Giorgio Bianchi Photojournalist
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Notizie e analisi sull'attualità e la geopolitica.
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Forwarded from Giubbe Rosse
🇳🇪 NIGER - "Siamo pronti ad andare [a invadere il Niger] ci verrà dato l'ordine. È stato deciso anche il D-day, che non riveleremo. Questo è l'incontro finale prima dello schieramento". - Commissario dell'ECOWAS

Poco fa la giunta al potere in Niger ha reso noto che farà dichiarazioni importanti nelle prossime ore.

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FARGLI UN DISEGNINO.
di Marco Travaglio

Ormai alla lista dei putiniani manca solo Biden, ma pare che anche lui si stia convincendo a iscriversi. E noi dobbiamo prepararci a difendere Zelensky&C. dall’affettuosa brutalità con cui gli atlantisti li scaricheranno dall’oggi al domani, come han già fatto con afghani, iracheni, siriani e “primavere arabe”: prima illusi e armati, poi abbandonati al loro destino o al golpista-tagliagole di turno. Dopo il numero 2 della Nato, anche l’intelligence fa sapere che la controffensiva ucraina sta mancando l’“obiettivo principale” di riprendere Melitopol e “tagliare il ponte terrestre fra Russia e Crimea”. Amen. Ma attenzione, il flop non è solo ucraino: è della celebre “Nato allargata” (40 Paesi) che da mesi annuncia l’imminente vittoria contro i russi “isolati”. È la Nato che le sta buscando, tramite l’esercito più armato d’Europa, dalla disastrata “armata rotta” russa. È la conferma che l’ideona di affidare alle armi la soluzione di una crisi regionale trasformandola in conflitto mondiale per procura era una follia e un autogol: ora Putin potrà ritorcere la propaganda occidentale contro la Nato, dipingendosi come il Davide solitario che respinge il Golia a 40 teste.

È il momento di avvisare, oltre alle nostre Sturmtruppen da sofà, Zelensky e la sua cerchia, che continuano a ragionare, parlare e agire come se stessero vincendo loro. Pretendono sempre nuove armi (ora è la volta degli F-16), come se alla riconquista delle cinque regioni occupate e annesse dai russi fosse questione di minuti. E dettano bizzarre condizioni per il negoziato: che, riguardando la guerra fra Russia e Ucraina, dovrà escludere la Russia. Un po’ come se, dopo la guerra del Kippur persa nel 1974 contro Israele, l’egiziano Sadat avesse avvertito gli Usa che a Camp David avrebbe incontrato tutti fuorché l’israeliano Begin. Lo scrive a Rep Andriy Yermak, consigliere di Zelensky: ammette, bontà sua, che “la vittoria e la pace non saranno raggiunte solo sul campo di battaglia”; poi ricomincia a dare ordini, farfugliando di un “modello in 3 fasi per la Formula di Pace in 10 fasi”, ovviamente “giusta”, cioè con “l’isolamento della Russia”, che intanto dovrà fare la cortesia di ritirarsi dalle cinque regioni. Purtroppo, tra una fase e l’altra, si scorda di spiegare perché mai Putin dovrebbe ritirare le truppe che l’invincibile armata non riesce neppure a scalfire. Prima o poi qualcuno, magari da Washington, spiegherà con un disegnino a Zelensky&C. che non sono più in grado di porre condizioni: dovranno prendere quello che arriverà. E sarà molto meno di ciò che avrebbero ottenuto negoziando subito prima o subito dopo l’invasione russa: 500mila vittime fa, quando chi li invitava a negoziare nel loro interesse passava per un fottuto putiniano.

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Così i 3 giornaloni screditano chi osa criticare gli Stati Uniti
DI ALESSANDRO ORSINI

Ho analizzato gli articoli pubblicati da Corriere della Sera, Repubblica e la Stampa, nel periodo 24 febbraio 2022-10 agosto 2023. Questi sono i risultati della mia ricerca d’archivio.

