Come è facile osservare la Sicilia ha geograficamente forma di triangolo. Questa sua conformazione le valse l'antico nome di Trinàcria
Il nome di Trinàcria fu utilizzato da Omero nell’Odissea, ma anche dagli storici Antioco da Siracusa, Timeo da Taormina e dallo stesso Tucidide.
I Romani invece tradussero il nome Trinacria in Trìquetra, che significa appunto «triangolare».
La Sicilia fu indicata nell’antichità anche come «l’isola del Sole». Il simbolo dell’Isola rappresenta, infatti, un volto attorniato da raggi solari.
Dal VII secolo avanti Cristo il volto fu circondato da tre gambe, che pur simulando i raggi del sole, rappresentano verosimilmente i tre punti estremi dell’Isola.
In periodo romano, invece, per indicare la fertilità dell’Isola furono aggiunte delle spighe, come è possibile notare nei mosaici romani di Marsala e di Tindari. A questo proposito varrebbe ricordare il mito di Cerere, dea delle messi, e il ratto di Proserpina.
In realtà però, fin dall’inizio, il volto assunse un riferimento alla Gorgone anguicrinita (cioè dalle chiome fatte o intrecciate di serpi), questo probabilmente al fine di incutere terrore ai nemici.
La Gòrgone o Gorgóne per eccellenza è Medusa. In effetti con il nome di Gorgone la mitologia greca indicava ciascuna delle tre sorelle (Steno, Euriale e appunto Medusa) figlie di Forco e Ceto.
Si racconta che avessero ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale, serpenti al posto dei capelli. Caravaggio, infatti, rappresenta Medusa con la testa anguicrinita.
Le tre sorelle pietrificavano chiunque le fissasse negli occhi. Tuttavia Medusa, l’unica fra di loro ad essere mortale, venne uccisa con scaltrezza da Perseo.
Proviamo a spiegare il termine « Sicilia », che, fin all'antichità classica, prese il posto di Trinàcria e anche di Sicània (cioè terra dei Sicani, fra i primi abitatori dell’Isola). In realtà il termine « Sicilia », in età medievale, non designò soltanto l’Isola, ma fu esteso anche alla penisola per indicare i domini normanno-svevi, dell'Italia meridionale. Secondo il grammatico latino Marco Terenzio Varrone, il termine « Sicilia » deriverebbe dalla voce italica sica che sta ad indicare la falce. Pertanto «Sicilia » significherebbe «terra di falciatori», questo perché i Romani consideravano la Sicilia come la regione più ricca di grano per approvvigionare Roma. Occorre tuttavia far notare che il termine «Sicilia» è anteriore alla dominazione romana, che cominciò nell’isola solo dal 264 a.C. Di qui si possono avanzare differenti interpretazioni del toponimo (in linguistica e geografia, il toponimo è il nome proprio di un luogo, dal greco tópos 'luogo').
Il nome «Sicilia» deriva in realtà da sik, termine di radice indo-germanica che sta a denotare l’ingrossamento e la crescita. Nella lingua greca questa radice è usata per individuare certi frutti che si sviluppano rapidamente come il fico (siké) o la zucca (sikùs). Quindi Sicilia significherebbe «terra della fecondità, isola della fertilità».
In periodo bizantino (secc. VI – IX) si credette che il nome «Sicilia» derivasse dall’unione di due termini greci ( siké ed elaia), che denotavano due piante tipiche dell’isola: il fico e l’olivo.
Abbiamo detto che la Sicilia fu, sin dall’antichità, legata al mito del dio Sole. Più precisamente lo storico catanese Santi Correnti (al cui testo faremo principalmente riferimento nel corso di queste lezioni) ricorda che una parte della Sicilia, esattamente il litorale jonico che va da Taormina verso Messina, si chiamò «Vitulia», perché vi erano allevati i vitelli dedicati al dio Sole, di cui era sacrilegio cibarsi.
Dobbiamo, a questo proposito, ricordare il Primo libro dell’Odissea, quando Omero narra che tutti i compagni di Ulisse morirono per essersi cibati delle carni sacre dei vitelli.
A riprova dell’antica designazione geografica del litorale ionico, Correnti precisa che l’unico degli 8100 Comuni italiani, denominato «Itala», è ubicato proprio in provincia di Messina, laddove gli antichi indicavano la «Vitulia».
Il nome di Trinàcria fu utilizzato da Omero nell’Odissea, ma anche dagli storici Antioco da Siracusa, Timeo da Taormina e dallo stesso Tucidide.
I Romani invece tradussero il nome Trinacria in Trìquetra, che significa appunto «triangolare».
