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Per tutte le volte che hai detto "Botta ri sale": come nasce il modo di dire siciliano @sicilianewseinfo
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Per tutte le volte che hai detto "Botta ri sale": come nasce il modo di dire siciliano
Il sale, in Sicilia, ha dato da lavoro, è servito per scongiurare il malocchio ed è diventato pure un modo di dire tipico del nostro dialetto. E noi vi sveliamo qual è la sua origine Chi non ha mai sentito l’espressione botta ri sale? Da che mondo è mondo…
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L'ORECCHIO DI DIONISIO
L'orecchio di Dionisio è una grotta artificiale, scavata nel calcare, alta circa 23 metri larga dagli 8 agli 11 e profonda circa 65, dotata di una eccezionale proprietà acustica che amplifica i suoni fino a 16 volte.
La sua particolare forma, simile ad un padiglione auricolare, e le sue caratteristiche acustiche, indussero Michelangelo di Caravaggio a soprannominarla "Orecchio di Dionisio", avvalorando così la leggenda secondo la quale la grotta sarebbe stata fatta costruire da Dionisio,tiranno di Siracusa, per rinchiudervi i prigionieri e poter ascoltare da un'apertura dall'alto le loro parole amplificate dall'eco.
In effetti la particolare forma della grotta è dovuta al fatto che lo scavo iniziò dall'alto andando ad allargarsi verso il basso per seguire una vena di roccia di ottima qualità.
@siciliaterramia
@sicilianewseinfo
L'orecchio di Dionisio è una grotta artificiale, scavata nel calcare, alta circa 23 metri larga dagli 8 agli 11 e profonda circa 65, dotata di una eccezionale proprietà acustica che amplifica i suoni fino a 16 volte.
La sua particolare forma, simile ad un padiglione auricolare, e le sue caratteristiche acustiche, indussero Michelangelo di Caravaggio a soprannominarla "Orecchio di Dionisio", avvalorando così la leggenda secondo la quale la grotta sarebbe stata fatta costruire da Dionisio,tiranno di Siracusa, per rinchiudervi i prigionieri e poter ascoltare da un'apertura dall'alto le loro parole amplificate dall'eco.
In effetti la particolare forma della grotta è dovuta al fatto che lo scavo iniziò dall'alto andando ad allargarsi verso il basso per seguire una vena di roccia di ottima qualità.
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Situata all'interno della latomia del Paradiso, ancora coperta, vi è la Grotta dei Cordari che, per secoli, grazie alla propria lunghezza e alla presenza dell'acqua, ha ospitato l'arte dei fabbricanti di corde, i cordari appunto. La volta è sostenuta ancora da piloni lasciati dai cavatori di pietre, e si vedono enormi blocchi ben squadrati pendere dal soffitto come colossali stalattiti. Qui si fabbricavano le corde sfruttando l'umidità del posto. Molto suggestiva per la vegetazione di muschi e capelvenere, la Grotta dei Cordari è famosa anche per i giochi di luce che si creano al suo interno. Sulle pareti e sul soffitto, in alcuni punti, si notano i piani di estrazione dei blocchi di calcare.
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Coronavirus e voglia di viaggiare, la classifica delle 10 mete più sognate: la Sicilia al 4° posto @sicilianewseinfo
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Coronavirus e voglia di viaggiare, la classifica delle 10 mete più sognate: la Sicilia al 4° posto
SICILIA – Dall’inizio della pandemia, quasi un anno fa, l’idea di viaggiare è diventata più un sogno che una realtà effettiva, ma l’arrivo del vaccino ha risvegliato quella voglia di evadere che tanto ci mancava. Così, la volontà di guardare al futuro con…
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Salvatore Borsellino vince il Premio Astrea 2020 in memoria del fratello Paolo @sicilianewseinfo
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Salvatore Borsellino vince il Premio Astrea 2020 in memoria del fratello Paolo
È stata dedicata a Paolo Borsellino l'edizione 2020 del Premio Nazionale Astrea. Si tratta di un premio che si svolge ogni anno in Calabria, allo scopo di conferire un riconoscimento a personalità italiane che si sono contraddistinte, in vari ambiti, per…
Il “Castello Matagriffone”.
