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🚗 Gita in provincia di Messina💛❤️ dove andare? Una perla da scoprire è sicuramente Tindari.
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🏛 Ha un passato glorioso: fu fondata da Dionisio di Siracusa come colonia di mercenari siracusani e prese il nome da Tyndaris, in onore del mitico re di Sparta. L’area archeologica di Tindari racchiude i resti dell’antica città costruita in pietra arenaria. Bellissimo il teatro greco di Tindari, di sicuro il monumento antico simbolo della città.
🕍 Da non perdere il santuario di Tindari, posizionato in luogo altamente suggestivo, su un promontorio a strapiombo. Qui sorgeva l’acropoli della città. Oggi, il simbolo del santuario è la statua della Madonna Nera, tutta in legno di cedro, probabilmente giunta a Tindari in seguito all’esplosione dell’iconoclastia. Tipico esempio di arte africana e orientale, è raffigurata come “Regina in trono”, e regge in braccio Gesù Bambino. E nella base della statua una citazione del Cantico dei Cantici “Nigra sum sed formosa”, sono bruna, ma bella.
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🕍 Da non perdere il santuario di Tindari, posizionato in luogo altamente suggestivo, su un promontorio a strapiombo. Qui sorgeva l’acropoli della città. Oggi, il simbolo del santuario è la statua della Madonna Nera, tutta in legno di cedro, probabilmente giunta a Tindari in seguito all’esplosione dell’iconoclastia. Tipico esempio di arte africana e orientale, è raffigurata come “Regina in trono”, e regge in braccio Gesù Bambino. E nella base della statua una citazione del Cantico dei Cantici “Nigra sum sed formosa”, sono bruna, ma bella.
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SiViaggia
Cosa vedere a Tindari, tra cultura, mare e mito
Viaggio a Tindari, località affacciata sul golfo di Patti: il santuario dedicato alla Madonna Nera, l’area archeologica e il Festival dei due mari, le spiagge.
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differenza tra chi ci mette passione e chi fa copia e incolla.
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Alla scoperta della garitta sul mare nel borgo di Santa Tecla
Grazie a 🎥@salvoat per questo video meraviglioso😍
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Santa Tecla
Santa Tecla è un piccolo borgo marinaro, nei pressi di Acireale, all’interno della meravigliosa Riviera dei Limoni o dei Ciclopi, a cui appartengono anche Aci Castello e Aci Trezza.
Sormontata dalla maestosa Timpa, la frazione si distende sul mar Ionio, su di una compatta e frastagliata scogliera di roccia di origine vulcanica, che dà vita al Golfo di Santa Tecla, segnalato nelle antiche mappe come “Sinus S.Theclae“. Essa è immersa fra agrumeti, arbusti e piante tipici della macchia mediterranea, ulivi e mandorli.
La costa ionica catanese presenta paesaggi particolari, suggestivi e unici nelle sue componenti.
Vi è capitato di scorgere fra gli scogli lavici, castelli, torri, fortezze e garitte? Oggi vi facciamo conoscere la garitta di Scalo Pennisi di Santa Tecla, frazione dell’antica Aquilia, l’odierna Acireale, che ha ancora tanto da dirci sulla nostra storia.
Le garitte spagnole
Si tratta di costruzioni molto diffuse in età medievale e moderna.
La garitta di vedetta veniva costruita con lo scopo di proteggere una sentinella e consentirgli la difesa dell’area, oltre che offrirgli un’ampia visuale sull’orizzonte.
In alcuni casi era dotata di feritoie che permettevano ad un balestriere di colpire il nemico, rimanendo al riparo. Durante il periodo della dominazione spagnola, soprattutto lungo le coste siciliane, vennero costruite garitte in abbondanza; ad oggi se ne contano oltre duecento. Esse costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo tutta la fascia costiera del Regno di Sicilia.
Tra di loro, le varie postazioni comunicavano grazie ai segnali luminosi, detti fani, e a quelli di fumo. Molte di queste costruzioni sono un patrimonio storico-culturale sostanzialmente sconosciuto al pubblico, affascinato dal connubio fra storia, cronache, leggende e mito.
Una delle più belle garitte si trova a Santa Tecla.
