STORIA E MISTERI DI SICILIA:SETTANT'ANNI FA LA MORTE DI SALVATORE GIULIANO.
“Certo, se in quella torrida estate del 1950, Salvatore Giuliano – alla vigilia del processo di Viterbo, per gli eccidi siciliani della primavera 1947 – si fosse deciso a vuotare il sacco, sarebbe crollata l’Italia. A cominciare dalle sue nuove istituzioni repubblicane”. Quest’affermazione, estrapolata dal blog del Prof. Giuseppe Casarrubea, storico, giornalista e preside nella sua Partinico, cittadina ad un tiro di schioppo da Montelepre, porta la
data del 26 giugno 2010.
Autore di diversi libri tra cui Lupara Nera, Storia segreta della Sicilia, Fra’ Diavolo e il governo nero, Salvatore Giuliano:morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, il Casarrubea si pone a pieno titolo tra i massimi esperti della storia della Sicilia negli che vanno dal ’43 al ’50, cioè dallo sbarco anglo-americano del 10 luglio 1943 sulle spiagge di Gela fino alla morte di Giuliano.
5 luglio 1950. Al Viminale, sede del ministro degli Interni Mario Scelba, arriva un dispaccio con il quale il colonnello Ugo Luca, capo del CFRB (Corpo
Forze Repressione Banditismo – in Sicilia) comunica al ministro che a seguito di un conflitto a fuoco con alcuni carabinieri al comando del maresciallo
Antonio Perenze, veniva ucciso, nel cortile Mannone di Castelvetrano, il bandito Salvatore Giuliano.
I giornali isolani escono in edizioni straordinarie, raccontando nei minimi particolari la fine dell’imprendibile re di Montelepre, il fuorilegge che per sette anni aveva dato scacco matto allo stato, ritenuto responsabile di innumerevoli omicidi, di cui un centinaio tra le forze dell’ordine. Descritto dalle fonti ufficiali come un efferato assassino, unico responsabile della strage di Portella delle Ginestre, spietato esecutore di assalti a diverse caserme e sedi sindacali di sinistra, al siciliano Scelba non sembrò vero esprimere la propria soddisfazione per la fine di un incubo che era arrivato persino a
minare la giovane democrazia uscita dal ventennio fascista.
Ma ad un giornalista dell’Europeo, Tommaso Besozzi, recatosi ad esaminare il cadavere di quel giovane ragazzo di 27 anni che giaceva davanti alla porta
di casa dell’avvocato Gregorio Di Maria (morto quasi centenario) apparve subito evidente che quella era una scena non veritiera e maldestramente artefatta.
Il sangue fuoruscito dalla raffica di mitra era colato stranamente verso l’alto inzuppando la parte posteriore della canottiera di Giuliano, che era riverso
a pancia in giù. Gli bastarono alcuni giorni di indagini e nel n. 29 del luglio 1950 sul suo giornale “L’Europeo”pubblicò un articolo che stravolse la
versione ufficiale dei fatti annunciata dallo Stato e che provocò aspre reazioni sia in parlamento che in tutto il Paese: “Un segreto nella fine di Giuliano.
Di sicuro c’è solo che è morto. Chi è stato a tradirlo? Dove è stato ucciso? E quando? La stragrande maggioranza dei siciliani non crede alla descrizione
ufficiale del conflitto nel quale ha trovato la morte…”.
Sono trascorsi 70 anni da quel 5 luglio. Il colonnello Ugo Luca fu promosso Generale, Perenze arrivò al grado di Capitano: Di lì a poco al processo di Viterbo quelli che rimasero della banda furono condannati all’ergastolo per la strage di Portella. Ma il Grande Dubbio è rimasto saldamente in piedi.
Alcuni influenti politici di allora, alti funzionari delle forze di polizia e pezzi dello stato ebbero contatti diretti con Giuliano, che era stato nominato
colonnello dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia). La bandiera separatista sventolava sulle montagne di Sagana, impenetrabile regno di Turiddu.
