L'ANGOLO DEL GIUSNATURALISTA:
SULL'ORDINE POLITICO CRISTIANO: L'INSEGNAMENTO ATTUALE DEL PAPA SAN PIO X
Il grande Papa san Pio X, pontefice della Chiesa universale dal 1903 al 1914, nella nota Lettera apostolica «Notre charge apostolique» del 25 agosto 1910 nella quale veniva condannato il movimento francese «Le Sillon» il quale propugnava idee socialiste e un cristianesimo laicizzato, riflette riguardo il concetto di ordine politico cristiano. Egli afferma, a riguardo, come non si debba inventare la civiltà, né costruire sulle nuvole la nuova città, bensì prendere atto che essa «è esistita, esiste; è la civiltà cristiana». Il compito di una vera politica, pertanto, è quello di restaurarla. Questo non esclude, e Papa Sarto non insiste su questo punto, che la civiltà cristiana possa trovare diverse realizzazioni nel divenire della storia, tuttavia quello che rileva è il concetto stesso di città cattolica, o meglio la sua essenza. Pio X non immagina uno Stato ideale (la dottrina della Chiesa, peraltro, non ha mai elaborato una dottrina politica in merito) come modello da riprodurre storicamente, riferendosi, invece, sempre a dei principi di ordine generale che costituiscono il cuore di un autentico ordine politico cristiano: sussidiarietà, bene comune, diritto naturale classico di impostazione tomista che orienta la legislazione positiva, una concezione delle libertà e dei diritti non razionalistica ed illuministica ove questi concetti, precisa con amarezza Papa Pio X nella Lettera apostolica, sono affermati e rispettati solo se l'uomo obbedisce a se stesso. Viceversa, sulla scia dell'insegnamento di Papa Leone XIII (pontefice dal 1878 al 1903) desunto in particolare dalla Lettera Enciclica «Libertas» del 1888, Giuseppe Sarto, in opposizione al liberalismo che dell'illuminismo è «figlio», ritiene che la libertà ed i diritti siano tali nella misura in cui l'uomo sceglie i mezzi per perseguire i propri fini e le proprie inclinazioni naturali. Di fronte, dunque, ad un mondo che ha abbracciato il principio di immanenza, il laicismo, il razionalismo dei diritti umani, san Pio X, riassumendo il magistero dei suoi predecessori, ci offre la «costituzione cattolica delle società politiche» anteriore e comune ai diversi regimi particolari, possibili o auspicabili. Purtroppo, la sorditá e la mancanza di regalitá della odierna politica...
SULL'ORDINE POLITICO CRISTIANO: L'INSEGNAMENTO ATTUALE DEL PAPA SAN PIO X
Il grande Papa san Pio X, pontefice della Chiesa universale dal 1903 al 1914, nella nota Lettera apostolica «Notre charge apostolique» del 25 agosto 1910 nella quale veniva condannato il movimento francese «Le Sillon» il quale propugnava idee socialiste e un cristianesimo laicizzato, riflette riguardo il concetto di ordine politico cristiano. Egli afferma, a riguardo, come non si debba inventare la civiltà, né costruire sulle nuvole la nuova città, bensì prendere atto che essa «è esistita, esiste; è la civiltà cristiana». Il compito di una vera politica, pertanto, è quello di restaurarla. Questo non esclude, e Papa Sarto non insiste su questo punto, che la civiltà cristiana possa trovare diverse realizzazioni nel divenire della storia, tuttavia quello che rileva è il concetto stesso di città cattolica, o meglio la sua essenza. Pio X non immagina uno Stato ideale (la dottrina della Chiesa, peraltro, non ha mai elaborato una dottrina politica in merito) come modello da riprodurre storicamente, riferendosi, invece, sempre a dei principi di ordine generale che costituiscono il cuore di un autentico ordine politico cristiano: sussidiarietà, bene comune, diritto naturale classico di impostazione tomista che orienta la legislazione positiva, una concezione delle libertà e dei diritti non razionalistica ed illuministica ove questi concetti, precisa con amarezza Papa Pio X nella Lettera apostolica, sono affermati e rispettati solo se l'uomo obbedisce a se stesso. Viceversa, sulla scia dell'insegnamento di Papa Leone XIII (pontefice dal 1878 al 1903) desunto in particolare dalla Lettera Enciclica «Libertas» del 1888, Giuseppe Sarto, in opposizione al liberalismo che dell'illuminismo è «figlio», ritiene che la libertà ed i diritti siano tali nella misura in cui l'uomo sceglie i mezzi per perseguire i propri fini e le proprie inclinazioni naturali. Di fronte, dunque, ad un mondo che ha abbracciato il principio di immanenza, il laicismo, il razionalismo dei diritti umani, san Pio X, riassumendo il magistero dei suoi predecessori, ci offre la «costituzione cattolica delle società politiche» anteriore e comune ai diversi regimi particolari, possibili o auspicabili. Purtroppo, la sorditá e la mancanza di regalitá della odierna politica...
