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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Il couscous è il piatto più popolare in Marocco e nel Nord Africa, ma diffuso in tutto il mondo. La storia ha elaborato diverse opinioni circa le sue origini. Alcuni ritengono che il couscous, come la pasta, sia stata creato in Cina, mentre altri sono sicuri della sua origine dall’Africa dell’est. Tuttavia, l’evidenza più palese sembra indicare il Nord Africa. Inoltre, proprio qui, delle scoperte archeologiche risalenti al nono secolo, avrebbe portato alla luce degli utensili da cucina per preparare il couscous.
Nell’undicesimo secolo, la conquista arabo-islamica ha contribuito alla diffusione del piatto in tutta la regione nordafricana. La crescita economica e lo sviluppo della produzione di grano ne hanno accelerato l’espansione. Quindi il couscous fu portato in Spagna, nella regione meridionale dell’Andalusia, e lungo il perimetro del Mediterraneo. In uno scritto del XVI secolo di Francois Revelais, si nota come in Provenza fosse diffuso e apprezzato il Coscoton a la Moresque. Il couscous giunse fino in Sud America, attraverso le colonie portoghesi emigrate dal Marocco. L’espansione del couscous è continuata durante il XX secolo, soprattutto a causa di ondate migratorie dal Nord Africa verso l’Europa, la Francia in particolare. Un recente sondaggio ha svelato come il couscous sia oggi il secondo piatto preferito dai transalpini.
Oggi il couscous è l’ambasciatore culinario del Nord Africa ed è un emblema dell’arte culinaria marocchina. Vediamo la ricetta del couscous tradizionale.

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Il cous cous sbarca in Sicilia
Tutte le fonti del periodo puntano decisamente sulle coste della Barbaria (che vanno dall’Oceano Atlantico fino al confine con l’Egitto) per localizzare i luoghi di produzione e consumo di questo alimento. Per collocare il cous cous sulle coste italiane è necessario attendere il 1777 con una testimonianza inserita un secolo più tardi all’interno di un saggio di antropologia sugli usi e i costumi del popolo siciliano a cura di Giuseppe Pitré. Nel racconto viene riferito un episodio in occasione di un matrimonio a Trapani “[fu] regalata al parroco una pietanza chiamata cuscusu colla carne di porco, vivanda in Sicilia dai saraceni lasciata ”.
La cronaca prosegue descrivendo la lavorazione della semola, identica in tutto a quella tradizionale utilizzata nel Nordafrica: “formasi con della semola in un vaso, ove di tanto in tanto spruzzandosi dell’acqua, e strisciandovisi leggermente la mano in giro, in minutissime coccoline si riduce; quindi su una pentola, o sia dentro la sola carne a bollire, un’altra con ispessi e piccoli buchi nel fondo e che la preparata semola contiene, assettandosi, al caldo fumo di quella, che le sta sotto si cuoce”.

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Cous cous alla trapanese, condito con il pesce
Rimane difficile stabilire se la cultura trapanese del cous cous sia veramente un antico lascito della dominazione araba (che ha avuto un’influenza sulla parte occidentale fino alla metà del Duecento) oppure sia dovuta agli scambi culturali successivi, ma sta di fatto che proprio nel territorio trapanese il cous cous condito con il pesce è tutt’oggi una specialità tradizionale.
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Nello stesso periodo storico purtroppo i ricettari non forniscono ulteriori informazioni, probabilmente perché sono orientati a descrivere altri orizzonti geografici – il Settentrione d’Italia, in particolare il Piemonte e la Lombardia e, per il Sud, la sola città di Napoli – e sociali – in primis la cucina aristocratica, poi quella nascente borghese.

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Cous cous nel Vocabolario siciliano etimologico
Ci dicono qualcosa invece i dizionari come il “Vocabolario siciliano etimologico” del 1785 che registra la voce “cuscusu”: “Dicciano una sorta di pasta per lo più fatta di semola ridotta in forma di piccolissimi granelli, che cotta si mangia in minestra.” A partire dalla fine del Settecento si moltiplicano invece le citazioni letterarie e ne è un esempio il riferimento non proprio entusiastico di Edmondo de Amicis nel resoconto di un suo viaggio in Africa nel 1875 pubblicato con il titolo di “Marocco”.

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Castellammare nasce come Emporium Segestanorum (porto della vicina Segesta, in greco Αἰγεσταίων ἐμπόριον; il termine empòrion designava nel Mediterraneo antico una località marittima adibita allo scarico, al deposito e alla vendita di merci) e fino all'arrivo degli Arabi la sua storia si identifica con quella della città elima. Si ipotizza che l'emporio esistesse già a partire almeno dagli inizi del V secolo a.C. Testimonianze in tal senso si ricavano sia dagli scritti di Erodoto sia da quelli di Diodoro Siculo e di Tucidide, che a proposito della spedizione ateniese in Sicilia del 415 a.C., più volte parla di navi che andavano o venivano da Segesta.
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Lo stretto di Messina è un braccio di mare che separa l'Italia peninsulare (Calabria) ad est dall'isola di Sicilia e, più in generale, quest'ultima dall'Europa continentale ad ovest, collegando i mari Tirreno e Ionio e bagnando le città metropolitane di Reggio Calabria e Messina, con una larghezza minima di circa 3,14 km tra i comuni di Villa San Giovanni e di Messina.

Localmente chiamato u Strittu, noto nell’antichità come stretto di Scilla e Cariddi dal nome dei due mostri omonimi di Scilla e Cariddi che secondo le leggende funestavano la navigazione tra Calabria e Sicilia, in seguito fu noto come fretuum siculum e, in tempi più recenti, come faro di Messina, denominazione puramente geopolitica risalente al regno medievale di Sicilia.

Nel 1957 la rete elettrica di trasmissione siciliana fu collegata a quella continentale da un elettrodotto aereo che sovrappassava lo Stretto; benché ormai non più utilizzato per via del passaggio, nel 1992, a una più pratica soluzione con cavi elettrici sottomarini, le strutture di sostegno dell’opera sulle due sponde sono rimaste come esempio di archeologia industriale e note come piloni dello Stretto.

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Vista satellitare dello stretto con alcuni dei comuni che vi si affacciano.

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Lo Stretto, per gli aspetti morfologici, può essere rappresentato come un imbuto con la parte meno ampia verso nord, in corrispondenza della congiungente ideale capo Peloro (Sicilia) - Torre Cavallo (Calabria); verso sud, invece, questo imbuto si apre gradualmente fino al traverso di capo dell'Armi (Calabria). Il limite settentrionale è nettamente identificabile, mentre quello meridionale può avere un significato geografico (ad esempio la carta nautica n° 138 dell'Istituto idrografico della Marina si ferma poco prima di punta Pellaro in Calabria), o idrologico; quest'ultimo può essere considerato la linea ideale che congiunge capo Taormina (Sicilia) con capo d'Armi (Calabria). Come area idrologica, anche il confine settentrionale è ben più ampio di quello geografico e comprende l'area del mar Tirreno compresa tra capo Milazzo, l'arco delle isole Eolie e le coste del golfo di Gioia in Calabria

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