Dagli archivi americani, inglesi e in parte italiani, sono venute fuori verità impressionanti, ma è soprattutto dai ricordi ancora lucidi di alcuni testimoni
del tempo che sembrano uscire elementi contrastanti con quelli consegnati definitivamente alla storia. Il professor Giuseppe Mazzola, primo cugino di Vito Mazzola,(morto nel 1996 e organico alla banda Giuliano),storico monteleprino,già assessore e vicesindaco
@sicilianewseinfo
“Certo, se in quella torrida estate del 1950, Salvatore Giuliano – alla vigilia del processo di Viterbo, per gli eccidi siciliani della primavera 1947 – si fosse deciso a vuotare il sacco, sarebbe crollata l’Italia. A cominciare dalle sue nuove istituzioni repubblicane”. Quest’affermazione, estrapolata dal blog del Prof. Giuseppe Casarrubea, storico, giornalista e preside nella sua Partinico, cittadina ad un tiro di schioppo da Montelepre, porta la
data del 26 giugno 2010.
Autore di diversi libri tra cui Lupara Nera, Storia segreta della Sicilia, Fra’ Diavolo e il governo nero, Salvatore Giuliano:morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, il Casarrubea si pone a pieno titolo tra i massimi esperti della storia della Sicilia negli che vanno dal ’43 al ’50, cioè dallo sbarco anglo-americano del 10 luglio 1943 sulle spiagge di Gela fino alla morte di Giuliano.
5 luglio 1950. Al Viminale, sede del ministro degli Interni Mario Scelba, arriva un dispaccio con il quale il colonnello Ugo Luca, capo del CFRB (Corpo
Forze Repressione Banditismo – in Sicilia) comunica al ministro che a seguito di un conflitto a fuoco con alcuni carabinieri al comando del maresciallo
Antonio Perenze, veniva ucciso, nel cortile Mannone di Castelvetrano, il bandito Salvatore Giuliano.
I giornali isolani escono in edizioni straordinarie, raccontando nei minimi particolari la fine dell’imprendibile re di Montelepre, il fuorilegge che per sette anni aveva dato scacco matto allo stato, ritenuto responsabile di innumerevoli omicidi, di cui un centinaio tra le forze dell’ordine. Descritto dalle fonti ufficiali come un efferato assassino, unico responsabile della strage di Portella delle Ginestre, spietato esecutore di assalti a diverse caserme e sedi sindacali di sinistra, al siciliano Scelba non sembrò vero esprimere la propria soddisfazione per la fine di un incubo che era arrivato persino a
minare la giovane democrazia uscita dal ventennio fascista.
Ma ad un giornalista dell’Europeo, Tommaso Besozzi, recatosi ad esaminare il cadavere di quel giovane ragazzo di 27 anni che giaceva davanti alla porta
di casa dell’avvocato Gregorio Di Maria (morto quasi centenario) apparve subito evidente che quella era una scena non veritiera e maldestramente artefatta.
Il sangue fuoruscito dalla raffica di mitra era colato stranamente verso l’alto inzuppando la parte posteriore della canottiera di Giuliano, che era riverso
a pancia in giù. Gli bastarono alcuni giorni di indagini e nel n. 29 del luglio 1950 sul suo giornale “L’Europeo”pubblicò un articolo che stravolse la
versione ufficiale dei fatti annunciata dallo Stato e che provocò aspre reazioni sia in parlamento che in tutto il Paese: “Un segreto nella fine di Giuliano.
Di sicuro c’è solo che è morto. Chi è stato a tradirlo? Dove è stato ucciso? E quando? La stragrande maggioranza dei siciliani non crede alla descrizione
ufficiale del conflitto nel quale ha trovato la morte…”.
Sono trascorsi 70 anni da quel 5 luglio. Il colonnello Ugo Luca fu promosso Generale, Perenze arrivò al grado di Capitano: Di lì a poco al processo di Viterbo quelli che rimasero della banda furono condannati all’ergastolo per la strage di Portella. Ma il Grande Dubbio è rimasto saldamente in piedi.
Alcuni influenti politici di allora, alti funzionari delle forze di polizia e pezzi dello stato ebbero contatti diretti con Giuliano, che era stato nominato
colonnello dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia). La bandiera separatista sventolava sulle montagne di Sagana, impenetrabile regno di Turiddu.
Dagli archivi americani, inglesi e in parte italiani, sono venute fuori verità impressionanti, ma è soprattutto dai ricordi ancora lucidi di alcuni testimoni
del tempo che sembrano uscire elementi contrastanti con quelli consegnati definitivamente alla storia. Il professor Giuseppe Mazzola, primo cugino di Vito Mazzola,(morto nel 1996 e organico alla banda Giuliano),storico monteleprino,già assessore e vicesindaco
@sicilianewseinfo
Socialista, ha scritto ben tre libri su quegli avvenimenti, dal 1996 al 2009, in qualità di testimone oculare dei fatti.
