Ultima, ma non per importanza Curiosità sulla Sicilia: parliamo di un luogo situato in provincia di Trapani, siamo a Mozia, almuseo Whitaker in precedenza abitazione dallo stesso archeologo Giuseppe Whitaker dal quale prende il nome. Ma qual è la caratteristica che lo rende così unico? È il primo museo punico – siciliano e racchiude al suo interno sia reperti frutto di scavi che trovati casualmente. Al suo interno sono presenti diversi oggetti unici, come ad esempio anfore della tradizione greco/fenicia ed etrusca, vasi a vernice nera, gioielli, armi e utensili a quei tempi di uso comune che ci illustrano le caratteristiche della vita del tempo.
Ma ciò che caratterizza più di tutti questo museo dalle mille risorse, è la Statua dell’Auriga di Mozia in stile arcaico-ionico del V° secolo a.C., la vera protagonista della sala. Questa parte della struttura era in passato il cortile del proprietario che decise già quando era in vita di trasformare parte della propria dimora in un museo archeologico.
L’ opera fu ritenuta talmente tanto bella e preziosa che fu esposta nella sala del Partendone del British Museum di Londra in occasione delle Olimpiadi e rimase lì fino al Settembre 2012 in seguito ad uno scambio culturale. Ma ancora oggi, nonostante l’inestimabile valore dell’intero museo composto da opere e reperti unici, resta una meta quasi sconosciuta sia dai turisti che dai siciliani.
Ma ciò che caratterizza più di tutti questo museo dalle mille risorse, è la Statua dell’Auriga di Mozia in stile arcaico-ionico del V° secolo a.C., la vera protagonista della sala. Questa parte della struttura era in passato il cortile del proprietario che decise già quando era in vita di trasformare parte della propria dimora in un museo archeologico.
L’ opera fu ritenuta talmente tanto bella e preziosa che fu esposta nella sala del Partendone del British Museum di Londra in occasione delle Olimpiadi e rimase lì fino al Settembre 2012 in seguito ad uno scambio culturale. Ma ancora oggi, nonostante l’inestimabile valore dell’intero museo composto da opere e reperti unici, resta una meta quasi sconosciuta sia dai turisti che dai siciliani.
Cannoli siciliani con granella di pistacchi e ciliegia candita
dolce tipico della cucina siciliana
Il cannolo siciliano è una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana. Come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo.
@sicilianewseinfo
@siciliaterramia
dolce tipico della cucina siciliana
Il cannolo siciliano è una delle specialità più conosciute della pasticceria siciliana. Come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
In origine venivano preparati in occasione del carnevale; col passare del tempo la preparazione ha perso il suo carattere di occasionalità ed ha conosciuto una notevolissima diffusione sul territorio nazionale, divenendo in breve un rinomato esempio dell'arte pasticcera italiana nel mondo.
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Storia del cannolo siciliano
Il riferimento del nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione; secondo una ipotesi il dolce fu inventato in tempi remoti per festeggiare il carnevale.Secondo altre ha origini romane o saracene. La prima descrizione risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro Siciliani a tavola scrive: "Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus".Secondo Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone(questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.). Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.
Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d'oro della cucina e dei vini della Sicilia riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un'antica ricetta romana poi elaborata dagli arabi.Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome ad uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell'acqua, cannolo è un termine dialettale che indica una sorta di rubinetto. Il dolce sebbene sia nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri di Palermo, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, così come la conosciamo oggi, unitamente ai pasticceri di Messina, che ne hanno anche inventato la variante con crema scura di ricotta e cioccolato
@sicilianewseinfo
@siciliaterramia
Il riferimento del nome è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione; secondo una ipotesi il dolce fu inventato in tempi remoti per festeggiare il carnevale.Secondo altre ha origini romane o saracene. La prima descrizione risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro Siciliani a tavola scrive: "Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus".Secondo Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone(questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.). Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.
Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d'oro della cucina e dei vini della Sicilia riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un'antica ricetta romana poi elaborata dagli arabi.Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome ad uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell'acqua, cannolo è un termine dialettale che indica una sorta di rubinetto. Il dolce sebbene sia nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri di Palermo, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, così come la conosciamo oggi, unitamente ai pasticceri di Messina, che ne hanno anche inventato la variante con crema scura di ricotta e cioccolato
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Origini saracene
Si narra che furono per prime le donne dell'Harem del Castello delle donne del signore dell'allora Qalc'at al-Nissa (Caltanissetta) le inventrici della ricetta. In questo luogo, secondo la tradizione tramandata fino a noi, gli emiri saraceni tenevano i propri harem e fu qui che le concubine lo crearono per prime, forse come omaggio vagamente fallico ai propri uomini. Queste donne pare si fossero ispirate ad un dolce di origine romana,di cui già parlava Cicerone,che lo descrive come consistente in un tubo farinaceo ripieno di un dolcissimo cibo a base di latte.
