Giorgio Bianchi Photojournalist
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Notizie e analisi sull'attualità e la geopolitica.
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Annunci apocalittici su di una popolazione già provata da tre anni di delirio pandemico e vite annichilenti. Previsioni catastrofiste gettate in pasto a bimbi sin dalla prima infanzia. Bimbi che piuttosto che essere rassicurati nella loro crescita vengono immersi in narrazioni foriere di incertezze e paure.

E com'è intuitivo che sia, per chi crede senza discernere - perché giovane o privo degli strumenti intellettivi - sorgono le ansie.
A quel punto, gli stessi che hanno inculcato i timori, offrono la cura, come se non fossero i media, la politica o la scuola, il problema, ma i singoli.

Oggi nasce addirittura l'associazione italiana Ansia da cambiamento climatico. Una nuova patologia, a quanto pare.
E l'AIACC la affronta partendo dal dato della "consapevolezza catastrofica di un ecosistema che sta drasticamente cambiando forma."
Il male che si autoalimenta proprio.
Media is too big
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"Ritieni che sia in atto un cambiamento climatico indotto dall'uomo? Per combatterlo, saresti disposto a sacrificare libertà e benessere economico? Rinunceresti all'automobile?"

👉 Cosa ne pensa la gente? Siamo andati a chiederglielo!

https://t.me/canalemiracolomilano
miracoloamilano@protonmail.com
L’euro-ipocrisia in africa fa vincere Russia e Cina
DI ELENA BASILE

Il colpo di Stato in Niger segue a una serie di accadimenti nella regione del Sahel il cui filo conduttore è la rivolta delle popolazioni e la presa del potere da parte di militari ostili all’influenza occidentale. I commenti sui giornali sono stati diversi. L’ottimo Domenico Quirico sulla Stampa denuncia la commistione tra interessi europei e quelli di corrotte élite africane. Ed esamina le tante faglie di una politica che al netto della retorica resta neo-colonialista.

Invece il motivo di fondo della maggioranza degli altri interventi apparsi sui quotidiani più “quotati” è la narrativa da scuola elementare di cui Nathalie Tocci, direttrice dello Iai (Istituto affari internazionali), è maestra. I cattivi, Russia e Cina, starebbero scalzando l’Occidente dall’Africa perché noi occidentali, i buoni, applichiamo negli aiuti le condizionalità sui diritti umani. In un recente articolo si elogia la premier Giorgia Meloni perché ha bene impostato i problemi: la fine della globalizzazione porta alla competizione tra democrazie e dittature e in Africa è necessario un cambio di passo. E, per rafforzare le democrazie, bisogna che le istituzioni europee usufruiscano di fondi necessari (quindi Meloni deve fare un ultimo passetto avanti contro i residui di sovranismo, accettando l’unione fiscale) e occorre capire come elargire aiuti all’Africa senza rinunciare, come fa la Cina, alla nostra purezza nel difendere i diritti umani.

Ci sarebbe da ridere se Tocci, come pure Panebianco, non fosse persona colta che ha studiato la storia e merita la nostra stima. Ci sarebbe da ridere, se questi commentatori non esprimessero un catechismo ripetuto da politici, diplomatici e giornalisti sui media reputati. In realtà la penetrazione di Russia e Cina in Africa è dovuta ai limiti della politica di cooperazione allo sviluppo europea. La Francia e le altre potenze europee hanno perpetrato lo sfruttamento delle risorse dei Paesi africani, rimasti nei decenni poveri e in balia della pessima governance delle classi al potere alleate dell’Occidente.

La Russia presenta in Africa vantaggi oggettivi rispetto all’Occidente. Pur presente al Congresso di Berlino del 1878, che diede inizio alla spartizione dell’Africa, non è stata una potenza coloniale. Possiede terre e risorse naturali, è sotto-popolata. Non sono presenti quindi i fattori che hanno determinato l’espansionismo imperialista europeo. L’Urss ha aiutato, per interessi geopolitici, i popoli che si rivoltavano contro il potere coloniale. Infine, nella visione multipolare della Cina e della Russia, non esiste l’imposizione all’estero di valori considerati appartenenti a civiltà superiori. Questi sono gli atout di Mosca e Pechino. Perdente è la nostra ipocrisia. Non cambiamo il sistema di cooperazione che drena risorse dai più poveri, ma fingiamo di credere di poter esportare democrazia e diritti umani. I nostri doppi standard sono evidenti. Puntiamo il dito contro l’Iran e la Russia, ma collaboriamo con Arabia Saudita e Turchia.

