Antichi mulini ad acqua - Castrofilippo (AG)
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Ubicati tra le campagne del Castellaccio, Azzalora e Pìcciola di Castrofilippo, si trovano i resti di quattro antichi mulini ad acqua risalenti al 1600, che rispecchiano la tipica forma del mulino ad acqua siciliano.
La struttura muraria di questo tipo di mulino era formata dalla successione architettonica di un acquedotto, un bastione e la casa del mulino.
I mulini ad acqua di Castrofilippo erano: il Mulino delle Rocche, detto anche Mulinu di Susu; il Mulino d’Immiezzu; il Mulino dell’Azzalora, detto Mulinu di Jusu; il Mulino di S.Antonino. Quest’ultimo era il meno adoperato perché si trovava in una posizione disagiata e spesso veniva travolto dalla potenza dell’acqua (è stato infatti ricostruito più volte).
Dunque i mulini più importanti della zona, per la quantità di grano molita, erano solo i primi tre, che si trovavano in un territorio la cui conformazione naturale permetteva un’ingente raccolta di acqua che alimentava il fiume Bigini in un tratto breve di poco più di un km.
I mulini erano di proprietà dei Duchi di Castrofilippo, che ottenevano il guadagno tenendo per loro un ottavo del macinato; la quinta parte di esso andava al Comune, che aveva il compito di curare la manutenzione tramite operai specializzati, noti come maestri dei corsi d’acqua.
Il più importante tra i tre mulini, che erano attivi tutto l’anno, era il Mulino d’Immiezzu in quanto era dotato di una macina più grande, che di conseguenza macinava una quantità di grano maggiore; tale mulino era inoltre gravato dal censo, pertanto annualmente destinava 500 onze per la manutenzione della Chiesa Madre.
I mulini ad acqua furono utilizzati fino agli anni Trenta del ‘900, quando fu costruito il più moderno mulino cittadino del Sacro Cuore di Gesù da parte di Don Vincenzo Savatteri.
(Informazioni storiche tratte da C. Serravillo)
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La struttura muraria di questo tipo di mulino era formata dalla successione architettonica di un acquedotto, un bastione e la casa del mulino.
I mulini ad acqua di Castrofilippo erano: il Mulino delle Rocche, detto anche Mulinu di Susu; il Mulino d’Immiezzu; il Mulino dell’Azzalora, detto Mulinu di Jusu; il Mulino di S.Antonino. Quest’ultimo era il meno adoperato perché si trovava in una posizione disagiata e spesso veniva travolto dalla potenza dell’acqua (è stato infatti ricostruito più volte).
Dunque i mulini più importanti della zona, per la quantità di grano molita, erano solo i primi tre, che si trovavano in un territorio la cui conformazione naturale permetteva un’ingente raccolta di acqua che alimentava il fiume Bigini in un tratto breve di poco più di un km.
I mulini erano di proprietà dei Duchi di Castrofilippo, che ottenevano il guadagno tenendo per loro un ottavo del macinato; la quinta parte di esso andava al Comune, che aveva il compito di curare la manutenzione tramite operai specializzati, noti come maestri dei corsi d’acqua.
Il più importante tra i tre mulini, che erano attivi tutto l’anno, era il Mulino d’Immiezzu in quanto era dotato di una macina più grande, che di conseguenza macinava una quantità di grano maggiore; tale mulino era inoltre gravato dal censo, pertanto annualmente destinava 500 onze per la manutenzione della Chiesa Madre.
I mulini ad acqua furono utilizzati fino agli anni Trenta del ‘900, quando fu costruito il più moderno mulino cittadino del Sacro Cuore di Gesù da parte di Don Vincenzo Savatteri.
(Informazioni storiche tratte da C. Serravillo)
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È una delle colonie fondate da Selinunte sulla costa meridionale dell'estremo angolo occidentale della Sicilia.
Il suo primo nome era stato Minoa, che ripete quello dell'isoletta sita davanti a Megara di Grecia e trapiantato in questa parte di Sicilia dai Megaresi che avevano fondato Selinunte. Quando, verso la fine del sec. VI a. C., lo spartano Dorieo venne nell'isola, i suoi compagni, guidati da Eurileonte, andarono nella colonia megarese, cui diedero il nome del mitico progenitore di Dorieo, Eracle, chiamandola Eraclea-Minoa.
