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❇️ L'esposizione a lungo termine al cadmio è associata all'endometriosi

Uno studio della Michigan State University collega i livelli di cadmio nelle urine delle donne all'endometriosi. In sostanza tutte le donne esaminate con una storia di endometriosi avevano concentrazioni più elevate di cadmio nelle urine rispetto a quelle senza tale diagnosi. La ricerca conferma, quindi, ciò che già altri studi avevano rilevato, ovvero che questo metallo tossico può essere collegato allo sviluppo di questa patologia.

L'endometriosi colpisce una donna su dieci in età riproduttiva ed è una condizione che comporta sintomi cronici dolorosi e debilitanti che possono interferire con tutti gli aspetti della vita: la produttività nel lavoro, il rendimento scolastico, le relazioni personali. Inoltre può essere associata a esiti avversi come infertilità e cancro ovarico.

Nonostante l'impatto fortemente negativo di questa patologia sulla qualità della vita delle donne, l'endometriosi rimane poco studiata.
È importante, quindi, che si approfondiscano i fattori di rischio ambientale come, appunto, il cadmio che è un metallo che può legarsi ai recettori degli estrogeni ed è stato osservato in studi in vitro e in vivo che è in grado di aumentare la proliferazione endometriale.

Si può venire in contatto con il cadmio respirando fumo di sigaretta e mangiando cibi contaminati, il cadmio, infatti, viene rilasciato nell'ambiente attraverso processi industriali e viene assorbito dalle piante, in particolare il tabacco, gli ortaggi a foglia, gli ortaggi a radice, i cereali, i semi di soia. Non solo, è stato visto che può essere assorbito anche dagli organismi acquatici, ad esempio i molluschi.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Human Reproduction.

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VB



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❇️ De Donno: una tragica fine, un'eredità morale immensa

Due anni fa, nel tardo pomeriggio del 27 luglio 2021, veniva trovato impiccato nella sua abitazione un grande medico, il dottor Giuseppe De Donno. Era diventato celebre per le sue battaglie pro terapia del plasma contro la Covid-19 e per aver salvato tanti malati gravi quando ancora si era nella fase critica dell'emergenza, quando gli ospedali erano pieni di pazienti gravi e le terapie intensive al collasso.
Insieme al suo gruppo di lavoro utilizzò il plasma convalescente per trattare i malati e salvò molte persone. TUTTAVIA, non fu ascoltato. Anzi fu attaccato e denigrato. Il Ministero della Salute gli tolse la sperimentazione per darla a Pisa, che in realtà non aveva alcuna esperienza in questo campo, dopodiché la sua terapia fu bocciata da AIFA e ISS.
Amareggiato De Donno cambiò vita e, da primario di pneumologia del Poma di Mantova, scelse di tornare a fare il medico di Medicina Generale a Porto Mantovano. Dopo poco, però, è stato ritrovato morto.

Subito i media hanno parlato di suicidio, in realtà rimangono aperti molti interrogativi e in tanti pensano che sia impossibile che si sia tolto la vita.
Anche perché era profondamente religioso e legatissimo ai suoi familiari ai quali non avrebbe lasciato neppure un biglietto. E anche alcuni dei suoi amici più intimi hanno raccontato, sgomenti, che non c'erano stati segnali che potessero far pensare a un gesto estremo e che, anzi, l'avevano visto finalmente sereno negli ultimi giorni con il nuovo lavoro di medico di base.

Coincidenza, è venuto a mancare proprio alla vigilia dell'arrivo delle cure con gli anticorpi monoclonali, farmaci cari, a differenza del plasma convalescente (che non ha limiti di brevetto ed è poco costoso da produrre poiché molti singoli donatori possono fornire più unità). De Donno aveva, sì, trovato una soluzione, ma che avrebbe inevitabilmente frenato il mercato degli anticorpi monoclonali anti SARS-CoV-2 (che sono diventati disponibili a partire dal 7 agosto 2021, guarda caso una settimana dopo la sua morte).
Inoltre aveva messo in dubbio la vaccinazione che era stata avviata su scala mondiale a fine dicembre 2020 (riguardo questo aveva anche scritto al Ministro della Salute Roberto Speranza ponendo domande ben precise e manifestando dubbi in merito al profilo di sicurezza di quei farmaci approvati in così poco tempo).

Fino al giorno della sua tragica fine, il 27 luglio di 2 anni fa, il Dottor Giuseppe De Donno ha continuato a svolgere la sua professione con grande dedizione e a difendere la validità della cura con il plasma iperimmune.
FA MALE, NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE, ripensare a tutto ciò che è accaduto e si stringe il cuore nel rivedere L'ULTIMA INTERVISTA di questo medico che dichiarava di essere "orgogliosamente figlio di un carabiniere" e di avere "la trasparenza come punto di riferimento della vita"-
Di questo servizio, realizzato dalle Iene, sono da scalfire in eterno nella mente gli ultimi minuti, in particolare i due minuti che vanno dal minuto 6.54 al minuto 8.54: mostrano un uomo che, con i suoi occhi al limite delle lacrime, con il suo sorriso tanto buono quanto amaro, con le sue mezze parole e i suoi penetranti silenzi, fa capire tante cose:

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https://www.iene.mediaset.it/video/plasma-iperimmune-de-donno-aveva-ragione_1136534.shtml

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VB



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