La Giaurrina, il dolce tipico di San Sebastiano - Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
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La giaurrina, composta da due semplici ingredienti: miele e zucchero, è una preparazione tipica siciliana, per il giorno di San Sebastiano, protettore della cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto (ME).
E’ un dolce di strada e viene confezionato il giorno dei festeggiamenti, il 20 gennaio. Miele e zucchero vengono fatti bollire in una pentola di rame, fino a quando la mescolanza non diventa filante. Passo successivo è la lavorazione manuale della giaurrina, che viene impastata con le mani appendendola ad un chiodo, stirata e rigirata, e confezionata in piccole trecce.
Il risultato finale è un composto molto simile al caramello, che sorprende e regala un momento di dolcezza. La particolarità di questo dolce sta nel metodo di preparazione: la pasta di miele e zucchero viene stesa e lavorata utilizzando un chiodo, che nell’iconografia religiosa rappresenta lo strumento di martirio di San Sebastiano, che venne flagellato nel 304 per decisione dell'imperatore Diocleziano.
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E’ un dolce di strada e viene confezionato il giorno dei festeggiamenti, il 20 gennaio. Miele e zucchero vengono fatti bollire in una pentola di rame, fino a quando la mescolanza non diventa filante. Passo successivo è la lavorazione manuale della giaurrina, che viene impastata con le mani appendendola ad un chiodo, stirata e rigirata, e confezionata in piccole trecce.
Il risultato finale è un composto molto simile al caramello, che sorprende e regala un momento di dolcezza. La particolarità di questo dolce sta nel metodo di preparazione: la pasta di miele e zucchero viene stesa e lavorata utilizzando un chiodo, che nell’iconografia religiosa rappresenta lo strumento di martirio di San Sebastiano, che venne flagellato nel 304 per decisione dell'imperatore Diocleziano.
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Il tartufo Siciliano
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Quando si parla di tartufi si pensa subito al tartufo bianco d’Alba del Piemonte, oppure a quello delle Marche di Acqualagna o al famoso tartufo Nero di Norcia.
Ma bisogna sapere che in Sicilia, nelle aree boschive dei Monti Sicani, dei Nebrodi e delle Madonie, il tartufo è presente tutto l’anno.
Le specie di tartufo siciliano sono: il Tuber Aestivum detto volgarmente Scorzone, è una specie diffusa in tutto il territorio siciliano, caratterizzato da ascomi di colore bruno-nerastro e di dimensioni variabili tra 2 e 10 cm o più.
Si sviluppa nei mesi estivo-autunnali, da maggio a agosto.
Il Tuber Uncinatum, tartufo Uncinato variante dell’aestivum, che matura dopo le prime piogge autunnali.
Il Tuber Borchii noto anche con i nomi di Bianchetto o Marzuolo, è una specie presente nei boschi di latifoglie, di conifere e nei boschi misti.
Si tratta di un tartufo diffuso in tutta Europa, che predilige i versanti esposti a sud.
Il Bianchetto si raccoglie generalmente da dicembre fino a aprile ed è caratterizzato da un odore intenso; le sue dimensioni sono variabili da 1 a 10 cm.
Il Tuber Brumale detto tartufo Nero d’inverno, possiede ascomi caratterizzati da un odore gradevole di frutta fermentata, e viene raccolto in differenti boschi di latifoglie, generalmente da novembre ad aprile.
Il Tuber Brumale Moscatum, che si differenzia dal precedente per la pezzatura più grossa e le venature interne più estese.
Il Tuber Mesentericum detto tartufo Nero ordinario, si raccoglie prevalentemente in boschi di latifoglie a varie altitudini nel periodo compreso da novembre a marzo.
Nel 2020 la Regione Sicilia ha varato una propria norma: Legge Regionale 29/Dicembre/2020, n° 35 – Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela dei tartufi nella Regione Siciliana.
La Legge è in armonia con le disposizioni della Legge Nazionale 16/Dicembre/1985 n° 752 e successive modificazioni, la quale disciplina la raccolta, la conservazione e la commercializzazione dei tartufi freschi e conservati.
(Tratto da Terra,Regione Sicilia)
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Ma bisogna sapere che in Sicilia, nelle aree boschive dei Monti Sicani, dei Nebrodi e delle Madonie, il tartufo è presente tutto l’anno.
Le specie di tartufo siciliano sono: il Tuber Aestivum detto volgarmente Scorzone, è una specie diffusa in tutto il territorio siciliano, caratterizzato da ascomi di colore bruno-nerastro e di dimensioni variabili tra 2 e 10 cm o più.
Si sviluppa nei mesi estivo-autunnali, da maggio a agosto.
Il Tuber Uncinatum, tartufo Uncinato variante dell’aestivum, che matura dopo le prime piogge autunnali.
Il Tuber Borchii noto anche con i nomi di Bianchetto o Marzuolo, è una specie presente nei boschi di latifoglie, di conifere e nei boschi misti.