In una intervista pubblicata su un giornale il primo maggio 2010, afferma che “alla fine degli anni sessanta mio cugino Vito Mazzola mi confidò che Turiddu
non sparò a Portella contro la povera gente e che la mafia stessa, tramite l’affiliato on. Calogero Volpe, avvisò l’on. Li Causi della strage. Giuliano…
ciò che era realmente successo lo seppe l’indomani dal Giornale di Sicilia… alla direzione regionale del blocco del popolo, i due partiti PCI e PSIUP
decisero che nessuno dei dirigenti doveva partecipare alla manifestazione…”. E’ una testimonianza pesante come un macigno, ma come dice lo stesso Mazzola
“so che queste rivelazioni non piacciono a coloro che non vogliono fare luce sul proprio passato. Ma sono verità, anche se scomode”. Gli abitanti di
Montelepre subirono arresti e maltrattamenti perché accusati di proteggere Giuliano. Continua il Mazzola “Solo riappropriandosi della verità storica
i monteleprini potranno uscire dallo stato di prostrazione e di decadimento civico e culturale in cui sono ancora irretiti. Non si rivaluta una comunità travisando la cruda storia vissuta sulla pelle dei concittadini, così come ha caparbiamente fatto il sindaco, il 30 marzo 2009, inaugurando un monumento dedicato ai carabinieri caduti, vittime, anch’esse innocenti, in un grande imbroglio politico di natura internazionale. La mancata partecipazione della quasi totalità dei cittadini la dice lunga su come è stata giudicata tale iniziativa che è apparsa alquanto omertosa sugli abusi subiti dalla nostra comunità.
Evidentemente, le “carezze” del famigerato “Don Pasquale” (brigadiere Nicola Sganga, il torturatore più temuto) e dei suoi compari non saranno mai digerite.
Ciò che occorre ben ricordare è che il processo di Viterbo e il processo d’appello di Roma furono imperniati sulle dichiarazioni estorte con le barbare
torture messe in atto dal brigadiere Sganga che finirono per infangare per sempre la nostra cittadinanza, come ufficialmente e con rammarico ha confermato
nel suo ultimo memoriale Salvatore Giuliano”.
Nel 2016 è scaduto il segreto di Stato, poi prorogato al 2020, cioè ad oggi.
Nulla trapela dai faldoni che ancora restano sigillati al ministero degli Interni. La verità storica conserva un grosso debito nei confronti della Sicilia, dei siciliani, degli abitanti di Montelepre, chissà, anche del bandito Giuliano che a Castelvetrano, il 5 luglio 1950, era ospite dell’avvocato Gregorio Di Maria.
Questi dichiarò a due infermieri, poco prima di morire, che al posto di Giuliano fu ucciso un giovane di Altofonte, suo sosia, e che non fu l’autore della strage di Portella, ma la mafia in combutta con la massoneria e la politica.
Leonardo Sciascia, uno dei più acuti osservatori dei rapporti tra la mafia siciliana e lo Stato, ebbe a dire che l’Italia ha perduto la sua innocenza proprio quel 1° Maggio 1947
In una intervista pubblicata su un giornale il primo maggio 2010, afferma che “alla fine degli anni sessanta mio cugino Vito Mazzola mi confidò che Turiddu
non sparò a Portella contro la povera gente e che la mafia stessa, tramite l’affiliato on. Calogero Volpe, avvisò l’on. Li Causi della strage. Giuliano…
ciò che era realmente successo lo seppe l’indomani dal Giornale di Sicilia… alla direzione regionale del blocco del popolo, i due partiti PCI e PSIUP
decisero che nessuno dei dirigenti doveva partecipare alla manifestazione…”. E’ una testimonianza pesante come un macigno, ma come dice lo stesso Mazzola
“so che queste rivelazioni non piacciono a coloro che non vogliono fare luce sul proprio passato. Ma sono verità, anche se scomode”. Gli abitanti di
Montelepre subirono arresti e maltrattamenti perché accusati di proteggere Giuliano. Continua il Mazzola “Solo riappropriandosi della verità storica
i monteleprini potranno uscire dallo stato di prostrazione e di decadimento civico e culturale in cui sono ancora irretiti. Non si rivaluta una comunità travisando la cruda storia vissuta sulla pelle dei concittadini, così come ha caparbiamente fatto il sindaco, il 30 marzo 2009, inaugurando un monumento dedicato ai carabinieri caduti, vittime, anch’esse innocenti, in un grande imbroglio politico di natura internazionale. La mancata partecipazione della quasi totalità dei cittadini la dice lunga su come è stata giudicata tale iniziativa che è apparsa alquanto omertosa sugli abusi subiti dalla nostra comunità.
