Nella foto un allevamento del baco da seta in Sicilia.
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La storia della "Via della Seta" siciliana: Messina sfidava la Cina.
La bacocultura è arrivata in Europa grazie ai Bizantini. Dopo la conquista della Sicilia da parte degli Arabi, la regione divenne sede di ingenti coltivazioni di bachi da seta, tanto da diventare l'attività più redditizia di tutta la zona: i prodotti lavorati in Sicilia furono esportati in tutto il mondo e furono molto apprezzati soprattutto dalle classi nobili, soppiantando la supremazia cinese nel settore. Nacque addirittura lo stile "alla siciliana", molto richiesto grazie alla sua bellezza.
La città Siciliana che divenne centrale per la "Via della Seta" dell'epoca fu Messina. Le coltivazioni di baco da seta erano estese in tutta il Val Demone, territorio che copriva quasi per intero l'attuale Provincia di Messina con i rilievi dei Nebrodi e l'Etna. La grande quantità di seta prodotta conquistò anche gli Svevi e gli Aragonesi che si stabilizzarono nel territorio.
L'industria della seta siciliana, fiorente a Messina crollò definitivamente nel 1783 quando, a causa di un terremoto e di una malattia che aveva colpito i bachi da seta siciliani (debellata nel 1874), si decise di rinunciare ad investire ancora nell'attività bachi-sericola.
Il Novecento è segnato da timidi tentativi di far riprendere la "Via della Seta" ma tutte le attività cessarono nel secondo dopoguerra, quando si capì che per Messina non c'era più posto per la seta.
💻Fonte
Post del 👉🏻https://t.me/sicil_iaterramia/7941
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L'industria della seta siciliana, fiorente a Messina crollò definitivamente nel 1783 quando, a causa di un terremoto e di una malattia che aveva colpito i bachi da seta siciliani (debellata nel 1874), si decise di rinunciare ad investire ancora nell'attività bachi-sericola.
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Il Terremoto di Messina, 28 Dicembre 1908, La catastrofe naturale più disastrosa della storia d' Europa.
Ore 5:20 del mattino del 28 dicembre 1908
Messina, Reggio Calabria e lo stretto di Scilla e Cariddi, cambiano aspetto per sempre.
Sono le 5:20 del mattino del 28 dicembre 1908, dal traghetto Calabria in navigazione sullo stretto il comandante sta guardando le luci di Messina. Un fragore cupo sale da sotto il mare. Un pezzo di crosta terrestre lungo circa 40 chilometri è scattato verso il basso di due tre metri. Il traghetto viene sbalzato in su poi ricade giù.
A terra trenta secondi di scosse violentissime sorprendono i messinesi nel sonno.
Negli edifici che crollano ha inizio un orrore che nessuno di loro dimenticherà più. A sud della città il terremoto innesca una gigantesca frana sottomarina che a sua volta provoca uno tsunami.
Parecchi minuti più tardi tre ondate alte dai sei ai dodici metri spazzano la costa. All'alba appare Messina quasi completamente distrutta e non solo Messina ma anche Reggio Calabria insieme ad altri diciassette piccoli centri in Sicilia e venticinque in Calabria.
Il terremoto ha devastato un'area di seimila chilometri quadrati ma per molte ore il resto dell'Italia non se ne accorge. Le linee telegrafiche sono interrotte. Migliaia di persone sono
intrappolate sotto le rovine. Hai sopravvissuti sembra sia arrivata la fine del mondo.
Interi isolati prendono fuoco. Scende una pioggia sottile che continuerà per giorni. I primi soccorsi li porta una squadra navale russa all'alba del ventinove. Il trenta arriva una squadra inglese partita da Malta. Per molti giorni saranno gli unici soccorsi organizzati
ed efficienti.
Lo Stato arriva per ultimo e senza la minima organizzazione. La vita civile è sprofondata nel caos. E i comandi militari non riescono a proporre di meglio che finire di distruggere la città a cannonate e darle fuoco, Il Governo li ferma ma nega i viveri e i soccorsi ai sopravvissuti per costringerli a lasciare la città.