Si tratta di un tartufo diffuso in tutta Europa, che predilige i versanti esposti a sud.
Il Bianchetto si raccoglie generalmente da dicembre fino a aprile ed è caratterizzato da un odore intenso; le sue dimensioni sono variabili da 1 a 10 cm.
Il Tuber Brumale detto tartufo Nero d’inverno, possiede ascomi caratterizzati da un odore gradevole di frutta fermentata, e viene raccolto in differenti boschi di latifoglie, generalmente da novembre ad aprile.
Il Tuber Brumale Moscatum, che si differenzia dal precedente per la pezzatura più grossa e le venature interne più estese.
Il Tuber Mesentericum detto tartufo Nero ordinario, si raccoglie prevalentemente in boschi di latifoglie a varie altitudini nel periodo compreso da novembre a marzo.
Nel 2020 la Regione Sicilia ha varato una propria norma: Legge Regionale 29/Dicembre/2020, n° 35 – Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela dei tartufi nella Regione Siciliana.
La Legge è in armonia con le disposizioni della Legge Nazionale 16/Dicembre/1985 n° 752 e successive modificazioni, la quale disciplina la raccolta, la conservazione e la commercializzazione dei tartufi freschi e conservati.
(Tratto da Terra,Regione Sicilia)
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Chiesa di Santa Domenica (Badia) – Cammarata (AG)
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La chiesa venne costruita verso la metà del 1400 e appartenne alla confraternita di S. Filippo di Agirò.
Anche il monastero risale al 1400 e venne costruito dai Branciforti.
Verso la metà del XVIII secolo la chiesa e il monastero vennero ceduti alle Benedettine che, nei locali annessi, fondarono il nuovo convento destinato a sostituire quello dell'Annunziata, ormai pericolante e crollato a causa di una frana.
Nel 1866 la chiesa venne privata del monastero (trasformato in municipio), cominciò a decadere e venne chiusa al pubblico. Nei primi anni 90 del XX secolo risultava molto compromessa. Era evidente lo stato di degrado dovuto alla mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
I lavori compiuti con il restauro del 1992 erano volti al consolidamento delle fondazione della muratura, degli archi, delle volte e delle coperture.
Il portone ligneo d'ingresso è stato restaurato e la pavimentazione è stata dismessa e sostituita da una pavimentazione in marmo siciliano, tipo Bellieni. La chiesa è ad un'unica navata, sormontata da una volta a botte lunettata in corrispondenza delle finestre laterali. Il coro è costituito da un piano rialzato rispetto alla pavimentazione.
L'ingresso è sormontato da una cantoria sorretta da sei colonne, che sostengono archi policentrici dalle forme "arabeggianti". La cantoria è schermata da una griglia in legno decorata a fregi e vi si accede tramite una scala a chiocciola ubicata ad est del paravento mentre, ad ovest, è collocato il fonte battesimale di forma ottagonale. Nei due lati della navata vi sono segni di quattro altari simmetrici collocati tra un sistema di paraste sormontati da colonne; superiormente la cornice cinge perimetralmente tutta la chiesa per concludersi nel parapetto della cantoria.
Al di sopra della cornice un secondo ordine di paraste scandisce le tre finestre. L'abside è semicircolare, ornato da colonne con capitelli corinzi. L'altare maggiore si trova su un piano rialzato e presenta caratteristiche artistiche di pregevole fattura; i ripiani sono realizzati con pietra calcarea lavorata con sagomatura, mentre l'altare è di marmo intarsiato, del XVII secolo. Il prospetto principale è composto da conci squadrati di pietra calcarea locale a faccia vista.
Presenta caratteristiche neoclassiche, un portale composto da due paraste di modeste dimensioni che sorreggono un arco, all'interno di esso è posto il portone ligneo. Il primo ordine della facciata è scandito da quattro lesene e simmetricamente, ai due lati del portale, sono presenti due nicchie prive di statue.
Il secondo ordine è separato dal primo attraverso una cornice, a sbalzo in malta di calce; le quattro lesene del primo ordine continuano nel secondo, nella parte mediana è presente una finestra di forma rettangolare e, disposte in maniera analoga a quelle del primo ordine, troviamo due nicchie ai lati del prospetto di dimensioni minori rispetto a quelle inferiori.
Superiormente a chiudere l'organismo architettonico troviamo il timpano triangolare.
Il sistema costruttivo usato è in muratura portante con conci di pietra calcarea del luogo.
Il tetto è realizzato a capanna, a due falde, su travatura in legno.
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Anche il monastero risale al 1400 e venne costruito dai Branciforti.
Verso la metà del XVIII secolo la chiesa e il monastero vennero ceduti alle Benedettine che, nei locali annessi, fondarono il nuovo convento destinato a sostituire quello dell'Annunziata, ormai pericolante e crollato a causa di una frana.
