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Pistacchio verde di Bronte

Il pistacchio verde di Bronte (in siciliano si chiama frastuca per il frutto e frastucara per la pianta)è una varietà di pistacchio(Pistacia vera cv Napoletana, innestata su Pistacia terebinthus) a Denominazione di origine protetta DOP. Il Pistacchio di Bronte è anche Presidio Slow Food

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Il pistacchio di Bronte, oro verde di Sicilia.

Conosciuto con il nomignolo di “Oro verde” della Sicilia, il pistacchio di Bronte è davvero un prodotto che ha fatto la fortuna del piccolo paese in cui viene coltivato.

L’unicità del frutto dipende chiaramente dalle particolari condizioni territoriali e climatiche in cui viene coltivato: gli alberi di pistacchio crescono infatti su terreni rocciosi ricoperti dalle lave vulcaniche provenienti dall’Etna.

Il pistacchio di Bronte continua ad essere raccolto ed essiccato secondo le abitudini locali come si faceva molto tempo fa.

All’interno, il pistacchio ha una forma allungata, protetto da una sottile pellicina di colore violaceo con riflessi verdi. A caratterizzare il frutto, una volta aperto a metà, è però il suo colore verde smeraldo, dovuta all’alta concentrazione di clorofilla ed anche il gusto tendente al dolce.
La coltivazione e la produzione del pistacchio rappresenta per Bronte "un paese della provincia di Catania" un'importante fonte di reddito, tanto da essere soprannominato l'Oro Verde, per il suo alto valore commerciale. La città di Bronte ha saputo sfruttare questo vantaggio, infatti nel suo territorio si contano circa 5000 produttori, la maggior parte con appezzamenti di circa 1 ettaro cadauno, nonché qualche grosso produttore con un multiplo di ettari. Il frutto raccolto viene in genere smallato ed asciugato ad opera del produttore stesso, che poi vende il suo pistacchio in guscio alle aziende esportatrici (circa il 60% viene esportato all'estero, mentre il 40% trova impiego nell'industria nazionale e in molte nuove aziende locali che lo trasformano in crema, pesto, torrone che negli ultimi anni sono esplosi nel mercato italiano). Vi sono circa una ventina di aziende della lavorazione del pistacchio, alcune ottimamente attrezzate e tecnologicamente avanzate, che si occupano della lavorazione successiva e della commercializzazione, anche online, in Europa e in altri paesi extraeuropei. Complessivamente l'Oro Verde produce annualmente una ricchezza di circa 35/40 milioni di euro. Il Pistacchio di Bronte DOP è coltivato nel comune Bronte, e in quelli di Adrano e Biancavilla a precise altezze e terreni indicati nel disciplinare del DOP, tra i 400 e i 900 m s.l.m.Nei territori di Bronte, Adrano e Biancavilla, in oltre 3500 ettari di terreno, c'è il 90 % della produzione Siciliana (3500 tonnellate nel 2012) e rappresenta lo 0,25 % della quantità prodotta nel mondo
Il pistacchio di Bronte nell'ultima fase della maturazione.
Una sagoma a forma di falce si perde nel cielo terso dell’estate Mediterranea. Siamo nell’Isola di Salina, nel cuore dell’arcipelago delle Eolie, e quello che volteggia lassù, sopra le coste rocciose, è un falco della Regina (Falco eleonorae).

Si tratta di uno dei rapaci più rari al mondo e l’isola siciliana rappresenta uno dei più importanti territori per questa specie.

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Veduta aerea dell'isola di Salina
Salina (Salina in siciliano) è un'isola dell'Italia, appartenente all'arcipelago delle isole Eolie, in Sicilia.

La Riserva NaturaleModifica

Nel 1981 è stato istituito il parco regionale di Salina e nel 1984 la Riserva naturale Le Montagne delle Felci e dei Porri
Laghetto di Lingua
Dagli scavi sono emersi insediamenti risalenti all'età del bronzo e un'alternanza di periodi di completo abbandono con altri di forte sviluppo. Ritrovamenti presso Santa Marina mostrano un notevole insediamento attorno al IV secolo a.C. Attorno al VII secolo d.C. Salina fu una delle Eolie più popolate, perché i vulcani di Lipari erano in attività. Le invasioni arabe la resero deserta finché, attorno al XVII secolo, tornò a popolarsi.

Salina è l'isola più fertile delle Eolie e ricca d'acqua; vi si coltivano uve pregiate dalle quali si ricava la Malvasia delle Lipari, un vino di sapore dolce, e capperi che sono esportati in tutto il mondo.

L'Abate Gerolamo Maurando giunse nel 1544 nell'arcipelago delle Eolie attestando l'esistenza di un'attività economica molto florida che probabilmente era già iniziata durante il Medioevo.

Tuttavia, a quel tempo, nonostante la presenza di vigneti sull'isola non si presume la presenza di comunità organizzate: la continua minaccia dei pirati che assediava l'isola sin dall'epoca bizantina, aveva spinto i liparesi a limitare le visite unicamente per la cura dei vigneti e dei raccolti durante le stagioni.