Evidentemente, le “carezze” del famigerato “Don Pasquale” (brigadiere Nicola Sganga, il torturatore più temuto) e dei suoi compari non saranno mai digerite.
Ciò che occorre ben ricordare è che il processo di Viterbo e il processo d’appello di Roma furono imperniati sulle dichiarazioni estorte con le barbare
torture messe in atto dal brigadiere Sganga che finirono per infangare per sempre la nostra cittadinanza, come ufficialmente e con rammarico ha confermato
nel suo ultimo memoriale Salvatore Giuliano”.
Nel 2016 è scaduto il segreto di Stato, poi prorogato al 2020, cioè ad oggi.
Nulla trapela dai faldoni che ancora restano sigillati al ministero degli Interni. La verità storica conserva un grosso debito nei confronti della Sicilia, dei siciliani, degli abitanti di Montelepre, chissà, anche del bandito Giuliano che a Castelvetrano, il 5 luglio 1950, era ospite dell’avvocato Gregorio Di Maria.
Questi dichiarò a due infermieri, poco prima di morire, che al posto di Giuliano fu ucciso un giovane di Altofonte, suo sosia, e che non fu l’autore della strage di Portella, ma la mafia in combutta con la massoneria e la politica.
Leonardo Sciascia, uno dei più acuti osservatori dei rapporti tra la mafia siciliana e lo Stato, ebbe a dire che l’Italia ha perduto la sua innocenza proprio quel 1° Maggio 1947
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“Stuppateddi”
Stuppateddi sono consumate prettamente nella provincia di Messina ed i messinesi ne sono grandissimi estimatori e consumatori.
Cosa sono i Stuppateddi? Non sono che delle lumachine in letargo con la pellicina che chiude l’apertura riconoscibili dall’inconfondibile colore del guscio che va dal marrone al color sabbia e la loro grandezza può essere variabile, ma normalmente le più piccole sono anche le più saporite.
Le lumache sono un piatto di antica tradizione, infatti in passato, alle prime piogge estive o autunnali, le famiglie andavano alla ricerca per le campagne e raccoglievano queste pregiatissime lumache che vivevano nascoste dentro la terra soltanto alle prime piogge, venivano fuori.
Sono ricche di proteine, magnesio e fosforo è contraddistinta da un gusto unico in grado di riportare alla memoria un antico sapore genuino.
Stuppateddi sono consumate prettamente nella provincia di Messina ed i messinesi ne sono grandissimi estimatori e consumatori.
Cosa sono i Stuppateddi? Non sono che delle lumachine in letargo con la pellicina che chiude l’apertura riconoscibili dall’inconfondibile colore del guscio che va dal marrone al color sabbia e la loro grandezza può essere variabile, ma normalmente le più piccole sono anche le più saporite.
Le lumache sono un piatto di antica tradizione, infatti in passato, alle prime piogge estive o autunnali, le famiglie andavano alla ricerca per le campagne e raccoglievano queste pregiatissime lumache che vivevano nascoste dentro la terra soltanto alle prime piogge, venivano fuori.
Sono ricche di proteine, magnesio e fosforo è contraddistinta da un gusto unico in grado di riportare alla memoria un antico sapore genuino.
A Messina non mangiamo le Lumache, ma “ì Stuppateddi”
Piatto tipico Messinese
Oggi vogliamo parlarvi di un piatto tipico Messinese estivo: le Lumache, chiamate in dialetto Messinese i “Stuppateddi”.
I stuppateddi sono consumate prettamente nella provincia di Messina ed i messinesi ne sono grandissimi estimatori e consumatori.