Passiamo alle disuguaglianze in Europa accentuate dalla globalizzazione. Avremmo bisogno di una visione federalista, di politiche sociali effettive, di una unione fiscale e di risorse proprie delle istituzioni europee da investire nei cosiddetti beni comuni (istruzione, sanità, ricerca, sviluppo sostenibile, trasporti etc. etc.). Il progetto non è impedito soltanto dai sovranisti di destra, dalla Meloni e i suoi amici, ma dagli stessi popolari e liberali nell’Ue. L’olandese Rutte ha ereditato la politica britannica. La Svezia come la Danimarca, anche se i socialdemocratici sono al governo, si sono sempre opposte all’unione fiscale. La visione federalista è in minoranza in Germania. In un’Europa neo-liberista la società dell’1% è tutelata e lo Stato sociale gradualmente ma inesorabilmente smantellato. L’Europa ha bisogno di una riforma radicale, di un’integrazione rafforzata. Le forze politiche odierne spingono in senso opposto.

Segue...
Il centrosinistra e le politiche dei piccoli passi hanno distrutto il patrimonio di valori alla base della costruzione europea: Stato sociale, antinazionalismo, antibellicismo, accoglienza dei migranti, protezione reale, senza doppi pesi, dei diritti umani.

Purtroppo il “giardino circondato dalla giungla” di cui parla comicamente Josep Borrell è un mito ridicolizzato dal Sud globale. È doveroso aprire gli occhi. Riconoscere che viviamo in un mondo multipolare nel quale vi sono civiltà e percorsi storici differenti senza gerarchie oggettive.

Il sistema monetario internazionale, Fmi e Banca mondiale, il commercio internazionale, le politiche sociali, l’Ue e l’Alleanza atlantica necessitano di riforme essenziali. L’Occidente, se vuole recuperare un ruolo da protagonista nella Storia, deve farsene fautore.

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Oggi scade l'ultimatum che i paesi ECOWAS hanno dato al nuovo governo del Niger. Ieri però il senato nigeriano ha votato contro la proposta del presidente Bola Tinubu di mandare truppe in Niger, chiedendo anzi all'ECOWAS di intensificare gli sforzi diplomatici e politici per una risoluzione pacifica del conflitto. Senza truppe nigeriane un'invasione del Niger pare fuori luogo, ma tutto ovviamente è ancora in divenire. Per quanto riguarda la situazione delle truppe straniere presenti sul territorio del Niger, il nuovo governo ha dato alla Francia 30 giorni di tempo per rimpatriarle, in base a una serie di accordi firmati in precedenza, ma la Francia ha già dichiarato che intende lasciarle dove si trovano, così come gli USA. Sembra anche certo che un piccolo numero di istruttori Wagner sia arrivato nel paese, ma quanti e con che mansioni non si sa: quasi certamente molto pochi, e non per combattere.
Questo è tutto ciò che so, ed è molto poco. Non ho alcuna competenza per parlare degli avvenimenti in Niger e vi rimando a chi ne sa più di me: su Facebook Filippo Bovo, su Telegram il canale t.me/africaintel (solo informazioni, non molte analisi) e su Twitter @casusbellii (molto schierato sponda Atlantico ma anche molto informato), Amaury Hauchard che è di base a Niamey (@amhauchard) e Wassim Nasr (@SimNasr) che però al momento è in vacanza, buon per lui.
Dove c'è Gretilla c'è casta.

Michele Morrone.

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Forwarded from RangeloniNews
L’aviazione ucraina colpisce nuovamente i ponti che collegano la regione di Kherson alla Crimea

Questo pomeriggio l’aviazione ucraina ha lanciato 12 missili Storm Shadow/SCALP EG verso i ponti che dal corridoio terrestre delle regioni di Zaporozhye/Kherson portano alla Crimea. Parte dei missili è stata intercettata, ma almeno tre sono giunti a destinazione danneggiando le infrastrutture.

