Andrea Zhok
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Antropologia / Filosofia / Politica
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Chi lo avrebbe mai detto...
Forwarded from Lord Of War
It became known that starting in 2020, the US Department of Homeland Security began to meet monthly with representatives from Twitter, Facebook, Wikipedia and other Internet platforms to coordinate efforts on "content moderation".



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L’ALBA DELLO STATO DI DIRITTO MARZIALE

Spesso i meno accorti, tra cui spiccano i giornalisti mainstream, ritengono che la relativa sovrapponibilità tra chi ha criticato la gestione pandemica e chi critica la gestione bellica siano semplicemente indice di gente alla ricerca di un motivo purchessia per protestare. L’idea è che niente vi sia di comune, salvo la propensione a cercare occasioni per agitarsi da parte di alcuni. È ovviamente un miope fraintendimento; cerchiamo di capire perché.

La fase storica in cui siamo entrati con la pandemia rappresenta una svolta storica di cui bisogna comprendere il senso a prescindere dai molti, pur importanti, dettagli intorno alla gestione pandemica. La struttura di fondo di quella vicenda mostra come attraverso l’appello alla salute pubblica e il richiamo al contenimento del danno (il “contagio”) è possibile persuadere la quasi totalità della popolazione a qualunque restrizione e qualunque comportamento. Non mi interessa qui disquisire se questo fosse o non fosse pianificato, se fossero le prove generali di ben altro o invece un fortuito accidente: il punto è che anche laddove fosse tutto casuale e niente pianificato (cosa che comunque mi pare improbabile) siamo di fronte ad un precedente di cui i detentori del potere non possono non fare tesoro, e dunque ad una svolta.

I comportamenti di società moderne complesse che fino al giorno prima sostenevano pancia a terra un libertarismo individualistico pacchiano (strumentale ai meccanismi di mercato) sono stati capovolti in un istante nell’esatto opposto con il plauso di quasi tutti e senza che si alzassero sopracciglia di proverbiali “liberali”.

Certo, il ruolo dei media e del loro controllo è stato cruciale – e la recente conferma che dal 2020 il dipartimento USA della Homeland Security si incontrava mensilmente con rappresentanti di Twitter, Facebook, Wikipedia e altre piattaforme Internet per coordinare gli sforzi nella “moderazione dei contenuti” è tutto fuorché una sorpresa. Tuttavia ottenere la fedeltà al potere della maggior parte dei media – soprattutto quando si tratta di un potere effettivo e sbrigativo come quello americano – è la cosa più facile del mondo, se c’è una scusa spendibile. Se si coniuga l’interesse personale (anche solo quello di non andare contropelo al potere) con una passabile scusa “morale”, puoi portarti via per un piatto di lenticchie tutti i media del mondo.

Qui al centro della vicenda è la “buona scusa morale”. La forma che deve avere questa buona scusa è quella di una “minaccia esterna terribile” che richiede a tutti di “collaborare” senza discutere e di stigmatizzare chi non collabora.

Gli stati moderni sono governati de facto da oligarchie finanziarie e dopo la breve stagione democratica del secondo dopoguerra ora stanno implementando forme di controllo di radicalità un tempo impensabili.

Sul piano tecnologico e repressivo gli stati contemporanei sono oggi in grado di esercitare livelli di controllo storicamente inediti. L’unico limite all’esercizio di questo controllo, potenzialmente illimitato, è rappresentato dal guscio residuo dello “stato di diritto democratico”, che richiede qualche scusa pubblicamente spendibile per poter essere esercitato.

La forma di questa scusa è il “richiamo alle armi” di fronte al “pericolo comune”.
Sia la “guerra” che la “pandemia” sono istanziazioni classiche di tale “pericolo comune” illimitato, che richiede decisioni centrali inflessibili e indiscutibili “per il bene comune”, che ha legittimità a silenziare ogni richiesta e protesta, che ha il diritto di spezzare ogni volontà insufficientemente “responsabile”. Durante la pandemia abbiamo di fatto vissuto un assaggio di “legge marziale” ufficiosa. E credere che l’attuale guerra - in fase di progressiva escalation - sia vissuta come un problema da parte delle oligarchie economiche al potere è un patetico errore. Chiedersi di fronte alle marionette che ci governano “com’è possibile che non si rendano conto che ci portano sempre più in basso” presuppone ingenuamente che non ci vogliano in basso.
L’oggetto primo della pulsione capitalista è sì il denaro, ma in quanto potere, non in quanto “mezzo per il consumo”. Sono i morti di fame a pensare al denaro soprattutto come un mezzo per soddisfare desideri, per ottenere beni. Per i vertici del sistema il denaro è sempre disponibile in vasta eccedenza rispetto a qualunque consumo concepibile, mentre il suo ruolo effettivo consiste nell’assicurare gradi di influenza e potere.

