♡ Sicilia Terra Mia ♡
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La Sicilia è una terra stupenda,tutta da scoprire, con la sua storia, le sue origini, la sua cultura tradizioni e tante curiosità

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Messina
Panarea è un'isola italiana appartenente all'arcipelago delle isole Eolie, in Sicilia. Amministrativamente appartiene a Lipari, comune italiano della città metropolitana di Messina, di cui costituisce una frazione di 241 abitanti, suddivisa nei centri di San Pietro, Ditella e Drauto.

È l'isola più piccola e la meno elevata dell'arcipelago eoliano, nonché la più antica, e con gli isolotti di Basiluzzo, Spinazzola, Lisca Bianca, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche, costituisce un microarcipelago fra Lipari e l'isola di Stromboli posto su un unico basamento sottomarino.

@newseinfo
Preistoria

Le origini del nome

Nell'antichità si ritrovano diversi nomi greci per Panarea: Euṓnymos, Εὐώνυμος ("di buon nome", "prospera"); e Hikesía, Ἱκεσία ("la supplice", forse per la presenza di luoghi di culto). Il nome Pagnarea, di etimologia incerta, è attestato per la prima volta nella Cosmografia ravennate nel VI-VII secolo.

Panarea fu abitata già in epoca preistoricacome testimonia il villaggio dell'età del Bronzo (XIV secolo a.C.) sul promontorio di Capo Milazzese, a sud-ovest dell'isola (da cui prende il nome la Cultura del Milazzese). La particolare posizione del pianoro, proteso verso il mare e protetto da alte pareti a dirupo sul mare - dunque facilmente difendibile - ne fece un luogo ideale per l'insediamento: nel villaggio, di cui sono visibili e visitabili i resti di una ventina di capanne, sono stati ritrovati materiali d'origine micenea, a testimonianza del ruolo svolto, anche in antichità, dall'arcipelago eoliano, al centro delle principali rotte commerciali del Mar Mediterraneo. Per il resto Panarea condivide la storia delle altre isole Eolie ed in particolare di Lipari.
Tipico abitato di Panarea, sullo sfondo Basiluzzo e più lontano Stromboli
Età antica

Abitate fin dal neolitico, nel periodo fra il VII e il VI secolo a.C. le isole furono preda di continue scorrerie etrusche fino a quando questi ultimi non vennero sostituiti dalla colonizzazione greca. Nel 264 a.C. Lipari è alleata di Cartagine e le isole devono quindi subire i continui attacchi della flotta romana. Nel 252 a.C. Lipari e le sue isole passeranno sotto il dominio romano. Ne sono prova i resti di una villa romana sulla difficilmente accessibile sommità dell'isolotto di Basiluzzo, proprietà di un eccentrico possidente romano, evidentemente amante dell'asprezza e bellezza dei panorami panarellesi.
Panarea vista da Basiluzzo al tramonto
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidenteinizia un periodo di decadenza che aumenta con la dominazione bizantina e diviene ancor più rapida con l'inizio dell'occupazione araba (827/1061). Con l'avvento dei Normanni e la nascita del Regno di Sicilia ricominciò lo sviluppo economico e demografico delle isole (1340-1544 circa). A metà del 1500 infatti gli arabi ricominciarono a insidiare le isole (ne resta traccia nella toponomastica isolana nella baia e relativa contrada di Drautto, dal nome del pirata Dragut. Per le scorrerie della pirateria arabo-turca l'isola rimase pressoché disabitata, gli abitanti infatti non superavano il centinaio. Verso la fine del XVII secolo i contadini di Lipari ripresero a coltivarla (senza portarvici però donne e bambini, per via del pericolo delle scorrerie piratesche).

È significativo come sopra il villaggio preistorico di Cala Junco esista il "Castello del Salvamento" (nella toponomastica eoliana "castello" sta per pinnacolo roccioso di notevole altezza), usato appunto come provvidenziale rifugio degli abitanti durante queste incursioni. In seguito, con il miglioramento della situazione politica nelle isole, la popolazione di Panarea aumentò sino a circa 1000 persone. Ma alla fine dell'Ottocento diminuì nuovamente per via dell'emigrazione, verso Stati Uniti, Sud America e Australia.
La piccola chiesa di San Pietro
Età contemporanea

Ai giorni nostri la popolazione è intorno ai 200 abitanti stabili (in inverno, nei mesi estivi con i turisti può facilmente decuplicare). Gli isolani vivono ora soprattutto del successo turistico dell'isola, esploso alla fine degli anni settanta, ma iniziato alla fine degli anni cinquanta, con la scoperta di queste isole da parte di villeggianti più avventurosi, alla ricerca di un'oasi di vita più semplice e a contatto diretto con la natura.
San Pietro in trionfo per le vie di Panarea per la festa del 29 giugno
Il 29 giugno Panarea festeggia S.Pietro, patrono dell'isola. La statua del Santo viene portata a spalla dai fedeli lungo le stradine principali dell'isola, la processione è accompagnata dalla banda con intervalli di preghiera. La caratteristica di questa processione, che la rende affascinante e suggestiva, riguarda il momento in cui la statua viene messa su una barca e si prosegue via mare. Una processione suggestiva del patrono che protegge l'isola ed il suo mare, che benedice i fedeli e le ricchezze naturali dell'isola. La processione via mare ricorda la passione degli abitanti dell'isola per la pesca, fonte primaria di lavoro, quasi fosse una vocazione naturale per chi nasce in questi luoghi. Da qui comprendiamo anche la forte devozione degli abitanti di Panarea a S.Pietro, pescatore nella vita, prima di incontrare Gesù, pescatore di uomini dopo l'incontro con il figlio di Dio.

