È tra i frutti siciliani maggiormente apprezzati per la sua dolcezza e per le sue proprietà benefiche. Simbolo di abbondanza e fecondità è citato più volte nella Bibbia e nella letteratura greca e latina, parliamo del fico, considerato dono degli dei perché apparentemente non si formano fiori, poi donato agli uomini.
In Sicilia la più importante area di produzione si trova in provincia di Messina con le antiche varietà autoctone “fica palamitani”, “i mennu”, “fica tardivu”.
@newseinfo
In Sicilia la più importante area di produzione si trova in provincia di Messina con le antiche varietà autoctone “fica palamitani”, “i mennu”, “fica tardivu”.
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Esistono tanti tipi di fichi che nel dialetto siciliano prendono vari nomi: dalla “ficuttata” verde, rotonda e dolcissima, alla “catalanisca” appuntita, viola scuro e un po’ meno dolce, alla “bifara”, alla ficazzana”, fino ad arrivare alla “ficu natalina”che, grazie ad una particolare potatura, produce fichi fino a dicembre.
Di fichi, che tecnicamente non sono frutti, al mondo ne esistono circa 850 specie e quella comune, edule, è la Ficus carica.
Di fichi, che tecnicamente non sono frutti, al mondo ne esistono circa 850 specie e quella comune, edule, è la Ficus carica.
La storia dell’albero di fico e dei suoi fantastici frutti affonda le radici nella mitologia greca.
Già Plutarco ne parlava in termini sacri. Pare che il titano Sykèus, (da syke, fico) si fosse nascosto nel ventre della madre Gea, la terra, per sfuggire all’ira di Zeus. E fu proprio Gea a far germogliare dal suo grembo l’albero che ha preso il nome del figlio: fico.
Nell’antichità era reato esportare i fichi, perché ritenuti un prodotto di prima necessità.
Per di più, qualora il frutto fosse stato trafugato da un albero sacro, il gesto veniva marchiato come sacrilego. Degno di scatenare la collera divina.
L’albero di fico è anche legato alle origini di Roma, perchè una legenda vuole che la cesta contenente Romolo e Remo si fosse incagliata proprio sotto un fico selvatico, schivando così il destino che li avrebbe voluti morti in quanto frutto illegittimo della vestale Rea Silvia. Fu proprio all’ombra di un fico che la lupa nutrì i figli di Marte. E fu quindi sotto un fico che la gloria di Roma crebbe.
I fichi ottimi per proteggere pelle, occhi, cuore e intestino
I fichi sono degli ottimi frutti capaci di proteggere la pelle, gli occhi, l’apparato digerente e l’apparato cardiaco.
Essi sono notoriamente dei frutti dolci.
In realtà forniscono un apporto calorico minore di quello dell’uva e del mandarino: 47 kcal per 100 grammi contro i 70 dell’uva, ad esempio.
Sono davvero un frutto eccezionale.
I semi, le mucillagini e i polisaccaridi contenuti nel frutto (sia mangiato fresco che secco) manifestano delle proprietà lassative capaci di stimolare la peristalsi intestinale.
Nei fichi freschi inoltre sono presenti degli enzimi digestivi che migliorano l’assimilazione delle sostanze nutritive ingerite durante il pasto.
Essi inoltre proteggono la pelle, grazie alla loro azione caustica e proteolitica.
In passato i fichi venivano usati anche come impacco sulle infezioni purulente e sui gonfiori. Tipico è il rimedio contro le puntine. Ma trovavano impiego anche per curare le infiammazioni delle vie urinarie, polmonari e per le gastriti.
I fichi sono ricchi di vitamina A, B1, B2, B6, PP e C, potassio, ferro e calcio.
Il lattice del fico
Quando si stacca un frutto dall’albero di fico, viene secreto un lattice di colore bianco.
Esso è fortemente irritante. Potrebbe esserlo a tal punto da irritare la pelle. Meglio evitare il contatto diretto e prolungato con questo lattice.
Un tempo lo si metteva tutti i giorni sulle verruche o sui porri, per farli scomparire.
Già Plutarco ne parlava in termini sacri. Pare che il titano Sykèus, (da syke, fico) si fosse nascosto nel ventre della madre Gea, la terra, per sfuggire all’ira di Zeus. E fu proprio Gea a far germogliare dal suo grembo l’albero che ha preso il nome del figlio: fico.
Nell’antichità era reato esportare i fichi, perché ritenuti un prodotto di prima necessità.
Per di più, qualora il frutto fosse stato trafugato da un albero sacro, il gesto veniva marchiato come sacrilego. Degno di scatenare la collera divina.