Tirando le somme, il quadro prevalente (almeno) in Occidente è il seguente: oligarchie finanziarie – abitate al loro stesso interno da gruppi leader – tirano le fila della politica in vista di una forma di controllo e indirizzo centrale inedito nella storia precedente. Essi hanno l’interesse dominante a fomentare una condizione di “pericolo comune permanente”, che tolga di mezzo ogni opposizione, innanzitutto mentale.

Qui la lezione di Orwell resta più lucida e attuale che mai: una condizione di guerra permanente è un desideratum fondamentale per le èlite mondiali. Si tratta di una condizione da cui possono trarre solo vantaggi in termini di potere e controllo, e come ricorda Orwell, il potere non ha bisogno di ulteriori motivazioni. Che ci sia o non ci sia un qualche ulteriore “piano complessivo” (“depopolamento”, “transumanesimo”, ecc.), questo è contendibile e inessenziale: probabilmente per alcuni c’è, per altri no. Su ciò ci possono essere divergenze. Ma sull’interesse nel mantenere un controllo assoluto, che metta al riparo questa nuova casta da ogni pericolo “eversivo”, da ogni minaccia alle proprie posizioni consolidate, su ciò la convergenza è assicurata.

Ciò che il presente e il futuro ci riservano è una spinta continua, un rinfocolamento costante di una condizione di “guerra permanente”: guerra per procura o guerra sotto casa, guerra metaforica a qualche virus o guerra preventiva a qualche cataclisma incipiente.
Questa è la forma del meccanismo storico in cui siamo entrati. E non illudiamoci, saperlo di per sé non ci rende meno succubi, deboli, impreparati, impotenti.
BURATTINI SENZA FILI

Guardando all’ennesima vandalizzazione di un museo nel nome di un presunto “ambientalismo radicale”, riflettevo su quale terrificante tragedia sia stata, e sia, la pedagogia egemone del mondo liberale.

Questi ragazzi non possono essere liquidati né come vandali né come disagiati, per quanto entrambe le definizioni siano propriamente applicabili; queste definizioni non bastano perché non colgono il fatto che essi sono l’espressione di una disposizione profonda, ampiamente condivisa e generalmente silente.

Se vogliamo andare al di là del parco motivazioni che il sistema fornisce di default (“lavora-guadagna-consuma-crepa”), i temi “alti” che scaldano ancora i cuori e agitano i sonni delle nuove generazioni sono soltanto due, massimo tre: sesso e genere (con tutti gli addentellati), ambiente/ecologia, e talora (ma meno prominente) animalismo/veganesimo. Su questi temi si scatenano ancora accese prese di posizione, pretese vocali di diritti, sdegni e indignazioni variegate.

Ciò che accomuna questi temi, nella loro abissale diversità, è il fatto di riferirsi idealmente ad una sfera “naturale”: corpi, animali, piante, entità fisiche e biologiche.
Per comprendere le ragioni della salienza di questa sfera bisogna comprendere cos’è successo di catastrofico nella cultura contemporanea. Le nuove generazioni non riconoscono alcuna realtà al mondo sociale, culturale, storico, religioso. Tutte queste sfere che hanno rappresentato il centro di gravità delle lotte dei secoli e millenni passati sono scomparse in una dimensione di irrealtà, che non ha più nessun aggancio effettivo con le loro vite. Questa trasformazione ha naturalmente motivazioni profonde e di lungo periodo, su cui non possiamo soffermarci, dipendenti dall’imporsi progressivo di un’ontologia “naturalista” e di un’etica “relativista” nel percorso di egemonizzazione della ragione liberale.

Sommersi mediaticamente da una tempesta di frammenti “culturali” privi di alcuna connessione e di alcuna rilevanza operativa che gli piovono addosso da ogni parte, essi hanno recepito come lezione fondamentale che storia, cultura, società, politica, ecc. sono dimensioni sfuggenti, inintelligibili e arbitrarie, dimensioni irreali in cui magari si muovono ancora alcuni adulti – sempre meno – ma che non rappresenta qualcosa che è possibile prendere sul serio.