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Santa Tecla è un piccolo borgo marinaro, nei pressi di Acireale, all’interno della meravigliosa Riviera dei Limoni o dei Ciclopi, a cui appartengono anche Aci Castello e Aci Trezza.
Sormontata dalla maestosa Timpa, la frazione si distende sul mar Ionio, su di una compatta e frastagliata scogliera di roccia di origine vulcanica, che dà vita al Golfo di Santa Tecla, segnalato nelle antiche mappe come “Sinus S.Theclae“. Essa è immersa fra agrumeti, arbusti e piante tipici della macchia mediterranea, ulivi e mandorli.
La costa ionica catanese presenta paesaggi particolari, suggestivi e unici nelle sue componenti.
Vi è capitato di scorgere fra gli scogli lavici, castelli, torri, fortezze e garitte? Oggi vi facciamo conoscere la garitta di Scalo Pennisi di Santa Tecla, frazione dell’antica Aquilia, l’odierna Acireale, che ha ancora tanto da dirci sulla nostra storia.
Le garitte spagnole
Si tratta di costruzioni molto diffuse in età medievale e moderna.
La garitta di vedetta veniva costruita con lo scopo di proteggere una sentinella e consentirgli la difesa dell’area, oltre che offrirgli un’ampia visuale sull’orizzonte.
In alcuni casi era dotata di feritoie che permettevano ad un balestriere di colpire il nemico, rimanendo al riparo. Durante il periodo della dominazione spagnola, soprattutto lungo le coste siciliane, vennero costruite garitte in abbondanza; ad oggi se ne contano oltre duecento. Esse costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo tutta la fascia costiera del Regno di Sicilia.
Tra di loro, le varie postazioni comunicavano grazie ai segnali luminosi, detti fani, e a quelli di fumo. Molte di queste costruzioni sono un patrimonio storico-culturale sostanzialmente sconosciuto al pubblico, affascinato dal connubio fra storia, cronache, leggende e mito.
Una delle più belle garitte si trova a Santa Tecla.
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"L'Isola che non c'è" esiste ed è in Sicilia: dove scoprire i resti dell'antica Ferdinandea.
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⚜#Palermo #Storia #Curiosità
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Tra tutti i reperti presenti all’interno del museo di Geologia e Paleontologia Gaetano Giorgio Gemmellaro di Palermo, una teca conserva una delle storie più interessanti ed insolite dell’intero istituto.
All’interno di quella che un tempo era la sala Enzo Burgio e che da qualche tempo è divenuta la nuova sala dei Dinosauri, il museo infatti conserva una delle poche testimonianze storiche dell’antica eruzione del 1831 che nel cuore stesso del Mediterraneo fece emergere in pochi mesi quella che venne ricordata come Isola Ferdinandea.
Tale eruzione divenne un vero e proprio caso politico e militare nell’Europa della post restaurazione che aveva appena riassegnato i confini delle varie nazioni, dopo l’impresa di Napoleone che aveva unito il continente sotto un’unica bandiera.
A noi però interessa maggiormente esplorare l’eruzione dal punto di vista umano e scientifico di Carlo Gemmellaro, che fu praticamente costretto e quasi obbligato a partire verso l’isola dall’amministrazioni borboniche che a quel tempo controllavano la Sicilia.
Non che partire verso l’ignoto dispiacesse al buon Gemmellaro, che nel corso di pochi anni aveva raggiunto fama internazionale e proprio nel 1831 era divenuto docente di Storia Naturale, Geologia e Mineralogia presso l’Università di Catania.
Fu così che giunto presso la costa di Sciacca – il tratto di Sicilia antistante la grande eruzione, dove già parecchi naturalisti e artisti avevano tentato di seguire e studiare l’eruzione – Gemmellaro si ritrovò ad imbacarsi presso una nave della regia marina borbonica nel tentativo di scendere su Ferdinandea, in uno dei momenti di minore attività eruttiva, campionare qualche roccia, esplorare qualche metro di costa e redigere così un documento ufficiale sulla natura dell’isola emersa.
Emersa a fine giugno, solo il 7 luglio del 1831 riuscì ad accumulare una superficie di scorie sufficienti (circa 8 metri quadrati) da poter essere avvistata dal mareE nel pieno della sua eruzione, ovvero proprio nei giorni in cui Carlo Gemmellaro gli si avvicinò, l’isola non raggiungeva i 200 metri quadrati ed emergeva dalle acque per circa 63 metri.