Reggio viene quasi dimenticata e in alcuni centri della Calabria i primi soccorsi arriveranno dopo settimane. Il bilancio del terremoto è di ottantamila vittime. Duemila delle quali per lo tsunami.
Messina ha perso il quarantadue percento dei suoi abitanti.
Reggio il ventisette percento.
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Sono le 5:20 del mattino del 28 dicembre 1908, dal traghetto Calabria in navigazione sullo stretto il comandante sta guardando le luci di Messina. Un fragore cupo sale da sotto il mare. Un pezzo di crosta terrestre lungo circa 40 chilometri è scattato verso il basso di due tre metri. Il traghetto viene sbalzato in su poi ricade giù.
A terra trenta secondi di scosse violentissime sorprendono i messinesi nel sonno.
Negli edifici che crollano ha inizio un orrore che nessuno di loro dimenticherà più. A sud della città il terremoto innesca una gigantesca frana sottomarina che a sua volta provoca uno tsunami.
Parecchi minuti più tardi tre ondate alte dai sei ai dodici metri spazzano la costa. All'alba appare Messina quasi completamente distrutta e non solo Messina ma anche Reggio Calabria insieme ad altri diciassette piccoli centri in Sicilia e venticinque in Calabria.
Il terremoto ha devastato un'area di seimila chilometri quadrati ma per molte ore il resto dell'Italia non se ne accorge. Le linee telegrafiche sono interrotte. Migliaia di persone sono
intrappolate sotto le rovine. Hai sopravvissuti sembra sia arrivata la fine del mondo.
Interi isolati prendono fuoco. Scende una pioggia sottile che continuerà per giorni. I primi soccorsi li porta una squadra navale russa all'alba del ventinove. Il trenta arriva una squadra inglese partita da Malta. Per molti giorni saranno gli unici soccorsi organizzati
ed efficienti.
Lo Stato arriva per ultimo e senza la minima organizzazione. La vita civile è sprofondata nel caos. E i comandi militari non riescono a proporre di meglio che finire di distruggere la città a cannonate e darle fuoco, Il Governo li ferma ma nega i viveri e i soccorsi ai sopravvissuti per costringerli a lasciare la città.
Reggio viene quasi dimenticata e in alcuni centri della Calabria i primi soccorsi arriveranno dopo settimane. Il bilancio del terremoto è di ottantamila vittime. Duemila delle quali per lo tsunami.
Messina ha perso il quarantadue percento dei suoi abitanti.
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Monumento agli eroici Marinai Russi
I marinai della flotta imperiale russa infatti dimostrarono grande eroismo fornendo l’assistenza alla popolazione locale dopo il violento terremoto nel 1908. L’autore del monumento è lo scultore russo Vassily Selivanov.
Il 28 dicembre 1908 uno tsunami distrusse la costa nord-orientale della Sicilia e la punta della Calabria. Solo un terzo dei 147 mila abitanti di Messina riuscì a salvarsi. I primi ad essere intervenuti in soccorso dei terremotati furono i marinai russi. Il salvataggio di Messina si trasformò nella maggiore operazione umanitaria all’inizio del XX secolo.
I legami restano forti ancora oggi tra la città messinese ed il popolo russo.
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Il 28 dicembre 1908 uno tsunami distrusse la costa nord-orientale della Sicilia e la punta della Calabria. Solo un terzo dei 147 mila abitanti di Messina riuscì a salvarsi. I primi ad essere intervenuti in soccorso dei terremotati furono i marinai russi. Il salvataggio di Messina si trasformò nella maggiore operazione umanitaria all’inizio del XX secolo.
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AUGUSTA LA FLOTTA RUSSA ED IL TERREMOTO DEL 1908
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La mattina del 28 dicembre 1908 i sismologi dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze scrissero:
«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione:“Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri.Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave.»
Fino al primo pomeriggio del 28 nulla si seppe se non voci e vaghe testimonianze ma intorno alle ore 16,00 entrò nel porto di Catania il piroscafo Washington portando la tragica notizia e così le autorità appresero finalmente l’entità della catastrofe. Messina era distrutta.