Nel 1866 la chiesa venne privata del monastero (trasformato in municipio), cominciò a decadere e venne chiusa al pubblico. Nei primi anni 90 del XX secolo risultava molto compromessa. Era evidente lo stato di degrado dovuto alla mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
I lavori compiuti con il restauro del 1992 erano volti al consolidamento delle fondazione della muratura, degli archi, delle volte e delle coperture.
Il portone ligneo d'ingresso è stato restaurato e la pavimentazione è stata dismessa e sostituita da una pavimentazione in marmo siciliano, tipo Bellieni. La chiesa è ad un'unica navata, sormontata da una volta a botte lunettata in corrispondenza delle finestre laterali. Il coro è costituito da un piano rialzato rispetto alla pavimentazione.
L'ingresso è sormontato da una cantoria sorretta da sei colonne, che sostengono archi policentrici dalle forme "arabeggianti". La cantoria è schermata da una griglia in legno decorata a fregi e vi si accede tramite una scala a chiocciola ubicata ad est del paravento mentre, ad ovest, è collocato il fonte battesimale di forma ottagonale. Nei due lati della navata vi sono segni di quattro altari simmetrici collocati tra un sistema di paraste sormontati da colonne; superiormente la cornice cinge perimetralmente tutta la chiesa per concludersi nel parapetto della cantoria.
Al di sopra della cornice un secondo ordine di paraste scandisce le tre finestre. L'abside è semicircolare, ornato da colonne con capitelli corinzi. L'altare maggiore si trova su un piano rialzato e presenta caratteristiche artistiche di pregevole fattura; i ripiani sono realizzati con pietra calcarea lavorata con sagomatura, mentre l'altare è di marmo intarsiato, del XVII secolo. Il prospetto principale è composto da conci squadrati di pietra calcarea locale a faccia vista.
Presenta caratteristiche neoclassiche, un portale composto da due paraste di modeste dimensioni che sorreggono un arco, all'interno di esso è posto il portone ligneo. Il primo ordine della facciata è scandito da quattro lesene e simmetricamente, ai due lati del portale, sono presenti due nicchie prive di statue.
Il secondo ordine è separato dal primo attraverso una cornice, a sbalzo in malta di calce; le quattro lesene del primo ordine continuano nel secondo, nella parte mediana è presente una finestra di forma rettangolare e, disposte in maniera analoga a quelle del primo ordine, troviamo due nicchie ai lati del prospetto di dimensioni minori rispetto a quelle inferiori.
Superiormente a chiudere l'organismo architettonico troviamo il timpano triangolare.
Il sistema costruttivo usato è in muratura portante con conci di pietra calcarea del luogo.
Il tetto è realizzato a capanna, a due falde, su travatura in legno.
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📍CATANIA (Porta Ferdinandea).
Forse non sapevi che ...
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La porta Ferdinandea, dopo il 1860 intitolata porta Garibaldi, è un arco trionfale costruito nel 1768 a Catania su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia per commemorare le nozze di re Ferdinando III di Sicilia e Maria Carolina d'Asburgo-Lorena.
Si trova tra piazza Palestro e piazza Crocifisso, alla fine di via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere Fortino, in dialetto catanese Furtinu.
Il monumento è realizzato alternando pietra bianca di Siracusa e blocchi di lava scura locale. In alto al centro dell'arco si trova ora un orologio, circondato da simboli allegorici, tra cui un'aquila e un elefante, simbolo di Catania.
In origine, al posto di un orologio, c'era un busto marmoreo del re Borbone. Al secondo livello si trovano due angeli con trombe, al terzo due Trofei d'armi, con raffigurazioni scultoree di armi e armature e sono scritte due frasi: una dice Litteris armatur (armato con le lettere) e l'altra Armis decoratur (decorato con le armi). Sul lato Est lo scudo del timpano raffigura una Fenice che risorge dalle fiamme con un cartiglio che recita Melior de cinere surgo (Migliore dalle ceneri risorgo).
La zona è chiamata 'u Furtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldo, principe di Ligne, dopo l'eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale, annullandone le difese medievali. Dell'opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero.
Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt'altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt'altro rispetto ai progetti originari.
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In origine, al posto di un orologio, c'era un busto marmoreo del re Borbone. Al secondo livello si trovano due angeli con trombe, al terzo due Trofei d'armi, con raffigurazioni scultoree di armi e armature e sono scritte due frasi: una dice Litteris armatur (armato con le lettere) e l'altra Armis decoratur (decorato con le armi). Sul lato Est lo scudo del timpano raffigura una Fenice che risorge dalle fiamme con un cartiglio che recita Melior de cinere surgo (Migliore dalle ceneri risorgo).
La zona è chiamata 'u Furtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldo, principe di Ligne, dopo l'eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale, annullandone le difese medievali. Dell'opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero.
Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt'altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt'altro rispetto ai progetti originari.
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