Dal nome di “Castello Matagriffone” si risale alla presenza di una fortificazione già intorno al 1061 d.C., con la conquista della Sicilia da parte dei Normanni. Venti anni dopo, nel 1081 d.C., si ricordano le azioni di Ruggero I protese a rafforzare le difese dell’abitato tramite la costruzione di un vero e proprio castello che diverrà Palazzo Reale.
Un secolo dopo (1190 d.C.), prima di partire per la III crociata, sbarca a Messina Riccardo Cuor di Leone, il quale, soggiornando in città per circa sei mesi, impartisce ordini al fine di edificare il castello di “Mategrifon”. Il toponimo, composto da due termini, significa “ammazza-griffoni”, nomignolo quest’ultimo affibbiato dagli europei a greci e levantini. In onore al re guelfo la nuova fortificazione verrà anche chiamata “Roccaguelfonia”, per ricordare colui che la fece costruire.
@sicilianewseinfo
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Dal nome di “Castello Matagriffone” si risale alla presenza di una fortificazione già intorno al 1061 d.C., con la conquista della Sicilia da parte dei Normanni. Venti anni dopo, nel 1081 d.C., si ricordano le azioni di Ruggero I protese a rafforzare le difese dell’abitato tramite la costruzione di un vero e proprio castello che diverrà Palazzo Reale.
Un secolo dopo (1190 d.C.), prima di partire per la III crociata, sbarca a Messina Riccardo Cuor di Leone, il quale, soggiornando in città per circa sei mesi, impartisce ordini al fine di edificare il castello di “Mategrifon”. Il toponimo, composto da due termini, significa “ammazza-griffoni”, nomignolo quest’ultimo affibbiato dagli europei a greci e levantini. In onore al re guelfo la nuova fortificazione verrà anche chiamata “Roccaguelfonia”, per ricordare colui che la fece costruire.
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Nel 1240 Federico II ne amplierà le mura e qualche anno dopo la fortezza passerà in mano angioina; all’indomani del Vespro il complesso fortificato è l’ultimo baluardo all’interno del quale si asserragliano i seguaci di Carlo I d’Angiò incalzati dalla popolazione di Messina tutta in rivolta contro l’oppressore francese. L’esito è scontato, nel 1283 il castello viene incendiato dalla gente vittoriosa. L’edificio, sebbene danneggiato, intorno agli ultimi anni del XIII sec. diventa dimora della regina Costanza di Altavilla. Alla fine del XV sec. nuovi interventi rivolti all’ampliamento della fortezza saranno ordinati da Ferdinando il Cattolico, del quale rimane una iscrizione presso l’attuale torre superstite. Nei secoli successivi, divenuto sede del Senato di Messina, il castello con i suoi bastioni cinquecenteschi è protagonista o vittima delle continue rivolte della città: nel 1674 Messina si ribella agli spagnoli; nel 1718 e 1734 il forte subisce cannoneggiamenti a causa delle ribellioni. Nel 1759, forse per la decadenza delle strutture, il castello è convertito parzialmente in convento degli Agostiniani scalzi; nel 1838 in carcere distrettuale; nel 1848 i messinesi, in rivolta contro i Borboni, assediano e danneggiano quel che rimane dell’antica fortezza.
Il castello, in posizione assolutamente strategica, sorgeva su di una collina alta m. 60 sopra il livello del mare, dominando sia la città che il porto, compreso lo stretto. D’altronde l’immediato entroterra di Messina è del tutto montuoso, con tanti rilievi adatti per edificare strutture difensive (come avverrà dopo l’unità d’Italia con i “forti umbertini”). Oggi è possibile solo intuire la reale forma dell’antica fortezza. Delle bastionature cinquecentesche rimangono numerosi ruderi, per la maggior parte nascosti, obliterati o, addirittura, trasformati in edifici residenziali.
