Briciole di teologia
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Pensava che la vita e il suo senso fossero cose che si possono accumulare, anzi, strappare. Ma l'esperienza gli ha mostrato che la tasca non è connessa al cuore. Pensava di poter trovare la pienezza arrampicandosi per curiosare e vederla. Ma non era così. Ha trovato il senso e la pienezza che cercava quando si è visto guardato, visto, riconosciuto e chiamato. Per nome: Zaccheo, scendi e scendi subito. Anche tu, scendi. La tua vita non è nell'accumulo di cose o di curiosità. La tua vita è quando riconosci che la Vita stessa vuole entrare nella tua vita, nei tuoi luoghi, sedersi alla tua mensa, mangiare il tuo pane e diventare Pane per te.
#pregolaParola
(Lc 19,1-10)
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
I Padri sono noti per le loro interpretazioni geniali del testo sacro e, a proposito di questo vangelo, abbiamo alcune letture suggestive. Agostino interpreta i dieci talenti come l'osservazione dei dieci comandamenti, mentre Ambrogio interpreta le cinque monete come il servire Dio con i cinque sensi, esercitando i doni della natura. Per dirla breve, entrambi i servi buoni hanno usato ciò che avevano a disposizione per amare Dio ed entrare in relazione con lui. Chi attraverso la rivelazione soprannaturale e chi con i doni naturali. Soltanto il servo malvagio ha coperto il suo talento con un fazzoletto, soffocandolo, vanificandolo. Non importa quanti doni abbiamo, importa riconoscerli e metterli a frutto.
#pregolaParola
(Lc 19,11-28)
Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d'oro, dicendo: «Fatele fruttare fino al mio ritorno». Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: «Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi». Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: «Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate dieci». Gli disse: «Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città». Poi si presentò il secondo e disse: «Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate cinque». Anche a questo disse: «Tu pure sarai a capo di cinque città». Venne poi anche un altro e disse: «Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato». Gli rispose: «Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi». Disse poi ai presenti: «Toglietegli la moneta d'oro e datela a colui che ne ha dieci». Gli risposero: «Signore, ne ha già dieci!». «Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me»». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Quante volte anche io chiamo Gesù fuori proprio mentre sta parlando. Penso che i suoi progetti non mi riguardino e allora resto fuori, in attesa che venga da me ed entri nella mia lettura e nella mia prospettiva sulle cose. Non mi ci vedo dentro e non mi lascio coinvolgere nella sua versione, nel suo annuncio, nel suo disegno. E lo faccio forse con l'alibi di una familiarità speciale. Sai, Signore, siamo compagni di strada da decenni! La familiarità con il Signore è un dono, ma che deve essere custodito, accudito, rinnovato. Non può vantare intimità passate perché l'intimità va nutrita ogni giorno. E questo vangelo ci indica il nutrimento fondamentale, quello che Gesù stesso chiama «il mio cibo»: fare la volontà del Padre.
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(Mt 12,46-50)
Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».
Conosciamo cos'è l'anoressia, ma cosa si intende quando si parla di anoressia spirituale? Il concetto viene presentato all'inizio del libro Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana, in dialogo con due noti psicologi, Carl Gustav Jung e Viktor Emil Frankl, fondatore della logoterapia.
Entrambi ci trasmettono una lezione sull'importanza di avere una vita spirituale, ovvero una vita orientata a un senso più grande.
Il libro a cui si ispirano #bricioledilibri è Un Dio umano che trovi qui: http://bit.ly/dioumano
Buon ascolto

https://youtu.be/S6DMZ9pFnvY
Non di rado, si inizia a servire Dio e si finisce per servire se stessi. Abbiamo la tendenza di ripiegarxi sui nostri interessi anche quando iniziamo in modo pressoché disinteressato a servire il Signore. Preghiamo Gesù affinché ci riformi e ci purifichi sempre, facendo di noi una casa di preghiera. Preghiamo affinché anche noi, come quella folla, pensiamo sempre dalle sue labbra.
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(Lc 19,45-48)
Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell'ascoltarlo.
