Festa di S. Antonio Abate a Santo Stefano Medio, caratteristico villaggio messinese, situato alle pendici dei monti Peloritani e diviso in due parti dal torrente S. Stefano.
Il 17 gennaio si ricorda S. Antonio Abate, il "Santo del popolo" in quanto protettore del bestiame. Le origini dei festeggiamenti in suo onore vanno ricercate nel mondo rurale e, in parte, sono ancora oggi particolarmente vive. I festeggiamenti iniziano il sabato pomeriggio con l'accensione del fuoco, allor quando il simulacro del Santo viene portato in processione dinanzi alla catasta di legna, accompagnato dalle note della banda musicale. L'evento è sottolineato dal luccichio dei giochi pirotecnici. Sulla sommità della catasta di legna viene posta della salsiccia, offerta dai macellai del paese, che viene sacrificata al Santo.
Il falò viene acceso il sabato della festa, quando viene portato in processione il simulacro di S. Antonio. Davanti ad una moltitudine di gente, ovunque assiepata, il parroco benedice il fuoco. La legna brucia per tutta la notte, durante la quale, i giovani e i meno giovani, abitualmente, arrostiscono la salsiccia sulla brace, accompagnandola con qualche bicchiere di buon vino locale. In serata si svolge la "Sagra di Sant'Antonio", a base di prodotti tipici della tradizione gastonomica: "frittole", un misto di carne di maiale bollita, porchetta, salumi, tuma e ricotta, maccheroni fatti in casa e antichi sapori da forno.
E' lo scoppio dei botti mattutini che dà inizio ai festeggiamenti della domenica. Il suono delle campane annuncia la celebrazione della Messa Solenne. In mattinta si svolge la "Benedizione dei cavalli e dei cavalieri". Approfittando della festa, tutte le famiglie si riuniscono intorno alla tavola imbandita con cibi grassi di carne di maiale: maccheroni caserecci al sugo, salsiccia arrosto e ogni sorta di leccornia. Certo non può mancare un buon vino rosso locale per accompagnare il pranzo, che si conclude gustando il tradizionale "bianco e nero" oppure i deliziosi cannoli siciliani.
Nel pomeriggio si svolge la processione per le vie del paese che si conclude al calar della sera, dopo la benedizione del parroco. Subito dopo si inscena la singolare pantomima de "U camiddu e l'omu sabbaggiu" che richiama una moltitudine di folla, meravigliata dagli straordinari effetti luminosi e acustici. I festeggiamenti si concludono con lo spettacolo dei giochi pirotecnici.
La rappresentazione rievoca lo scontro avvenuto nel 1060 tra il conte Ruggiero d'Altavilla e i Saraceni, fino ad allora dominatori della città di Messina. Lo spettacolo si svolge nel buio della piazza S. Maria dei Giardini, durante il quale si affrontano "u camiddu" (il cammello, condotto dal conte Ruggero), costruito mediante listelli di canna e "l'omu sabbaggiu" (il saraceno infedele), che indossa una finta armatura e delle finte armi.
Il combattimento si svolge a ritmo di musica, suonata dalla banda del paese, e si concretizza con l'esplosione di petardi, mortaretti e fiaccole, che rendono più suggestiva l'atmosfera. Alla fine è il "camiddu" a prevalere su "l'omu sabbaggiu", così come Ruggiero prevalse sul saraceno.
@sicilianewseinfo
@siciliaterramia
#siciliainfesta
#tradizioni#messina
Il 17 gennaio si ricorda S. Antonio Abate, il "Santo del popolo" in quanto protettore del bestiame. Le origini dei festeggiamenti in suo onore vanno ricercate nel mondo rurale e, in parte, sono ancora oggi particolarmente vive. I festeggiamenti iniziano il sabato pomeriggio con l'accensione del fuoco, allor quando il simulacro del Santo viene portato in processione dinanzi alla catasta di legna, accompagnato dalle note della banda musicale. L'evento è sottolineato dal luccichio dei giochi pirotecnici. Sulla sommità della catasta di legna viene posta della salsiccia, offerta dai macellai del paese, che viene sacrificata al Santo.
Il falò viene acceso il sabato della festa, quando viene portato in processione il simulacro di S. Antonio. Davanti ad una moltitudine di gente, ovunque assiepata, il parroco benedice il fuoco. La legna brucia per tutta la notte, durante la quale, i giovani e i meno giovani, abitualmente, arrostiscono la salsiccia sulla brace, accompagnandola con qualche bicchiere di buon vino locale. In serata si svolge la "Sagra di Sant'Antonio", a base di prodotti tipici della tradizione gastonomica: "frittole", un misto di carne di maiale bollita, porchetta, salumi, tuma e ricotta, maccheroni fatti in casa e antichi sapori da forno.