Quando scoppia una grave crisi internazionale guidata dalla Casa Bianca, Corriere, Repubblica e la Stampa, coprono le informazioni seguendo cinque fasi concatenate. La fase dell’attesa, della propaganda, della sacralizzazione, della demonizzazione e dell’autocelebrazione.

Nella fase dell’attesa, Corriere, Repubblica e la Stampa, non elaborano idee originali, non propongono strategie di fuoriuscita e non indagano le cause della crisi. Attendono che la Casa Bianca fornisca la sua versione dei fatti e le linee guida per l’azione.

Nella fase della propaganda, Corriere, Repubblica e la Stampa, recepiscono e diffondono la versione della Casa Bianca senza critiche o integrazioni. La Casa Bianca afferma che la Russia invade l’Ucraina per invadere l’Europa? Questa diventa la versione dei tre quotidiani. La Casa Bianca dice che la guerra dev’essere risolta con una nuova espansione della Nato ai confini della Russia e che la pace in Ucraina arriverà investendo soltanto nella guerra? Questa diventa la posizione dei quotidiani succitati.

Nella fase della sacralizzazione, la politica della Casa Bianca diventa la verità assoluta verso cui i cittadini devono avere lo stesso rispetto dei credenti verso i dogmi di fede. Il ricorso alle scienze storico-sociali per sottoporre a verifica empirica i fondamenti epistemologici della sacralizzazione conduce alla demonizzazione, la quarta fase.

La fase della demonizzazione è la più complessa perché causa scontri e resistenze. Corriere, Repubblica e la Stampa, demonizzano e insultano coloro che criticano la sacralizzazione avviando la macchina del fango che produce un attacco concentrico mediante il coinvolgimento di tutti i media dominanti. L’attacco che questi tre quotidiani riescono a scatenare è particolarmente virulento per la sua ampiezza e pervasività. Occorre infatti distinguere la dimensione qualitativa e quantitativa della demonizzazione. L’attacco qualitativo riguarda la “qualità”, o autorevolezza, della fonte demonizzante. L’attacco quantitativo, invece, riguarda la quantità e la sovrapposizione degli attacchi. Un esempio di attacco qualitativo demonizzante è l’articolo di Fiorenza Sarzanini intitolato “La rete di Putin in Italia: chi sono influencer e opinionisti che fanno propaganda per Mosca” (Corriere della Sera, il 5 giugno 2022). Tuttavia la “qualità” non è decisiva senza l’effetto massivo prodotto dalla quantità. Ecco perché Corriere, Repubblica e la Stampa, operano in sincrono.

La qualità e la quantità degli attacchi pongono il bersaglio in una situazione stressogena che riduce le sue capacità di difesa e di reazione. La quantità degli attacchi crea disorientamento direzionale (troppi colpi da troppe direzioni), mentre la qualità dell’attacco crea intimidazione psicologica giacché le fonti autorevoli controllano il sistema dei premi e delle punizioni (carriere, licenziamenti, ecc). Fonti d’attacco differenti richiedono strategie di difesa differenti. Il bersaglio deve proteggersi da troppe direzioni elaborando un linguaggio specifico per ogni “bocca” diffamante. In una campagna di demonizzazione, la strategia per difendersi dai rettori è diversa da quella per difendersi dagli speaker radiofonici o dagli hater sui social.

Nella fase dell’autocelebrazione, Corriere, Repubblicae Stampa bersagliano la stampa dei regimi autoritari per nascondere che criminalizzano il dissenso politico. Ritraendo il regime di Putin in modi aberranti, Corriere della Sera, Repubblica e Stampa si ritraggono implicitamente in una luce positiva nascondendo le loro analogie con l’oggetto dell’esecrazione.

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Forwarded from Giubbe Rosse
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Il Mali e il Burkina Faso, in ottemperanza a quanto dichiarato, hanno trasferito parte della loro aviazione militare nel territorio del Niger

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Forwarded from Martina Pastorelli
Lascio a voi giudicare….
Per chi fosse interessato, ci vediamo il 10 settembre a Modena.