Le donne di questo harem, durante le lunghe assenze dei propri consorti, per ingannare l'attesa, si dedicavano alla preparazione di cibi e dolci elaborati; queste, sempre secondo la tradizione tramandata, avrebbero dunque modificato un dolce arabo già esistente, fatto di ricotta, mandorle e miele, rielaborandolo con la ricetta romana citata da Cicerone e dando così vita ad una specialità che sarebbe poi divenuta universalmente nota. Successivamente con la fine del dominio arabo in Sicilia gli harem scomparvero e non è da escludere che qualcuna delle favorite, convertita alla fede cristiana, si sia ritirata nei monasteri, portando con sé le ricette che avevano elaborato per le corti degli emiri.Quindi secondo la tradizione fu proprio quella del cannolo siciliano una delle ricette tramandate dalle donne musulmane alle consorelle cristiane, che lo iniziarono a produrre inizialmente durante il periodo carnevalesco, per poi diventare di uso e produzione durante tutto l'anno.
@sicilianewseinfo
@siciliaterramia
Si narra che furono per prime le donne dell'Harem del Castello delle donne del signore dell'allora Qalc'at al-Nissa (Caltanissetta) le inventrici della ricetta. In questo luogo, secondo la tradizione tramandata fino a noi, gli emiri saraceni tenevano i propri harem e fu qui che le concubine lo crearono per prime, forse come omaggio vagamente fallico ai propri uomini. Queste donne pare si fossero ispirate ad un dolce di origine romana,di cui già parlava Cicerone,che lo descrive come consistente in un tubo farinaceo ripieno di un dolcissimo cibo a base di latte.
Le donne di questo harem, durante le lunghe assenze dei propri consorti, per ingannare l'attesa, si dedicavano alla preparazione di cibi e dolci elaborati; queste, sempre secondo la tradizione tramandata, avrebbero dunque modificato un dolce arabo già esistente, fatto di ricotta, mandorle e miele, rielaborandolo con la ricetta romana citata da Cicerone e dando così vita ad una specialità che sarebbe poi divenuta universalmente nota. Successivamente con la fine del dominio arabo in Sicilia gli harem scomparvero e non è da escludere che qualcuna delle favorite, convertita alla fede cristiana, si sia ritirata nei monasteri, portando con sé le ricette che avevano elaborato per le corti degli emiri.Quindi secondo la tradizione fu proprio quella del cannolo siciliano una delle ricette tramandate dalle donne musulmane alle consorelle cristiane, che lo iniziarono a produrre inizialmente durante il periodo carnevalesco, per poi diventare di uso e produzione durante tutto l'anno.
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Durante il mese di novembre le pasticcerie siciliane si riempiono di colori.
Non bastano il verde, il rosso e l'arancione delle cassate...si aggiungono colori su colori e forme bellissime di frutta e ortaggi, creati con minuzia e di forma identica all'originale.
La frutta martorana è il tipico dolce dei "Morti", un dolce di zucchero e farina di mandorla.
Certo, parlare a Pasqua dei dolci dei morti non ha proprio senso, ma dato che non conosco la leggenda dell?agnellino di Favara o delle colombelle, vi parlerò di questi incantevoli frutti zuccherati.
Sulla creazione di questi dolci esistono diverse teorie e leggende, di certo c'è soltanto che sono moooolto buoni e sono stati creati dalle Monache del convento di Santa Maria dell'Ammiraglio, a Palermo.
Chissà per quale motivo, le cose più ?licche? vengono sempre create da monaci e monache...Dom Perignon, cannoli siciliani etc...
Il convento di Santa Maria dell'Ammiraglio fu realizzato per le nobildonne dell'ordine di San Benedetto e voluta dalla nobildonna Elisa Martorana.
Si narra che all'interno del monastero le suore avessero creato uno dei giardini più belli della città e un'orto con buonissimi ortaggi.
Il Vescovo, incuriosito, decise di andarlo a visitare approfittando del suo status.
La visita, però, fu in pieno inverno, quando gli alberi erano spogli e l'orto non dava molti ortaggi. Le monache allora decisero di crare dei frutti colorati con la pasta di mandorla per addobbare gli alberi spogli, e creare degli ortaggi per abbellire l'orto.
In questo modo è nata la frutta martorana con coloratissimi mandarini, arance, melograni, limoni, zucche, carciofi e chi più ne ha più ne metta...
Le monachelle a quel punto iniziarono a fare business con l'idea...
Visto il successo iniziarono a preparare la frutta martorana per le famiglie ricche.
Un servo, mandato a ritirare il pacco di dolciumi, metteva una moneta nella ruota e in cambio riceveva un bel vassoio di frutta...dolce!