E' lo scoppio dei botti mattutini che dà inizio ai festeggiamenti della domenica. Il suono delle campane annuncia la celebrazione della Messa Solenne. In mattinta si svolge la "Benedizione dei cavalli e dei cavalieri". Approfittando della festa, tutte le famiglie si riuniscono intorno alla tavola imbandita con cibi grassi di carne di maiale: maccheroni caserecci al sugo, salsiccia arrosto e ogni sorta di leccornia. Certo non può mancare un buon vino rosso locale per accompagnare il pranzo, che si conclude gustando il tradizionale "bianco e nero" oppure i deliziosi cannoli siciliani.
Nel pomeriggio si svolge la processione per le vie del paese che si conclude al calar della sera, dopo la benedizione del parroco. Subito dopo si inscena la singolare pantomima de "U camiddu e l'omu sabbaggiu" che richiama una moltitudine di folla, meravigliata dagli straordinari effetti luminosi e acustici. I festeggiamenti si concludono con lo spettacolo dei giochi pirotecnici.
La rappresentazione rievoca lo scontro avvenuto nel 1060 tra il conte Ruggiero d'Altavilla e i Saraceni, fino ad allora dominatori della città di Messina. Lo spettacolo si svolge nel buio della piazza S. Maria dei Giardini, durante il quale si affrontano "u camiddu" (il cammello, condotto dal conte Ruggero), costruito mediante listelli di canna e "l'omu sabbaggiu" (il saraceno infedele), che indossa una finta armatura e delle finte armi.
Il combattimento si svolge a ritmo di musica, suonata dalla banda del paese, e si concretizza con l'esplosione di petardi, mortaretti e fiaccole, che rendono più suggestiva l'atmosfera. Alla fine è il "camiddu" a prevalere su "l'omu sabbaggiu", così come Ruggiero prevalse sul saraceno.
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Milazzo (Milazzu in siciliano) è un comune italiano di 29 797 abitanti della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Fondata dai Greci intorno al 716 a.C. e dal 36 a.C. riconosciuta come civitas Romana, la città è stata al centro della storia anche durante la Prima Guerra Punica (260 a.C.), e nel luglio 1860 con l'arrivo delle camicie rosse nella battaglia di Milazzo. Numerose sono le testimonianze e i simboli della storia millenaria della città.
@sicilianewseinfo
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#milazzo#messina
Fondata dai Greci intorno al 716 a.C. e dal 36 a.C. riconosciuta come civitas Romana, la città è stata al centro della storia anche durante la Prima Guerra Punica (260 a.C.), e nel luglio 1860 con l'arrivo delle camicie rosse nella battaglia di Milazzo. Numerose sono le testimonianze e i simboli della storia millenaria della città.
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Le origini del promontorio si possono far risalire a un milione e mezzo di anni fa, quando tra il Terziario e il Quaternario i movimenti tettonici portarono ad un innalzamento di rocce sedimentarie e cristalline fra i 20 e i 70 metri s.l.m. Su di esse si depositarono sabbie e sedimenti marini, durante un periodo interglaciale (430.000 anni fa) che rappresenta il piano tirreniano. Si formò quindi un'isola poco distante dalla terraferma. Successivamente grandi quantità di detriti e depositi alluvionali provenienti dai Monti Peloritani la unirono alla Sicilia.
La città sorge all'inizio di una penisola lunga circa 8 km (Capo Milazzo) nel Mar Tirreno, in direzione nord. A ovest del territorio milazzese si trova la Riviera di Ponente, affacciata sul Golfo di Patti (Mar di Ponente); a est, il Golfo di Milazzo (Mar di Levante). Il territorio del comune, nel versante sud, è caratterizzato da un'ampia pianura alluvionale (Piana di Milazzo). Il confine comunale sulla terraferma è demarcato a est dalla fiumara Floripotema, che divide il comune di Milazzo da quello di San Filippo del Mela, e a ovest dal fiume Mela (o di Merì), che separa il comune milazzese da Barcellona Pozzo di Gotto e Merì. Un altro luogo a Sud di Milazzo è il quartiere periferico Ciantro, nel quale l'edilizia si sviluppa velocemente e proprio per questo motivo nella zona insorgono sempre più palazzi che aumentano il degrado di questa zona.