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Dopo la Stampa, ecco il fieren inviaten del Korriere Lorenzo “Galeazzo” Cremonesi che opera la sua eroica azione di rifacimento verginale degli alleaten amanti di Kant e dei simboli norreni: i nazistelli dell’Azov, descritti come agili ed invincibili cavalieri nibelunghi.

Luca Furlan.

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Gli Stati Uniti e i loro alleati non vogliono che il conflitto in Ucraina finisca e le loro presunte iniziative di pace sono solo tentativi di guadagnare tempo a Kiev, ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in un'intervista pubblicata sabato.

Le questioni geopolitiche devono essere discusse "non con [il presidente ucraino Vladimir] Zelensky, che è un burattino nelle mani dell'Occidente, ma direttamente con i suoi padroni", ha detto Lavrov all'inizio di quest'anno. Negoziare direttamente con gli americani avrebbe senso, ha detto alla rivista International Affairs quando gli è stato chiesto dell'idea.

"Il problema, tuttavia, è che gli Stati Uniti non hanno intenzione di porre fine al conflitto", ha spiegato Lavrov, osservando che "il loro obiettivo ufficialmente dichiarato è quello di infliggere una 'sconfitta strategica' alla Russia".

Le prospettive per i negoziati tra la Russia e l'Occidente "sono inesistenti in questa fase", ha detto Lavrov, mentre Kiev "gli sponsor occidentali li spingono costantemente ad alzare la posta".

Insistere sulla cosiddetta 'formula di pace' del presidente ucraino Vladimir Zelensky negli incontri di Copenhagen e Jeddah – ai quali la Russia non è stata invitata – “difficilmente dimostra l'intenzione dell'Occidente di negoziare con la Russia”, ha detto Lavrov. Mosca ha liquidato la lista di dieci punti di richieste di Zelensky come un ultimatum inaccettabile estraneo alla realtà.

La Russia ha ripetutamente tentato di negoziare, dagli accordi di Minsk del 2014 e 2015 al "drastico tentativo di trasmettere le nostre preoccupazioni alle capitali occidentali" nel dicembre 2021, ha osservato Lavrov. L'Occidente ha “rifiutato con arroganza” l'iniziativa di Mosca e ha invece intensificato le consegne di armi e munizioni a Kiev.

"Consideriamo le ipocrite richieste di colloqui degli occidentali come uno stratagemma tattico per guadagnare tempo ancora una volta dando alle truppe ucraine esauste una tregua e l'opportunità di riorganizzarsi e di inviare più armi e munizioni", ha detto Lavrov, aggiungendo che "questo è la via della guerra, non un processo di soluzione pacifica”.

Angela Merkel, l'ex cancelliere della Germania, ha ammesso lo scorso dicembre che la proposta franco-tedesca del 2015 a Minsk era "un tentativo di dare all'Ucraina il tempo" di costruire il proprio esercito. Lo ha poi confermato l'ex presidente francese Francois Hollande.

(Fonte: RT - Tramite Laura Ruggeri).

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Forwarded from Giubbe Rosse
LECCO. INFERMIERE SI TOGLIE LA MASCHERINA. IL PRIMARIO CHIAMA IL 112
Un episodio avvenuto il 17 agosto scorso presso l’Ospedale di Lecco ha fatto sussultare le forze dell’ordine, quando un infermiere si è momentaneamente tolto la mascherina. Il panico che ne è derivato ha portato persino alla chiamata del numero di emergenza 112 da parte del primario, generando una risposta inaspettata.
L’episodio è stato innescato da un breve istante in cui l’infermiere ha deciso di liberarsi dalla mascherina, probabilmente per bere o mangiare un biscotto. Il primario, preso dalla paura e dall’ansia legate al contesto pandemico, ha tempestivamente contattato le forze dell’ordine, riferendo un’azione che riteneva essere un reato grave.
Le forze dell’ordine, ricevendo una comunicazione frammentaria e non del tutto accurata dall’operatore del 112, hanno prontamente risposto all’ospedale, aspettandosi di trovarsi di fronte a una situazione di conflitto con parenti aggressivi, come spesso accade. Tuttavia, la situazione si è rivelata ben diversa da quanto immaginato.
Una volta sul posto, i poliziotti hanno rassicurato il primario, spiegandogli che al momento non indossare la mascherina non costituisce un reato. L’unica possibile conseguenza potrebbe essere un’infrazione disciplinare. L’azione dell’infermiere, infatti, potrebbe essere stata motivata da una breve pausa lavorativa, durante la quale ha pensato di concedersi un momento di sollievo. (Fonte: Nurse Times)

Togliersi la mascherina per bere. Vergogna!

