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❇️ Il ruolo dei microbi intestinali nella resistenza all’insulina

Il metabolismo dei carboidrati microbici intestinali è fondamentale nell'insulino-resistenza
e quindi può essere considerato un meccanismo fisiopatologico primario della sindrome metabolica del diabete di tipo 2. Lo mostra uno studio che ha compreso 306 persone tra i 20 e 75 anni, arruolate tra il 2014 e il 2016 presso l'ospedale dell'Università di Tokyo durante le regolari visite sanitarie annuali (individui relativamente sani rispetto alla maggior parte dei precedenti studi metagenomici su diabete e obesità).

Nel corso dei mesi i ricercatori hanno riscontrato che gli individui insulino-resistenti mostrano un aumento dei carboidrati fecali, in particolare dei monosaccaridi accessibili all'ospite, che sono legati al metabolismo microbico dei carboidrati e alle citochine pro-infiammatorie.

Comprendere il ruolo dei microbi intestinali nel metabolizzare carboidrati è importante e dovrebbe supportare lo sviluppo di interventi mirati per gestire l'insulino-resistenza anche perché il diabete di tipo 2 è in continuo aumento. Un tempo era chiamato diabete dell'adulto, perché insorgeva tipicamente in età avanzata, oggi viene semplicemente definito diabete di tipo 2, dal momento che si manifesta anche in età più giovani, addirittura a volte in adolescenza.

L'alimentazione influisce moltissimo:
una dieta ricca di zuccheri, bibite gassate, succhi di frutta e farine raffinate induce, nel tempo, una condizione di insulino-resistenza, il che significa che le cellule diventano progressivamente meno sensibili al segnale dell'insulina.
Una dieta appropriata e l'attività fisica, accompagnate o meno dalla perdita di peso, sono strumenti potenti per cercare di ritrovare l'equilibrio. Nel caso in cui queste misure non siano sufficienti - in genere lo sono se praticate con costanza e disciplina - rimane la terapia farmacologica (la metformina è il farmaco che per lo più viene prescritto).

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VB



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❇️ Il selenio protegge la funzione renale

Studi su animali hanno evidenziato che la carenza di selenio ha effetti diretti sul danno renale e che la sua integrazione può alleviare la nefrotossicità indotta da alcune sostanze (come nitrato di piombo) e da alcuni farmaci utilizzati in caso di cancro (ad esempio ciclofosfamide, cisplatino e streptozotocina).
Anche studi di popolazione hanno confermato l'effetto protettivo del selenio sulla funzione renale mostrando che i livelli plasmatici di selenio nei pazienti con malattia renale cronica non dializzati sono inferiori a quelli tipici delle persone sane.

Recentemente un lavoro condotto da più università cinesi ha approfondito in modo completo la relazione tra selenio e funzione renale apportando nuovi contributi interessanti.
Si tratta della prima ricerca fatta su adulti con ipertensione, una popolazione ad alto rischio di sviluppare malattia renale cronica, e ha evidenziato un'associazione inversa tra selenio plasmatico e rischio di declino delle funzioni renali. Gli stessi autori del lavoro scrivono che "se i risultati fossero confermati potrebbero avere importanti implicazioni cliniche e di salute pubblica".

Il SELENIO è un oligoelemento essenziale che svolge un ruolo cruciale nei processi antinfiammatori e antiossidanti.
Le noci brasiliane ne sono particolarmente ricche
(ne bastano un paio per soddisfare il fabbisogno giornaliero), ma è presente in quantità diverse in numerosi altri alimenti: sgombro, tonno, salmone, pollo, tacchino, frattaglie, uova, quinoa e altri cereali, funghi shitake, semi di girasole e altra frutta oleosa. Invece la concentrazione di selenio nelle verdure è variabile a seconda della sua concentrazione nel terreno.

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VB



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❇️ Perché la ninna nanna aiuta la salute dei bambini

Le ninne nanne esistono da millenni nella tradizione di ogni angolo della terra,
tramandate di madre in figlia. Favoriscono il rilassamento e la salute emotiva tenendo lontana la paura di restare soli e di essere abbandonati che è la più ancestrale di tutte le angosce.

Anche le più moderne ricerche attribuiscono a questi teneri atti d’amore un grande valore
poiché è dimostrato che addormentare i bambini cantando una ninna nanna li fa crescere più forti e sicuri aumentando la loro autostima.
Interessanti a questo riguardo sono gli studi dell’americano Samuel Mehr, esperto di musica, che si è occupato proprio di valutare le reazioni dei bimbi alle nenie cantate per guidarli nel sonno. È stato visto, inoltre, che a soli cinque mesi un bimbo è in grado di distinguere la melodia che la mamma sceglie per farlo addormentare e può riconoscere, anche a distanza di molti anni, una cantilena che ha ascoltato anche solo per qualche giorno a quell’età.

Dunque, il momento di mettere a letto i bambini, specie quelli più piccoli, non dovrebbe essere sottovalutato dai genitori perché può essere un’occasione privilegiata di comunicazione. È un tempo di scambio affettivo che infonde serenità e rassicurazione e contribuisce a porre le basi per creare in futuro relazioni equilibrate e serene.

Ma c’è di più. Secondo la psicofonia,
disciplina fondata intorno al 1950 dalla cantante Marie-Louise Aucher, le sonorità prodotte dalla voce sollecitano precise parti del corpo contribuendo al suo sano sviluppo. In pratica ogni suono emesso è in grado di colpire una determinata vertebra, di conseguenza, a seconda che i suoni siano più gravi o più acuti, vibrerà una specifica parte del corpo: la voce più grave del papà è in grado di stimolare i piccolini dai piedi all’addome, mentre quella più acuta della mamma dalla vita alla testa.

Ciò è valido addirittura sin dalla gestazione; da qui l’importanza, da molti sostenuta, di parlare ai bambini e sollecitarli con musiche e canti armonici già da quando sono in utero (si può leggere a riguardo questo mio precedente post “Cosa puoi fare per tuo figlio fin da quando è in pancia”).

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VB



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