Le loro esistenze sono state integralmente destoricizzate e desocializzate. Il mondo del passato è la noia irrilevante dei libri di storia, e siccome ogni presente è destinato a diventare il passato di domani, anche ogni loro azione presente non si muove più nel senso di “orientare la storia”, perché la storia non esiste.

“Realtà” in modo preminente, legittimata dalla nostra intera ontologia, è solo la “natura”, che si profila come concreta e presente, “vera”.

Sarebbe erroneo però immaginare che ci sia una qualche definita immagine o un’articolata conoscenza di ciò che sarebbe, o dovrebbe essere, “natura”. E qui fa capolino l’aspetto davvero tragico di questa metamorfosi delle coscienza. Da un lato, solo ciò che appartiene alla sfera “naturale” è propriamente “reale” e dunque solo questa sfera può ancora accendere qualche animo o qualche passione. Tuttavia, com’è ovvio che sia, “natura” è in effetti sempre solo l’accesso a determinate idee, storicamente sviluppatesi, di “natura”. Ma essendo scomparsa dall’orizzonte ogni coscienza storico-culturale, lo schermo attraverso cui vedono la “natura” non è percepito come tale: la “realtà” residua, la “natura” per cui vale ancora la pena combattere è di volta in volta un’immaginicola correntemente di moda, senza che di ciò si abbia alcuna contezza. Il sistema culturale della “produzione di contenuti di moda”, agente fuori scena, fornisce uno spicchio di mondo che viene percepito come realtà naturale, massimamente concreta, qualcosa che “rifugge le complessità e fumisterie della storia e della cultura”.
Così, ci troviamo di fronte a soggetti che pensano di “star dicendo la loro” perché lottano per l’autointerpretazione e autodeterminazione dei propri genitali, o perché imbrattano tele contro il riscaldamento climatico, o perché rivendicano i diritti di Bambi.

Naturalmente ciascuna di questa tematiche potrebbe avere modi critici e intelligenti di essere trattata, ma il punto cruciale sta proprio qui: qualunque trattazione critica dovrebbe valutare questi temi in rapporto al sistema di relazioni storiche, sociali, economiche, culturali, ecc. in cui si colloca. Ma proprio questo è ciò che è impossibile, precluso, perché significherebbe entrare in quella dimensione di complessità di cui non solo ignorano l’esistenza, ma misconoscono proprio la rilevanza.

Così, quelle residue energie di giovanile contestazione, in attesa di essere definitivamente spente negli ingranaggi lavorativi, si sfogano su bersagli mobili forniti e alimentati da un apparato mediatico-informativo di cui neppure sospettano l’esistenza. Burattini di altri burattini. Burattini senza fili sì, ma solo perché oggi funziona meglio il telecomando.
Forwarded from Martina Pastorelli
"Negli ultimi 22 mesi sono deceduti improvvisamente tanti atleti quanti in un arco di 38 anni".

POLICOVID22, dalla relazione di Panagis Polycretis (PhD in Structural Biology)
Forwarded from Giubbe Rosse
🇮🇹 VIETATO “NUOCERE AL PRESTIGIO O ALL’IMMAGINE” DELLA PA SUI SOCIAL NETWORK - Il nuovo Codice di comportamento per i dipendenti pubblici L'adozione del nuovo regolamento era prevista dal decreto legge "Pnrr 2" dello scorso aprile. Avrà rilievo disciplinare ogni presa di posizione giudicata inopportuna per il buon nome dell'ufficio pubblico. Meglio, inoltre, non mettere online alcun riferimento al proprio posto di lavoro: in caso di violazioni, costituirebbe "elemento valutabile ai fini di un'eventuale sanzione disciplinare" (Fonte: Il Fatto Quotidiano)

Ma non si invochi la libertà di espressione. L'Italia non è la Cina o la Russia di Putin.

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Piccole cose della cui importanza spesso non ci si accorge. Questa piccolezza significa che tutte le critiche dall'interno di ciascuna amministrazione statale vengono cancellate. Chi ne sa di più dei problemi di un'amministrazione deve tacere, pena sanzioni. - A lesti passi verso l'asservimento totale.
Per gli interessati in zona Lecco.
Seguo da anni le vicende del Venezuela ed ho anche previsto come sarebbe andata a finire lo scontro frontale con gli Stati Uniti, di cui fa parte la Guaidó-story. Ne ho fatto un resoconto su Il Fatto Quotidiano.

Addio a Guaidó: la guerra a Putin riabilita Maduro.
Di Pino Arlacchi.