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La città sorge all'inizio di una penisola lunga circa 8 km (Capo Milazzo) nel Mar Tirreno, in direzione nord. A ovest del territorio milazzese si trova la Riviera di Ponente, affacciata sul Golfo di Patti (Mar di Ponente); a est, il Golfo di Milazzo (Mar di Levante). Il territorio del comune, nel versante sud, è caratterizzato da un'ampia pianura alluvionale (Piana di Milazzo). Il confine comunale sulla terraferma è demarcato a est dalla fiumara Floripotema, che divide il comune di Milazzo da quello di San Filippo del Mela, e a ovest dal fiume Mela (o di Merì), che separa il comune milazzese da Barcellona Pozzo di Gotto e Merì. Un altro luogo a Sud di Milazzo è il quartiere periferico Ciantro, nel quale l'edilizia si sviluppa velocemente e proprio per questo motivo nella zona insorgono sempre più palazzi che aumentano il degrado di questa zona.
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Dalle origini al dominio romano
Il nome della città appare legato a quello del fiume Mela che, fino alla seconda metà del XVI secolo, sfociava nel porto naturale e che caratterizza tutta l'idrologia della pianura alluvionale ai piedi del Monti Peloritani. L'origine dell'idronimo è da ricercarsi nell'Accadico “melu” o “milu”, col significato di “fiume che occasionalmente esonda”. Analoga origine avrebbero “Mella” (fiume in provincia di Brescia), “Melle” in prossimità di Oppido Mamertina (RC), "Mili" (ME), e “Mala”, il nome ittita del primo tratto dell'Eufrate. “Mileto” patria di Talete, sommersa dalle piene del fiume Meandro, e “Mileto” (RC) in prossimità del fiume Mesima, avrebbero analoga origine.
Il sito cittadino è frequentato sin dal Neolitico, ma le tracce più importanti sono i resti di villaggi fatti di capanne semicircolari, risalenti all'Età del bronzo e del rame nella zona del capo e dell'istmo. I villaggi sfruttavano la pianura alluvionale del Mela per l'irrigazione ed erano dediti alla lavorazione dei metalli. Di questo periodo fanno parte le necropoli ritrovate ai piedi del castello e sull'istmo, che segnano il passaggio tra le varie fasi storiche.
Fondata ed Ellenizzata dai greci calcidesi di Zancle (Messina) con il nome di Mylae (Μυλαί in greco antico) nel 716 a.C., si rese indipendente dalla madrepatria sino al 550 a.C. I greci fondarono Mylai principalmente come avamposto militare per sorvegliare le vie d'accesso marittime e terrestri a Messina ma anche per la fertile pianura ed il porto naturale. Non si hanno ancora importanti resti archeologici greci dell città ma è probabile che il sito scelto fosse quello del castello (acropoli) e del borgo sottostante più vari nuclei abitati nella pianura. Nel 427 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, fu assediata dall'ateniese Lachete. Dopo successive e numerose vicende che la videro contesa, la città fu sottratta ai Mamertini, nel 270 a.C., dal siracusano Gerone II uscito vittorioso da una difficile battaglia combattuta nei “Campi Milesi”.
Nel 260 a.C. le acque di Mylae divennero nuovamente teatro di battaglie, con lo scoppio della prima guerra punica, in cui si verificò il trionfo navale di Caio Duilio sull'armata dei Cartaginesi di Annibale Barca. Ciò permise l'affermarsi dell'egemonia romana sul mare. Nel 36 a.C. avvenne un'ulteriore battaglia decisiva, tra l'Imperatore Ottaviano e Sesto Pompeo. La città divenne importante base navale, tanto che l'Imperatore romano concesse il riconoscimento civico con l'aquila e con il motto “Aquila mari imposita– Sexto Pompeo superato”. Sotto il dominio dei Bizantini, Milazzo fu una tra le prime sedi vescovili della Sicilia.
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Il nome della città appare legato a quello del fiume Mela che, fino alla seconda metà del XVI secolo, sfociava nel porto naturale e che caratterizza tutta l'idrologia della pianura alluvionale ai piedi del Monti Peloritani. L'origine dell'idronimo è da ricercarsi nell'Accadico “melu” o “milu”, col significato di “fiume che occasionalmente esonda”. Analoga origine avrebbero “Mella” (fiume in provincia di Brescia), “Melle” in prossimità di Oppido Mamertina (RC), "Mili" (ME), e “Mala”, il nome ittita del primo tratto dell'Eufrate. “Mileto” patria di Talete, sommersa dalle piene del fiume Meandro, e “Mileto” (RC) in prossimità del fiume Mesima, avrebbero analoga origine.
