Tra le viuzze nascoste del centro storico di Catania sorge un vasto complesso termale risalente al I-II sec d.C., successivamente trasformato in chiesa (sono appena visibili affreschi e i resti di un pavimento in mosaico) ed ubicato vicino al famoso TeatroRomano: le Terme della Rotonda.
Rappresentano una delle più importanti testimonianze archeologiche della città e, secondo gli esperti, la traccia più evidente della dominazione romana nel nostro territorio.
Il nome del sito “La Rotonda”, deriva dalla struttura della chiesa e dalla presenza di una grande cupola sull’edificio principale. In passato fu chiamato “Pantheon” perché nel 700 si riteneva fosse un modello di quello romano.
Grazie ad una serie di scavi archeologici è stato possibile individuare 6 antiche “ristrutturazioni”, che vanno dall’epoca romana al 600-700. Inoltre scavi recenti hanno riportato alla luce le antiche Vaschetermali con gli originali marmi di rivestimento e gli ipocausti (impianti di riscaldamento)
Rappresentano una delle più importanti testimonianze archeologiche della città e, secondo gli esperti, la traccia più evidente della dominazione romana nel nostro territorio.
Il nome del sito “La Rotonda”, deriva dalla struttura della chiesa e dalla presenza di una grande cupola sull’edificio principale. In passato fu chiamato “Pantheon” perché nel 700 si riteneva fosse un modello di quello romano.
Grazie ad una serie di scavi archeologici è stato possibile individuare 6 antiche “ristrutturazioni”, che vanno dall’epoca romana al 600-700. Inoltre scavi recenti hanno riportato alla luce le antiche Vaschetermali con gli originali marmi di rivestimento e gli ipocausti (impianti di riscaldamento)
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Sicilia Antica
La Fonte Aretusa è uno specchio d'acqua nell'isola di Ortigia, nella parte più antica della città siciliana di Siracusa.
La sua origine è lo sviluppo di uno dei tanti sfoghi della falda freatica che si trova nel siracusano, la falda che alimenta anche il fiume Ciane sul lato opposto del porto. Presenta una forma circolare doppia, con all'interno una struttura circolare, ovvero un doppio cerchio concentrico.
La sua origine è lo sviluppo di uno dei tanti sfoghi della falda freatica che si trova nel siracusano, la falda che alimenta anche il fiume Ciane sul lato opposto del porto. Presenta una forma circolare doppia, con all'interno una struttura circolare, ovvero un doppio cerchio concentrico.
Nella fonte Aretusa è ambientata la leggenda di Aretusa e Alfeo, uno dei miti più affascinanti di Siracusa.Il fascino visivo di una fonte d'acqua dolce che giunge per via sotterranea sino all'isola per poi riversare le sue acque in mare, ha certamente affascinato molti poeti e scrittori come: Pindaro, Mosco, Ovidio, Virgilio, D'Annunzio, da John Milton nel Licida e da Alexander Pope nel Dunciad; raccontata dagli storici: Timeo, Pausania, Diodoro Siculo, Strabone, Cicerone; raffigurata dai monetieri siracusani Cimone ed Eveneto; musicata dal compositore polacco Karol Szymanowski.
La tradizione, raccolta da Pausania, vuole che Archia, prima di partire per fondare la colonia, interpellasse l'oracolo di Delfi che così gli rispose: "Un'isoletta, Ortigia, in mezzo al fosco mare ne sta, di contro alla Trinacria, ove la bocca sgorga dell'Alfeo, mista alla polla d'Aretusa bella".
