Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
in coltura irrigua si possono ottenere produzioni di 250-300q quintali ad ettaro. Dopo la raccolta, i frutti possono essere conservati in frigo a 6 gradi per 2 o 3 mesi. Un impianto specializzato ha una durata di circa 30-35 anni.
Questo frutto in Sicilia si è guadagnato anche l’indicazione geografica della Dop: ilfico d’India dell’Etna Dop viene coltivato in numerosi comuni della provincia di Catania, appartenenti alla zona interessata dalle eruzioni dell’Etna.
Fico d’India: proprietà
Sono molteplici gli usi e le proprietà del fico d’India: molte usanze affondano le radici dell’antico popolo azteco. Già all’epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d’India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia.
Dal corpo dell’insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiesta in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile e alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra. Inoltre, associato a miele e rosso d’uovo, sembrava essere utile contro le scottature provocate dal forte sole messicano,
Tra le proprietà dei fico d’India ci sono quelle terapeutiche: il frutto sembra essere un’ottima cura naturale. Ha proprietà depurative, ed è coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo. E’ indicato anche nelle diete dimagranti,visto che contiene ha poche calorie, molte fibre e aiutando ad avere un senso di sazietà. Reidratante e rivitalizzante, è ideale anche per chi pratica sport.
Nella medicina siciliana popolare, si consigliava per contrastare le coliche renali, il decotto di fiori essiccati del fico d’India. Lìutilizzo del ficodindia è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni astringenti e sembra stimolare la crescita dei capelli.
Questo frutto in Sicilia si è guadagnato anche l’indicazione geografica della Dop: ilfico d’India dell’Etna Dop viene coltivato in numerosi comuni della provincia di Catania, appartenenti alla zona interessata dalle eruzioni dell’Etna.
Fico d’India: proprietà
Sono molteplici gli usi e le proprietà del fico d’India: molte usanze affondano le radici dell’antico popolo azteco. Già all’epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d’India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia.
Dal corpo dell’insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiesta in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile e alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra. Inoltre, associato a miele e rosso d’uovo, sembrava essere utile contro le scottature provocate dal forte sole messicano,
Tra le proprietà dei fico d’India ci sono quelle terapeutiche: il frutto sembra essere un’ottima cura naturale. Ha proprietà depurative, ed è coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo. E’ indicato anche nelle diete dimagranti,visto che contiene ha poche calorie, molte fibre e aiutando ad avere un senso di sazietà. Reidratante e rivitalizzante, è ideale anche per chi pratica sport.
Nella medicina siciliana popolare, si consigliava per contrastare le coliche renali, il decotto di fiori essiccati del fico d’India. Lìutilizzo del ficodindia è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni astringenti e sembra stimolare la crescita dei capelli.
Fico d’India, dalla Sicilia un frutto ricco di proprietà
Il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. La Sicilia, dopo il Messico, è il secodo produttore mondiale. La pianta cresce spontaneamente, lungo la strada, le pale caratterizzano il paesaggio siciliano fornendo una miriade di frutti colorati,ottimi da gustare in molti modi: freschi o conservati in salamoia, sott’aceto, canditi o sotto forma di confettura
Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Il territorio
In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo frutti di alta qualità, gusto intenso. L’isola, dopo il Messico, è tra i maggiori produttori mondiali del frutto. Qui è coltivato in aree ben distine: nella zona centro orientale che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale), nei comuni di Menfi, Montevago, e soprattutto Santa Margherita Belice.
La stagione dei fichi d’India
Da agosto a Natale l’isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro varietà diverse: la gialla, detta sulfarina, la rossa, nota come sanguigna, la bianca, denominata muscarella e quella tipicamente arancione, chiamata moscateddo.
La fioritura della pianta inizia in primavera, mentre i frutti crescono dal periodo estivo. Quelli più pregiati però sono i fichi d’india tardivi, che arrivano sulle nostre tavole a dicembre.