Gemmellaro sapientemente prelevò anche dall’isola dei campioni, che oggi sono conservati presso il museo Gemmellaro di Palermo fondato dal figlio.
Esso infatti pensava che da lì a poco Ferdinandea sarebbe scomparsa e questi campioni infatti poi si rivelarono molto utili, di seguito alla scomparsa dell’isola, datata alla fine di ottobre del 1831. In un periodo in cui non esistevano ancora i batiscafi e le moderne tecniche di indagine, per studiare la chimica dell’eruzione e descrivere la natura geologica del tratto di fondale coperto dal mare del Canale di Sicilia i geologi infatti furono costretti a studiare le rocce prelevate da Gemmellaro, le uniche testimonianze rimaste dell’evento geologico.
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All’interno di quella che un tempo era la sala Enzo Burgio e che da qualche tempo è divenuta la nuova sala dei Dinosauri, il museo infatti conserva una delle poche testimonianze storiche dell’antica eruzione del 1831 che nel cuore stesso del Mediterraneo fece emergere in pochi mesi quella che venne ricordata come Isola Ferdinandea.
Tale eruzione divenne un vero e proprio caso politico e militare nell’Europa della post restaurazione che aveva appena riassegnato i confini delle varie nazioni, dopo l’impresa di Napoleone che aveva unito il continente sotto un’unica bandiera.
A noi però interessa maggiormente esplorare l’eruzione dal punto di vista umano e scientifico di Carlo Gemmellaro, che fu praticamente costretto e quasi obbligato a partire verso l’isola dall’amministrazioni borboniche che a quel tempo controllavano la Sicilia.
Non che partire verso l’ignoto dispiacesse al buon Gemmellaro, che nel corso di pochi anni aveva raggiunto fama internazionale e proprio nel 1831 era divenuto docente di Storia Naturale, Geologia e Mineralogia presso l’Università di Catania.
Fu così che giunto presso la costa di Sciacca – il tratto di Sicilia antistante la grande eruzione, dove già parecchi naturalisti e artisti avevano tentato di seguire e studiare l’eruzione – Gemmellaro si ritrovò ad imbacarsi presso una nave della regia marina borbonica nel tentativo di scendere su Ferdinandea, in uno dei momenti di minore attività eruttiva, campionare qualche roccia, esplorare qualche metro di costa e redigere così un documento ufficiale sulla natura dell’isola emersa.
Emersa a fine giugno, solo il 7 luglio del 1831 riuscì ad accumulare una superficie di scorie sufficienti (circa 8 metri quadrati) da poter essere avvistata dal mareE nel pieno della sua eruzione, ovvero proprio nei giorni in cui Carlo Gemmellaro gli si avvicinò, l’isola non raggiungeva i 200 metri quadrati ed emergeva dalle acque per circa 63 metri.
Gemmellaro sapientemente prelevò anche dall’isola dei campioni, che oggi sono conservati presso il museo Gemmellaro di Palermo fondato dal figlio.
Esso infatti pensava che da lì a poco Ferdinandea sarebbe scomparsa e questi campioni infatti poi si rivelarono molto utili, di seguito alla scomparsa dell’isola, datata alla fine di ottobre del 1831. In un periodo in cui non esistevano ancora i batiscafi e le moderne tecniche di indagine, per studiare la chimica dell’eruzione e descrivere la natura geologica del tratto di fondale coperto dal mare del Canale di Sicilia i geologi infatti furono costretti a studiare le rocce prelevate da Gemmellaro, le uniche testimonianze rimaste dell’evento geologico.