L’albero di fico è anche legato alle origini di Roma, perchè una legenda vuole che la cesta contenente Romolo e Remo si fosse incagliata proprio sotto un fico selvatico, schivando così il destino che li avrebbe voluti morti in quanto frutto illegittimo della vestale Rea Silvia. Fu proprio all’ombra di un fico che la lupa nutrì i figli di Marte. E fu quindi sotto un fico che la gloria di Roma crebbe.
I fichi ottimi per proteggere pelle, occhi, cuore e intestino
I fichi sono degli ottimi frutti capaci di proteggere la pelle, gli occhi, l’apparato digerente e l’apparato cardiaco.
Essi sono notoriamente dei frutti dolci.
In realtà forniscono un apporto calorico minore di quello dell’uva e del mandarino: 47 kcal per 100 grammi contro i 70 dell’uva, ad esempio.
Sono davvero un frutto eccezionale.
I semi, le mucillagini e i polisaccaridi contenuti nel frutto (sia mangiato fresco che secco) manifestano delle proprietà lassative capaci di stimolare la peristalsi intestinale.
Nei fichi freschi inoltre sono presenti degli enzimi digestivi che migliorano l’assimilazione delle sostanze nutritive ingerite durante il pasto.
Essi inoltre proteggono la pelle, grazie alla loro azione caustica e proteolitica.
In passato i fichi venivano usati anche come impacco sulle infezioni purulente e sui gonfiori. Tipico è il rimedio contro le puntine. Ma trovavano impiego anche per curare le infiammazioni delle vie urinarie, polmonari e per le gastriti.
I fichi sono ricchi di vitamina A, B1, B2, B6, PP e C, potassio, ferro e calcio.
Il lattice del fico
Quando si stacca un frutto dall’albero di fico, viene secreto un lattice di colore bianco.
Esso è fortemente irritante. Potrebbe esserlo a tal punto da irritare la pelle. Meglio evitare il contatto diretto e prolungato con questo lattice.
Un tempo lo si metteva tutti i giorni sulle verruche o sui porri, per farli scomparire.
La granita siciliana: origini e curiosità.
Tra i comportamenti abituali di noi siciliani c’è sicuramente quello di andare spesso a fare colazione al bar con granita e brioche (o meglio, brioscia), comportamento che ormai viene imitato dai tantissimi turisti che ogni anno vengono a visitare la nostra bellissima terra.
Ma sapete quali sono le origini della granita siciliana?
In questo articolo vedremo com’è nata questa ricetta e come veniva prodotta quando ancora non esistevano le attrezzature moderne.
'A rattata
La grattata (in siciliano rattata) era il nome originario della granita. L’appellativo deriva proprio dal procedimento con il quale veniva preparata. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia (827-1091). Gli arabi, infatti, ci portarono lo sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata alla frutta, che non è altro che l’antenato della nostra granita. Grazie arabi.
La preparazione della rattatarichiedeva come ingrediente principale la neve. Quindi era compito dei nivarolidi raccogliere la neve che cadeva in inverno sui monti, conservandola nelle neviere per quando sarebbe arrivato il calore estivo.
Tra i comportamenti abituali di noi siciliani c’è sicuramente quello di andare spesso a fare colazione al bar con granita e brioche (o meglio, brioscia), comportamento che ormai viene imitato dai tantissimi turisti che ogni anno vengono a visitare la nostra bellissima terra.
Ma sapete quali sono le origini della granita siciliana?
In questo articolo vedremo com’è nata questa ricetta e come veniva prodotta quando ancora non esistevano le attrezzature moderne.
'A rattata
La grattata (in siciliano rattata) era il nome originario della granita. L’appellativo deriva proprio dal procedimento con il quale veniva preparata. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia (827-1091). Gli arabi, infatti, ci portarono lo sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata alla frutta, che non è altro che l’antenato della nostra granita. Grazie arabi.
La preparazione della rattatarichiedeva come ingrediente principale la neve. Quindi era compito dei nivarolidi raccogliere la neve che cadeva in inverno sui monti, conservandola nelle neviere per quando sarebbe arrivato il calore estivo.
La neve veniva coperta con felci e terra, e pressata fino a diventare ghiaccio da tagliare e vendere in estate. Ancora oggi, su alcuni monti, si possono trovare le buche usate per la conservazione del ghiaccio, alcune volte rifinite con mattoncini o pietre. Infatti, una curiosità è che la forma di queste neviere non era ovunque uguale, ma cambiava in base al territorio (un esempio lo puoi vedere da queste due foto).
Era consuetudine, soprattutto per le famiglie più ricche, comprare i blocchi di ghiaccio dai nivaroli e conservari in delle neviere private, in modo da avere la propria scorta personale durante l’estate.