Al momento del terremoto, il Washington si trovava vicino la costa. Fortissime scosse furono udite e poi una polvere simile a nebbia avvolse la nave e tanto che il comandante Ribaudo diede ordine di fermare le macchine. Solo nella mattinata il Washington entro nel porto di Messina e avvicinatosi alle banchine semidistrutte ricevette l’invito da parte delle autorità provvisorie, di recarsi subito a Catania, perc diffondere l’allarme e imbarcare truppe da portare sul posto dell'ecatombe.
Da Catania la notizia arrivò velocemente a molti Prefetti e Sindaci delle provincie siciliane e ciò per la solerzia del Sindaco che mobilitò il personale e fece immediato ed ampio uso del telegrafo.
Ad Augusta le scosse si erano sentite e si era anche verificato un maremoto, per fortuna di dimensioni ridotte, e dunque erano circolate voci e testimonianze di disastri avvenuti altrove. Nel primo pomeriggio del 28 il Sindaco di Augusta, avv. Antonio Omodei, viene chiamato al telefono dal sindaco di Siracusa Toscano,il quale concitatamentploc informa delle dimensioni del disastro e chiede il di lui aiuto onde convincere la flotta russa che era ormeggiata in porto ad un immediato intervento a sostegno delle popolazioni di Messina.
Aggiunge Toscano che a sua volta avrebbe chiesto l’aiuto delle navi britanniche che si trovavano ormeggiate nel porto grande di Siracusa. In effetti era in porto da qualche giorno la quadra dell’ammiraglio Livitnov composta da due navi di linea corazzate e da due incrociatori a seguito di
esercitazioni in mare da parte della flotta del Baltico.
Erano in bella vista nel porto la corazzata “Slava” di 14.200 tonnellate e con 754 uomini di equipaggio,la corazzata Tsesarevich di 13.100 tonnellate e con un equipaggio 778 uomini, l’incrociatore “Admiral Makarov” di 7784 tonnellate e con un equipaggio di 568 uomini,il “ Bogatyr” di 5910 tonnellate con un equipaggio di 581 uomini. In totale 2681 uomini addestrati e disciplinati che potevano apportare un valido ed immediato aiuto. Appena il giorno prima l’amm. Livitnov era sceso a terra per i convenevoli d’uso ed era stato ricevuto in Municipio dal Sindaco. Tra i due i rapporti furono molto cordiali nonostante le difficoltà della lingua.
L’incontro si concluse con un giro in carrozza per il Paese e fino alla Darsena. Nulla faceva presagire che i due si sarebbero rivisti fra alcune ore. L’ammiraglio non si convince immediatamente della necessità di un rapido intervento e vorrebbe aspettare la conferma da Pietroburgo ma i suoi subordinati, ufficiali, guardiamarina,marinai semplici insistono e vogliono che si parta subito, e così fu.
Lo riferisce Garald Graf guardiamarina a bordo dell’admiral Makarov nel suo libro “La flotta Imperiale del Baltico tra le due guerre 1906 -1914” Velocemente si imbarcano medicinali, viveri, ma anche picconi, vanghe, scale, corde, barelle, messe a disposizione del Comune in tutta fretta e frutto di spontanee donazioni dei cittadini.
La flotta parte di notte e durante la navigazione si preparano le squadre ed i mezzi coordinati dal capitano Ponomarev comandante dell’incrociatore Makarov.
Le cannoniere Giljak e Koreec che avevano fatto rotta da Palermo si uniscono alla flotta
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«Stamani alle 5:21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione:“Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri.Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave.»
Fino al primo pomeriggio del 28 nulla si seppe se non voci e vaghe testimonianze ma intorno alle ore 16,00 entrò nel porto di Catania il piroscafo Washington portando la tragica notizia e così le autorità appresero finalmente l’entità della catastrofe. Messina era distrutta.
