"Unn’è santu chi sura". Traduzione:“Non è Santo che suda”. Questo modo di dire siciliano fa riferimento al fatto che le statue dei santi, che sono di marmo, notoriamente non sudano.
L’espressione si utilizza per indicare che non si riuscirà a ottenere qualcosa ed è strettamente connessa a un celebre proverbio: “È inutili ca ntrizzi e ffai cannola, u santu è di marmuru e nun sura”. Il proverbio ha come protagoniste una mamma e una figlia. La mamma spiega alla figlia che è inutile che fa trecce (intrizzi) e boccoli (cannola): l’uomo del quale è innamorata è un santo che non suda. Insomma, nessuna speranza di un lieto fine!
L’espressione si utilizza per indicare che non si riuscirà a ottenere qualcosa ed è strettamente connessa a un celebre proverbio: “È inutili ca ntrizzi e ffai cannola, u santu è di marmuru e nun sura”. Il proverbio ha come protagoniste una mamma e una figlia. La mamma spiega alla figlia che è inutile che fa trecce (intrizzi) e boccoli (cannola): l’uomo del quale è innamorata è un santo che non suda. Insomma, nessuna speranza di un lieto fine!
La nascita della Sicilia tra storie, miti e leggende.
Diamante del Mediterraneo,giubilo dei popoli,poche terre come la Sicilia sono il frutto di una fusione secolare di culture, tradizioni e anime.Ma quali sono le origini della bella terra di Sicilia?
Le leggende che ruotano attorno alla nascita della Sicilia sono davvero tante e tutte intrise di un’aura mitologica accresciuta,nei secoli,dai racconti tramandati oralmente di generazione in generazione.Uno di questi narra che la Sicilia nacque dell’estro di tre ninfe,che vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra mescolata con sassolini.
Le tre ninfe si fermarono sotto il cielo più limpido e azzurro del mondo e,dai tre punti ove si erano fermate,gettarono il loro pugno di terra nel mare e vi lasciarono cadere i fiori e la frutta che esse recavano nei veli che le ricoprivano.
Il mare,al loro apparire,si vestì di tutte le luci dell’arcobaleno e,poco a poco,dalle onde emerse una terra variopinta e profumata.
@newseinfo
Diamante del Mediterraneo,giubilo dei popoli,poche terre come la Sicilia sono il frutto di una fusione secolare di culture, tradizioni e anime.Ma quali sono le origini della bella terra di Sicilia?
Le leggende che ruotano attorno alla nascita della Sicilia sono davvero tante e tutte intrise di un’aura mitologica accresciuta,nei secoli,dai racconti tramandati oralmente di generazione in generazione.Uno di questi narra che la Sicilia nacque dell’estro di tre ninfe,che vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra mescolata con sassolini.
Le tre ninfe si fermarono sotto il cielo più limpido e azzurro del mondo e,dai tre punti ove si erano fermate,gettarono il loro pugno di terra nel mare e vi lasciarono cadere i fiori e la frutta che esse recavano nei veli che le ricoprivano.
Il mare,al loro apparire,si vestì di tutte le luci dell’arcobaleno e,poco a poco,dalle onde emerse una terra variopinta e profumata.
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Ricca di tutte le seduzioni che la natura poteva offrire.
I tre vertici del triangolo, dove le tre bellissime ninfe avevano iniziato la loro magica danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola e si chiamarono capo Peloro dal lato di Messina, capo Passero (Pachino) dal lato di Siracusa, e capo Lilibeo dal lato di Palermo.
“Da questa configurazione a tre vertici” – scrive Enrico Mauceri – “venne alla Sicilia antica il nome di Triquetra o Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella rappresentazione strana e caratteristica al tempo stesso, di una figura gorgonica a tre gambe, adottata perfino in alcune monete dell’antichità classica, e divenuta poi il simbolo, diremo così, ufficiale dell’isola“.
Il mito di Encelado detto anche Tifeo
Un’altra leggenda, invece, ascrive la nascita della Sicilia ai tempi della lotta tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti per la supremazia del mondo. Adirati contro Zeus, che, dopo la sconfitta del padre Crono, aveva confinati nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti, su richiesta della madre Gea, si ribellarono agli dei e tentarono la scalata all’Olimpo.