Le varietà:
Questi frutti vengono chiamati “bastarduna” o “scuzzulati”: non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando dalle piante i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la piantina a rifiorire.
I “bastarduna” sono meno numerosi ma hanno un valore di mercato più alto, perchè sono tardivi, e anche perchè sono più grandi e senza semi.
I fichidindia non perfettamente maturi sono invece chiamati “burduni” cioè bastardi, termine che deriva dal latino burdo, che significa mulo, per indicare un animale non puro.
I frutti vengono raccolti a più riprese.
Il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi. La Sicilia, dopo il Messico, è il secodo produttore mondiale. La pianta cresce spontaneamente, lungo la strada, le pale caratterizzano il paesaggio siciliano fornendo una miriade di frutti colorati,ottimi da gustare in molti modi: freschi o conservati in salamoia, sott’aceto, canditi o sotto forma di confettura
Le origini
Si dice che questo squisito frutto sia giunto in Europa con Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe. Invece ancora prima, nell’ 827, i Saraceni lo importarono in Sicilia quando sbarcarono a Mazara. In nessuna altra piante del bacino del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia, dove rappresenta non solo un elemento costante del paesaggio, naturale, ma è anche un elemento ricorrente sulle tavole e nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne quasi un vero e proprio simbolo.
In Sicilia i fichi d’India venivano utilizzati come alimenti preziosi per l’inizio della giornata lavorativa del contadino. Durante il periodo della vendemmia, in tutta l’isola è tradizione infatti consumare questi frutti di prima mattina, a colazione. Costume deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori, per evitare che si mangiassero troppa uva durante il raccolto.
Il fico d’India però ha origini molto più lontane della Sicilia. Nasce in Sud America, esattamente in Messico. “tenace monumento dei deserti” veniva definito, per descrivere il carattere del frutto, coronato di spine, che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’India ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: l’importanza di questa pianta e di questo frutto per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera messicana, sotto l’aquila.
E’ un pianta che cresce spontaneamente, necessita di poche attenzioni, resiste a siccità e aridità dei terreni.
Il territorio
In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo frutti di alta qualità, gusto intenso. L’isola, dopo il Messico, è tra i maggiori produttori mondiali del frutto. Qui è coltivato in aree ben distine: nella zona centro orientale che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale), nei comuni di Menfi, Montevago, e soprattutto Santa Margherita Belice.
La stagione dei fichi d’India
Da agosto a Natale l’isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro varietà diverse: la gialla, detta sulfarina, la rossa, nota come sanguigna, la bianca, denominata muscarella e quella tipicamente arancione, chiamata moscateddo.
La fioritura della pianta inizia in primavera, mentre i frutti crescono dal periodo estivo. Quelli più pregiati però sono i fichi d’india tardivi, che arrivano sulle nostre tavole a dicembre.
Le varietà:
Questi frutti vengono chiamati “bastarduna” o “scuzzulati”: non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando dalle piante i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la piantina a rifiorire.
I “bastarduna” sono meno numerosi ma hanno un valore di mercato più alto, perchè sono tardivi, e anche perchè sono più grandi e senza semi.
I fichidindia non perfettamente maturi sono invece chiamati “burduni” cioè bastardi, termine che deriva dal latino burdo, che significa mulo, per indicare un animale non puro.
I frutti vengono raccolti a più riprese.
Il Pilone Torre Faro "Messina"
Dalla cima dei suoi 233m di altezza (4 in più del grattacielo più alto d’Italia), svetta su Capo Peloro da quasi 65 anni, rappresentando uno dei simboli più rappresentativi di Messina e del suo Stretto.
Il Pilone di Torre Faro, fu inaugurato il 15 maggio 1956 a più di 3000 metri di distanza dal suo gemello calabro, situato sulla sommità della collina di Santa Trada. Oggi pur non avendo più alcuna funzione pratica si fanno notare nello stretto e hanno lo status di monumenti storici tutelati.