La Sicilia fu indicata nell’antichità anche come «l’isola del Sole». Il simbolo dell’Isola rappresenta, infatti, un volto attorniato da raggi solari.
Dal VII secolo avanti Cristo il volto fu circondato da tre gambe, che pur simulando i raggi del sole, rappresentano verosimilmente i tre punti estremi dell’Isola.
In periodo romano, invece, per indicare la fertilità dell’Isola furono aggiunte delle spighe, come è possibile notare nei mosaici romani di Marsala e di Tindari. A questo proposito varrebbe ricordare il mito di Cerere, dea delle messi, e il ratto di Proserpina.
In realtà però, fin dall’inizio, il volto assunse un riferimento alla Gorgone anguicrinita (cioè dalle chiome fatte o intrecciate di serpi), questo probabilmente al fine di incutere terrore ai nemici.
La Gòrgone o Gorgóne per eccellenza è Medusa. In effetti con il nome di Gorgone la mitologia greca indicava ciascuna delle tre sorelle (Steno, Euriale e appunto Medusa) figlie di Forco e Ceto.
Si racconta che avessero ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale, serpenti al posto dei capelli. Caravaggio, infatti, rappresenta Medusa con la testa anguicrinita.
Le tre sorelle pietrificavano chiunque le fissasse negli occhi. Tuttavia Medusa, l’unica fra di loro ad essere mortale, venne uccisa con scaltrezza da Perseo.
Proviamo a spiegare il termine « Sicilia », che, fin all'antichità classica, prese il posto di Trinàcria e anche di Sicània (cioè terra dei Sicani, fra i primi abitatori dell’Isola). In realtà il termine « Sicilia », in età medievale, non designò soltanto l’Isola, ma fu esteso anche alla penisola per indicare i domini normanno-svevi, dell'Italia meridionale. Secondo il grammatico latino Marco Terenzio Varrone, il termine « Sicilia » deriverebbe dalla voce italica sica che sta ad indicare la falce. Pertanto «Sicilia » significherebbe «terra di falciatori», questo perché i Romani consideravano la Sicilia come la regione più ricca di grano per approvvigionare Roma. Occorre tuttavia far notare che il termine «Sicilia» è anteriore alla dominazione romana, che cominciò nell’isola solo dal 264 a.C. Di qui si possono avanzare differenti interpretazioni del toponimo (in linguistica e geografia, il toponimo è il nome proprio di un luogo, dal greco tópos 'luogo').
Il nome «Sicilia» deriva in realtà da sik, termine di radice indo-germanica che sta a denotare l’ingrossamento e la crescita. Nella lingua greca questa radice è usata per individuare certi frutti che si sviluppano rapidamente come il fico (siké) o la zucca (sikùs). Quindi Sicilia significherebbe «terra della fecondità, isola della fertilità».
In periodo bizantino (secc. VI – IX) si credette che il nome «Sicilia» derivasse dall’unione di due termini greci ( siké ed elaia), che denotavano due piante tipiche dell’isola: il fico e l’olivo.
Abbiamo detto che la Sicilia fu, sin dall’antichità, legata al mito del dio Sole. Più precisamente lo storico catanese Santi Correnti (al cui testo faremo principalmente riferimento nel corso di queste lezioni) ricorda che una parte della Sicilia, esattamente il litorale jonico che va da Taormina verso Messina, si chiamò «Vitulia», perché vi erano allevati i vitelli dedicati al dio Sole, di cui era sacrilegio cibarsi.
Dobbiamo, a questo proposito, ricordare il Primo libro dell’Odissea, quando Omero narra che tutti i compagni di Ulisse morirono per essersi cibati delle carni sacre dei vitelli.
A riprova dell’antica designazione geografica del litorale ionico, Correnti precisa che l’unico degli 8100 Comuni italiani, denominato «Itala», è ubicato proprio in provincia di Messina, laddove gli antichi indicavano la «Vitulia».
Vale ancora far notare che il termine
«Vitulia», una volta oltrepassato lo Stretto di Messina si mutò in «Italia» (dando il nome alla nostra Nazione), sostituendo progressivamente lungo la Penisola, a partire dalla Calabria, i termini di Esperia, Ausonia, Vulcania, Nettunia, Saturnia ed Enotria.
«Vitulia», una volta oltrepassato lo Stretto di Messina si mutò in «Italia» (dando il nome alla nostra Nazione), sostituendo progressivamente lungo la Penisola, a partire dalla Calabria, i termini di Esperia, Ausonia, Vulcania, Nettunia, Saturnia ed Enotria.