Si scatenò una guerra, che prese il nome di Gigantomachia. Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta, scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne colpito da Atena che, con un colpo del suo scudo, lo fece precipitare dall’alto dei cielo nel centro del Mediterraneo scagliandogli addosso un enorme masso: la Sicilia.
L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato dal peso dell’isola con l’alluce del piede destro sotto il Monte Erice, la gamba destra verso Palermo, la sinistra verso Mazara, il busto al centro dell’isola sotto Enna, le braccia verso Messina e verso Siracusa, la testa e la bocca sotto l’Etna.
Il mito narra, ancora, che l’attività del vulcano abbia proprio origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano provocati dai suoi tentativi di scrollarsi la terra che lo sotterra. Ma Atena, dea di sapienza e giustizia, che veglia sull’isola, non permetterà il risveglio del male.
Il mito della bellissima principessa Sicilia
Si narra anche che il nome dell’isola sia frutto di una leggenda, che parla di una bellissima ma sfortunata principessa del Libano, che si chiamava appunto Sicilia. Alla sua nascita le era stato predetto da un oracolo che al compimento dei quindici anni d’età avrebbe dovuto lasciare la propria terra natia, sola e su una barchetta, altrimenti sarebbe stata pasto dell’ingordo Greco-Levante, che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto mammone, divorandola.
Per scongiurare questo pericolo, non appena compì quindici anni (che così voleva l’oracolo) il padre e la madre, piangenti, la posero in una barchetta, e la affidarono alle onde.
E le onde, dopo tre mesi (ritorna puntualmente il numero 3), quando ormai la povera Sicilia credeva di dover morire di fame e di sete.
I tre vertici del triangolo, dove le tre bellissime ninfe avevano iniziato la loro magica danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola e si chiamarono capo Peloro dal lato di Messina, capo Passero (Pachino) dal lato di Siracusa, e capo Lilibeo dal lato di Palermo.
“Da questa configurazione a tre vertici” – scrive Enrico Mauceri – “venne alla Sicilia antica il nome di Triquetra o Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella rappresentazione strana e caratteristica al tempo stesso, di una figura gorgonica a tre gambe, adottata perfino in alcune monete dell’antichità classica, e divenuta poi il simbolo, diremo così, ufficiale dell’isola“.
Il mito di Encelado detto anche Tifeo
Un’altra leggenda, invece, ascrive la nascita della Sicilia ai tempi della lotta tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti per la supremazia del mondo. Adirati contro Zeus, che, dopo la sconfitta del padre Crono, aveva confinati nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti, su richiesta della madre Gea, si ribellarono agli dei e tentarono la scalata all’Olimpo.
Si scatenò una guerra, che prese il nome di Gigantomachia. Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta, scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne colpito da Atena che, con un colpo del suo scudo, lo fece precipitare dall’alto dei cielo nel centro del Mediterraneo scagliandogli addosso un enorme masso: la Sicilia.
L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato dal peso dell’isola con l’alluce del piede destro sotto il Monte Erice, la gamba destra verso Palermo, la sinistra verso Mazara, il busto al centro dell’isola sotto Enna, le braccia verso Messina e verso Siracusa, la testa e la bocca sotto l’Etna.
Il mito narra, ancora, che l’attività del vulcano abbia proprio origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano provocati dai suoi tentativi di scrollarsi la terra che lo sotterra. Ma Atena, dea di sapienza e giustizia, che veglia sull’isola, non permetterà il risveglio del male.
Il mito della bellissima principessa Sicilia
Si narra anche che il nome dell’isola sia frutto di una leggenda, che parla di una bellissima ma sfortunata principessa del Libano, che si chiamava appunto Sicilia. Alla sua nascita le era stato predetto da un oracolo che al compimento dei quindici anni d’età avrebbe dovuto lasciare la propria terra natia, sola e su una barchetta, altrimenti sarebbe stata pasto dell’ingordo Greco-Levante, che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto mammone, divorandola.
Per scongiurare questo pericolo, non appena compì quindici anni (che così voleva l’oracolo) il padre e la madre, piangenti, la posero in una barchetta, e la affidarono alle onde.
E le onde, dopo tre mesi (ritorna puntualmente il numero 3), quando ormai la povera Sicilia credeva di dover morire di fame e di sete.
Poiché tutte le sue provviste si erano esaurite,deposero la giovinetta su una spiaggia meravigliosa,in una terra luminosa, calda e piena di fiori e di frutti, colma di profumi,ma assolutamente deserta e solitaria.
Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lacrime,ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un bellissimo giovane,che la confortò,e le offerse ospitalità e amore,spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste,e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile,per cui l’isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l’avrebbe ripopolata; e,infatti,si chiamò Sicilia,e la nuova gente crebbe forte e gentile,e si sparse per le coste e per i monti.
Qual è il fondamento storico di questa fascinosa leggenda?
Lasciando da parte le questioni etimologiche (con le quali si è arrivati a congetturare che il termine Sicilia deriverebbe dall’unione delle due voci antiche SIK ed ELIA,indicanti rispettivamente il fico e l’ulivo,e starebbe a significare la fertilità della terra siciliana) c’è da osservare che i due grandi folcloristi che hanno riportato questa leggenda,il Salomone Marino e il Pitrè,hanno concordemente indicato il riferimento culturale,cogliendolo nell’antica favola di Egesta, abbandonata dal padre Ippota su una barchetta affidata alle onde, perché non diventasse preda dell’orribile mostro marino inviato dal dio del mare Nettuno;e che poi, approdata in Sicilia,e sposa di Crìmiso,generò l’eroe Aceste di cui parla Virgilio nel quinto libro dell’Eneide;ma ambedue hanno trascurato il fondamento storico, che è dato dall’accenno all’ingordo Greco-Levante, che avrebbe divorato la povera Sicilia.
Il temibile mostro greco-levantino altro non è che l’impero bizantino, la cui dominazione in Sicilia, protrattasi dal 535 all’827,lasciò un cattivo ricordo nell’isola per il suo avido fiscalismo,tanto che fino a qualche tempo fa si diceva ai bambini cattivi,per farli impaurire: “Viri ca vénunu i greci!” (Bada che stanno per venire i bizantini).
Il che spiega sufficientemente la genesi storica della leggenda.
Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lacrime,ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un bellissimo giovane,che la confortò,e le offerse ospitalità e amore,spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste,e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile,per cui l’isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l’avrebbe ripopolata; e,infatti,si chiamò Sicilia,e la nuova gente crebbe forte e gentile,e si sparse per le coste e per i monti.
Qual è il fondamento storico di questa fascinosa leggenda?
Lasciando da parte le questioni etimologiche (con le quali si è arrivati a congetturare che il termine Sicilia deriverebbe dall’unione delle due voci antiche SIK ed ELIA,indicanti rispettivamente il fico e l’ulivo,e starebbe a significare la fertilità della terra siciliana) c’è da osservare che i due grandi folcloristi che hanno riportato questa leggenda,il Salomone Marino e il Pitrè,hanno concordemente indicato il riferimento culturale,cogliendolo nell’antica favola di Egesta, abbandonata dal padre Ippota su una barchetta affidata alle onde, perché non diventasse preda dell’orribile mostro marino inviato dal dio del mare Nettuno;e che poi, approdata in Sicilia,e sposa di Crìmiso,generò l’eroe Aceste di cui parla Virgilio nel quinto libro dell’Eneide;ma ambedue hanno trascurato il fondamento storico, che è dato dall’accenno all’ingordo Greco-Levante, che avrebbe divorato la povera Sicilia.
Il temibile mostro greco-levantino altro non è che l’impero bizantino, la cui dominazione in Sicilia, protrattasi dal 535 all’827,lasciò un cattivo ricordo nell’isola per il suo avido fiscalismo,tanto che fino a qualche tempo fa si diceva ai bambini cattivi,per farli impaurire: “Viri ca vénunu i greci!” (Bada che stanno per venire i bizantini).
Il che spiega sufficientemente la genesi storica della leggenda.
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LAGO DI POZZILLO. Realizzato mediante una diga in calcestruzzo armato sul fiume Salso (affluente del Simeto ) costruita in prossimità di Regalbuto, questo lago artificiale, si trova al centro dell'isola, nella provincia di Enna tra le ultime propaggini dei monti Erei e i monti Nebrodi.