Il sito cittadino è frequentato sin dal Neolitico, ma le tracce più importanti sono i resti di villaggi fatti di capanne semicircolari, risalenti all'Età del bronzo e del rame nella zona del capo e dell'istmo. I villaggi sfruttavano la pianura alluvionale del Mela per l'irrigazione ed erano dediti alla lavorazione dei metalli. Di questo periodo fanno parte le necropoli ritrovate ai piedi del castello e sull'istmo, che segnano il passaggio tra le varie fasi storiche.
Fondata ed Ellenizzata dai greci calcidesi di Zancle (Messina) con il nome di Mylae (Μυλαί in greco antico) nel 716 a.C., si rese indipendente dalla madrepatria sino al 550 a.C. I greci fondarono Mylai principalmente come avamposto militare per sorvegliare le vie d'accesso marittime e terrestri a Messina ma anche per la fertile pianura ed il porto naturale. Non si hanno ancora importanti resti archeologici greci dell città ma è probabile che il sito scelto fosse quello del castello (acropoli) e del borgo sottostante più vari nuclei abitati nella pianura. Nel 427 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, fu assediata dall'ateniese Lachete. Dopo successive e numerose vicende che la videro contesa, la città fu sottratta ai Mamertini, nel 270 a.C., dal siracusano Gerone II uscito vittorioso da una difficile battaglia combattuta nei “Campi Milesi”.
Nel 260 a.C. le acque di Mylae divennero nuovamente teatro di battaglie, con lo scoppio della prima guerra punica, in cui si verificò il trionfo navale di Caio Duilio sull'armata dei Cartaginesi di Annibale Barca. Ciò permise l'affermarsi dell'egemonia romana sul mare. Nel 36 a.C. avvenne un'ulteriore battaglia decisiva, tra l'Imperatore Ottaviano e Sesto Pompeo. La città divenne importante base navale, tanto che l'Imperatore romano concesse il riconoscimento civico con l'aquila e con il motto “Aquila mari imposita– Sexto Pompeo superato”. Sotto il dominio dei Bizantini, Milazzo fu una tra le prime sedi vescovili della Sicilia.
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ACI CASTELLO - 4k
Aci Castello (Casteḍḍu di Iaci o abbreviato in Casteḍḍu in siciliano) è un comune italiano di 18 390 abitanti della città metropolitana di Catania in Sicilia.
Storia
Si narra che Aci Castello e le altre Aci traggano la propria origine da Xiphonia, misteriosa città greca scomparsa, probabilmente oggi in comune di Aci Catena. I poeti Virgilio e Ovidio fecero nascere il mito della fondazione dalla storia d'amore tra una ninfa chiamata Galatea ed un pastorello chiamato Aci, ma anche dal ciclope Polifemo (a sua volta innamorato della bellissima Galatea). In epoca romana esisteva una città chiamata Akis, che partecipò alle guerre puniche.
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Aci Castello (Casteḍḍu di Iaci o abbreviato in Casteḍḍu in siciliano) è un comune italiano di 18 390 abitanti della città metropolitana di Catania in Sicilia.
Storia
Si narra che Aci Castello e le altre Aci traggano la propria origine da Xiphonia, misteriosa città greca scomparsa, probabilmente oggi in comune di Aci Catena. I poeti Virgilio e Ovidio fecero nascere il mito della fondazione dalla storia d'amore tra una ninfa chiamata Galatea ed un pastorello chiamato Aci, ma anche dal ciclope Polifemo (a sua volta innamorato della bellissima Galatea). In epoca romana esisteva una città chiamata Akis, che partecipò alle guerre puniche.
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La storia della medievale Jachium e poi dell'araba Al-Yag coincide strettamente con quella del Castello di Aci da cui si può desumere buona parte degli avvenimenti storici ed a cui si rinvia.
La storia di Aci Castello sarà praticamente condivisa fino al XVII secolo con quella degli altri casali del territorio di Aci a cui si può far riferimento.
Sotto il dominio spagnolo, nel XVII secolo, il notevole sviluppo economico di Aquilia Nuova (Acireale) causò contrasti e rivalità con gli altri casali che chiedevano l'autonomia amministrativa. Vi sarà quindi la separazione dei casali di Aci. Nacquero: Aci Bonaccorsi (1652), Aci Castello (1647), Aci S.Filippo ed Aci Sant'Antonio (1628) (comprendente anche Aci Valverde, Aci S.Lucia ed Aci Catena).
Nel XIX secolo, nell'allora borgo marinaro di Aci Trezza, lo scrittore Giovanni Verga ambientò il romanzo I Malavoglia
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La storia di Aci Castello sarà praticamente condivisa fino al XVII secolo con quella degli altri casali del territorio di Aci a cui si può far riferimento.