Eraclea solo per breve tempo, nel sec. V a. C., rimase indipendente, poiché per la sua posizione, quasi al confine tra la Sicilia greca e quella cartaginese, passò continuamente nelle mani ora dell'uno ora dell'altro dei due popoli nemici. Venuta in potere dei Cartaginesi poco prima del 406, nel 386 fu ripresa da Dionisio, ma nel 357 è di nuovo in potere dei Punici; riacquistata dai Greci ai tempi di Agatocle, nel 278 è di nuovo occupata dai Cartaginesi, ai quali solo per breve tempo fu ritolta da Pirro.
Ignoriamo quando precisamente se ne siano impadroniti i Romani. Nella seconda guerra punica, nel 214, vi sbarca il cartaginese Imilcone. Dopo la caduta di Agrigento torna in potere dei Romani.
Sotto questi ultimi essa fu tra le civitates decumanae. Ebbe probabilmente a soffrire durante le guerre servili, e, infatti, venne poi ripopolata da coloni condottivi da Rupilio.
Fu tra le città che subirono le malversazioni di Verre e nelle guerre di costui contro i pirati contribuì con una nave. Il sito di Eraclea, alle foci del Platani, è oggi identificato. Fra gli avanzi antichi, notevoli quelli di un teatro.
(Guido Libertini, Enciclopedia Treccani)
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Il suo primo nome era stato Minoa, che ripete quello dell'isoletta sita davanti a Megara di Grecia e trapiantato in questa parte di Sicilia dai Megaresi che avevano fondato Selinunte. Quando, verso la fine del sec. VI a. C., lo spartano Dorieo venne nell'isola, i suoi compagni, guidati da Eurileonte, andarono nella colonia megarese, cui diedero il nome del mitico progenitore di Dorieo, Eracle, chiamandola Eraclea-Minoa.
Eraclea solo per breve tempo, nel sec. V a. C., rimase indipendente, poiché per la sua posizione, quasi al confine tra la Sicilia greca e quella cartaginese, passò continuamente nelle mani ora dell'uno ora dell'altro dei due popoli nemici. Venuta in potere dei Cartaginesi poco prima del 406, nel 386 fu ripresa da Dionisio, ma nel 357 è di nuovo in potere dei Punici; riacquistata dai Greci ai tempi di Agatocle, nel 278 è di nuovo occupata dai Cartaginesi, ai quali solo per breve tempo fu ritolta da Pirro.
Ignoriamo quando precisamente se ne siano impadroniti i Romani. Nella seconda guerra punica, nel 214, vi sbarca il cartaginese Imilcone. Dopo la caduta di Agrigento torna in potere dei Romani.
Sotto questi ultimi essa fu tra le civitates decumanae. Ebbe probabilmente a soffrire durante le guerre servili, e, infatti, venne poi ripopolata da coloni condottivi da Rupilio.
Fu tra le città che subirono le malversazioni di Verre e nelle guerre di costui contro i pirati contribuì con una nave. Il sito di Eraclea, alle foci del Platani, è oggi identificato. Fra gli avanzi antichi, notevoli quelli di un teatro.
(Guido Libertini, Enciclopedia Treccani)
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Castello Bonanno – Canicattì (AG)
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Oggi in stato di rudere, ha origini che riportano alla dominazione araba.
Si pensa sia stato costruito nel 1089 da Ruggero I, nel luogo dove vi fosse prima un fortilizio arabo. L'ingresso al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella.
Le celle carcerarie erano al pianterreno del castello, attorno a un cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane.
Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria. Al piano superiore, a cui si accedeva da una scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose.
Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna. Questi, precursore dei tempi, gettò le basi per il futuro sviluppo della città nella zona bassa pianeggiante, favorendone il progresso come importante centro viario e commerciale.
(Testo e foto ComuneCanicattì)
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Si pensa sia stato costruito nel 1089 da Ruggero I, nel luogo dove vi fosse prima un fortilizio arabo. L'ingresso al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella.
Le celle carcerarie erano al pianterreno del castello, attorno a un cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane.
Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria. Al piano superiore, a cui si accedeva da una scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose.
Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna. Questi, precursore dei tempi, gettò le basi per il futuro sviluppo della città nella zona bassa pianeggiante, favorendone il progresso come importante centro viario e commerciale.
(Testo e foto ComuneCanicattì)
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Leonardo Sciascia nasce 8 Gennaio del 1921.
(Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) .
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#accaddeoggi #siciliastoria #storiadisicilia #limportanzadellamemoria #ceraunavoltainsicilia #siciliaantica #scrittorisiciliani #culturasiciliana #siciliacultura
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E' stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d'arte e insegnante.
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo.
Leonardo Sciascia nasce l'8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre era impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre.
Trascorre l'infanzia circondato da zie e zii nella casa di Racalmuto di via Regina Margherita, 37 (oggi via Leonardo Sciascia), aperta al pubblico nel luglio del 2019 da privati e inserita nel percorso turistico "Strada degli scrittori".
Dall'esperienza d'insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell'arretratezza siciliana.
Successivamente, senza trascurare una vena saggistico-libellista, di dichiarata ascendenza illuministica (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1970; Nero su nero, 1979; Cruciverba, 1983; ecc.), ottenne un crescente successo di pubblico con una serie di romanzi brevi di ambientazione prevalentemente siciliana (Il giorno della civetta, 1961; A ciascuno il suo, 1966; Il contesto, 1971; Todo modo, 1974; Una storia semplice, 1989), in cui la denuncia del sistema di connivenze di cui godeva la mafia coinvolgeva la politica nazionale e alludeva alla diffusione incontenibile della mentalità mafiosa.
Investì poi la sua penetrante immaginazione inquisitoria nella ricerca storiografica (Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, 1971; La scomparsa di Majorana, 1975; I pugnalatori, 1976; Dalle parti degli infedeli, 1979) fino a misurarsi con la tragica attualità del terrorismo (L'affaire Moro, 1978), anche come relatore di minoranza nella commissione parlamentare d'inchiesta sull'assassinio di A. Moro e sul terrorismo in Italia (era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1979 nelle liste del Partito radicale).
La produzione letteraria di Sciascia è raccolta in Opere (3 voll., a cura di C. Ambroise, 1987-91).
«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma…»
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
💻Fonti: Eciclopedia Treccani – Enciclopedia Wikipedia
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#accaddeoggi #siciliastoria #storiadisicilia #limportanzadellamemoria #ceraunavoltainsicilia #siciliaantica #scrittorisiciliani #culturasiciliana #siciliacultura
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo.
Leonardo Sciascia nasce l'8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre era impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre.
Trascorre l'infanzia circondato da zie e zii nella casa di Racalmuto di via Regina Margherita, 37 (oggi via Leonardo Sciascia), aperta al pubblico nel luglio del 2019 da privati e inserita nel percorso turistico "Strada degli scrittori".
Dall'esperienza d'insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell'arretratezza siciliana.
Successivamente, senza trascurare una vena saggistico-libellista, di dichiarata ascendenza illuministica (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1970; Nero su nero, 1979; Cruciverba, 1983; ecc.), ottenne un crescente successo di pubblico con una serie di romanzi brevi di ambientazione prevalentemente siciliana (Il giorno della civetta, 1961; A ciascuno il suo, 1966; Il contesto, 1971; Todo modo, 1974; Una storia semplice, 1989), in cui la denuncia del sistema di connivenze di cui godeva la mafia coinvolgeva la politica nazionale e alludeva alla diffusione incontenibile della mentalità mafiosa.
Investì poi la sua penetrante immaginazione inquisitoria nella ricerca storiografica (Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, 1971; La scomparsa di Majorana, 1975; I pugnalatori, 1976; Dalle parti degli infedeli, 1979) fino a misurarsi con la tragica attualità del terrorismo (L'affaire Moro, 1978), anche come relatore di minoranza nella commissione parlamentare d'inchiesta sull'assassinio di A. Moro e sul terrorismo in Italia (era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1979 nelle liste del Partito radicale).
La produzione letteraria di Sciascia è raccolta in Opere (3 voll., a cura di C. Ambroise, 1987-91).
«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma…»
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
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