Cosa sono le Stuppateddi? Non sono che delle lumachine in letargo con la pellicina che chiude l’apertura riconoscibili dall’inconfondibile colore del guscio che va dal marrone al color sabbia e la loro grandezza può essere variabile, ma normalmente le più piccole sono anche le più saporite.
Le lumache sono un piatto di antica tradizione, infatti in passato, alle prime piogge estive o autunnali, le famiglie andavano alla ricerca per le campagne e raccoglievano queste pregiatissime lumache che vivevano nascoste dentro la terra soltanto alle prime piogge, venivano fuori.
Sono ricche di proteine, magnesio e fosforo è contraddistinta da un gusto unico in grado di riportare alla memoria un antico sapore genuino.
INGREDIENTI
500 g lumache dimensione medie
180 g Olio d’oliva
Origano q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
Lavate accuratamente le lumache in abbondante acqua corrente e sciacquatele più volte strofinandole con le mani, sino a togliere tutte le impurità.
In una padella capiente a bordi alti , versate le lumache; quando saranno abbastanza asciutte, aggiungete l’olio d’oliva.
Lasciate rosolare le lumache mescolando con un cucchiaio di legno e continuate la cottura per 10 minuti poi aggiungete origano sale e pepe q.b. fate insaporire a fuoco basso per qualche minuto. Quando la membrana protettiva bianca inizia a staccarsi le lumache saranno pronte!
Le lumache si mangiano estraendole con uno stuzzicadenti e intingendole nel sale. Buon Appetito!
Segreto di preparazione: Quando sarete abbastanza esperti circa i tempi di cottura, potrete applicare questo piccolo segreto di preparazione: Dopo aver lavato le Stuppateddi in abbondante acqua corrente, immergetele in una bacinella d’acqua con qualche goccia di aceto. A quel punto potrete togliere la membrana protettiva con più facilità, prima di metterle in padella. Questo permetterà alle vostre “Stuppateddi” di mantenere una migliore consistenza ed insaporirsi maggiormente con gli aromi durante la cottura.
Piatto tipico Messinese
Oggi vogliamo parlarvi di un piatto tipico Messinese estivo: le Lumache, chiamate in dialetto Messinese i “Stuppateddi”.
I stuppateddi sono consumate prettamente nella provincia di Messina ed i messinesi ne sono grandissimi estimatori e consumatori.
Cosa sono le Stuppateddi? Non sono che delle lumachine in letargo con la pellicina che chiude l’apertura riconoscibili dall’inconfondibile colore del guscio che va dal marrone al color sabbia e la loro grandezza può essere variabile, ma normalmente le più piccole sono anche le più saporite.
Le lumache sono un piatto di antica tradizione, infatti in passato, alle prime piogge estive o autunnali, le famiglie andavano alla ricerca per le campagne e raccoglievano queste pregiatissime lumache che vivevano nascoste dentro la terra soltanto alle prime piogge, venivano fuori.
Sono ricche di proteine, magnesio e fosforo è contraddistinta da un gusto unico in grado di riportare alla memoria un antico sapore genuino.
INGREDIENTI
500 g lumache dimensione medie
180 g Olio d’oliva
Origano q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
Lavate accuratamente le lumache in abbondante acqua corrente e sciacquatele più volte strofinandole con le mani, sino a togliere tutte le impurità.
In una padella capiente a bordi alti , versate le lumache; quando saranno abbastanza asciutte, aggiungete l’olio d’oliva.
Lasciate rosolare le lumache mescolando con un cucchiaio di legno e continuate la cottura per 10 minuti poi aggiungete origano sale e pepe q.b. fate insaporire a fuoco basso per qualche minuto. Quando la membrana protettiva bianca inizia a staccarsi le lumache saranno pronte!
Le lumache si mangiano estraendole con uno stuzzicadenti e intingendole nel sale. Buon Appetito!
Segreto di preparazione: Quando sarete abbastanza esperti circa i tempi di cottura, potrete applicare questo piccolo segreto di preparazione: Dopo aver lavato le Stuppateddi in abbondante acqua corrente, immergetele in una bacinella d’acqua con qualche goccia di aceto. A quel punto potrete togliere la membrana protettiva con più facilità, prima di metterle in padella. Questo permetterà alle vostre “Stuppateddi” di mantenere una migliore consistenza ed insaporirsi maggiormente con gli aromi durante la cottura.