È curioso notare come la disposizione delle abitazioni civili sia il risultato di un adattamento progressivo alla topografia disegnata dal colle e dalla cinta muraria del XVI sec. nel momento in cui quest’ultima ha perso le sue funzioni strettamente difensive. Ciò sarebbe avvenuto soprattutto in seguito alla ricostruzione dopo il terremoto del 1908, cataclisma i cui effetti sul “Castello Matagriffone” saranno stati certamente devastanti, sebbene poco documentati. Sotto il viale principe Umberto trova inoltre posto una porta ad arco bugnato, forse l’antico ingresso della fortezza risultato delle trasformazioni cinquecentesche.
@sicilianewseinfo
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Il castello, in posizione assolutamente strategica, sorgeva su di una collina alta m. 60 sopra il livello del mare, dominando sia la città che il porto, compreso lo stretto. D’altronde l’immediato entroterra di Messina è del tutto montuoso, con tanti rilievi adatti per edificare strutture difensive (come avverrà dopo l’unità d’Italia con i “forti umbertini”). Oggi è possibile solo intuire la reale forma dell’antica fortezza. Delle bastionature cinquecentesche rimangono numerosi ruderi, per la maggior parte nascosti, obliterati o, addirittura, trasformati in edifici residenziali.
È curioso notare come la disposizione delle abitazioni civili sia il risultato di un adattamento progressivo alla topografia disegnata dal colle e dalla cinta muraria del XVI sec. nel momento in cui quest’ultima ha perso le sue funzioni strettamente difensive. Ciò sarebbe avvenuto soprattutto in seguito alla ricostruzione dopo il terremoto del 1908, cataclisma i cui effetti sul “Castello Matagriffone” saranno stati certamente devastanti, sebbene poco documentati. Sotto il viale principe Umberto trova inoltre posto una porta ad arco bugnato, forse l’antico ingresso della fortezza risultato delle trasformazioni cinquecentesche.
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Oggi, il Sacrario di Cristo Re si erge sugli antichi muraglioni del Castello di Matagriffone o Roccaguelfonia.
Dal belvedere antistante si gode l’intera veduta dello stretto, con uno dei panorami più belli e suggestivi della città.
L’attuale Sacrario, che si sviluppa su una superficie di oltre 600 mq., è stato progettato da Giovan Battista Milani e inaugurato nel 1937. Domina sulla città con la sua grande cupola e le sue forme richiamano l’architettura del messinese Filippo Juvara (in particolare, la Basilica di Superga a Torino).
L’edificio in stile barocco si presenta a forma ottagonale irregolare con una grande cupola segnata da otto costoloni alla base dei quali vi sono otto statue di bronzo modellate dallo scultore romano Teofilo Raggio e fuse dalla fonderia artistica fiorentina, raffiguranti le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità; le quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e per ultima la virtù della Religione che le comprende tutte. Sulla cupola vi è collocata una lanterna alta sei metri ed una palla di un metro sulla quale si erge una croce. Sulla torre ottagonale dell’antico castello è stata collocata una campana (la terza più grande d’Italia) alta 2,80 metri per un peso di 130 quintali ricavata dalla fusione del bronzo dei cannoni nemici sottratti durante la guerra del 1915-1918. Il frontale d’ingresso è ornato da due figure che rappresentano l’Italia e Messina. Al suo interno, al centro della cripta, è collocato un sarcofago in marmo sul quale giace la figura del milite ignoto, opera del Bonfiglio, nelle pareti vengono custoditi i resti di 110 caduti della prima guerra mondiale e di 1.288 caduti della seconda guerra mondiale, di cui 161 rimasti ignoti, in gran parte morti nel 1943 durante i combattimenti per la difesa dell’isola. In una lapide, inoltre, sono ricordati i 21 marinai caduti nella battaglia navale di Punta Stilo il 9 luglio 1940.
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Dal belvedere antistante si gode l’intera veduta dello stretto, con uno dei panorami più belli e suggestivi della città.
L’attuale Sacrario, che si sviluppa su una superficie di oltre 600 mq., è stato progettato da Giovan Battista Milani e inaugurato nel 1937. Domina sulla città con la sua grande cupola e le sue forme richiamano l’architettura del messinese Filippo Juvara (in particolare, la Basilica di Superga a Torino).