La massa di ghiaccio veniva così grattata (da qui l’origine del nome) e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei caldi momenti d’estate. Inizialmente, per dare un gusto, veniva spremuto il limone e si aggiungeva un po’ di miele. Con il tempo si sono sperimentati tanti nuovi gusti che sono arrivati fino ai giorni nostri (mandorla, caffè, fragola, gelsi, pistacchio ecc.).
- L'evoluzione -
Intorno al XVI secolo venne apportato un notevole miglioramento alla fase di preparazione dello sherbet, scoprendo di poter usare la neve mista al sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.
La massa di ghiaccio veniva così grattata (da qui l’origine del nome) e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei caldi momenti d’estate. Inizialmente, per dare un gusto, veniva spremuto il limone e si aggiungeva un po’ di miele. Con il tempo si sono sperimentati tanti nuovi gusti che sono arrivati fino ai giorni nostri (mandorla, caffè, fragola, gelsi, pistacchio ecc.).
- L'evoluzione -
Intorno al XVI secolo venne apportato un notevole miglioramento alla fase di preparazione dello sherbet, scoprendo di poter usare la neve mista al sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.
Nacque il primo pozzetto, che non era altro che un tino di legno con all’interno un secchiello di zinco, che poteva essere girato con una manovella. Lo spazio tra il legno e il pozzetto veniva riempito con la miscela di sale e neve, che congelava il contenuto al suo interno. Il movimento rotatorio di alcune palette all’interno del pozzetto impediva la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi e garantiva quella consistenza unica che contraddistinse sin da subito la granita siciliana.
Antico pozzetto per granita
Nel corso del XX secolo la neve fu sostituita con l’acqua, il miele con lo zucchero e il pozzetto manuale dalla gelatiera. Questi importanti miglioramenti, hanno consentito di perfezionare la produzione di quell’inconfondibile consistenza cremosa che è conosciuta in tutto il mondo con il nome di “Granita Siciliana”.
Antico pozzetto per granita
Nel corso del XX secolo la neve fu sostituita con l’acqua, il miele con lo zucchero e il pozzetto manuale dalla gelatiera. Questi importanti miglioramenti, hanno consentito di perfezionare la produzione di quell’inconfondibile consistenza cremosa che è conosciuta in tutto il mondo con il nome di “Granita Siciliana”.
A brioscia
Non riesco ad immaginare una granita senza la sua brioche (in siciliano brioscia). Per rendervi l’idea, dire Granita&Brioscia è come dire Bud Spencer e Terence Hill, Bonnie e Clyde, Paolo Bonolis e Luca Laurenti e così via. Rappresentano la coppia perfetta, non può esserci l’uno senza l’altro.
Le origini della brioche siciliana, però, non sono così chiare come abbiamo visto per la granita. Inoltre, la brioche esiste da meno tempo, infatti, i nostri nonni ricorderanno con nostalgia quando, nella stagione estiva, usavano inzuppare la zuccarata nella granita al limone. Questa, non è altro che un biscotto (solitamente a forma di ciambella) che, contrariamente al nome, non ha zucchero, ma è ricoperta di semi di sesamo (in siciliano detti ciciulena).
Non riesco ad immaginare una granita senza la sua brioche (in siciliano brioscia). Per rendervi l’idea, dire Granita&Brioscia è come dire Bud Spencer e Terence Hill, Bonnie e Clyde, Paolo Bonolis e Luca Laurenti e così via. Rappresentano la coppia perfetta, non può esserci l’uno senza l’altro.
Le origini della brioche siciliana, però, non sono così chiare come abbiamo visto per la granita. Inoltre, la brioche esiste da meno tempo, infatti, i nostri nonni ricorderanno con nostalgia quando, nella stagione estiva, usavano inzuppare la zuccarata nella granita al limone. Questa, non è altro che un biscotto (solitamente a forma di ciambella) che, contrariamente al nome, non ha zucchero, ma è ricoperta di semi di sesamo (in siciliano detti ciciulena).
Naturalmente, ancora oggi è possibile assaggiare uno di questi biscotti, solitamente consigliati con la granita al limone. Tuttavia, oggi come oggi, si preferisce affiancare la brioscia, se possibile appena sfornata.
La brioche siciliana ha un requisito in particolare, deve avere il tuppo. In Sicilia, questo termine viene utilizzato per descrivere la tipica acconciatura della donna siciliana, corrispondente allo chignon. Si dice, infatti, che la forma della brioche siciliana derivi proprio da esso.
La brioche siciliana ha un requisito in particolare, deve avere il tuppo. In Sicilia, questo termine viene utilizzato per descrivere la tipica acconciatura della donna siciliana, corrispondente allo chignon. Si dice, infatti, che la forma della brioche siciliana derivi proprio da esso.