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Grotta di Polifemo "Milazzo"
1) Grotta di Polifemo
Si parte da piazza San Papino, a Milazzo. Si raggiunge la mole imponente del castello di Milazzo, in pieno borgo antico. Ai piedi della rocca su sui sorge il castello, si apre una grotta. La leggenda vuole che quella sia la grotta di Polifemo, dove il ciclope fu accecato da Ulisse e dai suoi compagni. Nel Seicento, la grotta veniva anche utilizzata per la fabbricazione di “polvere e salnitro”.
1) Grotta di Polifemo
Si parte da piazza San Papino, a Milazzo. Si raggiunge la mole imponente del castello di Milazzo, in pieno borgo antico. Ai piedi della rocca su sui sorge il castello, si apre una grotta. La leggenda vuole che quella sia la grotta di Polifemo, dove il ciclope fu accecato da Ulisse e dai suoi compagni. Nel Seicento, la grotta veniva anche utilizzata per la fabbricazione di “polvere e salnitro”.
Faraglioni dei Ciclopi "Acitrezza"
2) I faraglioni dei Ciclopi
Polifemo, accecato da Ulisse, uscì ruggente fuori dalla sua grotta. Sbeffeggiato da Nessuno che si allontanava sulla sua nave, scagliò degli enormi massi in mare con lo scopo di colpire l’imbarcazione. Ma non ci riuscì e l’eroe greco si allontanò sulla sua barca.
Nel golfo di Acitrezza, a poca distanza da Catania, ci sono degli spettacolari faraglioni che al tramonto regalano dei panorami romantici e suggestivi: i faraglioni sarebbero gli enormi macigni che Polifemo scagliò contro la nave di Ulisse.
2) I faraglioni dei Ciclopi
Polifemo, accecato da Ulisse, uscì ruggente fuori dalla sua grotta. Sbeffeggiato da Nessuno che si allontanava sulla sua nave, scagliò degli enormi massi in mare con lo scopo di colpire l’imbarcazione. Ma non ci riuscì e l’eroe greco si allontanò sulla sua barca.
Nel golfo di Acitrezza, a poca distanza da Catania, ci sono degli spettacolari faraglioni che al tramonto regalano dei panorami romantici e suggestivi: i faraglioni sarebbero gli enormi macigni che Polifemo scagliò contro la nave di Ulisse.
Isole Eolie
3) Le isole Eolie
Eolo, il dio dei venti, diede ospitalità a Ulisse e ai suoi compagni. Al momento della partenza, regalò loro un otre pieno di venti, da usare con parsimonia per tornare a casa. Ma i compagni di Ulisse, incuriositi, aprirono l’otre scatenando una terribile tempesta. Che li riportò nuovamente sull’isola del dio.
Oggi, le isole Eolie sono una delle mete più ambite da tutti i turisti. Sembra che la dimora del dio dei venti, da cui il nome dell’intero arcipelago, si trovasse a Stromboli.
3) Le isole Eolie
Eolo, il dio dei venti, diede ospitalità a Ulisse e ai suoi compagni. Al momento della partenza, regalò loro un otre pieno di venti, da usare con parsimonia per tornare a casa. Ma i compagni di Ulisse, incuriositi, aprirono l’otre scatenando una terribile tempesta. Che li riportò nuovamente sull’isola del dio.
Oggi, le isole Eolie sono una delle mete più ambite da tutti i turisti. Sembra che la dimora del dio dei venti, da cui il nome dell’intero arcipelago, si trovasse a Stromboli.
Scilla e Cariddi
"Stretto di Messina"
4) Scilla e Cariddi
Cariddi era una naiade, trasformata da Poseidone in un mostro che inghiotte e rigetta i flutti. Scilla, invece, era una bellissima ninfa che, a causa di un veleno, si trasformò in un mostro. La leggenda situa i loro antri l’uno di fronte all’altro, ai due lati dello stretto di Messina.
"Stretto di Messina"
4) Scilla e Cariddi
Cariddi era una naiade, trasformata da Poseidone in un mostro che inghiotte e rigetta i flutti. Scilla, invece, era una bellissima ninfa che, a causa di un veleno, si trasformò in un mostro. La leggenda situa i loro antri l’uno di fronte all’altro, ai due lati dello stretto di Messina.