L’edificio in stile barocco si presenta a forma ottagonale irregolare con una grande cupola segnata da otto costoloni alla base dei quali vi sono otto statue di bronzo modellate dallo scultore romano Teofilo Raggio e fuse dalla fonderia artistica fiorentina, raffiguranti le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità; le quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e per ultima la virtù della Religione che le comprende tutte. Sulla cupola vi è collocata una lanterna alta sei metri ed una palla di un metro sulla quale si erge una croce. Sulla torre ottagonale dell’antico castello è stata collocata una campana (la terza più grande d’Italia) alta 2,80 metri per un peso di 130 quintali ricavata dalla fusione del bronzo dei cannoni nemici sottratti durante la guerra del 1915-1918. Il frontale d’ingresso è ornato da due figure che rappresentano l’Italia e Messina. Al suo interno, al centro della cripta, è collocato un sarcofago in marmo sul quale giace la figura del milite ignoto, opera del Bonfiglio, nelle pareti vengono custoditi i resti di 110 caduti della prima guerra mondiale e di 1.288 caduti della seconda guerra mondiale, di cui 161 rimasti ignoti, in gran parte morti nel 1943 durante i combattimenti per la difesa dell’isola. In una lapide, inoltre, sono ricordati i 21 marinai caduti nella battaglia navale di Punta Stilo il 9 luglio 1940.
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Novene e Ciaramiddari, tradizioni siciliane di Natale.
Un tempo,il Natale in Sicilia aveva il suono della ciaramedda.
Questo strumento musicale popolare è sempre stato uno dei più utilizzati.
Scopriamone insieme la storia e perché rappresenta un pezzo di cultura siciliana molto importante.
La Sicilia vanta anche una bella tradizione di canti dedicati alle festività natalizie.Si tratta delle novene,che raccontano le vicende della natività e vengono intonate dagli zampognari, detti “ciaramiddari”. La ciaramedda (ciaramella) è uno strumento musicale popolare della famiglia degli oboi.Si tratta di uno degli strumenti più usati nella musica popolare siciliana.Il nome deriva dal diminuitivo tardo latino calamellus,al femminile “calamilla” e “calamella”,derivante a sua volta dalla parola latina calamus e greca kàlamos,cioè “canna”.In siciliano è conosciuta come ciaramedda. Con il termine ciaramella (shawm in inglese,
Schalmeiiin tedesco,chalemie in francese) si indica il soprano della famiglia delle bombarde.Questo strumento per tutto il medioevo viene utilizzato come discantus nell’ensemble dell’alta cappella.La differenza tra ciaramella e bombarda consiste principalmente nella presenza in quest’ultima di una chiave, parzialmente celata da una fontanella con funzione protettiva ed estetica, necessaria per suonare la nota più grave dello strumento. Questa distinzione viene mantenuta fino al XVII secolo, come testimonia il trattato Syntagma Musicum di Michael Praetorius ed applicata a tutte le altre taglie della famiglia delle bombarde.
@siciliaterramia
Un tempo,il Natale in Sicilia aveva il suono della ciaramedda.
Questo strumento musicale popolare è sempre stato uno dei più utilizzati.
Scopriamone insieme la storia e perché rappresenta un pezzo di cultura siciliana molto importante.