Nel 2005 il pilone sulla costa siciliana venne aperto al pubblico per un breve periodo. I visitatori potevano così salire da una scala di ben 2 240 gradini per raggiungere la piattaforma più alta del pilone messinese.
Oggi il Pilone di Messina resta una fonte di attrazione turistica ed è particolarmente suggestivo di notte quando la struttura d'acciaio riflette le luci collocate alla base.
Dalla cima dei suoi 233m di altezza (4 in più del grattacielo più alto d’Italia), svetta su Capo Peloro da quasi 65 anni, rappresentando uno dei simboli più rappresentativi di Messina e del suo Stretto.
Il Pilone di Torre Faro, fu inaugurato il 15 maggio 1956 a più di 3000 metri di distanza dal suo gemello calabro, situato sulla sommità della collina di Santa Trada. Oggi pur non avendo più alcuna funzione pratica si fanno notare nello stretto e hanno lo status di monumenti storici tutelati.
Nel 2005 il pilone sulla costa siciliana venne aperto al pubblico per un breve periodo. I visitatori potevano così salire da una scala di ben 2 240 gradini per raggiungere la piattaforma più alta del pilone messinese.
Oggi il Pilone di Messina resta una fonte di attrazione turistica ed è particolarmente suggestivo di notte quando la struttura d'acciaio riflette le luci collocate alla base.
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È tra i frutti siciliani maggiormente apprezzati per la sua dolcezza e per le sue proprietà benefiche. Simbolo di abbondanza e fecondità è citato più volte nella Bibbia e nella letteratura greca e latina, parliamo del fico, considerato dono degli dei perché apparentemente non si formano fiori, poi donato agli uomini.
In Sicilia la più importante area di produzione si trova in provincia di Messina con le antiche varietà autoctone “fica palamitani”, “i mennu”, “fica tardivu”.
@newseinfo
In Sicilia la più importante area di produzione si trova in provincia di Messina con le antiche varietà autoctone “fica palamitani”, “i mennu”, “fica tardivu”.
@newseinfo
Esistono tanti tipi di fichi che nel dialetto siciliano prendono vari nomi: dalla “ficuttata” verde, rotonda e dolcissima, alla “catalanisca” appuntita, viola scuro e un po’ meno dolce, alla “bifara”, alla ficazzana”, fino ad arrivare alla “ficu natalina”che, grazie ad una particolare potatura, produce fichi fino a dicembre.
Di fichi, che tecnicamente non sono frutti, al mondo ne esistono circa 850 specie e quella comune, edule, è la Ficus carica.
Di fichi, che tecnicamente non sono frutti, al mondo ne esistono circa 850 specie e quella comune, edule, è la Ficus carica.
La storia dell’albero di fico e dei suoi fantastici frutti affonda le radici nella mitologia greca.
Già Plutarco ne parlava in termini sacri. Pare che il titano Sykèus, (da syke, fico) si fosse nascosto nel ventre della madre Gea, la terra, per sfuggire all’ira di Zeus. E fu proprio Gea a far germogliare dal suo grembo l’albero che ha preso il nome del figlio: fico.
Nell’antichità era reato esportare i fichi, perché ritenuti un prodotto di prima necessità.
Per di più, qualora il frutto fosse stato trafugato da un albero sacro, il gesto veniva marchiato come sacrilego. Degno di scatenare la collera divina.
L’albero di fico è anche legato alle origini di Roma, perchè una legenda vuole che la cesta contenente Romolo e Remo si fosse incagliata proprio sotto un fico selvatico, schivando così il destino che li avrebbe voluti morti in quanto frutto illegittimo della vestale Rea Silvia. Fu proprio all’ombra di un fico che la lupa nutrì i figli di Marte. E fu quindi sotto un fico che la gloria di Roma crebbe.
I fichi ottimi per proteggere pelle, occhi, cuore e intestino
I fichi sono degli ottimi frutti capaci di proteggere la pelle, gli occhi, l’apparato digerente e l’apparato cardiaco.