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Le sarde a beccafico, in siciliano sardi a beccaficu, sono una preparazione di sarde tipica della gastronomia siciliana, in particolare Palermitana, Messinese e Catanese. È un piatto tipico siciliano e come tale è stato ufficialmente riconosciuto e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e Forestali.
Il nome del piatto deriva dai beccafichi volatili della famiglia dei Silvidi. In passato i nobili siciliani li consumavano, dopo averli cacciati, farciti delle loro stesse viscere e interiora. Il piatto era gustoso ma inavvicinabile al popolo in quanto bene di lusso. I popolani siciliani ripiegarono quindi sulle materie prime che potevano permettersi ovvero le sarde. Per imitare il ripieno d'interiora si pensò di utilizzare la mollica di pane, i pinoli e poco altro.
Buon pranzo 💋
Il nome del piatto deriva dai beccafichi volatili della famiglia dei Silvidi. In passato i nobili siciliani li consumavano, dopo averli cacciati, farciti delle loro stesse viscere e interiora. Il piatto era gustoso ma inavvicinabile al popolo in quanto bene di lusso. I popolani siciliani ripiegarono quindi sulle materie prime che potevano permettersi ovvero le sarde. Per imitare il ripieno d'interiora si pensò di utilizzare la mollica di pane, i pinoli e poco altro.
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Viennesi Messinesi
Sono morbidi e profumati. Potrebbero definirsi come “panini” aromatizzati al rum
Come far diventare un prodotto da forno un dolce irresistibile.
L’odore e la fragranza del panino al burro appena sfornato è irresistibile. Come non lasciarsi tentare da un panino morbido, caldo, dolce e profumato. Come può un prodotto così goloso diventare qualcosa di più delizioso? A Messina ci siamo riusciti. Lo abbiamo aromatizzato al rum aperto e farcito con della semplice crema chantilly e spolverato di zucchero a velo. Il Viennese Messinese è servito.
@sicilianewseinfo
Sono morbidi e profumati. Potrebbero definirsi come “panini” aromatizzati al rum
Come far diventare un prodotto da forno un dolce irresistibile.
L’odore e la fragranza del panino al burro appena sfornato è irresistibile. Come non lasciarsi tentare da un panino morbido, caldo, dolce e profumato. Come può un prodotto così goloso diventare qualcosa di più delizioso? A Messina ci siamo riusciti. Lo abbiamo aromatizzato al rum aperto e farcito con della semplice crema chantilly e spolverato di zucchero a velo. Il Viennese Messinese è servito.
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Il Melone Cartucciaro di Paceco
Dolce e gustoso da luglio,quasi fino a Natale,il Melone Cartucciaro di Paceco, nonostante sia a forte rischio estinzione, è una vera e propria istituzione della tradizione agroalimentare della cittadina di Paceco alle porte Trapani dove la sua coltivazione è stata recuperata.La sua dolcezza ed il suo ottimo sapore lo rendono un ingrediente perfetto per preparare ottime granite e gelati.Prima notizia sul melone giallo risale al I secolo a.C. nel “corno dell'abbondanza”,rinvenuto ad Alessandria d'Egitto,che ritrae quello che con ogni probabilità è un melone d'inverno.Non bisogna attendere molto per collocare in Sicilia la coltivazione di questa varietà di meloni. Era,infatti,il IV secolo a.C. quando lo storico Diodoro Sículo lo citava tra i frutti prodotti sull'isola ed in particolare in una zona che corrispondeva alle attuali pianure trapanesi.Si può affermare che quella del melone rappresenta una delle più antiche coltivazioni dell'agricoltura isolana.
@sicilianewseinfo
Dolce e gustoso da luglio,quasi fino a Natale,il Melone Cartucciaro di Paceco, nonostante sia a forte rischio estinzione, è una vera e propria istituzione della tradizione agroalimentare della cittadina di Paceco alle porte Trapani dove la sua coltivazione è stata recuperata.La sua dolcezza ed il suo ottimo sapore lo rendono un ingrediente perfetto per preparare ottime granite e gelati.Prima notizia sul melone giallo risale al I secolo a.C. nel “corno dell'abbondanza”,rinvenuto ad Alessandria d'Egitto,che ritrae quello che con ogni probabilità è un melone d'inverno.Non bisogna attendere molto per collocare in Sicilia la coltivazione di questa varietà di meloni. Era,infatti,il IV secolo a.C. quando lo storico Diodoro Sículo lo citava tra i frutti prodotti sull'isola ed in particolare in una zona che corrispondeva alle attuali pianure trapanesi.Si può affermare che quella del melone rappresenta una delle più antiche coltivazioni dell'agricoltura isolana.
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