Guerre che vanno, guerre che vengono. Inizia l’Ucraina, finisce il Venezuela. Mentre la Nato prosegue la sua guerra per procura contro la Russia, il governo americano si rassegna alla sconfitta in Venezuela dopo sette anni di guerra ibrida: disinformazione senza freni, sbarchi di mercenari, tentati assassinii del presidente, sabotaggi di infrastrutture. E soprattutto sanzioni. Sanzioni devastanti, che avrebbero dovuto privare il Paese dei suoi mezzi di sussistenza, a partire dal petrolio. Nei sogni di Washington, l’odiato Maduro doveva essere spazzato via dall’insurrezione di folle affamate, da un sacrosanto golpe militare e dall’isolamento internazionale.

La guerra è iniziata sotto Obama nel 2015 all’insegna della storiella sulla contrapposizione tra democrazia e dittatura, come se i poteri di Maduro fossero superiori a quelli del presidente degli Stati Uniti, e come se le elezioni venezuelane fossero più falsate e falsabili di quelle nordamericane. La storiella perde i pantaloni sotto Trump, che inasprisce le sanzioni, ma rivela il senso ultimo della battaglia. Socialismo e diritti umani non c’entrano nulla. Il direttore dell’Fbi ha scritto che Donald riteneva ingiusto che Maduro restasse seduto sulla più grande riserva petrolifera del mondo in un posto a sole tre ore di volo – e di bombe – dalla roccaforte della democrazia occidentale. Si procede allora come al solito. Si crea il diavolo di turno. Maduro come Saddam, Gheddafi, Assad, Putin. Si chiamano a raccolta gli alleati. Si imbastisce la narrativa di un pianeta agghiacciato dagli orrori del despota di Caracas. E si nomina come presidente un tizio pressoché ignoto agli stessi venezuelani.

Ma il mondo si compone di 194 Stati, 144 dei quali, il 75%, non ci pensano proprio a riconoscere un presidente imposto al Venezuela da un altro Stato. I restanti 50 Paesi, Ue in testa, si adeguano però alla pagliacciata e riconoscono Guaidó. Con l’eccezione dell’Italia, governata all’epoca dai malfamati grillini. Nel 2019, l’assemblea dei 120 Paesi Nam condanna duramente l’attacco americano al Venezuela. E l’anno dopo, in uno scontro all’ultimo voto all’Assemblea Onu, gli Usa perdono clamorosamente. Nel frattempo, il signor Guaidó prova a infiammare le masse. Tenta di organizzare una marcia sulla capitale, ma raccoglie solo una frazione dei seguaci necessari per giustificare il conto-spese da presentare agli americani. Finché nell’aprile 2019 blocca un cavalcavia di Caracas e attende la sollevazione del popolo e delle forze armate. Ma non succede nulla. E la feroce dittatura lo lascia illeso e libero perché è ormai evidente che uno così è più utile da vivo. A questo punto, a Washington non rimane altro che ricorrere al copione dei bei vecchi tempi: uno sbarco dal mare con connesso bombardamento del palazzo presidenziale. Un blitz veloce. Perché i militari sarebbero stati a guardare, e la popolazione avrebbe accolto i marines come liberatori. Ma i fiaschi di Guaidó hanno indotto un guizzo di intelligenza nell’intelligence imperiale. Il verdetto dei pianificatori militari è che la conquista non si può fare. Ci sono almeno 4 milioni di chavisti militanti, 100 mila dei quali pronti a difendere con le armi il loro governo, a fianco di un esercito di 160 mila unità tutt’altro che diviso e demotivato. E uno di questi pianificatori riassume così il problema: se invadiamo il Venezuela, inizierà come in Iraq e finirà come in Vietnam. Gli Stati Uniti si siedono allora sulla riva del fiume. Ma il cambio di regime non arriva perché 1) in un mondo ormai multicentrico, una parte del petrolio viene venduta lo stesso alla Cina, all’India, all’Iran, alla Russia; 2) le importazioni alimentari vengono sostituite da una crescita dell’agricoltura che porta il Venezuela alla quasi autosufficienza nutritiva;

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3) l’economia viene dollarizzata e aperta agli investimenti, stimolando un boom economico tutt’ora in corso; 4) tutto ciò non accade a scapito dei poveri perché il sistema di protezione sociale che sta alla base del chavismo resta in piedi. Le elezioni regionali del novembre 2021 – regolari secondo gli osservatori internazionali – replicano così l’ennesima vittoria dei candidati socialisti.