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Forwarded from Lettera da Mosca
UCRAINA - Il Parlamento dell'Ucraina intende votare l'inammissibilità di una conclusione del conflitto attraverso cessioni di territori. Il relativo documento è stato registrato il 18 agosto. Uno degli autori è il presidente del parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk.
Secondo uno studio di PLOS Climate, il 10% delle famiglie americane più ricche emette il 40% di CO2 degli interi Stati Uniti.

Però il problema lo devono risolvere i poveri modificando il loro stile di vita.

Eric Packer.

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Forwarded from Vi racconto la Russia
⚡️Il presidente nicaraguense Daniel Ortega ha firmato un decreto che consente la costruzione di basi militari russe nel Paese e il dispiegamento di missili da crociera.

Distanza da Washington - 3000 km in aereo.
@popovtr

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La vera controffensiva è dei fanatici degli Azov
DI DANIELA RANIERI

Un sentore si era avuto già qualche giorno fa, quando sulle pagine del principale quotidiano italiano era tornata una vedova Azov (mogli e fidanzate dei soldati del battaglione Azov spopolarono nel tour primavera-estate 2022, ricevute dal Papa e da Bruno Vespa), la fotogenicissima Maria (“Maria, Alona e l’amore perduto”). La mozione degli affetti serve sempre a preparare il terreno. Il 18 agosto, un secondo indizio: gli articoli in copia carbone. La Stampa: “Azov, il ritorno degli eroi”; Corriere: “Tornano i combattenti dell’Azov”.

Ieri sul Corriere si è alzato il sipario per il ritorno in grande stile: “Tecnologica e agile, ecco la nuova Azov ‘Le idee di ultradestra? Ricordo del passato’”.

Allora: intanto, s’apprende, presso gli Azov giravano idee di ultradestra, ma tu pensa; non erano i putiniani d’Italia a insinuarlo, diffondendo la propaganda russa. Noi eravamo rimasti che gli Azov erano giovani byroniani idealisti, che alla sera leggevano Kant al fuoco dei campi, lottavano per un mondo più giusto e le loro canzoni ricordavano pari pari Bella ciao, la canzone della nostra Resistenza. Sicuramente combattevano per la democrazia occidentale, da cui le loro letture e le amicizie con gli intellettuali vip del mondo libero, come l’ex nouveau philosophe Bernard-Henri Lévy, che a maggio 2022 intervistava per Repubblica via Zoom “Cyborg”, il soldato Azov con l’occhio di vetro. In quell’occasione, un Lévy illanguidito e ammaliato dal pallore eroico di Cyborg ammise che, sì, “il battaglione ha una pessima reputazione. Che all’inizio, come tutti i gruppi di resistenza di questo mondo, ha raccattato chiunque sapesse o fosse in grado di usare un’arma, compresi elementi di estrema destra”, mentendo, visto che i nostri partigiani non raccattavano certo i fascisti, bensì li accoppavano, e non l’hanno fatto manco il PKK curdo, Fidel Castro o Che Guevara, e soprattutto sorvolando sulle idee antisemite e filonaziste del battaglione, documentate da inchieste del Guardian e della Bbc; poi millantava di poter organizzare il salvataggio, pregando Cyborg di non cedere al richiamo della morte che tanto affascina gli intellettuali decadenti francesi.