Al momento del terremoto, il Washington si trovava vicino la costa. Fortissime scosse furono udite e poi una polvere simile a nebbia avvolse la nave e tanto che il comandante Ribaudo diede ordine di fermare le macchine. Solo nella mattinata il Washington entro nel porto di Messina e avvicinatosi alle banchine semidistrutte ricevette l’invito da parte delle autorità provvisorie, di recarsi subito a Catania, perc diffondere l’allarme e imbarcare truppe da portare sul posto dell'ecatombe.
Da Catania la notizia arrivò velocemente a molti Prefetti e Sindaci delle provincie siciliane e ciò per la solerzia del Sindaco che mobilitò il personale e fece immediato ed ampio uso del telegrafo.
Ad Augusta le scosse si erano sentite e si era anche verificato un maremoto, per fortuna di dimensioni ridotte, e dunque erano circolate voci e testimonianze di disastri avvenuti altrove. Nel primo pomeriggio del 28 il Sindaco di Augusta, avv. Antonio Omodei, viene chiamato al telefono dal sindaco di Siracusa Toscano,il quale concitatamentploc informa delle dimensioni del disastro e chiede il di lui aiuto onde convincere la flotta russa che era ormeggiata in porto ad un immediato intervento a sostegno delle popolazioni di Messina.
Aggiunge Toscano che a sua volta avrebbe chiesto l’aiuto delle navi britanniche che si trovavano ormeggiate nel porto grande di Siracusa. In effetti era in porto da qualche giorno la quadra dell’ammiraglio Livitnov composta da due navi di linea corazzate e da due incrociatori a seguito di
esercitazioni in mare da parte della flotta del Baltico.
Erano in bella vista nel porto la corazzata “Slava” di 14.200 tonnellate e con 754 uomini di equipaggio,la corazzata Tsesarevich di 13.100 tonnellate e con un equipaggio 778 uomini, l’incrociatore “Admiral Makarov” di 7784 tonnellate e con un equipaggio di 568 uomini,il “ Bogatyr” di 5910 tonnellate con un equipaggio di 581 uomini. In totale 2681 uomini addestrati e disciplinati che potevano apportare un valido ed immediato aiuto. Appena il giorno prima l’amm. Livitnov era sceso a terra per i convenevoli d’uso ed era stato ricevuto in Municipio dal Sindaco. Tra i due i rapporti furono molto cordiali nonostante le difficoltà della lingua.
L’incontro si concluse con un giro in carrozza per il Paese e fino alla Darsena. Nulla faceva presagire che i due si sarebbero rivisti fra alcune ore. L’ammiraglio non si convince immediatamente della necessità di un rapido intervento e vorrebbe aspettare la conferma da Pietroburgo ma i suoi subordinati, ufficiali, guardiamarina,marinai semplici insistono e vogliono che si parta subito, e così fu.
Lo riferisce Garald Graf guardiamarina a bordo dell’admiral Makarov nel suo libro “La flotta Imperiale del Baltico tra le due guerre 1906 -1914” Velocemente si imbarcano medicinali, viveri, ma anche picconi, vanghe, scale, corde, barelle, messe a disposizione del Comune in tutta fretta e frutto di spontanee donazioni dei cittadini.
La flotta parte di notte e durante la navigazione si preparano le squadre ed i mezzi coordinati dal capitano Ponomarev comandante dell’incrociatore Makarov.
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Il 29 dicembre del 1945, a pochi chilometri da San Mauro, nei pressi di Caltagirone, ebbe luogo la "battaglia di San Mauro" tra l'EVIS, l'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia, e le forze armate Italiane.
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L'evento bellico, che contrappose poche decine di ribelli (i siciliani, infatti, non raggiungevano il centinaio di unità) ad almeno 3.000 (5.000 secondo i rappresentanti dell'EVIS).
A seguito di quella battaglia, precipitarono le trattative tra indipendentisti e governo, e si arrivò, a fine 1945 all'accordo che avrebbe portato alla conquista dello Statuto della Regione Siciliana. Quello stesso Statuto che l'Italia non ha mai rispettato, facendo così cadere il fondamento stesso sul quale i Siciliani avevano rinunciato alla loro indipendenza.