Il lago riceve le acque del Salso raccogliendo anche quelle dei torrenti che scendono dalle alture circostanti. Tutt'intorno si è sviluppato un bosco in buona parte di alberi di Eucaliptus. @newseinfo
Il lago riceve le acque del Salso raccogliendo anche quelle dei torrenti che scendono dalle alture circostanti. Tutt'intorno si è sviluppato un bosco in buona parte di alberi di Eucaliptus. @newseinfo
Le Isole Eolie (Ìsuli Eoli in siciliano), dette anche Isole Lipari, sono un arcipelagodell'Italia appartenente all'arco Eoliano, in Sicilia. Amministrativamente compreso nella città metropolitana di Messina, l'arcipelago è una destinazione turistica sempre più popolare: le isole, infatti, attraggono fino a 600.000 visitatori annuali.
L'arcipelago, di origine vulcanica, è situato nel Mar Tirreno, a nord della costa siciliana. Comprende due vulcani attivi, Stromboli e Vulcano, oltre a vari fenomeni di vulcanismo secondario.
L'arcipelago, di origine vulcanica, è situato nel Mar Tirreno, a nord della costa siciliana. Comprende due vulcani attivi, Stromboli e Vulcano, oltre a vari fenomeni di vulcanismo secondario.
La presenza umana nell'arcipelago risulta sin da epoca molto antica. Le genti preistoriche vennero infatti sicuramente attratte dalla presenza di grandi quantità di ossidiana, sostanza vetrosa di origine vulcanica grazie alla quale le Eolie furono al centro di fiorenti rotte commerciali. I primi insediamenti si ebbero già nell'età neolitica tra il 5500 e il 4000 a.C. precisamente a Lipari e Salina con tracce di vasi ceramici e ossidiana lavorata. L'ossidiana, che a quei tempi era un materiale ricercatissimo in quanto tra i più taglienti materiali di cui l'uomo dell'epoca disponeva, alimentò dei traffici commerciali intensi: anche ad essi si deve ascrivere la notevole prosperità dell'Arcipelago in cui fioriscono strutture abitative e villaggi. L'ossidiana liparese è attestata in Sicilia, nell'Italia meridionale, in Liguria, in Provenza e in Dalmazia. A Lipari nacque così un insediamento di notevole ampiezza. L'ossidiana veniva anche trasportata a Salina dove veniva lavorata.
Sempre del neolitico sul pianoro di Rinicedda a Leni (Isola di Salina) sono stati scoperti i resti di una capanna con frammenti di impasto di argilla, non sono tuttavia presenti i tipici buchi per i pali posti per sorreggere le strutture delle capanne. Della stessa epoca è l'insediamento di Castellaro Vecchio a Lipari dove sono state trovate ceramiche appartenenti alla cultura di Stentinello. I vasi erano fabbricati a mano, perché il tornio ancora non esisteva. Le forme sono semplici e le decorazioni ottenute usando le mani o dei punteruoli per graffiare la superficie. vi sono anche decorazioni colorate con fasce rosse importate dall'Italia meridionale. Delle fasi più evolute del neolitico è il ritrovamento proveniente dal promontorio del Milazzese a Panarea di un frammento dipinto con lo stile di Serra d'Alto. Nel IV millennio a.C., durante il periodo della cultura di Diana legata al villaggio di contrada Diana a Lipari sorsero degli insediamenti in tutte le isole eccetto Vulcano.
Dell'età del rame (3000-2300 a.C.) vi sono tracce di capanne presso Filicudi, Panarea, Stromboli e Salina. A Stromboli sul Serro Fareddu si trova a 130 m di quota un inseriamento della facies di Pianoconte. Mentre a Panarea sul Piano Quartara sono state scoperte delle ceramiche della cultura di Malpasso-S. Ippolito.
Tra il XVI e il XIV secolo a.C. le Eolie videro aumentare la loro importanza in quanto poste sulla rotta commerciale dei metalli: in particolare sembra fosse scambiato lo stagnoche giungeva via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo stretto di Messina verso oriente.
Agli inizi del secondo millennio a.C. in Sicilia si afferma la Cultura di Castelluccio, mentre nelle Eolie si diffonde la cultura detta di Capo Graziano, dai rinvenimenti dell'isola di Filicudi. La medesima cultura è attestata anche a Lipari e l'abitato è formato di capanne circolari con pareti di pietre a secco, poste sulla rupe, quasi a strapiombo sul mare. Le forme ceramiche di questo periodo sono numerose e si trasformano nel tempo, attestando per il bronzo Medio un forte influsso della cultura di Thapsos detta cultura del Milazzese. Le influenze dalle aree della Sicilia centro meridionale perdurano sino al bronzo recente. Per l'età del Bronzo si rilevano anche importazioni dal mondo Miceneo e dal Vicino Oriente. Successivamente è documentata una diversa cultura, di tipo villanoviano con tombe in situle e in vasi biconici, detta dell'Ausonio I e dell'Ausonio II, perché propone forme attestate anche nella penisola Italiana e forse da essa importate. Lipari fu poi colonizzata da un gruppo di Greci (Cnidi e Rodii), intorno al 580 a.C., e nel mondo greco si identificò l'Arcipelago con le isole Eolie, Αιόλιαι, note ad Omero e considerate la dimora del dio dei venti, Eolo.