Del resto che gli Azov fossero neonazisti lo sapeva anche Zelensky, che all’inizio della sua presidenza voleva emarginarli, ma poi li inquadrò strutturalmente nella Guardia Nazionale ricostituita nel 2014 dopo Euromaidan, insieme alle altre schegge estremiste, “gruppi armati assemblati in fretta all’interno delle forze ucraine, che comprendevano molti soldati e battaglioni di volontari mobilitati rapidamente”, ciò che ha “portato a un dominio sfrenato delle armi, con uomini armati che ricorrevano alla violenza verso i civili, specialmente verso coloro che disobbedivano’ ai loro ordini”, come recita un rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Ieri, dunque, il Corriere intervistava il “commissario culturale” del nuovo battaglione Azov, ovvero del “gruppo militante del nazionalismo ucraino accusato sia da Mosca, che da una parte rilevante degli intellettuali europei, di essere legato ai gruppi dell’estrema destra neonazista”, ciò che fa precipitare un po’ tutto il pezzo nell’aporia che se il gruppo non è mai stato neonazista, non si capisce da quale ricordo del passato stia prendendo le distanze il “commissario culturale” (i “commissari culturali” erano figure di spicco del fascismo – poi dice che uno non se le va a cercare – e a dire il vero anche dell’Urss). A quanto pare la Turchia ha lasciato che alcuni prigionieri Azov tornassero in Ucraina, violando gli accordi coi russi, ai quali era stato promesso che sarebbero rientrati in patria solo alla fine della guerra. Ma l’entusiasmo è incontenibile: ci sono “quasi 4000 volontari inquadrati nella nuova brigata ‘Numero 12’ risorta dal ‘martirio’ dei padri fondatori. ‘Neonazisti fanatici’, come proclama Putin; oppure generosi disposti a sacrificarsi per la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina?”. Domanda retorica.

Segue...
L’Azov 2.0 è “agile”, smart, è la versione startup di un esercito: “I russi vedranno presto la differenza”, dice il commissario culturale, “i nostri nuovi soldati sono stati addestrati dai reduci della battaglia nelle acciaierie Azovstal… Gente dura, motivata, abituata alle nuove tecnologie della guerra, agile con i droni e nelle sfide informatiche”. Il battaglione ha cambiato ufficio stampa e i nostri giornali si allineano immediatamente, fosse la volta buona per la tanto agognata controffensiva.

Bentornati Azov, dunque, e viva la guerra a oltranza; del resto per un momento alla stampa d’establishment sono piaciuti pure i macellai della Wagner, i mercenari al servizio dei russi, quando sembrava che volessero fare un golpe contro Putin portando libertà e giustizia in Europa, evitando che i cosacchi abbeverassero i cavalli nelle fontane di San Pietro e in men che non si dica raggiungessero “Lisbona” (sic).

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Adesso le penne armate sono “putiniane”
I giornali propongono tesi che mesi fa definivano “filorusse”: combattere a oltranza è deleterio, serve mediare
DI LORENZO GIARELLI

Adesso trattare si può, anzi: si deve, al costo di concedere qualcosa alla Russia. Adesso forse ci si accorge che non valeva la pena confidare nell’all in della controffensiva ucraina, sperando di ricacciare indietro l’esercito di Mosca. Adesso si fa largo il dubbio che, stando così le cose, la guerra in Ucraina potrebbe andare avanti per anni, con tutto ciò di disastroso che ne consegue. Dopo 18 mesi di conflitto, posizioni che a lungo sono apparse eretiche – al punto di costare fior di liste di proscrizione – diventano ragionevoli anche secondo i quotidiani e gli opinionisti da sempre grandi sostenitori dell’invio di armi a oltranza a Kiev (fino alla “cancellazione” di Putin) e della vittoria sul campo.

Alla base della presa di coscienza collettiva c’è la delusione per l’avanzata ucraina, su cui in molti riponevano speranze esagerate.

Il Giornale, per esempio. È la vigilia della controffensiva quando il quotidiano diretto da Augusto Minzolini assicura: “Un cessate il fuoco adesso servirebbe solo allo zar”. In che senso? “Putin all’angolo, esercito in difficoltà e Occidente unito”. Quindi bisogna attaccare Mosca, altro che mediare. Strano, perché oggi Minzolini dà lezioni di geopolitica suggerendo “un bagno di realismo”, ovvero “un compromesso di buon senso” che preveda “la cessione di alcuni territori a Mosca” in cambio dell’ingresso di Kiev nella Nato. Ancora troppo ottimistico, forse, ma il Giornale fa capire che Zelensky deve iniziare a scendere con le pretese: “I segnali dell’Occidente (respinti al mittente) per una via d’uscita”. Secondo il Giornale, ci sono “segnali di stanchezza” nell’opinione pubblica” di cui “la politica deve tenere conto”.