Solo apparentemente la questione sollevata dai sadducei è una questione sul matrimonio. In realtà in discussione è la vita eterna e il rapporto della vita attuale, con le sue scelte e con le sue relazioni, alla vita eterna. I sadducei pensano che la credenza nella vita eterna, che essi non condividono, sia pensare a una replica all'infinito della vita attuale. Non sanno che lo "spazio" e il "tempo" dell'eternità è la vita in Dio e con Dio. In questa chiave, il matrimonio nella vita eterna né viene eliminato né viene ripetuto tale quale, ma viene trasfigurato. I due che pensavano di essere il compimento l'uno dell'altro, si riconoscono e si scoprono senza veli co-pellegrini verso il volto di Dio. Allora il loro rapporto non finisce, ma trova il suo pieno orientamento. Il discorso dei sadducei non era primariamente sul matrimonio, ma, senza volerlo, ci fanno pensare al senso delle nostre scelte vocazionale. La tua scelta vocazionale è l'orientamento storico della tua eternità. Così, se la tua chiamata è nel matrimonio, nel matrimonio non è in gioco solo la tua felicità, è in gioco la tua eternità.
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(Lc 20,27-40)
Gli si avvicinarono alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcunoche ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
La liturgia della Chiesa ci presenta un momento di sconfitta per parlare di Cristo re. Almeno, di sconfitta apparente. Il primo ladro, in fondo, si fa voce di tanti crocefissi, inchiodati dalla vita giustamente o ingiustamente. Crocefissi che gridano a Gesù: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». La sua voce fa eco a quella dei Giudei che schernivano Gesù pretendendo che scendesse dalla croce, se era il Messia... E se siamo sinceri, anche noi vogliamo un Cristo che vinca già da questa vita, che sia senza croce, senza contrasti, un Cristo che sorvoli la valle delle lacrime... Ma la regalità di Cristo si rivela, anche in questo vangelo, in un particolare non notato se non dal ladro pentito. Cristo è il giusto che vince il male non quando rinuncia alla croce. Lo vince perseverando nella sua volontà di donazione sino alla fine. Cristo non elimina la sofferenza, la riempie della sua presenza. Si fa presenza nel dolore del ladro pentito che gli dice : «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». E Gesù gli risponde : «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
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(Lc 23,35-43)
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Dio, per così dire, non vede le cose, ma vede solo le persone. Quando si danno solo le cose, il dono è invisibile. Il cuore donato nelle cose, le rende visibili e comprensibili a Dio. Naturalmente, questo linguaggio figurato è per dire che nel donarci in modo gradito a Dio, dobbiamo donarci come Dio si dona. Dio dona se stesso in ogni suo dono. Allora non è questione di competizione, ma di completezza di dono. Ognuno di noi si metta nelle mani del Signore e dica: eccomi Signore, io do a te tutto quello che ho. Ti do le mie due monetine: il mio pentimento per non amarti abbastanza e il mio desiderio di amarti con tutto il cuore.
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(Lc 21,1-4)
Alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
Cristo compie la rivelazione di Dio, la sua autocomunicazione. Lui è la "novità" di Dio che non può essere seguita o compiuta da altre novità, perché in Lui Dio si è donato totalmente, carnalmente. Se ci sono rivelazioni private successive, esse possono solo additare a quell'evento datoci in pienezza nei gesti e nelle parole di Gesù. Questa verità implica due cose importanti: la prima è che non dobbiamo lasciarci traviare da nuove rivelazioni dopo la venuta di Cristo, perché non ce ne sono; la seconda cosa è legata alla nostra esistenza personale: Dio ti ha detto tutto nella Parola Gesù Cristo, come insegna San Giovanni della Croce riecheggiando la Lettera agli ebrei, per cuj volere altre parole è vano. Le indicazioni per la tua vita, si trovano tutte in Lui. Il senso della tua vita converge in Lui. Guarda a Gesù.
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(Lc 21,5-11)
Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: «Sono io», e: «Il tempo è vicino». Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
«Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Il Signore aspetta da noi ciò che l'umano non può dare: la stabilità, qualcosa che somiglia all'eterno. Perché ci chiede l'impossibile? Per far scattare in noi un senso di inadeguatezza? Non sa che davanti alle difficoltà e nelle tempeste, quasi tutti i nostri propositi dei tempi belli e della cosiddetta primavera dell'anima crollano? No, non per farci sentire inadeguati, ma per farci aprire al Dio dell'impossibile. Per fare spazio alla sua grazia, alla sua vita in noi. Lui che dice che il cielo e la terra passeranno, ma la sua parola non passerà. Se vogliamo perseverare, dobbiamo fare spazio alla sua parola, nell'ascolto della parola delle Scritture e nell'affidamento alla Parola fatta carne.