Von Riedesel, viaggiatore del Grand Tour nel 1767 descrisse la fonte con toni poco lusinghieri:
«Esistono ancora nell'attuale Siracusa alcuni miserabili avanzi della celebre Aretusa. Questa celebre fontana che tutti poeti l'hanno cantata, che tutti gli storici l'hanno citata ed esaltata, che secondo Strabone e Diodoro era così abbondante che conteneva una innumerevole quantità di pesci di una grandezza poco comune, che finalmente fu onorata come la ninfa protetta protettrice di Siracusa, questa celebre fontana non è più che un cattivo lavoro, che riceve, è vero, da due aperture una grandissima quantità di acqua, ma di un gusto un po' salsa, che denota aver della comunicazione col mare; di sorta che questa rinomata fontana oggidì ad altro non serve che a lavare i panni degli abitanti di Siracusa...»
(Johann Hermann von Riedesel)
Anche Orazio Nelson rimase incantato dalla fonte, e quando sostò a Siracusa nel giugno del 1798, prima di affrontare Napoleone ad Abukir scrisse: "Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua, e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa, la vittoria non ci può mancare".
La tradizione, raccolta da Pausania, vuole che Archia, prima di partire per fondare la colonia, interpellasse l'oracolo di Delfi che così gli rispose: "Un'isoletta, Ortigia, in mezzo al fosco mare ne sta, di contro alla Trinacria, ove la bocca sgorga dell'Alfeo, mista alla polla d'Aretusa bella".
Von Riedesel, viaggiatore del Grand Tour nel 1767 descrisse la fonte con toni poco lusinghieri:
«Esistono ancora nell'attuale Siracusa alcuni miserabili avanzi della celebre Aretusa. Questa celebre fontana che tutti poeti l'hanno cantata, che tutti gli storici l'hanno citata ed esaltata, che secondo Strabone e Diodoro era così abbondante che conteneva una innumerevole quantità di pesci di una grandezza poco comune, che finalmente fu onorata come la ninfa protetta protettrice di Siracusa, questa celebre fontana non è più che un cattivo lavoro, che riceve, è vero, da due aperture una grandissima quantità di acqua, ma di un gusto un po' salsa, che denota aver della comunicazione col mare; di sorta che questa rinomata fontana oggidì ad altro non serve che a lavare i panni degli abitanti di Siracusa...»
(Johann Hermann von Riedesel)
Anche Orazio Nelson rimase incantato dalla fonte, e quando sostò a Siracusa nel giugno del 1798, prima di affrontare Napoleone ad Abukir scrisse: "Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua, e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa, la vittoria non ci può mancare".
Il mito
Il Dio Alfeo, figlio di Oceano, si innamorò di lei spiandola mentre faceva il bagno nuda.
Aretusa però fuggì dalle sue attenzioni, scampando sull'isola di Ortigia, a Siracusa, chiedendo soccorso alla dea Artemide, che la tramutò in una fonte. Zeus, commosso dal dolore di Alfeo, lo mutò in fiume a sua volta, permettendogli così, dal Peloponneso, in Grecia, di percorrere tutto il Mar Ionio per unirsi all'amata fonte. Forse in ragione di questa unione simbolica tra le due sponde dello Ionio Strabone afferma:
«Ogni volta che a Olimpia si celebrava un sacrificio – si diceva –, le acque della fonte Aretusa si macchiavano di rosso; e se a Olimpia si gettava una coppa nel fiume Alfeo, questa riemergeva nelle acque del mare di Siracusa.»
Ancora oggi il mito rivive nell'isola di Ortigia grazie alla cosiddetta Fonte Aretusa, uno specchio di acqua che sfocia nel Porto Grande di Siracusa.
Il Dio Alfeo, figlio di Oceano, si innamorò di lei spiandola mentre faceva il bagno nuda.
Aretusa però fuggì dalle sue attenzioni, scampando sull'isola di Ortigia, a Siracusa, chiedendo soccorso alla dea Artemide, che la tramutò in una fonte. Zeus, commosso dal dolore di Alfeo, lo mutò in fiume a sua volta, permettendogli così, dal Peloponneso, in Grecia, di percorrere tutto il Mar Ionio per unirsi all'amata fonte. Forse in ragione di questa unione simbolica tra le due sponde dello Ionio Strabone afferma:
«Ogni volta che a Olimpia si celebrava un sacrificio – si diceva –, le acque della fonte Aretusa si macchiavano di rosso; e se a Olimpia si gettava una coppa nel fiume Alfeo, questa riemergeva nelle acque del mare di Siracusa.»