Sei stato invitato a L'UNIONE EUROPEA: TRA STATO DI DIRITTO E STATO TOTALITARIO
gio mag 23, 2024
16:00—18:30 (CET)
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L'ANGOLO DEL GIUSNATURALISTA:
L'ENS É IL "PRIMUM" INTELLEGIBILE, MA L' ACTUS ESSENDI HA IL PRIMATO ONTOLOGICO
Il nostro percorso conoscitivo inizia sempre con l'ens, con 'ente. É la prima nozione che si forma nell'intelletto, assumendo così il primato dal punto di vista gnoseologico, cioé della conoscenza (c.d. "primum cognitum"). L'ente, dunque, é l'essente, o meglio ció che é, ció che esiste: questo uomo, questa donna, questa casa, questo albero. Ora, insegna san Tommaso d'Aquino (1225-1274), ogni ente reale é composto dall'essenza o natura, intesa come insieme di materia e forma (nell'ente uomo l'essenza é data dalla sua corporeitá (la materia), ma anche dalla sua forma (la ragionevolezza)), e dall'atto d'essere o "actus essendi" spesso erroneamente scambiato con l' "esse in actu". L'atto d'essere é l'atto per cui qualsiasi cosa é, o meglio la rende sussistente e distinta dalle altre cose. Facciamo un esempio concreto: io sono un uomo per essenza, ma sono, o meglio sono un ente, in virtù dell'atto d'essere. L'essenza, dunque, sta all'atto d'essere come la potenza sta all'atto. Ogni ente finito, pertanto, é secondo l'essenza che lo colloca ad un certo livello di essere. Bisogna, peró, non confondere l'atto d'essere con il concetto di esistenza, dal momento che quest'ultimo non appartiene al pensiero tomista. L'esistenza, infatti, indica la presenzialitá dell'ente, il suo trovarsi qui o lá, ma solo l'essere é il fondamento ontologico assoluto dell'ente. Si comprende bene, alla luce di questa ricostruzione, l'errore di Martin Heidegger (1889-1976) per il quale vi é identificazione di essere ed esistere (Stefano Fontana). Resta, peró, aperta una legittima domanda: come si conosce l'actus essendi? Non certamente dall'esperienza sensibile come riteneva Maritain (1882-1973), in quanto essa ci presenta sempre l'ente, ma non ci fornisce come dato immediato l'atto d'essere ovvero la perfezione di ogni atto (Battista Mondin). Mediante una prima approsimazione possiamo concludere che l'atto d'essere si conosce attraverso l'ente. Come questo avviene in concreto? Attraverso quella che il grande Padre stimmatino, Cornelio Fabro (1911-1995), chiama in lingua latina "resolutio". In maniera molto semplice, la conoscenza dell'ente, di ció che é, ci consente prima di comprendere la sua causa intrinseca, ovvero l' "esse ut actus", o meglio che quell'ente sussiste ed é diverso dagli altri enti (l'ente uomo sussiste ed é diverso dall'ente albero), poi la sua causa estrinseca, ossia che ogni ente finito non é l'essere, ma ha l'essere per partecipazione, ricevendolo dall' "Ipsum Esse Subsistens", Dio, che appunto é l'essere per essenza come riporta il capitolo 3 versetto 14 del Libro dell'Esodo. Se non si ammettesse l'esistenza di Dio, non si comprenderebbe il perché gli enti non sono l'essere, bensí partecipano dell'essere. Infatti, proprio perché finiti, devono riceverlo unicamente da chi é l'Essere per essenza.
