Da generazioni la famiglia Alaimo crea i migliori pasticcini, torte, biscotti e pane siciliani. Tutto ebbe inizio nella cittadina di Villabate, nella regione settentrionale dell'isola di Sicilia, dove Angelo Alaimo e suo figlio Emanuele diedero inizio alla loro eredità preparando il pane per la gente del posto. Dopo anni di duro lavoro nel paese che chiamano casa, Angelo ed Emanuele hanno seguito i loro sogni di portare il meglio della panificazione italiana alla gente e hanno portato i loro talenti in America.
Nel 1979, dopo anni di duro lavoro come semplici panettieri nelle panetterie di tutta Brooklyn, Angelo ed Emanuele finalmente raggiunsero il loro obiettivo e aprirono un locale tutto loro, Villabate della 18th Ave. Questa leggendaria panetteria portava solo le migliori creazioni da forno italiane, da biscotti, torte, pasticcini e, naturalmente, pane. Come azienda a conduzione familiare, la famiglia Alaimo, Emanuele, Lina, Angela, Emanuele Jr. e Anthony si dedicano a fornire solo i prodotti italiani più autentici ai loro fedeli clienti. Dopo trentatré anni e tre generazioni, Villabate continua la sua eredità, facendo parte della famiglia Brooklyn, e restituendo alla grande comunità che l'ha resa la panetteria che è diventata oggi
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Nel 1979, dopo anni di duro lavoro come semplici panettieri nelle panetterie di tutta Brooklyn, Angelo ed Emanuele finalmente raggiunsero il loro obiettivo e aprirono un locale tutto loro, Villabate della 18th Ave. Questa leggendaria panetteria portava solo le migliori creazioni da forno italiane, da biscotti, torte, pasticcini e, naturalmente, pane. Come azienda a conduzione familiare, la famiglia Alaimo, Emanuele, Lina, Angela, Emanuele Jr. e Anthony si dedicano a fornire solo i prodotti italiani più autentici ai loro fedeli clienti. Dopo trentatré anni e tre generazioni, Villabate continua la sua eredità, facendo parte della famiglia Brooklyn, e restituendo alla grande comunità che l'ha resa la panetteria che è diventata oggi
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Oggi vi porto con me nel cratere della Fossa situato nella selvaggia isola di Vulcano! 🌋
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Il Gran Cratere della Fossa è uno dei punti panoramici più scenografici delle Isole Eolie (insieme al Belvedere di Pollara e al Belvedere Quattrocchi), nonché la principale attrazione dell’isola di Vulcano.
Il vulcano ha un’altezza di 386 m e un diametro di 500 m. La parola “vulcano” deriva proprio dal nome di quest’isola, che a sua volta deve il nome al dio romano del fuoco, Vulcano, il quale risiedeva sull’isola secondo la tradizione classica. Il vulcano era attivo già dall’antichità, come testimoniato da Tucidide nel V secolo a.C.; l’ultima eruzione si è verificata tra il 1888 ed il 1890.
Ad oggi si registra soltanto l’attività delle fumarole: esalazioni vulcaniche che consistono in getti di vapore contenenti acido borico, cloruro di ammonio e zolfo (nel caso di Vulcano si tratta soprattutto dello zolfo). Lo zolfo, grazie all’azione dei batteri, contribuisce alla formazione di una patina di color ocra con sfumature rosse sulle superfici del terreno e delle rocce, riconoscibile, oltre che sul cratere, in diversi parti dell’isola.
Lo zolfo emana un inconfondibile odore – che ricorda le uova marce – talmente forte da sentirsi non appena si sbarca sull’isola.
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Il vulcano ha un’altezza di 386 m e un diametro di 500 m. La parola “vulcano” deriva proprio dal nome di quest’isola, che a sua volta deve il nome al dio romano del fuoco, Vulcano, il quale risiedeva sull’isola secondo la tradizione classica. Il vulcano era attivo già dall’antichità, come testimoniato da Tucidide nel V secolo a.C.; l’ultima eruzione si è verificata tra il 1888 ed il 1890.