Il ponte di Chongar, considerato la prima alternativa a quello di Kerch (il ponte che collega la penisola alla regione di Krasnodar) era già stato precedentemente colpito e danneggiato, ma operativamente riparato. Dopo il secondo attacco al ponte di Crimea avvenuto nemmeno un mese fa, un gran numero di persone ha iniziato scegliere questo percorso in quanto più rapido e comunque lontano dalla linea del fronte. E fino ad ora i militari ucraini avevano attaccato questi ponti attorno alla Crimea nel corso della notte, quando il traffico è decisamente meno intenso.

L’attacco di oggi è avvenuto attorno alle 15:30 locali. Miracolosamente si registra un solo ferito. Nel corso dell’attacco nei pressi del ponte stava transitando un autobus con a bordo decine di bambini della regione di Zaporozhye, diretti verso Evpatoria per trascorrere le vacanze. Si tratta di bambini residenti a Vasilyevka e dintorni, nei villaggi a ridosso del fronte, dove in queste settimane l’esercito ucraino sta tentando di sfondare le linee russe. Sono quei bambini che ogni giorno convivono con il conflitto e che paradossalmente hanno rischiato una volta allontanatisi dalle loro case. Loro - quei bambini che secondo l’Occidente vengono “rapiti” dai russi per essere trasportati al mare, in vacanza - hanno rischiato grosso a causa dei missili che la Gran Bretagna e la Francia hanno consegnato all’Ucraina per sconfiggere “il nemico”; sono le famose “armi per la pace”.

Gli accompagnatori affermano che “tutti i bambini sono vivi e presto vedranno il mare. I ragazzi si ricorderanno bene di chi voleva rovinare la loro infanzia..”
jovanotti sulla sedia a rotelle, pierone che è diventato 'na farmacia ambulante. Io non ci vedo chiaro, secondo me il sistema sta facendo qualcosa ai nostri artisti più scomodi, per metterli fuori gioco. Jova, liga, pelù, il mio nome è mai più. A proposito, liga, come ti senti? Tutto a posto?

Alberto Scotti.

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Senza fanfare, e soprattutto senza un comunicato finale (che non è mai un buon segno nelle riunioni diplomatiche) sì è concluso il vertice di Gedda, dove curiosamente uno dei due contendenti non è stato invitato. E non è stato invitato perché, come il vertice NATO di Vilnius, anche Gedda doveva sancire la "posizione di forza" dell'Ucraina dopo la vittoriosa controffensiva e offrire alla Russia una via d'uscita onorevole. E invece è la posizione massimalista ucraina, i famosi "10 punti di Zelenski", che è stata in pratica abbandonata: prevedeva la ritirata di tutte le forze russe entro i confini del 1991, il pagamento di tutti i danni di guerra, la consegna a un tribunale internazionale della leadership politica e militare russa. Era una posizione irrealistica prima dell'inizio della controffensiva, lo è a maggior ragione oggi. E infatti, al di là di un accenno all'integrità territoriale dell'Ucraina, che era presente anche nel piano di pace cinese (ma va ricordato che oltre al principio dell'integrità territoriale la carta delle Nazioni Unite prevede anche il diritto all'autodeterminazione...), non si parla più di ritiro russo ma di cessate il fuoco (quindi con le truppe russe che restano dove si trovano, centrale di Zaporižžja inclusa) seguito da negoziati sotto l'egida delle Nazioni Unite; non si parla più di pagamento dei danni di guerra da parte della Russia ma di progetti congiunti di ricostruzione e altri progetti economici e commerciali (anche questo già presente nel piano cinese); e la questione della consegna della leadership russa a un tribunale internazionale non è stata nemmeno accennata.
Resta da capire quanto questa posizione interessi alla Russia, e soprattutto quanto non sia un tentativo di bloccare per qualche tempo la situazione continuando però a mandare armi ed equipaggiamenti in Ucraina (cosa che alla fine alla Russia potrebbe anche non dispiacere, se contemporaneamente non si combatte più, l'Ucraina resta fuori dalla NATO e si tolgono le sanzioni). Oggi Peskov e Medvedev hanno prodotto un bellissimo siparietto good cop/bad cop: Medvedev è partito in sordina ("è difficile condannare il desiderio di porre fine alla guerra") per poi chiudere flamboyant scrivendo che al momento non c'è nessun bisogno di negoziati e che "il nemico deve strisciare in ginocchio, implorando pietà", mentre Peskov, coi suoi occhioni da cerbiatto, ha detto a bassa voce che la Russia vuole "solo" i territori che ha inserito nella Costituzione come russi (cioè le oblast' di Lugansk, Donetsk, Zaporižžja e Cherson, inclusa ovviamente la parte non ancora controllata dalle truppe russe) e non intende occuparne altri.
Se son rose fioriranno. Ad ogni modo pare chiaro che all'idea che la guerra finirà quando l'Ucraina avrà riconquistato tutto il suo territorio non ci crede più nessuno, nemmeno l'Ucraina.
Il futuro in Occidente è:
- Social Credit System,
- lockdown climatici;
- eliminazione dell' uso del contante;
- impossibilità di aprire conti in banca per chi critica il pensiero unico (Social Credit Rating basso) sul modello canadese/britannico;
- attribuzione di soglie di CO2 personalizzate, oltre le quali bisognerà pagare per poter fare qualcosa;
- censura e corsi di rieducazione per i non allineati.