L'ENS É IL "PRIMUM" INTELLEGIBILE, MA L' ACTUS ESSENDI HA IL PRIMATO ONTOLOGICO
Il nostro percorso conoscitivo inizia sempre con l'ens, con 'ente. É la prima nozione che si forma nell'intelletto, assumendo così il primato dal punto di vista gnoseologico, cioé della conoscenza (c.d. "primum cognitum"). L'ente, dunque, é l'essente, o meglio ció che é, ció che esiste: questo uomo, questa donna, questa casa, questo albero. Ora, insegna san Tommaso d'Aquino (1225-1274), ogni ente reale é composto dall'essenza o natura, intesa come insieme di materia e forma (nell'ente uomo l'essenza é data dalla sua corporeitá (la materia), ma anche dalla sua forma (la ragionevolezza)), e dall'atto d'essere o "actus essendi" spesso erroneamente scambiato con l' "esse in actu". L'atto d'essere é l'atto per cui qualsiasi cosa é, o meglio la rende sussistente e distinta dalle altre cose. Facciamo un esempio concreto: io sono un uomo per essenza, ma sono, o meglio sono un ente, in virtù dell'atto d'essere. L'essenza, dunque, sta all'atto d'essere come la potenza sta all'atto. Ogni ente finito, pertanto, é secondo l'essenza che lo colloca ad un certo livello di essere. Bisogna, peró, non confondere l'atto d'essere con il concetto di esistenza, dal momento che quest'ultimo non appartiene al pensiero tomista. L'esistenza, infatti, indica la presenzialitá dell'ente, il suo trovarsi qui o lá, ma solo l'essere é il fondamento ontologico assoluto dell'ente. Si comprende bene, alla luce di questa ricostruzione, l'errore di Martin Heidegger (1889-1976) per il quale vi é identificazione di essere ed esistere (Stefano Fontana). Resta, peró, aperta una legittima domanda: come si conosce l'actus essendi? Non certamente dall'esperienza sensibile come riteneva Maritain (1882-1973), in quanto essa ci presenta sempre l'ente, ma non ci fornisce come dato immediato l'atto d'essere ovvero la perfezione di ogni atto (Battista Mondin). Mediante una prima approsimazione possiamo concludere che l'atto d'essere si conosce attraverso l'ente. Come questo avviene in concreto? Attraverso quella che il grande Padre stimmatino, Cornelio Fabro (1911-1995), chiama in lingua latina "resolutio". In maniera molto semplice, la conoscenza dell'ente, di ció che é, ci consente prima di comprendere la sua causa intrinseca, ovvero l' "esse ut actus", o meglio che quell'ente sussiste ed é diverso dagli altri enti (l'ente uomo sussiste ed é diverso dall'ente albero), poi la sua causa estrinseca, ossia che ogni ente finito non é l'essere, ma ha l'essere per partecipazione, ricevendolo dall' "Ipsum Esse Subsistens", Dio, che appunto é l'essere per essenza come riporta il capitolo 3 versetto 14 del Libro dell'Esodo. Se non si ammettesse l'esistenza di Dio, non si comprenderebbe il perché gli enti non sono l'essere, bensí partecipano dell'essere. Infatti, proprio perché finiti, devono riceverlo unicamente da chi é l'Essere per essenza.
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Fidatevi dei "professionisti dell'informazione"...
Commissione UE, soldi a pioggia al mainstream: i finanziamenti segreti
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