@newseinfo
Non bastano il verde, il rosso e l'arancione delle cassate...si aggiungono colori su colori e forme bellissime di frutta e ortaggi, creati con minuzia e di forma identica all'originale.
La frutta martorana è il tipico dolce dei "Morti", un dolce di zucchero e farina di mandorla.
Certo, parlare a Pasqua dei dolci dei morti non ha proprio senso, ma dato che non conosco la leggenda dell?agnellino di Favara o delle colombelle, vi parlerò di questi incantevoli frutti zuccherati.
Sulla creazione di questi dolci esistono diverse teorie e leggende, di certo c'è soltanto che sono moooolto buoni e sono stati creati dalle Monache del convento di Santa Maria dell'Ammiraglio, a Palermo.
Chissà per quale motivo, le cose più ?licche? vengono sempre create da monaci e monache...Dom Perignon, cannoli siciliani etc...
Il convento di Santa Maria dell'Ammiraglio fu realizzato per le nobildonne dell'ordine di San Benedetto e voluta dalla nobildonna Elisa Martorana.
Si narra che all'interno del monastero le suore avessero creato uno dei giardini più belli della città e un'orto con buonissimi ortaggi.
Il Vescovo, incuriosito, decise di andarlo a visitare approfittando del suo status.
La visita, però, fu in pieno inverno, quando gli alberi erano spogli e l'orto non dava molti ortaggi. Le monache allora decisero di crare dei frutti colorati con la pasta di mandorla per addobbare gli alberi spogli, e creare degli ortaggi per abbellire l'orto.
In questo modo è nata la frutta martorana con coloratissimi mandarini, arance, melograni, limoni, zucche, carciofi e chi più ne ha più ne metta...
Le monachelle a quel punto iniziarono a fare business con l'idea...
Visto il successo iniziarono a preparare la frutta martorana per le famiglie ricche.
Un servo, mandato a ritirare il pacco di dolciumi, metteva una moneta nella ruota e in cambio riceveva un bel vassoio di frutta...dolce!
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Arancino
specialità della cucina siciliana
L'arancino (in siciliano arancinu è una specialità della cucina siciliana. Come tale, è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso".
Si tratta di una palla o di un cono di risoimpanato e fritto, del diametro di 8–10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cottoe mozzarella. Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma va detto che nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica, per simboleggiare il vulcano Etna.
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specialità della cucina siciliana
L'arancino (in siciliano arancinu è una specialità della cucina siciliana. Come tale, è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso".
Si tratta di una palla o di un cono di risoimpanato e fritto, del diametro di 8–10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cottoe mozzarella. Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma va detto che nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica, per simboleggiare il vulcano Etna.
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In genere, nella parte occidentale dell'isola questa specialità è conosciuta come "arancina", mentre nella parte orientale è chiamata "arancino". Tuttavia, il termine "arancina" è altrettanto prevalente in zone della parte orientale come le province di Ragusa e Siracusa, così come "arancino" lo è nelle province di Enna e Messina.
Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indicata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell'arancio, l'arancia appunto, che in lingua italiana è declinato al femminile. Tuttavia in siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l'arancia viene detta arànciu; pertanto il nome di questa pietanza risulta originariamente al maschile (arancinu), come testimoniato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: "dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". A sua volta, il termine italiano arancino deriverebbe dal siciliano arancinu.
Sull'argomento si è espressa anche l'Accademia della Crusca, affermando la correttezza di entrambe le diciture, sebbene la forma maschile continui a essere indicata da tutti i moderni dizionari della lingua italiana (nessuno riporta invece la forma al femminile).
Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indicata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell'arancio, l'arancia appunto, che in lingua italiana è declinato al femminile. Tuttavia in siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l'arancia viene detta arànciu; pertanto il nome di questa pietanza risulta originariamente al maschile (arancinu), come testimoniato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: "dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". A sua volta, il termine italiano arancino deriverebbe dal siciliano arancinu.
Sull'argomento si è espressa anche l'Accademia della Crusca, affermando la correttezza di entrambe le diciture, sebbene la forma maschile continui a essere indicata da tutti i moderni dizionari della lingua italiana (nessuno riporta invece la forma al femminile).
Gli occhi della Nasa sulla Sicilia: l'incantevole Cala Zaffiro di Siracusa è la "foto del giorno" @newseinfo
#goodnews〽️
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Telegraph
Gli occhi della Nasa sulla Sicilia: l'incantevole Cala Zaffiro di Siracusa è la "foto del giorno"
Non è la prima volta che la Nasa mette gli occhi sulle bellezze siciliane immortalate dai fotografi: questa volta l'immagine è di Kevin Saragoza che racconta così il suo scatto Cala Zaffiro, l'immagine scattata da Kevin Saragozza scelta dalla Nasa come "foto…