Non è da meno La Stampa, che concede sempre più spazio a commenti che qualche mese fa sarebbero valsi la corona da filorusso. La cronaca della controffensiva è riassunta sotto le scritte “Pantano ucraino” e “Offensiva fallita”, mentre sulla scarsa efficacia delle sanzioni viene riproposto un articolo del Wall Street Journal dal titolo eloquente: “Le sanzioni non piegano la Russia, l’Occidente perde un’altra battaglia”.

Insomma Domenico Quirico, che da sempre sulla Stampa ha posizioni critiche sulla gestione del conflitto, non è più in beata solitudine. E infatti il quotidiano profetizza che “uno stallo militare a fine anno” è “realistico” e a quel punto per Kiev “si imporrà una pausa di riflessione”, ovvero almeno “un armistizio”.

Su Repubblica ecco invece Gianluca Di Feo ammettere che “il prolungamento del conflitto per un altro anno o più rischia di vedere la superiorità delle risorse russe pesare più del sostegno occidentale”. La cosa colpisce, visto il coro, cui Repubblica aveva contribuito, sull’evanescenza dell’esercito russo. Già un anno fa, nei giorni di alcuni successi ucraini, i giornali davano Mosca per spacciata. Il Corriere: “Russi in fuga”. Repubblica: “Disfatta russa”, “Kiev ha ripreso la porta del Donbass”. Stampa: “Kiev avanza, i russi fuggono”, “Ora Zelensky sogna la vittoria”. Giornale: “Riconquista ucraina, russi in ritirata”, “Disfatta russa”. Ancora su Repubblica, ecco ora un intervento di Andriy Yermak, consigliere di Zelensky. Per ovvi motivi non cede granché sui paletti negoziali, ma Rep titola con un’enunciazione pacifista: “A Kiev sappiamo che serve trattare”, accompagnando il testo con un commento che elogia “i passi avanti verso la soluzione negoziale”.

Impossibile non menzionare il Corriere, su cui spicca l’intervento di Dacia Maraini sui “tormenti di chi vuole la pace”, che si conclude col ricordo della proposta di Alberto Moravia di “considerare la guerra un tabù per la società, al pari dell’incesto”. E Libero, che con Alessandro Sallusti è stato tra i “falchi” atlantisti (memorabile la prima pagina “Ci armiamo. Era ora”) e oggi sentenzia: “È il momento più nero per l’Ucraina.

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▪️Un drone ucraino si è schiantato contro il tetto di una stazione ferroviaria nella città russa centrale di Kursk, ferendo cinque persone e provocando un incendio, ha dichiarato il governatore della regione di Kursk Roman Starovoit.

▪️Le difese aeree hanno impedito a un drone ucraino di sorvolare Mosca durante la notte, ha detto il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin.

▪️Kiev ha tentato di attaccare l'area dentro e intorno a Mosca con un drone, che è stato soppresso e si è schiantato nel distretto di Stupino fuori Mosca, ha detto il ministero della Difesa russo.

▪️Un tentativo di attacco terroristico con l'uso di droni kamikaze è stato sventato nel sud della Russia nella regione di Rostov, ha dichiarato Vasily Golubev, governatore della regione.

(Fonte: TASS - Tramite Laura Ruggeri).

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Forwarded from Lettera da Mosca
Secondo Bloomberg, le esportazioni di grano ucraine sono diminuite del 30% dopo che la Russia ha deciso di ritirarsi dall'accordo sul grano. Nello stesso tempo, le esportazioni di grano russo sono in crescita: si prevede che in questa stagione assorbiranno circa un quarto del commercio mondiale di grano.