Siamo arrivati a Biden, il quale mantiene le sanzioni fino all’inizio della guerra contro la Russia. Ma questa finisce col colpire la base della civiltà americana: la benzina a basso prezzo. Washington ha bisogno urgente di petrolio, ed è obbligata a prendere atto che è ora di finirla con la sceneggiata di Guaidó. L’Ue lo ha degradato a semplice esponente dell’opposizione. Ha perso il rispetto dei colleghi dopo che i soldi Usa sono finiti nelle tasche dei suoi amici e parenti, nonché in festini a prostitute e cocaina. Il dipartimento di Stato ha fatto filtrare in questi giorni la notizia che a gennaio 2023 scaricherà Guaidó in occasione della nuova sessione del Parlamento venezuelano.

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Forwarded from Giubbe Rosse
BILL GATES: "DA QUANDO C'È ELON MUSK, TWITTER HA AUMENTATO LA POLARIZZAZIONE DIGITALE"
Secondo Bill Gates, co-fondatore di Microsoft e co-presidente della più grande organizzazione filantropica privata del mondo, da quando è stata acquisita da Elon Musk, Twitter ha assunto uno stile decisionale "personalistico e improvvisato" che sta peggiorando la polarizzazione digitale.
“Penso, certamente, che la situazione a Twitter stia peggiorando le cose. Anziché una serie oggettiva di misurazioni fatte da un ampio gruppo di persone, quello che vediamo è un'attività personalistica in cui il capo decide per tutti", ha aggiunto.
Secondo Gates, le piattaforme di social media “devono concentrarsi [su come combattere] quelle cose che incitano rivolte o promuovono idee enormemente sbagliate sulla sicurezza di vaccini o mascherine, o quel genere di cose”.
Ad esempio, "è scoraggiante anche per una persona imparziale che disponga della migliore tecnologia del mondo e un budget infinito per il personale" distinguere tra una ricerca sui vaccini opportunamente scettica e teorie del complotto che accusano "le persone che producono questi vaccini di cercare unicamente di arricchirsi, anche [se] causano effetti netti negativi sulla salute”. (Fonte: Financial Times)

Insomma, prima di Musk a Twitter c'era uno staff che prendeva decisioni ponderate e condivise. Talmente condivise che era l'FBI stessa a dettare le scelte, come si evince ormai in modo inequivocabile dai TwitterFiles, in particolare dall'ultimo capitolo di cui abbiamo pubblicato la traduzione poche ore fa.
Davvero commovente il livello di premura che Gates sembra avere per le sorti dell'umanità. Così premuroso che sogna una società in cui passano solo le informazioni che piacciono a lui e scrivono solo quelli che piacciono a lui. Per il Bene di tutti, si capisce.

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Forwarded from RangeloniNews
“Mi chiede aiuto, ma io non posso farci nulla”

La pressione ucraina su Donetsk si è allentata rispetto alle settimane precedenti, quando più volte al giorno la città veniva colpita da numerosi razzi. In questo periodo giorno e notte ho cercato di mostrare in tempo reale quello che accadeva, testimoniando distruzione, morte, macerie e disperazione. I ritmi erano tanto intensi da non avere tempo per fermarmi a riflettere e cogliere dettagli più profondi. Per affrontare queste situazioni bisogna chiudersi, nascondersi nella propria corazza. E non parlo del giubbotto antiproiettile, che comunque può proteggere dalle schegge. Bisogna cercare di non farsi coinvolgere dalle emozioni e di non assorbire la reazione delle persone; serve rimanere indifferente davanti ai corpi senza vita o alle imponenti macerie, così come è meglio evitare di pensare al fatto che lungo diverse strade che percorri ogni giorno ci sono conficcati decine di razzi e che altri potrebbero cadere in qualsiasi momento. Eppure tutto ciò non sempre è possibile, anche quando sei convinto di essere abituato a tutto.

Pochi giorni fa ho raggiunto una casa colpita da un razzo. Il tetto ed il solaio erano crollati sull’appartamento del quinto piano travolgendo una donna. Sul luogo sono immediatamente intervenuti i vigili del fuoco, accorgendosi delle grida della signora. La situazione era drammatica e rischiosissima, non c’è stato nemmeno il tempo per attivare l’autogru per sollevare la lastra di cemento armato divenuta una trappola mortale che ogni secondo cedeva sulle altre macerie schiacciandole il corpo.

«Se rimuoviamo le macerie da questa parte c’è il rischio che il solaio le schiacci la testa!», ha esclamato uno dei soccorritori.