Molti di noi, a titolo personale, o come associazioni o movimenti, avevano dato il loro contributo alla costruzione di questa stele, che ricorda quel lontano evento, ed oggi, con una delegazione guidata da Luigi Crispino, anche noi saremo presenti a San Mauro, in spirito di fratellanza con il MIS e con tutte le organizzazioni indipendentiste.
Oggi non è più tempo di guerre civili e di violenza. Le guerre per l'indipendenza del passato, come il 1848/49 o il 1943/45, appartengono al nostro Pantheon, e stanno a ricordare come qualche volta solo la forza riesca a fermare la violenza dell'occupante.
Oggi non ci sono più morti di guerra civile, bensì morti di guerra economica, quella guerra economica non dichiarata che l'Italia sta conducendo contro di noi.
Noi oggi adottiamo mezzi pacifici, che siano quelli elettorali o plebiscitari o di pacifica disobbedienza civile.
Ma lo Stato, che oggi sta irridendo e violando, anzi sta mettendosi sotto i piedi, la nostra Carta costituzionale, sappia che non subiremo in silenzio. L'Assessore Baccei "si diverte" col bilancio della Regione, e quindi con quello di centinaia di comuni, di centinaia di migliaia di imprese e di cinque milioni di siciliani, ridotti al dissesto o alla fame.
Noi siamo e rimarremo pacifici, ma sapremo rispondere, con i mezzi adatti alla nostra epoca a questa violenza inaudita che minaccia di cancellarci come Popolo dalla faccia della terra.
Questo ci ricordano i morti del 1945 e questo li rende drammaticamente attuali.
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A seguito di quella battaglia, precipitarono le trattative tra indipendentisti e governo, e si arrivò, a fine 1945 all'accordo che avrebbe portato alla conquista dello Statuto della Regione Siciliana. Quello stesso Statuto che l'Italia non ha mai rispettato, facendo così cadere il fondamento stesso sul quale i Siciliani avevano rinunciato alla loro indipendenza.
Molti di noi, a titolo personale, o come associazioni o movimenti, avevano dato il loro contributo alla costruzione di questa stele, che ricorda quel lontano evento, ed oggi, con una delegazione guidata da Luigi Crispino, anche noi saremo presenti a San Mauro, in spirito di fratellanza con il MIS e con tutte le organizzazioni indipendentiste.
Oggi non è più tempo di guerre civili e di violenza. Le guerre per l'indipendenza del passato, come il 1848/49 o il 1943/45, appartengono al nostro Pantheon, e stanno a ricordare come qualche volta solo la forza riesca a fermare la violenza dell'occupante.
Oggi non ci sono più morti di guerra civile, bensì morti di guerra economica, quella guerra economica non dichiarata che l'Italia sta conducendo contro di noi.
Noi oggi adottiamo mezzi pacifici, che siano quelli elettorali o plebiscitari o di pacifica disobbedienza civile.
Ma lo Stato, che oggi sta irridendo e violando, anzi sta mettendosi sotto i piedi, la nostra Carta costituzionale, sappia che non subiremo in silenzio. L'Assessore Baccei "si diverte" col bilancio della Regione, e quindi con quello di centinaia di comuni, di centinaia di migliaia di imprese e di cinque milioni di siciliani, ridotti al dissesto o alla fame.
Noi siamo e rimarremo pacifici, ma sapremo rispondere, con i mezzi adatti alla nostra epoca a questa violenza inaudita che minaccia di cancellarci come Popolo dalla faccia della terra.
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Leonardo Sciascia nasce 8 Gennaio del 1921.
(Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) .
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💯1
E' stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d'arte e insegnante.
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo.
Leonardo Sciascia nasce l'8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre era impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre.
Trascorre l'infanzia circondato da zie e zii nella casa di Racalmuto di via Regina Margherita, 37 (oggi via Leonardo Sciascia), aperta al pubblico nel luglio del 2019 da privati e inserita nel percorso turistico "Strada degli scrittori".
Dall'esperienza d'insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell'arretratezza siciliana.