Eric Packer.

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Forwarded from Giubbe Rosse
WSJ: SCOMODE VERITÀ SULLA TRANSIZIONE VERDE
Sottovoce, non senza un evidente imbarazzo, anche il Wall Street Journal inizia finalmente ad ammettere che l'Occidente si è avventurato sulla strada della "transizione energetica" senza essere pronto a farlo. Il decoupling dalla Cina, specialmente nel settore dell'energia solare, è virtualmente impossibile.

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A mano a mano che i sussidi dell'IRA [Inflation Reduction Act] iniziano a essere distribuiti, appare chiaro che è difficile, se non impossibile al momento, separarsi totalmente dalla Cina in aree come l'energia solare. Le conversazioni che ho avuto di recente sia con responsabili politici che con leader aziendali mi hanno convinto, al contrario, che dovremo dovremo discutere molto seriamente a livello globale sui compromessi da fare se vogliamo una transizione energetica che sia veramente verde e crei posti di lavoro dignitosi negli Stati Uniti e all'estero.
Consideriamo, ad esempio, l'ultimo anno di annunci di nuove fabbriche di batterie solari e verdi negli Stati Uniti. Nuove regole significano che i moduli solari che si ritiene siano stati realizzati con il lavoro forzato in quelle fabbriche cinesi sporche possono essere sequestrati al confine con gli Stati Uniti. A prima vista, questa sembra una grande vittoria per l'amministrazione Biden. E per certi versi lo è: l'America sta finalmente iniziando ad approvare politiche per incoraggiare una crescita sostenibile e inclusiva.
Ma, quando si scava più a fondo, ci si rende conto che le specifiche IRA per cose come moduli o celle di batterie solari non tengono conto del fatto che quasi tutto il polisilicio grezzo, che viene scambiato come merce sul mercato globale e quindi non identificato per origine, è prodotto in Cina, in gran parte nello Xinjiang. Ciò significa che non c'è quasi nessun pannello solare negli Stati Uniti o praticamente altrove che sia veramente "pulito", per non parlare del fatto che è realizzato interamente con pratiche di lavoro inique, dato il predominio della Cina nel mercato.
"La domanda che dobbiamo porci è: quali tecnologie di energia pulita possiamo realizzare su larga scala in Occidente per realizzare la transizione verso l'energia verde che attualmente non dipendano dalla Cina?" afferma David Scaysbrook, socio amministratore di Quinbrook Infrastructure Partners, un'azienda australiana che costruisce e investe in energie rinnovabili, compresi i progetti relativi all'IRA. La sua risposta? "Non molte".
[...]
Nell'ambito del piano del governo australiano, Quinbrook ha analizzato ciò che sarebbe necessario, ad esempio, per estrarre e produrre polisilicio verde nel Queensland, senza utilizzare alcun input o esperienza cinese.Di per sé la cosa è possibile, dato che l'Australia ha abbondanti materie prime come il quarzo e può utilizzare proprietà intellettuale e talenti provenienti da paesi come la Corea del Sud, la Germania, il Giappone o gli Stati Uniti, per costruire le fabbriche e le attrezzature necessarie per tale sforzo. Il problema è che sarebbe almeno due volte più costoso farlo. Inoltre, se un'azienda in Australia o anche negli Stati Uniti (che ha anche le materie prime per produrre polisilicio) volesse farlo, ci vorrebbero circa sei anni per costruire una nuova struttura. Ciò significherebbe solo due o tre anni di sovvenzioni alla produzione nell'ambito dell'IRA, che scadrà nel 2032. È un tempo lungo nel contesto della politica statunitense, ma non molto lungo nel contesto di ciò che è necessario per un ambiente veramente pulito e transizione energetica inclusiva.(Fonte: Wall Street Journal)