L'isola si ripopola solo alla fine del 1500, grazie alle concessioni enfiteutiche del Vescovo di Lipari, e raggiunge il suo apice nella metà dell'Ottocento: durante 300 anni si ritrovano a convivere famiglie provenienti da tutto il basso Tirreno, attratte dal lavoro e dall'illusione della piccola proprietà.

La conseguente dipendenza economica dall'isola maggiore di Lipari, dovuta alla mancanza di tradizioni comuni nella nuova comunità, ha fine solo agli inizi del XIX secolo, quando un'improvvisa domanda di Malvasia, permette agli abitanti di Salina di affermarsi finalmente nei mezzi di scambio: per 10 lunghi anni, infatti, i commissari per gli approvvigionamenti dell'armata britannica, giunta a Messina per fronteggiare la possibile avanzata di Napoleone in Sicilia, richiedono il noto 'passito eoliano' sulle tavole dei loro ufficiali. Una domanda così duratura innesca un processo di sviluppo locale tale da permettere all'isola di affrancarsi dall'economia liparese nonché dal suo potere amministrativo.

Sfortunatamente però, nella primavera del 1889, la filossera invade i vigneti dell'intera Europa e pone fine alla prosperità, l'emigrazione prende piede ed in quindici anni la popolazione di Salina si dimezza.

Un'altra importante risorsa per l'isola è il turismo
Il porto di Santa Marina Salina
Messina
Panarea è un'isola italiana appartenente all'arcipelago delle isole Eolie, in Sicilia. Amministrativamente appartiene a Lipari, comune italiano della città metropolitana di Messina, di cui costituisce una frazione di 241 abitanti, suddivisa nei centri di San Pietro, Ditella e Drauto.

È l'isola più piccola e la meno elevata dell'arcipelago eoliano, nonché la più antica, e con gli isolotti di Basiluzzo, Spinazzola, Lisca Bianca, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche, costituisce un microarcipelago fra Lipari e l'isola di Stromboli posto su un unico basamento sottomarino.

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Preistoria

Le origini del nome

Nell'antichità si ritrovano diversi nomi greci per Panarea: Euṓnymos, Εὐώνυμος ("di buon nome", "prospera"); e Hikesía, Ἱκεσία ("la supplice", forse per la presenza di luoghi di culto). Il nome Pagnarea, di etimologia incerta, è attestato per la prima volta nella Cosmografia ravennate nel VI-VII secolo.

Panarea fu abitata già in epoca preistoricacome testimonia il villaggio dell'età del Bronzo (XIV secolo a.C.) sul promontorio di Capo Milazzese, a sud-ovest dell'isola (da cui prende il nome la Cultura del Milazzese). La particolare posizione del pianoro, proteso verso il mare e protetto da alte pareti a dirupo sul mare - dunque facilmente difendibile - ne fece un luogo ideale per l'insediamento: nel villaggio, di cui sono visibili e visitabili i resti di una ventina di capanne, sono stati ritrovati materiali d'origine micenea, a testimonianza del ruolo svolto, anche in antichità, dall'arcipelago eoliano, al centro delle principali rotte commerciali del Mar Mediterraneo. Per il resto Panarea condivide la storia delle altre isole Eolie ed in particolare di Lipari.
Tipico abitato di Panarea, sullo sfondo Basiluzzo e più lontano Stromboli
Età antica

Abitate fin dal neolitico, nel periodo fra il VII e il VI secolo a.C. le isole furono preda di continue scorrerie etrusche fino a quando questi ultimi non vennero sostituiti dalla colonizzazione greca. Nel 264 a.C. Lipari è alleata di Cartagine e le isole devono quindi subire i continui attacchi della flotta romana. Nel 252 a.C. Lipari e le sue isole passeranno sotto il dominio romano. Ne sono prova i resti di una villa romana sulla difficilmente accessibile sommità dell'isolotto di Basiluzzo, proprietà di un eccentrico possidente romano, evidentemente amante dell'asprezza e bellezza dei panorami panarellesi.
Panarea vista da Basiluzzo al tramonto
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidenteinizia un periodo di decadenza che aumenta con la dominazione bizantina e diviene ancor più rapida con l'inizio dell'occupazione araba (827/1061). Con l'avvento dei Normanni e la nascita del Regno di Sicilia ricominciò lo sviluppo economico e demografico delle isole (1340-1544 circa). A metà del 1500 infatti gli arabi ricominciarono a insidiare le isole (ne resta traccia nella toponomastica isolana nella baia e relativa contrada di Drautto, dal nome del pirata Dragut. Per le scorrerie della pirateria arabo-turca l'isola rimase pressoché disabitata, gli abitanti infatti non superavano il centinaio. Verso la fine del XVII secolo i contadini di Lipari ripresero a coltivarla (senza portarvici però donne e bambini, per via del pericolo delle scorrerie piratesche).

È significativo come sopra il villaggio preistorico di Cala Junco esista il "Castello del Salvamento" (nella toponomastica eoliana "castello" sta per pinnacolo roccioso di notevole altezza), usato appunto come provvidenziale rifugio degli abitanti durante queste incursioni. In seguito, con il miglioramento della situazione politica nelle isole, la popolazione di Panarea aumentò sino a circa 1000 persone. Ma alla fine dell'Ottocento diminuì nuovamente per via dell'emigrazione, verso Stati Uniti, Sud America e Australia.
La piccola chiesa di San Pietro