Successivamente, senza trascurare una vena saggistico-libellista, di dichiarata ascendenza illuministica (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1970; Nero su nero, 1979; Cruciverba, 1983; ecc.), ottenne un crescente successo di pubblico con una serie di romanzi brevi di ambientazione prevalentemente siciliana (Il giorno della civetta, 1961; A ciascuno il suo, 1966; Il contesto, 1971; Todo modo, 1974; Una storia semplice, 1989), in cui la denuncia del sistema di connivenze di cui godeva la mafia coinvolgeva la politica nazionale e alludeva alla diffusione incontenibile della mentalità mafiosa.
Investì poi la sua penetrante immaginazione inquisitoria nella ricerca storiografica (Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, 1971; La scomparsa di Majorana, 1975; I pugnalatori, 1976; Dalle parti degli infedeli, 1979) fino a misurarsi con la tragica attualità del terrorismo (L'affaire Moro, 1978), anche come relatore di minoranza nella commissione parlamentare d'inchiesta sull'assassinio di A. Moro e sul terrorismo in Italia (era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1979 nelle liste del Partito radicale).
La produzione letteraria di Sciascia è raccolta in Opere (3 voll., a cura di C. Ambroise, 1987-91).
«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma…»
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
💻Fonti: Eciclopedia Treccani – Enciclopedia Wikipedia
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Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo.
Leonardo Sciascia nasce l'8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre era impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre.
Trascorre l'infanzia circondato da zie e zii nella casa di Racalmuto di via Regina Margherita, 37 (oggi via Leonardo Sciascia), aperta al pubblico nel luglio del 2019 da privati e inserita nel percorso turistico "Strada degli scrittori".
Dall'esperienza d'insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell'arretratezza siciliana.
Successivamente, senza trascurare una vena saggistico-libellista, di dichiarata ascendenza illuministica (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1970; Nero su nero, 1979; Cruciverba, 1983; ecc.), ottenne un crescente successo di pubblico con una serie di romanzi brevi di ambientazione prevalentemente siciliana (Il giorno della civetta, 1961; A ciascuno il suo, 1966; Il contesto, 1971; Todo modo, 1974; Una storia semplice, 1989), in cui la denuncia del sistema di connivenze di cui godeva la mafia coinvolgeva la politica nazionale e alludeva alla diffusione incontenibile della mentalità mafiosa.
Investì poi la sua penetrante immaginazione inquisitoria nella ricerca storiografica (Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, 1971; La scomparsa di Majorana, 1975; I pugnalatori, 1976; Dalle parti degli infedeli, 1979) fino a misurarsi con la tragica attualità del terrorismo (L'affaire Moro, 1978), anche come relatore di minoranza nella commissione parlamentare d'inchiesta sull'assassinio di A. Moro e sul terrorismo in Italia (era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1979 nelle liste del Partito radicale).
La produzione letteraria di Sciascia è raccolta in Opere (3 voll., a cura di C. Ambroise, 1987-91).
«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma…»
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
💻Fonti: Eciclopedia Treccani – Enciclopedia Wikipedia
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La Sicilia, prima dell'arrivo della colonizzazione ellenica,fu abitata da diverse popolazioni come Sicani, Elimi e Siculi: dai greci chiamati antichi popoli di Sicilia.
Queste furono le popolazioni preelleniche della Sicilia che i Greci trovarono quando arrivarono sull'isola nel 1234 a.C..
Gli Elimi.
Intorno al XII secolo a.C. una mescolanza di esuli si fusero con gli insediamenti sicani presenti in quella parte del territorio. Questa nuova mescolanza di genti costituì il popolo degli Elimi, fondatori delle città di Elima, Erice, Entella ed Egesta (Segesta)Tucidide scrive che gli Elimi erano fuggiti da Troia dopo che la città venne distrutta. Per evitare di essere catturati dagli Achei un gruppo di Troiani scappò e dopo un lungo viaggio attraverso il Mar Mediterraneo, approdò in Sicilia nei pressi di Trapani (Drepana).Anche Plutarco riferisce delle origini Troiane dei Segestani (gli abitanti di Segesta), una delle maggiori città Elime.
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