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Riserva Naturale "l'isola dei Ciclopi"
Le isole dei Ciclopi si trovano a largo delle coste catanesi, nel comune di Acicastello e, in piccola parte, in quello di Acireale. Su questi territori, nel 1989, è stata istituita la riserva marina protetta.
Le isole che formano questo arcipelago sono: l’isola di Lachea, l’isola Faraglione Grande, Faraglione di Mezzo e il Faraglione degli Uccelli. Il Faraglione Grande, o di Santa Maria, è l’unico dei faraglioni che è stato toccato dall’intervento dell’uomo testimoniato dalla presenza di una scala in muratura che conduce fino ad una piazza dove è sistemata la statua della Vergine (segno di devozione dei pescatori).
Gli altri due Faraglioni, molto più piccoli per dimensione, non presentano particolarità.
A queste quattro isole si accompagnano dei piccoli scogli chiamati “U zu lanu di Fora” e “U zu lanu di Terra” e altri tre faraglioni che il mare ha tenuto nascosti. Questi tre faraglioni non raggiungono la superficie dell’acqua e dominano con imponenza i fondali.
Le isole dei Ciclopi si trovano a largo delle coste catanesi, nel comune di Acicastello e, in piccola parte, in quello di Acireale. Su questi territori, nel 1989, è stata istituita la riserva marina protetta.
Le isole che formano questo arcipelago sono: l’isola di Lachea, l’isola Faraglione Grande, Faraglione di Mezzo e il Faraglione degli Uccelli. Il Faraglione Grande, o di Santa Maria, è l’unico dei faraglioni che è stato toccato dall’intervento dell’uomo testimoniato dalla presenza di una scala in muratura che conduce fino ad una piazza dove è sistemata la statua della Vergine (segno di devozione dei pescatori).
Gli altri due Faraglioni, molto più piccoli per dimensione, non presentano particolarità.
A queste quattro isole si accompagnano dei piccoli scogli chiamati “U zu lanu di Fora” e “U zu lanu di Terra” e altri tre faraglioni che il mare ha tenuto nascosti. Questi tre faraglioni non raggiungono la superficie dell’acqua e dominano con imponenza i fondali.
Se artigianato e moda si incontrano puoi stare sicuro che è già magia.
La coffa siciliana è una cesta tradizionale della Sicilia che viene lavorata con le foglie di palma nana e realizzata a mano dagli artigiani locali. Nel passato veniva impiegata per dare il foraggio ai cavalli o come contenitore posizionato sui muli e usato per il trasporto del materiale; la possiamo ancora ammirare sui carretti siciliani nei giorni di festa. Oggi la moda e l’arreda l’ha presa in prestito dalla tradizione!
La coffa è uno di quegli accessori che per me fa parte degli ‘essenziali’, quelli cioè che non passano mai di moda mentre la moda è assai mutevole. Negli anni ho imparato che gli acquisti migliori sono proprio quelli che durano, che prendendoli da un cassetto tra dieci anni possono essere ancora usati.
Con questa idea puoi costruirti un armadio perfetto, ragionato, che cavalca il tempo e ti permette di creare uno stile veramente tuo. Perché come diceva Coco Chanel, grande amica di noi donne ‘normali’ che amiamo la moda ma non la sua mutevolezza e la sua volubilità, “La moda passa e lo stile resta
@newseinfo
La coffa siciliana è una cesta tradizionale della Sicilia che viene lavorata con le foglie di palma nana e realizzata a mano dagli artigiani locali. Nel passato veniva impiegata per dare il foraggio ai cavalli o come contenitore posizionato sui muli e usato per il trasporto del materiale; la possiamo ancora ammirare sui carretti siciliani nei giorni di festa. Oggi la moda e l’arreda l’ha presa in prestito dalla tradizione!
La coffa è uno di quegli accessori che per me fa parte degli ‘essenziali’, quelli cioè che non passano mai di moda mentre la moda è assai mutevole. Negli anni ho imparato che gli acquisti migliori sono proprio quelli che durano, che prendendoli da un cassetto tra dieci anni possono essere ancora usati.
Con questa idea puoi costruirti un armadio perfetto, ragionato, che cavalca il tempo e ti permette di creare uno stile veramente tuo. Perché come diceva Coco Chanel, grande amica di noi donne ‘normali’ che amiamo la moda ma non la sua mutevolezza e la sua volubilità, “La moda passa e lo stile resta
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