Essi sono notoriamente dei frutti dolci.
In realtà forniscono un apporto calorico minore di quello dell’uva e del mandarino: 47 kcal per 100 grammi contro i 70 dell’uva, ad esempio.
Sono davvero un frutto eccezionale.
I semi, le mucillagini e i polisaccaridi contenuti nel frutto (sia mangiato fresco che secco) manifestano delle proprietà lassative capaci di stimolare la peristalsi intestinale.
Nei fichi freschi inoltre sono presenti degli enzimi digestivi che migliorano l’assimilazione delle sostanze nutritive ingerite durante il pasto.
Essi inoltre proteggono la pelle, grazie alla loro azione caustica e proteolitica.
In passato i fichi venivano usati anche come impacco sulle infezioni purulente e sui gonfiori. Tipico è il rimedio contro le puntine. Ma trovavano impiego anche per curare le infiammazioni delle vie urinarie, polmonari e per le gastriti.
I fichi sono ricchi di vitamina A, B1, B2, B6, PP e C, potassio, ferro e calcio.
Il lattice del fico
Quando si stacca un frutto dall’albero di fico, viene secreto un lattice di colore bianco.
Esso è fortemente irritante. Potrebbe esserlo a tal punto da irritare la pelle. Meglio evitare il contatto diretto e prolungato con questo lattice.
Un tempo lo si metteva tutti i giorni sulle verruche o sui porri, per farli scomparire.
Già Plutarco ne parlava in termini sacri. Pare che il titano Sykèus, (da syke, fico) si fosse nascosto nel ventre della madre Gea, la terra, per sfuggire all’ira di Zeus. E fu proprio Gea a far germogliare dal suo grembo l’albero che ha preso il nome del figlio: fico.
Nell’antichità era reato esportare i fichi, perché ritenuti un prodotto di prima necessità.
Per di più, qualora il frutto fosse stato trafugato da un albero sacro, il gesto veniva marchiato come sacrilego. Degno di scatenare la collera divina.
L’albero di fico è anche legato alle origini di Roma, perchè una legenda vuole che la cesta contenente Romolo e Remo si fosse incagliata proprio sotto un fico selvatico, schivando così il destino che li avrebbe voluti morti in quanto frutto illegittimo della vestale Rea Silvia. Fu proprio all’ombra di un fico che la lupa nutrì i figli di Marte. E fu quindi sotto un fico che la gloria di Roma crebbe.
I fichi ottimi per proteggere pelle, occhi, cuore e intestino
I fichi sono degli ottimi frutti capaci di proteggere la pelle, gli occhi, l’apparato digerente e l’apparato cardiaco.
Essi sono notoriamente dei frutti dolci.
In realtà forniscono un apporto calorico minore di quello dell’uva e del mandarino: 47 kcal per 100 grammi contro i 70 dell’uva, ad esempio.
Sono davvero un frutto eccezionale.
I semi, le mucillagini e i polisaccaridi contenuti nel frutto (sia mangiato fresco che secco) manifestano delle proprietà lassative capaci di stimolare la peristalsi intestinale.
Nei fichi freschi inoltre sono presenti degli enzimi digestivi che migliorano l’assimilazione delle sostanze nutritive ingerite durante il pasto.
Essi inoltre proteggono la pelle, grazie alla loro azione caustica e proteolitica.
In passato i fichi venivano usati anche come impacco sulle infezioni purulente e sui gonfiori. Tipico è il rimedio contro le puntine. Ma trovavano impiego anche per curare le infiammazioni delle vie urinarie, polmonari e per le gastriti.
I fichi sono ricchi di vitamina A, B1, B2, B6, PP e C, potassio, ferro e calcio.
Il lattice del fico
Quando si stacca un frutto dall’albero di fico, viene secreto un lattice di colore bianco.
Esso è fortemente irritante. Potrebbe esserlo a tal punto da irritare la pelle. Meglio evitare il contatto diretto e prolungato con questo lattice.
