce fu inventato in tempi remoti per festeggiare il carnevale.Secondo altre ha origini romane o saracene. La prima descrizione risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro Siciliani a tavola scrive: "Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus".Secondo Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone(questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.). Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.
Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d'oro della cucina e dei vini della Sicilia riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un'antica ricetta romana poi elaborata dagli arabi.Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome ad uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell'acqua, cannolo è un termine dialettale che indica una sorta di rubinetto. Il dolce sebbene sia nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri di Palermo, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, così come la conosciamo oggi, unitamente ai pasticceri di Messina, che ne hanno anche inventato la variante con crema scura di ricotta e cioccolato
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