#pregolaParola
(Lc 21,12-19)
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
Oggi ho il piacere di condividere con voi il commento di Don Renzo Bonetti.
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Ciò che risalta in questa Parola è come il Signore Gesù sia il riferimento di quanto sta accadendo: mi darete testimonianza, Io vi suggerirò, sarete odiati nel mio nome. Come a dire: il vostro vivere questo momento di prova, di sofferenza, di martirio, dirà il rapporto che avete con me. Come a dire che è nella sofferenza che sperimentiamo il legame e l’amore con il Signore Gesù.
Noi spesso lo sperimentiamo nei momenti belli, significativi, sereni nei quali ascoltiamo la sua Parola, ma è nel sacrificio, nel dolore, nel perdere che noi verifichiamo la profondità del nostro legame con il Signore Gesù. Certo, in questo perdere Lui ci darà la parola, Lui sarà con noi, ma è indispensabile
che verifichiamo fino in fondo la qualità del nostro rapporto con Gesù: se regge solo quando le cose vanno bene o se è un rapporto che ci sostiene, se è il motivo del vivere la nostra croce, la nostra sofferenza. La riprova di questo sacrificarsi, di questo “sparire” per amore, l’abbiamo nell’Eucaristia: come si è ridotto Dio pur di dire l’amore, come si presenta Gesù in quel Pane pur di dire l’amore.
#pregolaParola
(Lc 21,20-28)
Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieliinfatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Come attendere Gesù Cristo? Sembra una domanda scontata e facile. Eppure, ogni anno che passa, spesso ci troviamo non pronti, se non con gli addobbi esterni. John Henry Newman ci offre alcuni strumenti interessanti.
Questo video è per gli amici che hanno desiderato partecipare alla riflessione tenutasi la settimana scorsa a Roma, con l'augurio e la preghiera che il genio spirituale di Newman ci accompagni verso un Natale colmo di presenza.
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Il libro in questione è: http://bit.ly/newmansanto
Dopo un discorso intenso in un linguaggio apocalittico, Gesù torna a usare il linguaggio suo abituale, quello che parte da uno sguardo attento alla realtà intorno a sé e ai suoi interlocutori. E proprio da questo realismo, proprio da questa concretezza, Gesù impartisce una lezione attuale sugli ultimi tempi. Con la semplicità della percezione di un cambiamento che avviene a una pianta, Gesù esorta a riconoscere i segni dei tempi. E, forse, l'accenno al germogliare delle piante ci fa capire che per Gesù, più importante che sapere l'ora è dare frutto, adesso e finché non si squarcia il velo del Dolce Incontro, come si esprime San Giovanni della Croce parlando del nostro incontro defitinivo con Gesù.
#pregolaParola (Lc 21,29-33)
E disse loro una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Riguardo alla volontà di Dio nella nostra vita, scrive Georges Bernanos qualcosa di molto vero e profondo: «La volontà di Dio è la nostra; il prezzo della rivolta contro di Essa è la lacerazione del nostro intimo, la mostruosa dispersione di noi stessi». Detto in termini positivi: noi troviamo noi stessi veramente quando siamo nella volontà di Dio. È nella relazione con lui e nella tensione verso di lui che realizziamo i nostri aneliti più profondi. Lontano da lui, ci accontentiamo di altezze minori, di opzioni secondarie. E la vocazione degli apostoli ci manifesta questa verità in maniera semplice ma chiara. L'incontro con Gesù manifesta loro la grandezza della loro chiamata: non semplici pescatori, ma pescatori di uomini. Il loro mestiere ha fatto loro percepire una via, ma è la voce del Maestro che li ha condotti verso il mistero della loro chiamata, il centro della loro vita.
#pregolaParola (Mt 4,18-22)
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono
Bellissime le sfumature che attraversano tutte le letture di questa domenica. Ognuna ci parla di attesa in un modo diverso. In Isaia l'attesa è speranza che si realizza, è una processione verso la casa del Signore, l'unica che dà la parola di vita. Nel salmo è iniziativa e pellegrinaggio di gioia verso la città santa del Signore. Nella seconda lettura, l'attesa è invito a non lasciarsi ottebebrare la vista o appesantire il cuore, ma di avere il cuore vigilante e proteso a Cristo Signore. È un'attesa innamorata che si sazia già del Signore Gesù presente. E nel vangelo, infine, si esprime il senso dell'attesa con l'elemento di imprevedibilità attraverso il paragone-contrasto di un ladro che viene di notte. Tutto ci chiama a risvegliare il cuore, a vegliare, ad attendere Gesù riconoscendolo già presente, nella nostra sete di lui, nella nostra speranza, nelle nostre azioni.