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Gli ucraini colpiscono i ponti d’Ucraina.
L’Ucraina che distrugge l’Ucraina.
C’è chi esulta.
È un po’ come esultare perché gli italiani distruggono l’A14, il porto di Genova o l’aeroporto di Fiumicino.
Dà l’idea del delirio che governa il nostro tempo.
Il blocco occidentale sta combattendo contro la Russia con i ponti d’Ucraina, i porti d’Ucraina, gli aeroporti d’Ucraina.
Orrore.
Nasceranno nuove generazioni d'ucraini. Capiranno che cosa abbiamo fatto al loro Paese, anzi, che cosa abbiamo fatto con il loro Paese.
E' presto per capire.
Diremo dell'Ucraina ciò che oggi diciamo della Libia.
Per ora litri di latte.
Per le lacrime c'è tempo.

Alessandro Orsini.

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Per fortuna che c'è l'eco-ansia a distogliere l'attenzione dalla pover-ansia.

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‼️La guerra in Ucraina affossa le maggiori società europee: perdite per 100 miliardi di euro - inchiesta Financial Times

"Le più grandi aziende europee hanno subito almeno 100 miliardi di euro di perdite dirette dalle loro operazioni in Russia dall'invasione su vasta scala dell'Ucraina da parte del presidente Vladimir Putin lo scorso anno".

Lo riferisce un'analisi del Financial Times, senza chiarire che le perdite non sono dovute "all'invasione" piuttosto alla reazione degli Stati Uniti, che hanno tentato di isolare la Federazione Russa a scapito dell'Europa. Ricordate il giubilo dei leader europei? "faremo della Russia uno Stato paria" e invece hanno danneggiato oltre 170 grandi società europee (e probabilmente distrutto centinaia di PMI, ma questo non è oggetto dello studio del FT).

L'indagine prende in considerazione le relazioni annuali e sui bilanci del 2023 di 600 gruppi europei mostra che 176 società hanno registrato svalutazioni di attività, oneri relativi ai cambi e altre spese una tantum a seguito della vendita, chiusura o riduzione delle attività russe.

Il volume aggregato delle perdite è considerato al netto degli impatti macroeconomici indiretti della guerra come l'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime.

Il settore più danneggiato è quello dell'energia. Soltanto tre compagnie - British Petroleum, Total e Shell - hanno riportato oneri combinati per 40,6 miliardi di euro, nonostante le perdite siano state largamente compensate dall'aumento dei prezzi di petrolio e gas.

Al netto delle perdite nel settore dell' energia, il paese più danneggiato risulta essere la Germania con oltre 20 miliardo di perdite, che riguardano principalmente il settore chimico, automobilistico e delle utilities.

Rispetto agli altri Paesi europei l'Italia subisce perdite contenute, all'incirca 5 miliardi di euro nei settori delle ultilities, energia e altri.
Unicredit e Intesa Sanpaolo, che continuano ad operare in Russia, hanno subito perdite di quasi 1,3 e 1,4mld di euro.

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