I festeggiamenti durano tutta la giornata del 28 e del 29 giugno. La processione, in genere (dipende chiaramente dall'organizzazione annuale dell'evento), è organizzata a chiusura della festa, il 29 giugno. Il giorno della vigilia della festa è ricco di eventi che preparano al clima di festeggiamenti: gruppi folkloristici, balli, canti, prodotti tipici, bancarelle, ricreano un quadretto pittoresco e delizioso che richiama l'attenzione e la curiosità di tanti turisti e risveglia la fede negli animi degli abitanti dell'isola che, attraverso queste ricorrenze, mostrano quanto sia bella la loro storia e quanto valore abbiano le tradizioni e la cultura autoctona. Anche il giorno in cui si svolge la processione non mancano momenti di arte e spettacolo. La chiusura della festa vede come protagonisti dei sorprendenti giochi pirotecnici sul mare.
L’origine di camurrìa: ecco da dove deriva la parola siciliana

@sicilianewseinfo
“Sì proprio na camurrìa!”. Quante volte avete detto, o vi siete sentiti dire questa frase? La camurria, in siciliano, è la scocciatura ed esiste anche l’aggettivo“camurriusu/camurriusa”, ovviamente con lo stesso significato. Tra le varianti, c’è anche càmula (quindi potete tranquillamente dare della càmula a qualcuno, qualora vi stesse seccando. Vi siete mai chiesti da dove derivino questi termini?

Nel suo “Nuovo dizionario siciliano-italiano” datato 1876, Vincenzo Mortillaro definisce la camurria una “sorta di malattia, scolagione celtica, virulenta, contagiosa, venerea, vedi Gonorrea”. Da questa discenderebbe, per metafora, “noia, fastidio, importunità”. Secondo altri, invece, la parola deriverebbe da “camula”, che è il tarlo. Questo, con il suo fastidioso “camuliare”, produre un caratteristico e ossessivo rumore quando rode il legno.
In entrambi i casi, comunque, rende benissimo l’idea. In un intervento pubblicato sul Corriere della Sera Magazine del settembre del 2008, Andrea Camilleri ha scritto:

«Forse è la parola più spesso usata e anche pensata ma non detta per ragioni di civile comportamento da chi sta scrivendo questo lemma, tanto che una sua nipotina, appena cominciò a parlare, oltre a mamma, disse distintamente “camurria” pur non essendo siciliana.
Accrescitivi di camurria sono: “gran camurria” e “grannissima camurria”, frequente è anche “granni e grannissima camurria”. Il massimo è costituito dalla composizione “grannissima camurria buttana”.

Qui si ricorda la variante introdotta dal barone Logreco in punto di morte: “Il munno è ‘na grannissima camurria buttana e ‘mpistata”, dove, ‘mpistata equivalendo a leutica, veniva realizzato un felice ritorno del termine a una delle supposte origini». 

@sicilianewseinfo
Le scocciature in Sicilia: l’origine di “càmula” e “camurrìa”
“Camurrìa!”, “cchi camurrìa” o “si ‘na camurrìa” o in alternativa “si ‘na càmula” o “ti mittisti a càmula” tutti i modi di dire in dialetto per fare notare a qualcuno che sta esagerando con le sue ciarle

Il siciliano, quando vuole, sa essere un vero rompiscatole. Non che in altre regioni d’Italia la gente sia una scocciatura di minore portata: l’unica differenza sta nel fatto che gli abitanti della Trinacria riescono a dare fastidio anche a perfetti sconosciuti.

Non è raro, infatti, che alla fermata dell’autobus un’anziana signora inizi con una scusa a raccontarci i più intimi dettagli della sua famiglia fino alla settimana generazione, che lo faccia il panettiere o addirittura il postino, per non parlare di chi in un negozio non abbiamo neanche interpellato per un’informazione e che già si sta sottoponendo a un interrogatorio volontario, nemmeno fossimo entrati con la divisa da carabinieri.

Anche in casa genitori, figli e parenti di ogni sorta trovano sempre un modo per risultare insistenti con le loro chiacchiere, opinioni o richieste. Ed ecco che non si può fare a meno di esclamare “camurrìa!”, “cchi camurrìa” o “si ‘na camurrìa” (se ci si dà del tu), perché una camurrìa non è altro che una scocciatura, di quelle che vorremmo risparmiarci volentieri ma che siamo obbligati a sorbirci.

Dal sostantivo è possibile formare anche l’aggettivo “camurriùsu/sa”, in cui è forse più facile da intuire l’etimologia di questo modo di dire. Per la precisione, ad avere dato origine al termine dialettale è la camorra, organizzazione mafiosa della Campania e famosa perché i suoi membri tendevano spesso ad assillare la povera gente con ricatti, minacce ed estorsioni, dai toni chiaramente molto ostinati.

In Sicilia la sfumatura di significato è più leggera e ormai priva di connotazioni criminali, tant’è che secondo il Nuovo dizionario siciliano-italiano del 1876 di Vincenzo Mortillaro deriverebbe da “gonorrea” o addirittura dal toscano camòrro, cioè “malanno”. Ad ogni modo, se qualcuno dovesse trovarla poco gradevole da usare si ricordi che esiste pur sempre un’alternativa: “si ‘na càmula” o “ti mittisti a càmula” si può dire infatti a chi è particolarmente petulante, intendendo “sei una seccatura”. E magari non tutti sanno che “càmula” è un termine al 100% mutuato dall’italiano, dato che in zoologia la “càmula” è una particolare tipologia di insetto parassita, simile ai tarli e alle tarme.

Gira che ti rigira, insomma, un modo per fare notare a qualcuno che sta esagerando con le sue ciarle in dialetto si trova sempre