Sotto il dominio spagnolo, nel XVII secolo, il notevole sviluppo economico di Aquilia Nuova (Acireale) causò contrasti e rivalità con gli altri casali che chiedevano l'autonomia amministrativa. Vi sarà quindi la separazione dei casali di Aci. Nacquero: Aci Bonaccorsi (1652), Aci Castello (1647), Aci S.Filippo ed Aci Sant'Antonio (1628) (comprendente anche Aci Valverde, Aci S.Lucia ed Aci Catena).
Nel XIX secolo, nell'allora borgo marinaro di Aci Trezza, lo scrittore Giovanni Verga ambientò il romanzo I Malavoglia
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La “cobaita” detta “cubaida” è un dolce siciliano molto noto e di cui si hanno molte varianti di paese in paese.
La cobaita è un dolce tipico della tradizione siciliana di origine araba, in dialetto gigghiulena
e l’ingrediente principale è il sesamo.
Potremmo dire che la cobaita è il torrone tradizionale siciliano, un dolce tipico di Modica, in provincia di Ragusa, ma diffuso con ricette e nomi diversi in tutta la Sicilia.
Questo è un croccante di miele caramellato con semi di sesamo che fu portata in territorio siciliano al tempo della dominazione dell’isola da parte degli arabi che chiamavano anticamente la cobaita “qubbiat”, che significa mandorlato.
La ricetta originale della cobaita è quella con i semi di sesamo impastati col miele, con l’aggiunta di mandorle tostate e pezzetti di scorza d’arancia.
ll miele consigliato dai siciliani per la preparazione della cobaita è tradizionalmente il miele di timo dei Monti Iblei, ma in generale si consiglia di utilizzare del miele di qualità per la buona riuscita delle ricetta.
La difficoltà di questa ricetta sta nel procedimento della cottura: nel momento in cui si vanno a cuocere gli ingredienti insieme, la temperatura e il tempo di cottura devono essere tali da consentire al miele di caramellarsi ma anche ma di non bruciarsi. Tanto più equilibrata sarà la vostra mano, tanto più equilibrato sarà il contrasto fra le note dolci e amare e migliore sarà il sapore del croccante.
Che si tratti delle festività o di qualsiasi altra occasione, il profumo della cobaita è il classico odore delle feste…e se non avete mai avuto occasione di provarla vi consiglio vivamente di provare a realizzare voi la ricetta.
Un consiglio che vi do è quello di utilizzare una buona padella antiaderente e di non allontabarvi mai dal fuoco! Per quanto riguarda la conservazione, la cobaita si conserva perfettamente fino a 10 giorni, meglio se coperta
@sicilianewseinfo
@siciliaterramia
La cobaita è un dolce tipico della tradizione siciliana di origine araba, in dialetto gigghiulena
e l’ingrediente principale è il sesamo.
Potremmo dire che la cobaita è il torrone tradizionale siciliano, un dolce tipico di Modica, in provincia di Ragusa, ma diffuso con ricette e nomi diversi in tutta la Sicilia.
Questo è un croccante di miele caramellato con semi di sesamo che fu portata in territorio siciliano al tempo della dominazione dell’isola da parte degli arabi che chiamavano anticamente la cobaita “qubbiat”, che significa mandorlato.
La ricetta originale della cobaita è quella con i semi di sesamo impastati col miele, con l’aggiunta di mandorle tostate e pezzetti di scorza d’arancia.
ll miele consigliato dai siciliani per la preparazione della cobaita è tradizionalmente il miele di timo dei Monti Iblei, ma in generale si consiglia di utilizzare del miele di qualità per la buona riuscita delle ricetta.
La difficoltà di questa ricetta sta nel procedimento della cottura: nel momento in cui si vanno a cuocere gli ingredienti insieme, la temperatura e il tempo di cottura devono essere tali da consentire al miele di caramellarsi ma anche ma di non bruciarsi. Tanto più equilibrata sarà la vostra mano, tanto più equilibrato sarà il contrasto fra le note dolci e amare e migliore sarà il sapore del croccante.
Che si tratti delle festività o di qualsiasi altra occasione, il profumo della cobaita è il classico odore delle feste…e se non avete mai avuto occasione di provarla vi consiglio vivamente di provare a realizzare voi la ricetta.
Un consiglio che vi do è quello di utilizzare una buona padella antiaderente e di non allontabarvi mai dal fuoco! Per quanto riguarda la conservazione, la cobaita si conserva perfettamente fino a 10 giorni, meglio se coperta
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Ingredienti
+500 g di semi di sesamo
+300 g di miele
+150 g di zucchero
+130 g di mandorle tostate
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+500 g di semi di sesamo
+300 g di miele
+150 g di zucchero
+130 g di mandorle tostate
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