La Sicilia vanta anche una bella tradizione di canti dedicati alle festività natalizie.Si tratta delle novene,che raccontano le vicende della natività e vengono intonate dagli zampognari, detti “ciaramiddari”. La ciaramedda (ciaramella) è uno strumento musicale popolare della famiglia degli oboi.Si tratta di uno degli strumenti più usati nella musica popolare siciliana.Il nome deriva dal diminuitivo tardo latino calamellus,al femminile “calamilla” e “calamella”,derivante a sua volta dalla parola latina calamus e greca kàlamos,cioè “canna”.In siciliano è conosciuta come ciaramedda. Con il termine ciaramella (shawm in inglese,
Schalmeiiin tedesco,chalemie in francese) si indica il soprano della famiglia delle bombarde.Questo strumento per tutto il medioevo viene utilizzato come discantus nell’ensemble dell’alta cappella.La differenza tra ciaramella e bombarda consiste principalmente nella presenza in quest’ultima di una chiave, parzialmente celata da una fontanella con funzione protettiva ed estetica, necessaria per suonare la nota più grave dello strumento. Questa distinzione viene mantenuta fino al XVII secolo, come testimonia il trattato Syntagma Musicum di Michael Praetorius ed applicata a tutte le altre taglie della famiglia delle bombarde.
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Le caratteristiche della ciaramedda
Questo strumento musicale popolare è diffuso in tutto il Centro-sud Italia. In Sicilia il termine ciaramedda designa la zampogna. Questo deriva dal fatto che la zampogna stessa sia nata dall’accostamento di due ciaramelle, alle quali nell’età dell’Impero Romano è stato aggiunta una riserva d’aria tramite un otre (nel Medioevo saranno aggiunti infine i bordoni). La doppia ancia, assai lunga, viene tenuta fra le labbra; il foro del fuso è conico e la campana terminale è ampiamente svasata. Raramente è suonata come strumento solista. Generalmente si suona assieme alla zampogna. L’accostamento tra zampogna e ciaramella è diffuso grazie agli zampognari itineranti che portano la novena di Natale. Originariamente l’uso non era legato al solo contesto pastorale e natalizio, ma apparteneva ai più vari contesti.
@sicilianewseinfo
@siciliatertamia
Questo strumento musicale popolare è diffuso in tutto il Centro-sud Italia. In Sicilia il termine ciaramedda designa la zampogna. Questo deriva dal fatto che la zampogna stessa sia nata dall’accostamento di due ciaramelle, alle quali nell’età dell’Impero Romano è stato aggiunta una riserva d’aria tramite un otre (nel Medioevo saranno aggiunti infine i bordoni). La doppia ancia, assai lunga, viene tenuta fra le labbra; il foro del fuso è conico e la campana terminale è ampiamente svasata. Raramente è suonata come strumento solista. Generalmente si suona assieme alla zampogna. L’accostamento tra zampogna e ciaramella è diffuso grazie agli zampognari itineranti che portano la novena di Natale. Originariamente l’uso non era legato al solo contesto pastorale e natalizio, ma apparteneva ai più vari contesti.
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Anche il torrone ha origini siciliane.
Il torrone di Caltanissetta è una specialità di antica origine.
Questo dolce vanta una storia molto antica, che tuttavia non tutti conoscono.
Una fonte storica ci porta indietro addirittura al 300 a.C., quando viene citato un dolce chiamato koptè.
Quando si pensa al torrone, difficilmente lo si associa alla Sicilia, eppure le sue origini affondano le radici nel territorio della nostra isola, più precisamente a Caltanissetta. Questo dolce vanta una storia antica, ma poco conosciuta. Il torrone che si prepara nell’entroterra siciliano è un presidio Slow Food e si prepara con maestria da generazioni. Già in alcuni documenti del 1600 si fa riferimento a un dolce, tipico delle festività natalizie, che tuttavia non aveva ancora il nome di torrone
@siciliaterramia
Il torrone di Caltanissetta è una specialità di antica origine.
Questo dolce vanta una storia molto antica, che tuttavia non tutti conoscono.
Una fonte storica ci porta indietro addirittura al 300 a.C., quando viene citato un dolce chiamato koptè.
Quando si pensa al torrone, difficilmente lo si associa alla Sicilia, eppure le sue origini affondano le radici nel territorio della nostra isola, più precisamente a Caltanissetta. Questo dolce vanta una storia antica, ma poco conosciuta. Il torrone che si prepara nell’entroterra siciliano è un presidio Slow Food e si prepara con maestria da generazioni. Già in alcuni documenti del 1600 si fa riferimento a un dolce, tipico delle festività natalizie, che tuttavia non aveva ancora il nome di torrone
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