Francesca Totolo (Unico canale)
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Il 28 agosto del 1944, la famiglia Ugazio, il padre Giuseppe, le figlie Cornelia (21 anni) e Mirka (13 anni), fu rapita da una banda di partigiani a Galliate.

Dopo aver assistito all’assassinio del padre, le due ragazze furono stuprate da una ventina di partigiani che, credendole morte, buttarono i loro corpi in una fossa.

Un partigiano confessò nel 1997: “Le sorelle Ugazio furono sopraffatte da una ventina di uomini, a Cornelia spaccarono il cranio con il calcio del mitra e a Mirka schiacciarono il collo con uno scarpone per soffocarla”
“Fosse anche la mia morte, purché l'Italia viva. Io vivo per la Patria e per la Patria ho giurato la morte”

Margherita Audisio, ausiliaria appena 20enne, fucilata dai partigiani all’inizio del maggio 1945, a GUERRA FINITA.
La sinistra riparta da Fini!
Eccidio di Porzûs: nel febbraio del 1944, un gruppo di partigiani comunisti, in prevalenza gappisti, uccise diciassette partigiani delle Brigate Osoppo (formazioni di orientamento cattolico e laico-socialista), pure una donna, loro ex prigioniera.

Nessuno pagò mai per quella strage.
Il 4 maggio del 1945, a GUERRA FINITA, le ausiliarie Jole Genesi e Lidia Rovilda furono catturate alla stazione Centrale di Milano e poi torturate all’hotel San Carlo di Arona. Dopo essersi rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale, furono uccise dai partigiani.
Servizio posato che ritrae la resistenza: Photoshop prima di Photoshop
“Una delle giovani ritratte nella foto, Aniuska (al centro), giunta dalla Polonia con la sorella, ricevette il fucile da alcuni partigiani. Ore dopo lo scatto, a causa di un errore, venne uccisa dalla sorella, che a sua volta aveva ricevuto un’arma”
“In questo modo, in pratica, si certifica che i compagni sono tutti degli angioletti, e che, quando capita che alzino le mani o le spranghe contro qualcuno, in realtà si stanno semplicemente comportando da fascisti, tradendo la loro natura gandhiana. Che dire, il lavoro della Totolo dovrebbe anche servire a capire che le cose non stanno così. E che parlare di «fascisti rossi» non ha nessun senso. Perché quando insultano, quando minacciano e quando picchiano, gli antifascisti non si stanno comportando da fascisti, ma stanno facendo esattamente quello che gli antifascisti (almeno una parte) sono abituati a fare, nell’indifferenza generale, da troppo tempo”

Tratto dalla prefazione, scritta da Alberto Busacca, del libro “Emergenza antifascismo
Il 5 aprile 1945, dalla loro di casa Torreselle di Isola Vicentina, i partigiani rapirono la famiglia Tescari, il padre Guerrino, la moglie incinta Assunta e il figlio 13enne Angelo.

Dopo sofferenze e torture di ogni sorta, la mattina del 25 aprile 1945,
furono gettati nella Foiba di Montemezzo con altre 12 persone.
Il 4 luglio del 1944, a Graglia, la villa dell’ausiliaria Maria Garzena fu assaltata da un gruppo di partigiani. La donna si difese gettando bombe a mano contro i violenti ma fu assassinata con un colpo di pugnale alla gola e la sua villa depredata.

Finita la guerra la famiglia Garzena non riuscì più a rientrare in possesso della villa perché era stata occupata dalla moglie di un noto capo partigiano di Biella.
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L’autobus di una scolaresca di Verona in gita a Bolzano è stato colpito da un sassaiola: gli autori fanno parte di una baby gang multietnica già attenzionata dalle Forze dell’ordine.
Il 26 aprile del 1945, a Cesena, l’ausiliaria 20enne Iolanda Gridelli, vedova di un ufficiale del Battaglione M morto durante un agguato di una banda appartenente alla squadra di azione patriottica, fu percossa a sangue, torturata, violentata, denudata e trascinata per le strade della città.

Davanti alle carceri, fu legata a un albero e fucilata. Il cadavere nudo rimase appeso all’albero per due giorni.
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Almeno ci pagheranno le pensioni?
Buona festa dell’occupazione straniera
Il 16 gennaio del 1945, a Biella, la 16enne Maria Laura Bellini venne uccisa da un gruppo di partigiani che cercava di rapirla: nel biellese, furono circa 150 le donne assassinate dai criminali rossi spesso dopo essere state schiavizzate e aver subito violenze.
Il suo sorriso, eterno monito contro la loro infamità