Ad oggi si registra soltanto l’attività delle fumarole: esalazioni vulcaniche che consistono in getti di vapore contenenti acido borico, cloruro di ammonio e zolfo (nel caso di Vulcano si tratta soprattutto dello zolfo). Lo zolfo, grazie all’azione dei batteri, contribuisce alla formazione di una patina di color ocra con sfumature rosse sulle superfici del terreno e delle rocce, riconoscibile, oltre che sul cratere, in diversi parti dell’isola.
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Slow Sicily
Il Belvedere di Pollara a Salina - Guida alle Isole Eolie
Il Belvedere di Pollara nell'isola di Salina è un punto panoramico da cui è possibile ammirare uno dei tramonti più belli al mondo.
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📌 TRE COSE INSOLITE DI PALERMO CHE FORSE NON CONOSCI!
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Gli Spaghetti del Maresciallo - BlogSicilia - Ultime notizie dalla Sicilia
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Gli Spaghetti del Maresciallo - BlogSicilia - Ultime notizie dalla Sicilia
Amatriciana con la panna. Eresia culinaria? No, è la ricetta della pasta del maresciallo, diventata un classico della cucina italiana. Malgrado la panna. E’ un primo piatto che si prepara in quindici minuti. Non è chiaro perché questo piatto si chiami così.…
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I nove Aci di Catania: racconti di una Sicilia antichissima | Antudo
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I nove Aci di Catania: racconti di una Sicilia antichissima | Antudo
Aci, prefisso di nove comuni della provincia di Catania, ha origine nei racconti di una Sicilia antichissima. Più precisamente nella Grotta delle Colombe a Santa Maria la Scala, distrutta da una mareggiata. Qui la tradizione popolare ha ambientato gli amori…
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Carretto Siciliano carico di cestini di vimini ( panara )
foto anni '40
“Lu panaru” (il paniere) serviva per il trasporto manuale di prodotti agricoli delicati che facilmente si schiacciavano, come ad esempio la frutta, le uova e i pomodori. Allora la frutta era considerata un alimento voluttuario e di un certo valore; volendo fare un regalo, non c’era di meglio che regalare un paniere di frutta fresca, come fichi, uva, fichi d'India. Nel paniere, prima di porre la frutta si mettevano foglie di fichi o di viti, per rendere le pareti e il fondo più soffice.
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I frutti (scomparsi) dell'autunno in Sicilia: il minicucco, le giuggiole e le nespole d'inverno
via www.balarm.it
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I frutti (scomparsi) dell'autunno in Sicilia: il minicucco, le giuggiole e le nespole d'inverno
Sono molte le specie che stanno scomparendo dai nostri giardini e di conseguenza dalla memoria collettiva, al punto da risultare sconosciute alle giovani generazioni Sorbus domestica (Berlin botanical garden) L’autunno siciliano con il suo clima mite è una…
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LA BARONESSA DI CARINI
La tragica vicenda di donna Laura e del fantasma della baronessa di Carini è stata tramandata per secoli da racconti popolari, cantastorie e sceneggiati televisivi.
C’è una drammatica storia vera oltre la leggenda di questa bellissima ragazza, terza figlia del barone Cesare Lanza di Trabia, nata il 7 ottobre 1529, che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini Vincenzo II La Grua.
A nulla servì implorare, protestare, riversare calde lacrime, Laura fu costretta ad accettare il matrimonio sbagliato, che fu celebrato domenica 21 Dicembre 1543, nella Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo.
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La tragica vicenda di donna Laura e del fantasma della baronessa di Carini è stata tramandata per secoli da racconti popolari, cantastorie e sceneggiati televisivi.
C’è una drammatica storia vera oltre la leggenda di questa bellissima ragazza, terza figlia del barone Cesare Lanza di Trabia, nata il 7 ottobre 1529, che a soli 14 anni andò sposa, per volere del padre, al barone di Carini Vincenzo II La Grua.
A nulla servì implorare, protestare, riversare calde lacrime, Laura fu costretta ad accettare il matrimonio sbagliato, che fu celebrato domenica 21 Dicembre 1543, nella Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo.
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Ma, alla giovanissima moglie, il marito preferisce i suoi latifondi, lasciandola sola nelle grandi sale del castello. La trascuratezza spinse la baronessa a innamorarsi di Ludovico Vernagallo, che diviene l’amante.