Un tempo lo si metteva tutti i giorni sulle verruche o sui porri, per farli scomparire.
La granita siciliana: origini e curiosità.
Tra i comportamenti abituali di noi siciliani c’è sicuramente quello di andare spesso a fare colazione al bar con granita e brioche (o meglio, brioscia), comportamento che ormai viene imitato dai tantissimi turisti che ogni anno vengono a visitare la nostra bellissima terra.
Ma sapete quali sono le origini della granita siciliana?
In questo articolo vedremo com’è nata questa ricetta e come veniva prodotta quando ancora non esistevano le attrezzature moderne.
'A rattata
La grattata (in siciliano rattata) era il nome originario della granita. L’appellativo deriva proprio dal procedimento con il quale veniva preparata. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia (827-1091). Gli arabi, infatti, ci portarono lo sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata alla frutta, che non è altro che l’antenato della nostra granita. Grazie arabi.
La preparazione della rattatarichiedeva come ingrediente principale la neve. Quindi era compito dei nivarolidi raccogliere la neve che cadeva in inverno sui monti, conservandola nelle neviere per quando sarebbe arrivato il calore estivo.
Tra i comportamenti abituali di noi siciliani c’è sicuramente quello di andare spesso a fare colazione al bar con granita e brioche (o meglio, brioscia), comportamento che ormai viene imitato dai tantissimi turisti che ogni anno vengono a visitare la nostra bellissima terra.
Ma sapete quali sono le origini della granita siciliana?
In questo articolo vedremo com’è nata questa ricetta e come veniva prodotta quando ancora non esistevano le attrezzature moderne.
'A rattata
La grattata (in siciliano rattata) era il nome originario della granita. L’appellativo deriva proprio dal procedimento con il quale veniva preparata. Ma prima, facciamo un passo indietro.
Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione araba in Sicilia (827-1091). Gli arabi, infatti, ci portarono lo sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata alla frutta, che non è altro che l’antenato della nostra granita. Grazie arabi.
La preparazione della rattatarichiedeva come ingrediente principale la neve. Quindi era compito dei nivarolidi raccogliere la neve che cadeva in inverno sui monti, conservandola nelle neviere per quando sarebbe arrivato il calore estivo.
La neve veniva coperta con felci e terra, e pressata fino a diventare ghiaccio da tagliare e vendere in estate. Ancora oggi, su alcuni monti, si possono trovare le buche usate per la conservazione del ghiaccio, alcune volte rifinite con mattoncini o pietre. Infatti, una curiosità è che la forma di queste neviere non era ovunque uguale, ma cambiava in base al territorio (un esempio lo puoi vedere da queste due foto).
Era consuetudine, soprattutto per le famiglie più ricche, comprare i blocchi di ghiaccio dai nivaroli e conservari in delle neviere private, in modo da avere la propria scorta personale durante l’estate.
La massa di ghiaccio veniva così grattata (da qui l’origine del nome) e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei caldi momenti d’estate. Inizialmente, per dare un gusto, veniva spremuto il limone e si aggiungeva un po’ di miele. Con il tempo si sono sperimentati tanti nuovi gusti che sono arrivati fino ai giorni nostri (mandorla, caffè, fragola, gelsi, pistacchio ecc.).
- L'evoluzione -
Intorno al XVI secolo venne apportato un notevole miglioramento alla fase di preparazione dello sherbet, scoprendo di poter usare la neve mista al sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.
La massa di ghiaccio veniva così grattata (da qui l’origine del nome) e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei caldi momenti d’estate. Inizialmente, per dare un gusto, veniva spremuto il limone e si aggiungeva un po’ di miele. Con il tempo si sono sperimentati tanti nuovi gusti che sono arrivati fino ai giorni nostri (mandorla, caffè, fragola, gelsi, pistacchio ecc.).
- L'evoluzione -
Intorno al XVI secolo venne apportato un notevole miglioramento alla fase di preparazione dello sherbet, scoprendo di poter usare la neve mista al sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.