Sempre del neolitico sul pianoro di Rinicedda a Leni (Isola di Salina) sono stati scoperti i resti di una capanna con frammenti di impasto di argilla, non sono tuttavia presenti i tipici buchi per i pali posti per sorreggere le strutture delle capanne. Della stessa epoca è l'insediamento di Castellaro Vecchio a Lipari dove sono state trovate ceramiche appartenenti alla cultura di Stentinello. I vasi erano fabbricati a mano, perché il tornio ancora non esisteva. Le forme sono semplici e le decorazioni ottenute usando le mani o dei punteruoli per graffiare la superficie. vi sono anche decorazioni colorate con fasce rosse importate dall'Italia meridionale. Delle fasi più evolute del neolitico è il ritrovamento proveniente dal promontorio del Milazzese a Panarea di un frammento dipinto con lo stile di Serra d'Alto. Nel IV millennio a.C., durante il periodo della cultura di Diana legata al villaggio di contrada Diana a Lipari sorsero degli insediamenti in tutte le isole eccetto Vulcano.
Dell'età del rame (3000-2300 a.C.) vi sono tracce di capanne presso Filicudi, Panarea, Stromboli e Salina. A Stromboli sul Serro Fareddu si trova a 130 m di quota un inseriamento della facies di Pianoconte. Mentre a Panarea sul Piano Quartara sono state scoperte delle ceramiche della cultura di Malpasso-S. Ippolito.
Tra il XVI e il XIV secolo a.C. le Eolie videro aumentare la loro importanza in quanto poste sulla rotta commerciale dei metalli: in particolare sembra fosse scambiato lo stagnoche giungeva via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo stretto di Messina verso oriente.
Agli inizi del secondo millennio a.C. in Sicilia si afferma la Cultura di Castelluccio, mentre nelle Eolie si diffonde la cultura detta di Capo Graziano, dai rinvenimenti dell'isola di Filicudi. La medesima cultura è attestata anche a Lipari e l'abitato è formato di capanne circolari con pareti di pietre a secco, poste sulla rupe, quasi a strapiombo sul mare. Le forme ceramiche di questo periodo sono numerose e si trasformano nel tempo, attestando per il bronzo Medio un forte influsso della cultura di Thapsos detta cultura del Milazzese. Le influenze dalle aree della Sicilia centro meridionale perdurano sino al bronzo recente. Per l'età del Bronzo si rilevano anche importazioni dal mondo Miceneo e dal Vicino Oriente. Successivamente è documentata una diversa cultura, di tipo villanoviano con tombe in situle e in vasi biconici, detta dell'Ausonio I e dell'Ausonio II, perché propone forme attestate anche nella penisola Italiana e forse da essa importate. Lipari fu poi colonizzata da un gruppo di Greci (Cnidi e Rodii), intorno al 580 a.C., e nel mondo greco si identificò l'Arcipelago con le isole Eolie, Αιόλιαι, note ad Omero e considerate la dimora del dio dei venti, Eolo.
Il periodo greco e romano
Anche nel periodo greco l'Arcipelago rappresentò un punto nodale di incontro tra Tirreni (Etruschi), Fenici (Cartaginesi) e Greci (sia di Grecia propria che della Magna Grecia e della Sicilia, con particolari legami con le città dello Stretto e con Siracusa). Le ricche necropoli di Lipara hanno restituito vasi e materiali di importazione dalla Grecia (di Corinto, di Atene e della Ionia) e produzioni locali sfarzose. Di particolare interesse sono sia le terrecotte (mascherette teatrali e pinakes votivi) che le produzioni vascolari nel IV sec. caratterizzate da crateri di importazione siceliota e campana e nel III da una pregevole produzione locale con ricco cromatismo.