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"L'Isola che non c'è" esiste ed è in Sicilia: dove scoprire i resti dell'antica Ferdinandea
Emersa a fine giugno, solo il 7 luglio del 1831 riuscì ad accumulare una superficie di scorie sufficienti (circa 8 metri quadrati) da poter essere avvistata dal mare
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Portale sulla Sagra del Tataratà - Casteltermini (AG) - Festa di Santa Croce
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Portale sulla Sagra del Tataratà - Casteltermini (AG) - Festa di Santa Croce
I tamburi sono gli altri indiscussi protagonisti della Sagra. È proprio il tamburo a dare inizio alla Sagra con l’attesa “tamburinata” di Pasqua. È sempre il tamburo ad accompagnare i ceti in sfilata, dalla Domenica di Pasqua all’inizio vero e proprio della…
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🗞 In Sicilia abbiamo tutto, anche i tartufi! La pregiata scoperta nei boschi di Gangi
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In Sicilia abbiamo tutto, anche i tartufi! La pregiata scoperta nei boschi di Gangi
19 Apr 2023 News È proprio vero che in Sicilia non ci manca nulla: nei pressi di Gangi, nel Palermitano, è stato trovato il prezioso tartufo Tuber borchii (Marzuolo o Bianchetto). Sei su Telegram? Ti piacciono le nostre notizie? Segui il canale di SiciliaFan!…
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📍𝑮𝒐𝒍𝒆 𝑹𝒂𝒏𝒄𝒊𝒂𝒓𝒂
Al confine dei territori tra Casalvecchio Siculo e Limina.
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#montagna #fiume #rocce
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Situate tra i comuni di Limina e Casalvecchio Siculo, le "Gole Ranciara" così denominate per la presenza nella vallata di alberi di arancio che in dialetto locale si definisce "ranciara", rappresentano una delle più belle espressioni di erosione carsica di tutta la Sicilia.
Le "Gole Ranciara" si trovano nel versante Ionico dei Monti Peloritani e dalla "Montagna Grande" che domina tutta la vallata d'Agrò, si origina l'omonima fiumara che si estende per circa 18 km tra zone in cui il suo corso è di tipo torrentizio (a valle) e zone in cui al contrario si presenta estremamente selvaggio ed impervio (a monte).
Le "Gole Ranciara" sono facilmente raggiungibili percorrendo la provinciale che dalla riviera Ionica porta in direzione Antillo, e più precisamente poco prima del bivio per Casalvecchio Siculo.
L'escursione, come tutte le escursioni nei torrenti, è impegnativa, ed è consigliata, specie per il tratto a monte della cascata, solo a visitatori esperti di torrentismo e dotati di idonea attrezzatura, ma per tutti coloro che non sono esperti e volessero comunque cimentarsi in questa escursione fantastica, potranno contattare agenzie specializzate www.etnaadventure.it che oltre ad avvalersi di guide esperte, vi fornirà anche tutta l'attrezzatura necessaria per affrontare il percorso in assoluta sicurezza.
Lungo una gola molto aperta, un divertente percorso acquatico vi farà vivere emozioni uniche con un passaggio ingrottato , lo scivolamento da una cascatella-toboga ed un finale spettacolare con discesa su corda da una cascata di 25 mt tra pareti alte quasi 100 mt.
Il cammino richiede l'abilità di saltare da un masso all'altro, di arrampicarsi e di sapersi muovere con prudenza tra i sassi del percorso fluviale, una buona preparazione fisica, e tanto spirito d'avventura!
👉@sicilianewseinfo
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Le "Gole Ranciara" si trovano nel versante Ionico dei Monti Peloritani e dalla "Montagna Grande" che domina tutta la vallata d'Agrò, si origina l'omonima fiumara che si estende per circa 18 km tra zone in cui il suo corso è di tipo torrentizio (a valle) e zone in cui al contrario si presenta estremamente selvaggio ed impervio (a monte).
Le "Gole Ranciara" sono facilmente raggiungibili percorrendo la provinciale che dalla riviera Ionica porta in direzione Antillo, e più precisamente poco prima del bivio per Casalvecchio Siculo.
L'escursione, come tutte le escursioni nei torrenti, è impegnativa, ed è consigliata, specie per il tratto a monte della cascata, solo a visitatori esperti di torrentismo e dotati di idonea attrezzatura, ma per tutti coloro che non sono esperti e volessero comunque cimentarsi in questa escursione fantastica, potranno contattare agenzie specializzate www.etnaadventure.it che oltre ad avvalersi di guide esperte, vi fornirà anche tutta l'attrezzatura necessaria per affrontare il percorso in assoluta sicurezza.
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Il cammino di San Filippo
GOLE DI RANCIARA
Situate tra i comuni di Limina e Casalvecchio Siculo, le 'Gole Ranciara' così denominate per la presenza nella vallata di alberi di arancio che ...
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