Ancora oggi il mito rivive nell'isola di Ortigia grazie alla cosiddetta Fonte Aretusa, uno specchio di acqua che sfocia nel Porto Grande di Siracusa.
Scilla e Cariddi
Il mito forse più conosciuto, anche fuori Sicilia, è indubbiamente quello di Cariddi. Noto mostro marino, Cariddi in realtà era una naiade, una ninfa d’acqua dolce. Figlia di Poseidone e Gea, un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Zeus la fulminò, facendola cadere in mare. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all’antro del mostro Scilla, presso Capo Peloro. In quel tratto di mare infatti, l’incontro delle correnti marine causa vortici di entità importante, che possono aver dato il via alla leggenda che sotto il mare abitasse un mostro dalla bocca vorace, Cariddi.
Il mito forse più conosciuto, anche fuori Sicilia, è indubbiamente quello di Cariddi. Noto mostro marino, Cariddi in realtà era una naiade, una ninfa d’acqua dolce. Figlia di Poseidone e Gea, un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Zeus la fulminò, facendola cadere in mare. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all’antro del mostro Scilla, presso Capo Peloro. In quel tratto di mare infatti, l’incontro delle correnti marine causa vortici di entità importante, che possono aver dato il via alla leggenda che sotto il mare abitasse un mostro dalla bocca vorace, Cariddi.
Il Lago di Pergusa
Un’altra leggenda particolarmente conosciuta, anche al di là dei confini della Sicilia, è quella legata al ratto di Proserpina, figlia di Demetra, amata da Ade, Dio degli Inferi. Il mito del rapimento, è il naturale prosieguo della leggenda della ninfa Ciane, che con lei si trovava nei pressi del Lago Pergusa.
Nonostante l’opposizione dunque delle fanciulle e della stessa Proserpina, Ade riesce lo stesso a portarla con sé negli Inferi.
La madre andò in soccorso alla figlia, cercandola senza posa per nove giorni e nove notti. Alla fine decise che non sarebbe salita più un cielo se non avesse ri-ottenuto la figlia. Demetra, dea della vegetazione e dell’agricoltura, lasciò dunque la terra sgombra, spoglia e arida. A questo punto, Zeus decise di offrire a Demetra un compromesso: Proserpina sarebbe rimasta nell’Ade per quattro mesi (quelli invernali), mentre per gli altri otto, sarebbe rimasta sulla terra, cosicché essa potesse dare fiori e frutti agli umani.
Un’altra leggenda particolarmente conosciuta, anche al di là dei confini della Sicilia, è quella legata al ratto di Proserpina, figlia di Demetra, amata da Ade, Dio degli Inferi. Il mito del rapimento, è il naturale prosieguo della leggenda della ninfa Ciane, che con lei si trovava nei pressi del Lago Pergusa.
Nonostante l’opposizione dunque delle fanciulle e della stessa Proserpina, Ade riesce lo stesso a portarla con sé negli Inferi.
La madre andò in soccorso alla figlia, cercandola senza posa per nove giorni e nove notti. Alla fine decise che non sarebbe salita più un cielo se non avesse ri-ottenuto la figlia. Demetra, dea della vegetazione e dell’agricoltura, lasciò dunque la terra sgombra, spoglia e arida. A questo punto, Zeus decise di offrire a Demetra un compromesso: Proserpina sarebbe rimasta nell’Ade per quattro mesi (quelli invernali), mentre per gli altri otto, sarebbe rimasta sulla terra, cosicché essa potesse dare fiori e frutti agli umani.