Intanto un secondo pompiere fissava le macerie, dalle quali provengono le grida disperate della donna.

«Credi che sia possibile tirarla fuori viva?», chiedo al ragazzo.

Dai suoi occhi improvvisamente iniziano a scorrere lacrime. «Lei mi chiede aiuto, ma io non posso farci nulla».

Non avevo mai visto piangere un vigile del fuoco. Anche nelle situazioni più difficili hanno sempre trasmesso speranza e sicurezza. Per la prima volta in tutti questi mesi si è aperta una crepa lungo il mio muro interiore che in casi come questo blocca ogni coinvolgimento emotivo.

«Non rimane tempo, dobbiamo provare il tutto per tutto. Così è destinata a morire in pochi minuti. Se proviamo da quest’altro punto a sollevare la lastra… le probabilità sono scarse, ma non ci sono alternative. Potrebbe funzionare!», ha proposto il terzo uomo presente attorno alle macerie.

Il tutto è durato qualche secondo, dopodiché ho visto la testa della donna coperta di polvere grigia spuntare dalle macerie. Ce l’hanno fatta, credendo in quell’unica rischiosissima possibilità. Pochi minuti dopo la donna era già a bordo dell’ambulanza. Appena si sono chiusi gli sportelli posteriori del mezzo i pompieri in silenzio si sono messi in disparte, in silenzio, per fumare una sigaretta e fissare il vuoto con gli occhi lucidi, approfittando di una pausa di pochi minuti: la palazzina a poca distanza colpita nello corso della stessa porzione di razzi stava bruciando e bisognava andare a far supporto alla squadra di colleghi impegnata a poche decine di metri di distanza.

In questi ultimi mesi di terrore a Donetsk ho assistito quasi ogni giorno a molte situazioni estreme, pesanti, difficili da affrontare emotivamente. Lavorando in questo contesto ci si abitua a tutto, impari a mettere in pausa le emozioni affinché non influenzino il lavoro. Impari a rimanere freddo di fronte ad una vita che, davanti ai tuoi occhi, è in procinto di abbandonare il suo corpo fatto a pezzi dalle schegge delle bombe; impari a fare abitudine al fatto che sulle strade che percorri più volte al giorno possono piovere razzi e bombe, e nessuno sa quando cadrà il prossimo: sai solo che è questione di tempo. Minuti, ore o qualche giorno. Comprendi che tutto ciò è rischioso, ma allo stesso sei consapevole che tutto questo va raccontato.
Forwarded from Giubbe Rosse
‌‌THE TWITTER FILES : “Come Twitter ha truccato il dibattito sul Covid”
di Redazione
Finalmente è arrivato il tanto atteso capitolo dei TwitterFiles dedicato al Covid. L'autore è lo scrittore e giornalista investigativo David Zweig. Fin dal suo insediamento, l'amministrazione Biden ha iniziato a fare pressione su Twitter affinché "facesse di più per combattere la disinformazione". Biden arrivò a dire che le reti sociali stavano "uccidendo le persone" nella misura in cui permettevano la disinformazione sul Covid. Twitter ha così finito per promuovere deliberatamente contenuti che rafforzavano la narrativa ufficiale del CDC e del governo e sopprimere in modo selettivo non solo opinioni, ma anche prove scientifiche contrarie. Tweet non allineati sono stati eliminati o contrassegnati con l'ignominiosa etichetta di "contenuto fuorviante", contenuti in dissenso, ma fattualmente veri ed esatti sono stati contrassegnati come disinformazione. È accaduto con un giornalista noto come Alex Berenson, con un epidemiologo della Harvard Medical School come Martin Kulldorff, con un professore di politica sanitaria di Stanford come Jay Bhattacharya e con centinaia di altri medici e ricercatori, il cui unico torto era spesso citare dati ufficiali e studi pubblicati su riviste accreditate. Per usare le parole di Zweig, "questa non è semplicemente la storia di come Big Tech o la stampa tradizionale abbiano il potere di plasmare il nostro dibattito [...] è anche la storia di bambini di tutto il paese ai quali è stato impedito di frequentare la scuola, [...] la storia di persone che sono morte sole [...], la storia di piccole imprese che hanno chiuso. È anche la storia di ventenni perennemente mascherati nel cuore di San Francisco, per i quali non c’è mai stato un ritorno alla normalità. Se Twitter avesse consentito il tipo di dibattito aperto in cui diceva di credere, tutto ciò sarebbe potuto andare diversamente?". Già, ce lo siamo chiesto in tanti in questi due anni... continua a leggere

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