Durante la prima guerra Punica le isole furono teatro degli scontri tra Roma e Cartagine e Lipara fu conquistata da Roma nel 252. In epoca romana le Eolie divennero centri di commercio dello zolfo, dell'allume e del sale, del vino e del garum. Anche in questo caso le ricche oreficerie e i corredi tombali con olle di vetro e frammenti riconducibili a sarcofagi ed a statue funerarie dimostrano un buon livello di vita, probabilmente connesso alla diffusione del latifondo senatorio.
Anche nel periodo greco l'Arcipelago rappresentò un punto nodale di incontro tra Tirreni (Etruschi), Fenici (Cartaginesi) e Greci (sia di Grecia propria che della Magna Grecia e della Sicilia, con particolari legami con le città dello Stretto e con Siracusa). Le ricche necropoli di Lipara hanno restituito vasi e materiali di importazione dalla Grecia (di Corinto, di Atene e della Ionia) e produzioni locali sfarzose. Di particolare interesse sono sia le terrecotte (mascherette teatrali e pinakes votivi) che le produzioni vascolari nel IV sec. caratterizzate da crateri di importazione siceliota e campana e nel III da una pregevole produzione locale con ricco cromatismo.
Durante la prima guerra Punica le isole furono teatro degli scontri tra Roma e Cartagine e Lipara fu conquistata da Roma nel 252. In epoca romana le Eolie divennero centri di commercio dello zolfo, dell'allume e del sale, del vino e del garum. Anche in questo caso le ricche oreficerie e i corredi tombali con olle di vetro e frammenti riconducibili a sarcofagi ed a statue funerarie dimostrano un buon livello di vita, probabilmente connesso alla diffusione del latifondo senatorio.
Le successive dominazioni
Nell'836-837 l'arcipelago è assaltato dall'armata di al-Fadl ibn Yaʿqūb (poi sostituito a settembre dal nuovo governatore aghlabideAbū l-Aghlab Ibrāhīm b. ʿAbd Allāh b. al-Aghlab, cugino dell'emiro Ziyadat Allah I). La flotta musulmana condotta da al-Fadl ibn Yaʿqūb devasta le Isole Eolie ed espugna diverse fortezze sulla costa settentrionale della Sicilia, tra cui la vicina Tyndaris. Nell'XI secolo Lipari è conquistata dai Normanni che vi impostano una abazia benedettina e con Ruggero II la elevano a sede vescovile.
Nel 1544, quando la Spagna dichiara guerra alla Francia, il re francese Francesco I chiede aiuto al sultano ottomano Solimano il Magnifico. Questi manda una flotta comandata da Khayr al-Din Barbarossa che attacca le isole Eolie, uccidendo e deportando molti dei suoi abitanti. Secondo il suo disegno le Eolie avrebbero dovuto essere l'avamposto dal quale attaccare Napoli.
Nel corso dei secoli successivi l'arcipelago viene nuovamente popolato da comunità spagnole, siciliane e del resto d'Italia. In epoca borbonica l'isola di Vulcano viene usata come colonia penale per l'estrazione coatta di allume e zolfo.
Nell'836-837 l'arcipelago è assaltato dall'armata di al-Fadl ibn Yaʿqūb (poi sostituito a settembre dal nuovo governatore aghlabideAbū l-Aghlab Ibrāhīm b. ʿAbd Allāh b. al-Aghlab, cugino dell'emiro Ziyadat Allah I). La flotta musulmana condotta da al-Fadl ibn Yaʿqūb devasta le Isole Eolie ed espugna diverse fortezze sulla costa settentrionale della Sicilia, tra cui la vicina Tyndaris. Nell'XI secolo Lipari è conquistata dai Normanni che vi impostano una abazia benedettina e con Ruggero II la elevano a sede vescovile.
Nel 1544, quando la Spagna dichiara guerra alla Francia, il re francese Francesco I chiede aiuto al sultano ottomano Solimano il Magnifico. Questi manda una flotta comandata da Khayr al-Din Barbarossa che attacca le isole Eolie, uccidendo e deportando molti dei suoi abitanti. Secondo il suo disegno le Eolie avrebbero dovuto essere l'avamposto dal quale attaccare Napoli.
Nel corso dei secoli successivi l'arcipelago viene nuovamente popolato da comunità spagnole, siciliane e del resto d'Italia. In epoca borbonica l'isola di Vulcano viene usata come colonia penale per l'estrazione coatta di allume e zolfo.