Scoperti dal marito e dal padre, che furono avvisati dal frate di un convento nelle vicinanze, tale Antonio del Bosco, mentre trascorrevano un’altra notte di tenerezza, Laura e Ludovico vennero uccisi nel castello di Carini il 4 Dicembre 1563. A nulla valsero le disperate grida di pietà della figlia, l’onore della famiglia viene prima di tutto. Così la colpisce reiteratamente al petto e alle spalle. La Baronessa di Carini, in preda agli spasmi della morte, scivolò per terra lasciando l’impronta indelebile della sua mano insanguinata sul muro della stanza.
Il Salomone Marino, nel secolo scorso, raccolse da un esaltatore questi versi in cui si fa rivivere l’efferatezza del delitto:
“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”
Le possenti mura del maniero, da quasi cinquecento anni, custodiscono nelle loro sale il terribile segreto di una storia d’amore alla quale con la violenza si è posto un tragico fine. Da quel giorno, in molti giurano di aver sentito un leggero fruscio di vesti femminili e delle grida soffocate, il fantasma della Baronessa di Carini appare nelle ampie sale del castello. Lo spirito irrequieto di donna Laura, morta col desiderio di confessarsi e mettersi in grazia di Dio, nella fredda notte, torna in quei luoghi per implorare clemenza e pietà al burbero padre, che alla sua vita preferì l’onore.
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, “l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia”. Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.
Di seguito, la lettera di Cesare Lanza inviata, al Re di Spagna, per discolparsi del delitto della figlia Laura:
“Sacra Catholica Real Maestà, don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati. Don Cesare Lanza conte di Mussomeli”.
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Scoperti dal marito e dal padre, che furono avvisati dal frate di un convento nelle vicinanze, tale Antonio del Bosco, mentre trascorrevano un’altra notte di tenerezza, Laura e Ludovico vennero uccisi nel castello di Carini il 4 Dicembre 1563. A nulla valsero le disperate grida di pietà della figlia, l’onore della famiglia viene prima di tutto. Così la colpisce reiteratamente al petto e alle spalle. La Baronessa di Carini, in preda agli spasmi della morte, scivolò per terra lasciando l’impronta indelebile della sua mano insanguinata sul muro della stanza.
Il Salomone Marino, nel secolo scorso, raccolse da un esaltatore questi versi in cui si fa rivivere l’efferatezza del delitto:
“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”
Le possenti mura del maniero, da quasi cinquecento anni, custodiscono nelle loro sale il terribile segreto di una storia d’amore alla quale con la violenza si è posto un tragico fine. Da quel giorno, in molti giurano di aver sentito un leggero fruscio di vesti femminili e delle grida soffocate, il fantasma della Baronessa di Carini appare nelle ampie sale del castello. Lo spirito irrequieto di donna Laura, morta col desiderio di confessarsi e mettersi in grazia di Dio, nella fredda notte, torna in quei luoghi per implorare clemenza e pietà al burbero padre, che alla sua vita preferì l’onore.
Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, “l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia”. Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.
Di seguito, la lettera di Cesare Lanza inviata, al Re di Spagna, per discolparsi del delitto della figlia Laura:
“Sacra Catholica Real Maestà, don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati. Don Cesare Lanza conte di Mussomeli”.
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A Messina il Festival degli Aquiloni, l'entusiasmo che collega terra e cielo. Tantissime famiglie
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A Messina il Festival degli Aquiloni, l'entusiasmo che collega terra e cielo. Tantissime famiglie
L’aquilone sa di vento e libertà, regala sogni e speranze e collega terra e cielo mentre volteggia tra le nuvole. In questo caldo weekend autunnale, è proprio lui il protagonista indiscusso del “Festival degli Aquiloni” promosso dalla Pro Loco Capo Peloro…
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🗞🌋Le meraviglie dell'Etna in un documentario per The World Heritage sulla tv giapponese
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Fonte
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Fonte
Giornale di Sicilia
Le meraviglie dell'Etna in un documentario per The World Heritage sulla tv giapponese
Trenta minuti di immagini sull'Etna con riprese che esaltano la maestosità e le variegate risorse del vulcano attivo più alto d'Europa e abbracciano tutto il comprensorio...