#pregolaParola (Mt 24,37-44)
Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.
Mi sorprende sempre l'elogio di Gesù al centurione. Cosa ha fatto quell'uomo per meritare l'elogio e l'ammirazione del Signore? Ha applicato l'analogia delle realtà naturali alla realtà di Dio. Ha avuto, in altre parole, la perspicacia di intravedere il soprannaturale nell'esperienza naturale, lo straordinario nell'ordinario. La fede è un dono di Dio, ma è anche ciò che noi facciamo di questo dono. È un seme, e a noi l'onore e l'onere di seminarlo nel nostro cuore e di custodirne la crescita.
#pregolaParola (Mt 8,5-11)
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch'io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va'!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa' questo!», ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli,
L'esultazione di Gesù nello Spirito si associa al dialogo che il Cristo ha con i discepoli qualche versetto prima della périscope scelta per oggi. Il Signore aveva invitato i discepoli a gioire, non per quello che fanno, ma per quello che sono. «Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in Cielo». Rallegratevi perché non siete anonimi dinanzi al Padre. Il vangelo di oggi, poi, ripete con insistenza la parola Padre (cinque volte in pochissimi versetti), per dirci e ricordarci la paternità di Dio. Questa paternità è unica nei confronti di Gesù, egli ha un rapporto speciale con il Padre. È il Figlio. Ma proprio grazie a lui, noi diventiamo figli. È questo il motivo della grande gioia a cui il Signore accennava. Gesù ci chiarisce che solo i piccoli capiscono e riconoscono la sorgente di questa gioia. Per cui, se ne siamo distratti e distanti, significa che chiediamo al Signore il dono dell'infanzia spirituale.
#pregolaParola (Lc 10,21-24)
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Quando non ci preoccupiamo per noi stessi e ci diamo anima e corpo al Signore, accade qualcosa di stupendo: sperimentiamo come lui stesso si occupa teneramente di noi. «Sento compassione per la folla». Sente compassione per noi, per me e per te. A volte fatichiamo a crederci, fatichiamo a liberare il cuore in un canto di fiducia. E senza sapere come sprofondiamo in una fame di gioia terribile, più grave della fame di pane. Ma basta poco, pochissimo, basta un grido, una prefhigiera sussurrata, un piccolo passo di fiducia e il Signore passa con una sua carezza. L'ha promesso lui: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
#pregolaParola (Mt 15,29-37)
Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d'Israele. Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Nel vangelo del cieco Bartimeo, Gesù chiede al cieco cosa desideri. In questo vangelo, ai due ciechi Gesù chiede se essi credano che lui possa guarirli. Sono due aspetti importanti nella trasformazione e nella guarigione: riconoscere il proprio bisogno e riconoscere la potenza del Signore. Ma un aspetto che stona in questo vangelo, e credo che Matteo desideri proprio farcelo vedere, è il contrasto tra ciò che Gesù raccomanda e ciò che i due fanno in seguito. A quanto pare, i due ciechi hanno recuperato la vista, mentre sono rimasti sordi nel cuore. E forse questo vangelo ci lascia con questa provocazione: la guarigione fisica non basta se l'orecchio del cuore rimane sordo, se non è spazio di risonanza dello shema'.
#pregolaParola (Mt 9,27-31)
Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
C'è una gradualità nella missione nel vangelo di Matteo che ha molto da insegnarci. Gesù manderà più tardi i suoi discepoli ad annunciare il vangelo a tutti. In chiusura del vangelo leggiamo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato». Ma Pri. A di questa missione verso tutti, c'è una missione ad intra, nella propria casa. Gesù avverte infatti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele». Cosa impariamo da questo approccio? Che le nostre prime terre di missione non sono all'estero, ma sono noi stessi, il nostro casato, il nostro giro di contatti e di amici. È evangelizzando noi stessi o, meglio, accogliendo il Vangelo, che possiamo essere lievito di Cristo per gli altri. E la terra di missione è innanzitutto laddove siamo messi dalla Provvidenza.
#pregolaParola (Mt 9,35-10,1.5a.6-8)
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.